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OO 337a - Idee sociali – realtà sociale – prassi sociale – Vol. I



SERATE DI STUDIO DELLA LEGA PER LA TRIPARTIZIONE DELL'ORGANISMO SOCIALE
Quarta serata di studio

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Stoccarda, 16 giugno 1920



La questione fondiaria dal punto di vista della tripartizione



Rudolf Steiner: Stimatissimi convenuti! Oggi vorrei parlare della tripartizione dell’organismo sociale presentandovi dei punti di vista che possano gettare un po’ di luce su quella che, a seguito dei recenti fatti avvenuti sul piano dell’economia nazionale, è stata chiamata ‘la questione fondiaria’. È proprio una caratteristica dell’idea della tripartizione, quella di rendere chiaro che, se vogliamo realmente andare avanti in modo proficuo, devono aver fine certe discussioni e agitazioni in vecchio stile. Infatti la situazione che ha portato a queste discussioni e a queste agitazioni, di fatto, è proprio la stessa che ci ha trascinati così in basso.

La questione fondiaria è una cosa che interessa molto alcune cerchie, perché il prezzo, e anche il fatto che la proprietà fondiaria si possa acquistare e sfruttare, è in stretta relazione con il destino dell’uomo, con le condizioni di vita dell’essere umano. Nevvero, il fatto che quelli che sono i prezzi del terreno debbano essere inclusi nelle spese che si devono sostenere per pagare la propria abitazione, che debbano essere inclusi nelle spese per i mezzi di sussistenza, è una cosa che tutti sperimentano in modo diretto. Basta solo pensarci un attimo, per capire che quanto proviene dalla proprietà fondiaria in ambito economico influisce su tutto il resto. A seconda del prezzo del terreno, dal quale poi dipende il costo dei mezzi di sussistenza, a seconda di questo prezzo, appunto, bisogna ricevere un certo stipendio per il lavoro che si fa, ecc. Però il rapporto delle persone con il terreno non è in relazione solo con queste questioni vitali che riguardano le persone in modo diretto, ma anche con molti fatti di ampia portata inerenti alla cultura e alla civiltà. Basti pensare a come la proprietà fondiaria si colleghi al rapporto fra la campagna e la città, a come poi quella che è la difficoltà o anche la facilità delle condizioni di vita nelle città sia in rapporto con la condizione nelle campagne. Dalle campagne dipende quindi quanto si può sviluppare nella città stessa. A seconda del modo in cui si creano condizioni di ricchezza o di benessere grazie ad una determinata situazione delle campagne, delle campagne che circondano la città, si sviluppa anche di preferenza, nella città, quella che chiamiamo la nostra vita spirituale pubblica – almeno nella situazione culturale di questa nostra nuova epoca. Sicuramente, a dire il vero, se uno vuole diventare un mistico solitario, può farlo anche in campagna; però nel contesto generale dell’attività scientifica, tecnica, artistica moderna ci si può sostanzialmente inserire solo se si è in un certo rapporto con la vita di città. Questa è una cosa che si vede direttamente anche osservando la vita in modo superficiale. E tuttavia si potrebbe menzionare anche dell’altro, che ci mostrerebbe proprio come la questione fondiaria (e con essa la questione del rapporto fra la città e la campagna) incida profondamente su tutta la nostra situazione culturale. Perciò anche la questione fondiaria è in relazione, in un certo modo, con quanto ci ha trascinati nella decadenza di questa situazione culturale.

Ora, il nuovo modo di trattare la questione fondiaria dipende soprattutto dal fatto che una grande quantità di persone si è accorta dell’ingiustizia dell’aumento del valore o del prezzo del terreno. Ci si è semplicemente accorti di quanto poco dipenda dal lavoro umano il fatto che un appezzamento di terreno piuttosto che un altro in un determinato arco di tempo possa aumentare di valore. Sono a conoscenza della grande impressione suscitata ripetutamente da un riformatore fondiario molto noto, che nelle sue conferenze di base metteva sotto il naso del suo pubblico quanto segue: “Immaginatevi che qualcuno possieda un certo appezzamento, che aveva comprato tenendo conto del fatto che in prossimità di questo terreno sarebbe stata costruita una fabbrica o che la città si sarebbe estesa verso questo terreno oppure che questo terreno sarebbe stato attraversato dalla ferrovia o altro del genere. Egli aveva acquistato questo appezzamento proprio tenendo conto del fatto che grazie a circostanze del genere negli anni a venire il suo valore sarebbe notevolmente aumentato. Egli aveva acquistato quell’appezzamento proprio nel momento in cui la sua aspettativa era di trascorrere i prossimi tre anni di vita in carcere. Dopo aver comperato questo terreno, egli va in carcere, ci resta dentro per tre anni, e quando esce dal carcere il suo terreno vale cinque volte più di prima. Questo signore dunque non ha fatto nient’altro, per far sì che il prezzo della sua proprietà aumentasse di cinque volte, dato che è stato seduto in carcere per tre anni”. Queste sono cose, egregi signori, che ovviamente fanno un effetto molto forte, se le si usano per spiegare qualcosa. E non si può affatto dire che queste cose facciano effetto a torto. Qui fa effetto qualcosa che, del tutto a ragione, illumina le cose in modo comodo, perché è una cosa che può veramente succedere proprio così. E poi (si può tralasciare qualcosa, direi), poi se si conoscono cose del genere, il risultato è che ovviamente tutto [il modo di] stabilire il valore del terreno nel nostro processo economico è qualcosa che non può continuare a restare così, che in qualche modo deve essere riformato. E ora ecco che Henry George, Adolf Damaschke, e fra loro molti altri hanno introdotto le riforme più svariate, ma tutte orientate nella stessa direzione. E così è stato introdotto il pensiero che (e in realtà tutto dipende da questo) la proprietà fondiaria più o meno (non si tratta poi così tanto della forma) debba essere qualcosa che in un certo senso appartiene alla comunità. Non che tutti i riformatori fondiari vogliano quasi una statalizzazione diretta della proprietà fondiaria, però vogliono che una percentuale davvero consistente dell’incremento di valore particolarmente forte venga appunto data alla società sottoforma di ‘tassa sull’incremento del valore’ – una percentuale che forse ri-abbassa la proprietà fondiaria quasi al suo valore di prima, se il suo valore si era accresciuto senza merito del proprietario. Si possono pensare anche altre forme, per far diventare il terreno, in un certo senso, una specie di proprietà collettiva. Però è senza dubbio illuminante che uno che ha danneggiato i suoi consimili a tal punto che questi si sono sentiti indotti a chiuderlo in prigione, ora, quando dopo tre anni ritorna, possa essere giustamente costretto a consegnare a questa comunità l’incremento di valore del proprio terreno.

