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La proprietà dei mezzi di produzione



Quinto capitolo
Il mezzo di produzione naturale terra

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Proprietà e libertà

Possesso e proprietà sono i pilastri del vivere borghese. Tuttavia, mentre negli stravolgimenti sociali del nostro tempo si grida all’espropriazione, anche l’esistenza borghese subisce forti e continui cambiamenti in materia di proprietà e possesso, di regola manifestati in modo silente sotto forma di dramma esistenziale. Si parla della “libertà” vissuta e concretizzata nella lotta per la proprietà.

Nel riflettere su questo concetto di libertà che ha assunto un carattere ideologico, istintivamente l’occhio interiore percepisce le immagini di antichi ordinamenti sociali, dove si conosceva solo il mondo dei mezzi di produzione naturali – la terra e i suoi tesori – e le lotte tra tribù, popoli e razze servivano a conquistarli e difenderli. Come si sono conservate alcune forme giuridiche, allo stesso modo istinti primordiali si riproducono a livello profondo nell’anima e, cambiata la forma, appaiono in altre epoche e in un ambiente mutato come “sovrastruttura ideologica”, nel loro carattere generale, sotto forma di attitudini comportamentali e relazionali determinanti la struttura sociale. Il mezzo di produzione terra, in origine, era oggetto di conquista. Il che significava concessione e non proprietà. Quando a opera del diritto individuale romano il concetto di concessione venne meno, quest’ultimo si trasformò in proprietà privata. Con lo sviluppo della coscienza individuale, i legami originari si sciolsero progressivamente; l’unico a rimanere fu quello familiare, quale “forma di vita originaria” e baluardo dell’esistenza umana. Non esisteva più la concessione, ma l’eredità del patrimonio familiare. Nelle fasi storiche successive, il diritto di eredità fu trasferito anche ai mezzi di produzione industriali, creazioni dell’intelletto umano che ai giorni nostri si sono aggiunte ai mezzi naturali. Un concetto giuridico adatto a essi ancora non esisteva; non poteva essere altro che una creazione dell’uomo, come il mezzo di produzione stesso.

I mezzi di produzione naturali e fabbricati

La terra è il mezzo di produzione di ordine primario. La differenza rispetto a quelli di natura tecnologica consiste nelle “forze originarie e indistruttibili” presenti nel terreno, non generate dall’uomo, ma dalla natura del terreno stesso o, come si diceva in passato, “da Dio”. I mezzi di produzione fabbricati, da un punto di vista concreto e storico, sono di ordine secondario; da essi lo spirito umano differenziatore ha creato mezzi, che rispetto al mezzo produzione naturale nel processo produttivo necessitano di un intelletto collaborativo diverso. Nascono due diverse forme associative che si occupano di far funzionare i mezzi di produzione di entrambe le tipologie. Proprio come storicamente si è trasferito il concetto di proprietà ereditaria e di alienabilità del terreno al mezzo di produzione di ordine secondario, le forme lavorative e sociali odierne delle industrie sono passate al mezzo di produzione naturale e in tal modo si sono distrutti ancora una volta i legami “naturali”. Le conseguenze di questa mancanza di differenziazione in futuro saranno ancora più imprevedibili.

I mezzi di produzione di ordine primario e secondario sono in rapporto antitetico tra loro. I mezzi di produzione tecnologici, usati nel processo produttivo, con il tempo si usurano e occorre produrne di nuovi. Cosa che non vale per le “forze originarie e indistruttibili” della terra. Alla prima categoria appartengono i prestiti e gli interessi, alla seconda i risparmi e la rendita. L'alienabilità e il carattere ipotecario del terreno intaccano la redditività del mezzo di produzione naturale e sono accompagnati da uno stravolgimento sociale, gravido di conseguenze, apportato al sistema monetario moderno. Le differenze intrinseche a livello ideologico sono scarse; tanto in Oriente quanto in Occidente, dal punto di vista giuridico ed economico, nonché sostanziale e sociale, non si fanno differenze tra i tipi di mezzi di produzione: quella spesso sotto gli occhi di tutti e intrinseca alla natura della cosa, non è di alcuna rilevanza “ideologica”. Dal punto di vista sociale è una piaga, e da quello giuridico un problema.