Ora, egregi signori, però Damaschke ci tiene a sottolineare che non pensa affatto di estendere anche ad altri tipi di mezzi di produzione lo stesso destino che affibbia in questo modo alla proprietà fondiaria. Egli dimostra che gli altri mezzi di produzione subiscono un incremento di valore in una maniera totalmente diversa, nella proprietà delle persone; egli dimostra che l’incremento di valore dei mezzi di produzione avviene in circostanze del tutto diverse, che non sono affatto paragonabili con quelle per cui spesso avviene l’incremento del valore della proprietà fondiaria. Ora si può dire che una cosa del genere è sicuramente davvero illuminante e in realtà, in un certo senso, non si può che essere d'accordo.

Però, egregi signori, avete ben visto che adesso ci sono delle statalizzazioni, che cioè è stato passato all’amministrazione di una certa collettività ciò che altrimenti veniva prodotto in un’economia puramente privata e il cui controvalore veniva ricevuto nell’economia privata. Però non si può proprio dire che l’esperienza fatta in queste cose negli ultimi anni sia veramente stata del tutto soddisfacente. Infatti credo (almeno alcuni di voi se ne saranno un po’ accorti) che non a tutte le persone sia andata tanto bene quanto sarebbe dovuta andare, nel senso del razionamento, quindi in un certo senso della collettivizzazione, per esempio dei mezzi di sussistenza e di altre cose. In questi anni, in cui è stato collettivizzato davvero molto, alcune persone hanno sperimentato, credo, un po’ di una certa incetta.

E quell’impulso sociale che dovrebbe essere dato con la tripartizione, appunto, non vuole affatto darsi a intendere qualcosa, o darla a bere agli altri, ma vuole dare stimoli che non restino soltanto fissati sulla carta e che non servano solo per un certo tipo di persone mentre le altre sono in condizione di aggirare le cose di cui si tratta, e fra l’altro di aggirarle in proporzioni colossali. L’impulso che dovrebbe dare la tripartizione dell’organismo sociale dovrebbe appunto essere un impulso della realtà, che di fatto realizzi oggettivamente ciò che si propone di realizzare. Chi conosce la vita (e in realtà solo chi la conosce) può realmente capire che cosa vuole, in tutta serietà, l’impulso per la tripartizione. Chi aspira a capire la vita e chi capisce realmente la vita non avrà dubbio alcuno che ci potrà anche essere un fare incetta degli incrementi di valore della proprietà fondiaria, se si collettivizza il terreno nel modo in cui lo vogliono collettivizzare i riformatori della proprietà fondiaria che pensano sulla base di idee vecchie. È appunto assolutamente possibile, sia nelle nazioni latine che anche nello Stato di Damaschke, rendere nuovamente inefficace, a causa di scappatoie di ogni genere, quella che si presenta nel mondo come legge. L’impulso per la tripartizione dell’organismo sociale, proprio perché vuole qualcosa di reale, semplicemente non può far finta di nulla davanti al fatto fondamentale che di sicuro veramente non si può costruire la realtà sociale per mezzo di leggi che vengono fatte portando avanti i vecchi modi di pensare e le vecchie idee sulla società e sullo Stato. Quello che conta sono le persone e [che si imposti] quell’organizzazione sociale, quell’organismo sociale, che è l’unico e il solo che fa sì che gli uomini non trovino assolutamente alcun mezzo per scavalcare, in modo ingiusto o in modo immorale, nulla di ciò che favorisce appunto tale ordine sociale – per lo meno bisogna rispondere quanto più possibile a questa esigenza della vita.

Ora, quella che noi chiamiamo ‘tripartizione dell’organismo sociale’, la si può osservare dai più diversi punti di vista. Si può portare in campo ciò che all’inizio, in un certo senso per dare una prima spinta, ho detto ne «I punti essenziali». Si può anche caratterizzare da altri lati la necessità della tripartizione, come facciamo sia io che alcuni altri proprio qui a Stoccarda da più di un anno. Ma si può, per esempio, anche aggiungere il seguente punto di vista:

Prendendo in considerazione l’intero corso dello sviluppo dell’umanità moderna, ora siamo giunti ad un punto in cui certe strutture non sono più sopportabili, semplicemente per il modo in cui oggi si pensa, e quindi siamo arrivati ad un punto tale per cui tutto il nostro stato d’animo esige altre strutture. Tutto questo caos che c’è nel mondo deriva proprio dal fatto che, semplicemente, gli uomini del presente non possono più sopportare certi stati che sono risultati dallo sviluppo dell’umanità nell’ultimo secolo. L’uno sente vagamente: “Non si può più sopportare questa situazione”; sente parlare Damaschke e sente che molte delle ingiustizie dipendono dal fatto che in tre anni un carcerato può quintuplicare i suoi averi senza esserselo meritato. A un altro vengono presentate le teorie marxiste, e lui le accoglie. Ad un terzo viene detto: “Se non proteggiamo le vecchie istituzioni e la vecchia cosiddetta condizione del signorato di campagna, tutto il mondo entrerà in uno stato di caos, perciò dobbiamo proteggerli”.

In sostanza, però, i motivi per cui le persone sono insoddisfatte della situazione attuale si trovano, molto semplicemente, sepolti a grande profondità nell’essere umano; e oggi è già così: quello che si sviluppa in termini di programmi, in sostanza, non sono altro che sogni, non sono altro che illusioni che le persone si fanno. Non pervengono a quello che le persone vogliono realmente. E così succede che a partire dall’una o dall’altra vecchia abitudine di vita uno faccia una certa teoria in ambito sociale, che poi definisce ‘logica’. Al giorno d’oggi è proprio così, e in sostanza questo dipende solo dal fatto che uno viva proprio nel proletariato o che sia nato in una villa padronale prussiana, o che ora per le vecchie abitudini di vita sia marxista oppure conservatore nel senso del signor von Heydebrand e il Lasa. Questi programmi, che vengono fatti a destra e a manca in realtà al giorno d’oggi non hanno più proprio nulla a che fare con la realtà.

E si può dire: al giorno d’oggi, quando avviene qualcosa come un’elezione parlamentare, quello che viene detto in questa occasione dà un po’ l’impressione che ci sia un orrendo demonio cosmico che sta sognando e che i suoi sogni si infilino nelle coscienze delle persone, dei membri dei partiti e dei capi di partito e che la gente si intrattenga parlando di qualcosa che in sostanza non ha assolutamente niente a che fare con ciò che dovrebbe succedere. Infatti oggi l’umanità tende ad uno scopo ben preciso. Solo che non ha chiarezza su questo scopo.

Tanto per cominciare, l’umanità sente, una buona volta, che con le vicende spirituali, con l’ordinamento delle faccende spirituali, le cose non vanno più avanti nello stesso modo in cui sono andate avanti avanti finora. Ciò deriva semplicemente dal fatto che, nonostante tutto il materialismo (che c’è esattamente, esattamente nello stile che ho spiegato ieri alla conferenza pubblica), c’è della spiritualità filtrata nelle astrazioni alle quali oggi si votano le persone, per esempio più di tutti il proletariato. Nonostante questo sembri procedere in massima misura dalla «realtà», dalla «situazione della produzione» e cose del genere, si dà ad astrazioni spirituali, non riuscendo così mai a pervenire a una qualsivoglia struttura che afferri la realtà. Le persone sentono di doversi appoggiare a qualcosa di spirituale e lo spirituale deve esserci anche per far presa nella vita sociale, per costruire la struttura sociale dell’organismo sociale in cui le persone vivono. In sostanza, che cos’è stato a creare la struttura del nostro organismo sociale, fino ai giorni nostri? Lo spirito? No, penso che non sia stato lo spirito. Se per esempio io eredito un grande appezzamento da mio padre, qui c’è qualcosa di diverso dallo spirito; qui c’è un nesso naturale, qui è il sangue. E il sangue è quello che, insieme a tutte le altre possibili circostanze che vi sono connesse, oggi può ancora collocare una persona in una determinata posizione. Da tale posizione dipende poi a sua volta il modo in cui egli si colloca nella vita spirituale. Può accogliere certi contenuti educativi solamente per il fatto che, grazie a situazioni precedenti, dipendenti in gran parte dai legami di sangue, si trova inserito in un determinata posizione sociale. Questo, in sostanza, di fronte alla vita spirituale, l’umanità lo sente per il momento come qualcosa che non può più essere sopportato. Istintivamente l’umanità sente:

Invece di lasciare che tutto venga determinato dal sangue, come nell’antichità, in futuro nelle strutture sociali deve intervenire anche lo spirito. Nevvero, la Chiesa, per accordarsi con ciò che [in passato] si è sviluppato [in questo modo] e che così al giorno d’oggi non può più essere sopportato, si è certo ben adeguata a quella decisione dell’ottavo concilio ecumenico che ebbe luogo a Costantinopoli nell’869, nel quale in un certo senso venne eliminato lo spirito, nel quale si determinò che l’anima umana ha sicuramente delle singole caratteristiche spirituali, ma che l’uomo consiste solo di corpo e di anima, non di corpo, anima e spirito. Sotto l’influsso della concezione del mondo che da qui si diffuse in tutto il mondo civile, (perché furono frenate le esigenze dello spirito), in tutto l’esercizio della vita spirituale si potè appunto sviluppare ciò che non è determinato dallo spirito.

E oggi l’uomo, a partire dalla sua più profonda interiorità, vuole che lo spirito abbia voce in capitolo nel decidere come debba essere la struttura sociale. Ma questo può succedere solo se la vita spirituale smette di essere un’appendice dello Stato che si basa sulle antiche conquiste del sangue. Può succedere solo se la vita spirituale viene fatta poggiare su se stessa, se la vita spirituale agisce unicamente sulla base di quegli impulsi che sono in essa stessa presenti. Poi, per quanto riguarda coloro che devono dirigere questa vita spirituale, si può presupporre che essi svolgano il loro compito (parleremo subito di alcune altre cose, che fanno parte del loro compito; nei «Punti essenziali» ne ho parlato molto), cioè quello di collocare le persone nella struttura sociale proprio per il fatto che sanno quali sono i loro talenti, sanno in che cosa si applicano di più, ecco, che questo compito lo svolgano veramente senza leggi, ma solo grazie al fatto che appunto sanno quale sia la condizione [più] conforme alla natura [di ogni singolo individuo]. E si dovrà dire: “Nell’ambito della vita spirituale, che se ne starà per suo conto e che agirà sulla base dei suoi stessi impulsi, la cosa determinante sarà la conoscenza dei dati di fatto oggettivi”. Diciamo dunque brevemente: la vita dello spirito, la parte spirituale dell’organismo sociale, pretende il diritto di conoscere [le forze oggettive], ma si tratta di una conoscenza/forza.

Osserviamo ora la seconda parte dell’organismo sociale, la parte giuridica, o statale. Qui entriamo già in un ambito che in un certo senso non soggiace all’aspetto esteriore/secolare tanto quanto la vita spirituale. Miei stimatissimi convenuti, fino nelle situazioni più oggettive il nostro intero organismo sociale, nella misura in cui vi agisce lo spirituale, è legato a ciò che si presenta ad ogni nuova generazione, ecco, a ciò che ad ogni nuova persona, da profondità indeterminate, introduce nell’organismo sociale forze nuove. Prendete il momento attuale. Vi è forse consentito, se prendete sul serio l’umanità, di impostare in qualche modo una data organizzazione che determini in un modo ben preciso la vita sociale umana, partendo dalla situazione del presente? No, non potete farlo! Perché con ogni singola persona nascono da profondità ignote forze nuove; e noi dobbiamo educarle, e dobbiamo aver cura di ciò che esse immettono nella vita. Non dobbiamo, con delle leggi già esistenti o con un’organizzazione già esistente, farci tiranni nei confronti di quanto viene immesso nella vita con le predisposizioni spirituali; dobbiamo accogliere in modo spregiudicato quanto ci viene portato dai mondi spirituali, non dobbiamo tirannizzarlo e dogmatizzarlo per mezzo di ciò che esiste già. È per questo che ci serve che una parte dell’organismo sociale agisca completamente a partire dalla libertà, che agisca in base alla libertà delle predisposizioni umane che, sempre fresche, vengono immesse nell’umanità.

La seconda parte dell’organismo sociale, la vita statale-giuridica, dipende già un po’ meno da quanto proviene dai mondi spirituali. Infatti, come sappiamo, nell’ambito della vita del diritto, della vita dello Stato, sono attive le persone che hanno raggiunto la maggiore età. E, miei stimatissimi convenuti, quando siamo maggiorenni, in realtà, siamo già grandemente pervasi di mediocrità. Il livellamento del filisteismo in un certo senso ci ha già messi in ginocchio. E nella misura in cui, per il fatto che siamo già maggiorenni, siamo tutti uguali, in un certo senso abbiamo già (il che non va affatto detto in senso negativo) un po’ i paraocchi del filisteismo. Cioè siamo in un qualcosa che può essere regolato a mezzo di leggi.