Nel mezzo di produzione naturale in origine erano tre fattori principali ad agire: il coltivatore, Dio e la comunità (la famiglia, la tribù, la stirpe, il popolo). Il coltivatore diventò proprietario terriero, Dio fu eliminato e al posto delle comunità per legami di sangue subentrò lo Stato (o la comunità politica). Il legame giuridico tra Dio, il feudatario e la tribù o l’etnia si è trasformato in un rapporto giuridico astratto e basato sull’acquisto. Il critico sindacalista della “comunità”[1] troverebbe poco delle “comunità” aziendali, tanto nel processo lavorativo con mezzi di produzione di ordine primario quanto in quello industriale: l’“associazione naturale” e la “forma originaria del vivere sociale” non sono presenti. Solo chi ha una visione romantica e bislacca contempla la possibilità di vedere germogliare in futuro una comunità rurale dal “sangue e dalla terra”.

Non è possibile ripristinare la “forma originaria del vivere sociale” né l’”associazione naturale” nemmeno in presenza dei mezzi di produzione naturale, perché l’uomo è cambiato. Tuttavia i rapporti giuridici risulterebbero più semplici che non in presenza dei mezzi di produzione tecnologici. Rispetto alle origini, il terreno non ha più la stessa natura strumentale propria del mezzo di produzione tecnologico. Il rapporto di proprietà legato al possesso e alla coltivazione del terreno è percepito anche come responsabilità personale (anche nei rapporti di locazione) e in più la terra e il suolo non sono il frutto di un lavoro precedente, intellettuale e fisico, della comunità come i mezzi di produzione tecnologici. Ne risulta e va da sé che il principio della “collettivizzazione” – come quello della fabbrica – è un anacronismo fatale e una fissazione ideologica, la cui concretizzazione genererà danni ingenti alla società. Dannoso per la società non è il possesso personale di chi coltiva il terreno in modo responsabile, ma la proprietà d’altri, che lo trasforma in merce e in oggetto di pegno.

La cooperativa come forma organizzativa

Al posto della collettivizzazione, nella produzione agricola occorrono sempre più forme organizzative come le cooperative. Come le imprese dell’economia industrializzata si uniscono in associazioni di settore (senza limiti territoriali), allo scopo di collaborare insieme ad altre di tipo commerciale e a quelle dei consumatori per soddisfare i bisogni nel concreto, il concetto di cooperativa locale potrebbe diventare la forma associativa del futuro per la produzione di generi alimentari[2]. Tuttavia solo il rapporto tra associazioni industriali e di consumo può fungere da elemento equilibratore nell’antitesi tra produzione naturale e industriale-commerciale.

In questo caso il trasferimento del patrimonio per eredità non è da escludere, considerato che di solito all’interno della famiglia stessa o nella sfera delle sue conoscenze (per destino), si trovano le persone adatte. In ogni caso in mancanza di esse, occorre la giurisprudenza necessaria per trasferire l’azienda a non eredi capaci. Questo può accadere solo se esiste una responsabilità sociale e collaborativa del singolo e un’amministrazione fiduciaria legittimata dalla legge. I mezzi di produzione naturali non possono diventare vendibili in senso consumistico; e in ragione della loro natura non sono ipotecabili. Con la soppressione dell’ipoteca del terreno, all’occorrenza sarà il credito garantito dalla collettività o dall‘amministrazione fiduciaria a prendere il suo posto. Al contrario dell’ipoteca, esso non salvaguarderà coloro che, inetti e inopportuni, posseggono soltanto. L’inalienabilità e le sue conseguenze e la cancellazione dell’ipoteca avrebbero un effetto grandemente benefico e stabilizzatore sull’organizzazione degli intricati rapporti giuridici concernenti la terra. Probabilmente occorrerà iniziare con una riforma del diritto di proprietà della terra, prima che il nuovo e complesso diritto possa essere applicato ai mezzi di produzione.


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4. Capitolo6. Capitolo
Indice

Note:

[1] Sandvoss, vedere cap. “I quattro vizi di fondo della condizione sociale”.

[2] Nei paesi nordici la coscienza associativa ha avuto uno sviluppo “precoce”. In Danimarca (tra il 1783 e il 1872) la fondazione delle “scuole contadine” (movimento delle scuole popolari per adulti) da parte di Grundwig, fu un evento rivoluzionario che favorì l’autonomia e la coscienza di sé nei contadini. In Svezia l’80 percento della produzione agricola attuale è frutto del lavoro delle cooperative. In Germania, malgrado la questione aperta dell’organizzazione cooperativa, i contadini rimangono su posizioni estremamente individualiste.