Ma ora direte: “Certo, però non possiamo far dipendere tutta la vita spirituale dai bambini; sicuramente anche la predisposizione spirituale, la capacità spirituale e lo zelo spirituale devono raggiungere la maggiore età”. In sostanza no, per quanto possa suonare paradossale. Perché, se dopo i vent’anni abbiamo delle capacità superiori alla media, questo dipende proprio dal fatto che (e ce lo mostra la seria ricerca scientifico-spirituale ad ogni piè sospinto) che abbiamo conservato quelle che nell’infanzia erano le nostre predisposizioni, ecc. E la persona più geniale in assoluto è quella che porta fino ai trenta, ai quaranta, ai cinquant’anni la massima quantità possibile delle forze dell’infanzia. Poi ci si limita ad esercitare queste forze dell’infanzia con l’organismo maturo, l’anima matura e la spiritualità matura, ma sono le forze dell’infanzia. Ora, la nostra cultura purtroppo ha proprio la particolarità di ammazzare il più possibile, già con l’educazione, queste forze dell’infanzia, in modo che le caratteristiche infantili restino fino all’età del filisteismo a de-filisteizzare le persone nel minor numero possibile di esseri umani. Perché in realtà tutto il non essere filistei poggia sul fatto che le forze infantili che una persona appunto conserva, proprio si de-filisteizzino, che esse riescano a far breccia nel filisteismo dell’età successiva.

Ma poiché qui, ora, si presenta qualcosa che le necessità attuali della coscienza non hanno bisogno di rinnovare in continuazione, in epoca moderna la situazione della vita giuridica e statale può proprio essere regolata anche solo per mezzo di leggi su basi democratiche. La legge non è conoscenza. Con la conoscenza dobbiamo sempre porci di fronte alla realtà, ed è dalla realtà che, attraverso la conoscenza, dobbiamo accogliere l’impulso a fare ciò che appunto dobbiamo fare. Così è per l’educazione e anche per tutte le altre cose che, nei «Punti essenziali», ho mostrato che devono dipendere dalla parte spirituale dell’organismo sociale. E con le leggi, com’è? Le leggi vengono fatte affinché ci possa essere la vita statale-politica, la vita giuridica. Però bisogna aspettare che uno abbia bisogno di agire nel senso di una legge, solo dopo deve preoccuparsi di questa legge. Oppure, per l’applicazione della legge, bisogna aspettare che uno la trasgredisca. In breve, la legge c’è sempre, ma solo per i casi che eventualmente si presentassero. C’è sempre l’eventualità, il casus eventualis. Questa è una cosa che deve sempre essere alla base della legge. Bisogna aspettare fino a quando con la legge si possa fare qualcosa. Può esistere una legge; se non riguarda la mia sfera, la legge non mi interessa. E oggi ci sono molte persone che credono di interessarsi alla legge in generale, eppure è proprio così come ho appena detto – se uno è sincero, deve ammetterlo. Dunque: la legge è qualcosa che esiste, ma che deve agire sull’eventualità. Quindi è questo, che deve esser posto alla base della parte giuridica, statale, politica dell’organismo tripartito.

Nella parte economica non ce la si può cavare con la legge, perché non è sufficiente limitarsi a dare delle leggi, per esempio, su come, in certe circostanze, debba essere consegnata una cosa o l’altra. In questo settore non si può lavorare in base all’eventualità. Qui subentra un terzo elemento, oltre alla conoscenza e alla legge, ed è il contratto, il preciso contratto che viene stipulato fra coloro che lavorano in ambito economico (le corporazioni e le associazioni), e che non funziona, come la legge, sull’eventualità, ma sull’adempimento ben preciso. Così come la conoscenza domina nella vita spirituale e la legge nella vita statale-politica-giuridica, il contratto, la contrattualità in tutte le sue ramificazioni, deve dominare nella vita economica. Il contratto, che non esiste in vista dell’eventualità, ma grazie all’impegno, è quello che deve procurare tutto ciò che nei «Punti essenziali» trovate descritto come la terza parte dell’organismo sociale.

Possiamo quindi dire di avere, qui, tre punti di vista chiari, grazie ai quali possiamo capire come, a seconda della loro natura, devono essere queste tre parti. Tutto ciò che nella vita è soggetto alla conoscenza deve essere gestito nel libero ambito della parte spirituale. Tutto ciò che nella vita può essere fissato in leggi appartiene allo Stato. Tutto ciò che è soggetto al contratto vincolante deve essere inserito nella vita economica.

Egregi signori, chi crede che nei «Punti essenziali» non siano state spiegate altro che un paio di idee, così almanaccate, si sbaglia di grosso. Di quello che si trova spiegato nei «Punti essenziali» si può sempre parlare dai più diversi punti di vista, perché è tratto dalla vita. E la vita la potete descrivere come un albero, che viene fotografato da diverse parti: da un lato ha questo aspetto, da un altro lato ha un altro aspetto, e poi da un terzo, da un quarto lato avremo sempre immagini diverse. La particolarità è che se qualcosa proviene dalla vita, se non è soltanto un’utopia intricata o un’idea intricata, ma è veramente ricavata dalla vita, si possono sempre trovare punti di vista nuovi, perché la vita è riccamente multiforme nel suo contenuto. [Con questa multiformità della vita fa i conti la tripartizione.] In sostanza non si può mai smettere di imparare a vedere [ovunque, in questa molteplicità] le necessità della tripartizione dell’organismo sociale. Ma essa non è un qualcosa di indeterminato, di nebuloso, bensì qualcosa che può essere concepito nei concetti più precisi, come vi ho mostrato ancora una volta oggi in relazione alla conoscenza, alla legge e al contratto.

Ora dobbiamo dirci: Bisogna lavorare in direzione della tripartizione, e oggi si può lavorare in questa direzione a partire dalla consueta situazione reale, scomponendo finalmente questo organismo sociale in tre sotto-organismi di diversa gestione che sono in reciproca interazione. E bisogna finalmente capire che tutte le risposte che ci diamo in base alla vecchia situazione e che in realtà vengono fuori solo da una trasformazione della vecchia situazione oggi sono obsolete. Perciò quando i riformatori fondiari dicono che una persona la cui proprietà terriera si sia accresciuta di valore senza che se lo sia meritato, senza il suo lavoro, deve darne una parte più o meno consistente allo Stato come tassa, fanno i conti con le vecchie forme dello Stato. Non si pensa per niente al fatto che anche lo Stato stesso deve essere riformato. Non si pensa al fatto che lo Stato può essere solo una parte dell’organismo sociale. È una caratteristica peculiare, che perfino i riformatori più radicali del tempo presente in realtà non riescono nemmeno ad immaginare che, a partire dal profondo delle condizioni umane, qualcosa vada riconfigurato ex novo. E non riescono nemmeno a rendersi conto che, continuando a spremere nelle vecchie forme ciò di cui appunto si tratta, non si può raggiungere tutto quello che oggi si deve raggiungere. Lo Stato rimane comunque, anche se si infila nella saccoccia quello che toglie a chi specula sul terreno, per poi, forse, lasciarglielo rifluire indietro oppure per farlo andare a qualcun altro per vie che continuano a restare possibili. Ma prendete ciò che risulta dall’idea della tripartizione per l’impostazione dell’organismo sociale: se accogliete con serietà il pensiero della tripartizione, se prendete sul serio l’impiego di quanto sta alla base della tripartizione, vedrete che tutto quello che vuole limitarsi a riversare le vecchie stupidaggini in una forma diversa diventa impossibile.

Infatti, che cos’è in realtà la proprietà fondiaria? Vedete, la proprietà fondiaria è, con assoluta evidenza, un mezzo di produzione. Con la proprietà fondiaria noi produciamo. Ma è un mezzo di produzione di tipo diverso da quello degli altri mezzi di produzione. Gli altri mezzi di produzione dobbiamo prima approntarli per mezzo del lavoro umano, mentre invece la proprietà fondiaria c’è, almeno nella sua caratteristica principale, senza essere stata prima preparata dagli uomini. Perciò si può dire: i mezzi di produzione percorrono prima la via delle merci; poi, quando sono pronti, quando iniziano ad essere impiegati per ciò che servono, allora non sono più merci. È una cosa che abbiamo ripetuto più volte (anch’io l’ho sottolineato spesso proprio qui): i mezzi di produzione possono essere merci nel processo di circolazione economico solo fino a quando non sono pronti e vengono inseriti nella vita economica nazionale. E dunque dopo che cosa sono? Dopo diventano soggetti alla vita politica o statale, alla democrazia, e precisamente in rapporto al lavoro che gli uomini devono fornire attraverso questi mezzi di produzione, in quanto, da persone ormai maggiorenni, devono mettersi d’accordo le une con le altre. I mezzi di produzione sono qualcosa che è soggetto alla vita dello Stato, per il fatto che passano dalle mani di uno alle mani di un altro in un modo tale per cui ad averli sia anche sempre chi li usa, questi mezzi di produzione. Ma sono anche qualcosa che è soggetto alle strutture del lavoro spirituale. Infatti il modo in cui, quando uno non lo adopera più, il mezzo di produzione passa a chi, per le sue predisposizioni e capacità, possa ancora farne uso, in futuro non dovrà più essere determinato in base a vecchie situazioni legate all’eredità, ma dovrà essere deciso dalle strutture della vita spirituale, che si baseranno sulla conoscenza, che è l’unico modo che la coscienza moderna può sopportare. Così si può dire: se la tripartizione si fonda nella vita, i mezzi di produzione sono merci solo fino a quando vengono prodotti. Poi smettono di essere merci e soggiacciono alle leggi e alla conoscenza. Attraverso le leggi e la conoscenza vengono introdotti nella struttura sociale.

Il terreno non può essere prodotto; quindi fin dall’inizio non è una merce. Quindi non soggiace mai al principio delle merci, sulle quali si stipulano dei contratti. Ciò su cui si possono stipulare dei contratti quindi non riguarda proprio per nulla il terreno. A poco a poco il terreno deve andare ad inserirsi nella struttura sociale in modo che, per prima cosa, la spartizione del terreno sia una faccenda democratica dello Stato politico, che tenga conto del lavoro umano, e che il passaggio dalle mani di uno a quelle di un altro sia una questione che riguarda il settore spirituale dell’organismo sociale. La situazione in atto nello Stato democratico determina chi debba lavorare un appezzamento di terreno a beneficio di tutti. Il terreno non è mai una merce. È fin dall’inizio qualcosa che non si può né vendere né comprare.

Quindi la prima cosa da fare è fare in modo che il terreno non possa essere comprato e venduto, ma che il passaggio del terreno a chi poi lo utilizzerà per il proprio lavoro avvenga in base a condizioni giuridiche e spirituali, a impulsi giuridici e spirituali. Solo chi non ha chiari questi pensieri può supporre che in essi vi sia qualcosa di utopistico. Perché, in sostanza, è solo una trasformazione di qualcosa che oggi c’è [come disfunzione]: il fatto che oggi si paga la proprietà fondiaria con il denaro proveniente dalla vendita di merci; questa non è una verità, è una menzogna sociale. Infatti nel processo economico il denaro che viene impiegato come qualcosa di equivalente alla proprietà fondiaria è una cosa diversa dal denaro che viene impiegato come qualcosa di equivalente a una merce. E vedete, questa è una cosa che ora, nel caos sociale di questi tempi, è veramente difficile da intuire. Immaginate di comprare delle ciliegie, e di pagarle con dei soldi. Comperate un feudo, e anche per questo date dei soldi. Adesso, se le due persone che hanno ricevuto i vostri soldi, una per le ciliegie (una quantità di denaro sufficiente, ovviamente, qui non si tratta della possibilità o meno che le cose vadano proprio così) e l’altra per il suo feudo, ora, se loro mischiano i loro soldi, non si può più distinguere quali di questi soldi provengano dalla vendita delle ciliegie e quali dalla vendita del feudo. Però, appunto per il fatto che non lo si può distinguere, si viene trascinati in una deleteria, spaventosa illusione. Perché, vedete, se io qui disegno delle crocette e poi dei cerchietti e se poi li sparpagliassi tutti insieme, riuscirei comunque a distinguerli. Ma se io non avessi il senso della differenza fra le crocette e i cerchietti, non riuscirei più a distinguere qual è l’uno e qual è l’altro. Detto in altre parole: se io facessi le crocette e gli anellini in modo da ricavare dalle crocette dei piccoli semicerchi e anche dagli anellini ricavassi dei piccoli semicerchi, e li disegnassi entrambi, allora non si riuscirebbe più a distinguerli. Ma com’è nella realtà? Vedete, immaginate che io riceva i soldi delle ciliegie e che io riceva anche i soldi del feudo. Se li mischio tutti insieme, non posso più distinguere quali soldi vengono dal feudo e quali dalle ciliegie. Ora si potrebbe credere: i soldi sono soldi. Però questa è appunto l’illusione tremenda. Questo non è vero. Infatti nel processo economico gli anellini, che vengono dal feudo, agiscono nell’intera vita umana in modo diverso da come agiscono le crocette, che vengono dalle ciliegie. Nella realtà, non è il denaro, che rappresenta ciò che succede, bensì l’effetto della provenienza del denaro, ecco cos’è. E ora su questo si stende semplicemente un velo; questo non c’è più per l’osservazione delle persone. E così il denaro costruisce l’astrazione vivente. Va tutto sottosopra, se non ci sono distinzioni. L’uomo non è più capace di stare presso ciò cui appartiene, per cui produce, per cui lavora. Per mezzo del denaro tutto va sottosopra, come anche nei mistici nebulosi va tutto sottosopra, trasformandosi in un paio di concetti astratti. E come questi concetti astratti [dei mistici] non sono da utilizzare nei nostri processi di conoscenza, così non è da utilizzare neanche ciò che gli uomini pensano che sia il denaro, perché anch’esso è una mera astrazione, appunto qualcosa che sta accanto alla realtà, quindi niente che si possa utilizzare nella vita.

Riflettendo su quanto detto, diventa chiaro l’enorme significato concreto della proprietà terriera nella vita umana. Ci diventa chiaro che non dovrebbe mai succedere che io non provi alcun interesse per la proprietà fondiaria, che appartiene ai proprietari della proprietà fondiaria e che mi limiti soltanto a riscuotere la mia rendita dalla proprietà fondiaria, infischiandomene di tutto il resto. Chi ha una visione panoramica ordinata dal punto di vista dell’economia nazionale sa che cosa vuol dire: io vivo del terreno, ma in sostanza mi è indifferente se io vivo del terreno o del ricavato, diciamo, del gioco del cricri o del poker; in fondo tutto questo mi è del tutto indifferente, mi interessa solo ottenere una somma di denaro. – Che a uno sia indifferente il modo in cui ottiene una somma di denaro, non salta tanto fortemente agli occhi, se l’unica cosa importante è veramente solo di guadagnare questa somma di denaro. Ma se lo si ricava da qualcosa che è in rapporto con il bene e il male, con il destino delle persone, con l’intera configurazione culturale, come fa la proprietà fondiaria, se si riflette su una cosa del genere, allora non è possibile che si trasformi questa proprietà fondiaria in denaro, indifferente e astratto. Infatti proprio la proprietà fondiaria rende necessario che chi la lavora, chi ci deve fare qualcosa e immette nel processo dell’economia nazionale ciò che deriva dalla proprietà fondiaria (non sono i soldi, che egli immette, bensì il frutto che vi cresce sopra), che [costui] sia [veramente] partecipe.

Stimatissimi convenuti, la proprietà fondiaria, all’interno del suo ambito, non si può affatto amministrare secondo quelle categorie dell’economia nazionale che si sono andate sviluppando in epoca moderna. Vi prego soltanto di fare un calcolo, se qualcuno, a proprio vantaggio, concima con il letame che ottiene da sé dal suo bestiame – pensate come si dovrebbe giungere, ora, a fare una valutazione di questo letame, a come si dovrebbe stabilire il valore di mercato di questo letame, a quale dovrebbe essere il valore di questo letame, se appestasse i mercati delle città? Questo è solo un esempio drastico. Se portate avanti fino in fondo questi pensieri, vedrete che c’è una differenza enorme in tutto il modo di inserire nel processo dell’economia nazionale ciò che nasce per il vantaggio di qualcuno. Provate a mettere a confronto il modo in cui agisce un bene che è soggetto alla cosiddetta gestione in proprio, cioè a chi, a partire dalle sue stesse capacità e per proprio vantaggio, sia esso un piccolo o un grande vantaggio, di fatto considera sua più essenziale faccenda la conservazione del bene, e lo si metta a confronto con il modo in cui agisce e deve agire un bene che sia predisposto solo a rendere quanti più soldi possibile, a fruttare il massimo guadagno in denaro. Però, per come oggi siamo inseriti nella vita pubblica, le cose devono proprio compensarsi, cioè, chi lavora in proprio non può far altro che adattarsi a chi dà in affitto il bene limitandosi a ricavarne una rendita. Così, a causa del fatto che ciò che deriva dal concreto si adatta (e dal concreto, nel bene, nella proprietà fondiaria, deriva il modo in cui i singoli prodotti devono comportarsi reciprocamente, come l’uno deve appoggiare l’altro; il che, nell’attività in proprio viene tassato per motivi del tutto diversi da quando le cose vengono solo portate al mercato finanziario), a poco a poco ciò che deriva dal concreto, l’attività in proprio, va a dipendere da quelle che sono situazioni finanziarie del tutto astratte. Ed è anche già successo, per questo oggi abbiamo queste situazioni innaturali. La proprietà fondiaria, che non può essere una merce, viene fatta diventare merce; in questo modo viene introdotta nella vita una reale menzogna. Non è menzognero solo ciò che viene detto, è menzognero anche ciò che succede. Non appena si considera la proprietà fondiaria una merce, cioè non appena la si può comprare e vendere, si mente attraverso le proprie azioni.

Ma se si ha la tripartizione dell’organismo sociale, non si può comprare e vendere la proprietà fondiaria. Le circostanze [legali] grazie alle quali il terreno passa da una persona all’altra sono sottoposte alle leggi statali, che non hanno nulla a che fare con la compravendita di merci. La determinazione del modo in cui [nel caso singolo] la proprietà fondiaria passa da una persona ad un’altra soggiace alla parte spirituale dell’organismo sociale, che non ha niente a che vedere con l’eredità e la parentela di sangue, bensì con le cose che ho descritto nei «Punti chiave». Così vedete, basta solo che si comprenda correttamente quella che è la tripartizione, e se si va in questa direzione, allora si va sulla via verso la soluzione della questione sociale.

Che cosa vuole Damaschke? Egli affronta la questione fondiaria, ci riflette sopra, e con la sua riflessione si dovrebbe risolvere la questione fondiaria. Stimatissimi convenuti, con la riflessione non si risolvono affatto le cose reali. Vorrei proprio sapere come con le vostre riflessioni vogliate macinare lo zucchero, tagliare la legna o altro del genere o come vogliate mangiare col vostro riflettere. Altrettanto poco quanto si può macinare zucchero o mangiare col riflettere, altrettanto poco col riflettere si può risolvere la questione fondiaria. Si può soltanto dire: oggi il terreno fa parte delle vicende umane. Se ora pensiamo a quello che le persone fanno nell’organismo sociale con le loro migliori capacità, giungendo agli impulsi della tripartizione, allora proprio dedicandosi a questa tripartizione risolvono le questioni oggettive, la questione fondiaria, non solo in pensieri, ma [in modo pratico] proprio come la lama macina lo zucchero, come la scure taglia la legna. Allo stesso modo, la tripartizione risolve la questione fondiaria, in quanto il terreno semplicemente verrà inserito nell’organismo tripartito in modo da non essere più considerato (come oggi) una merce. Il terreno non continuerà a passare in modo ingiustificato attraverso la parentela di sangue, ma sarà soggetto soltanto a ciò che oggi l’uomo sente come l’unica cosa sopportabile: che il passaggio del terreno dall’uno all’altro avvenga sulla base di conoscenze spirituali, dunque in base all’impulso della parte spirituale dell’organismo sociale.

Vedete, non è attraverso programmi, non è attraverso certi concetti astratti o utopistici, dunque non è in modo simile a quello usato da Damaschke per la questione fondiaria, che la tripartizione deve risolvere la questione fondiaria, ma in modo da dire:

Per quanto intricata possa anche essere l’attuale situazione della proprietà terriera, dedicatevi alla tripartizione, introducete nella vita sociale le cose oggettive della tripartizione, [fate vostre le cose] che vanno in direzione di questa tripartizione; ciò che poi succede metterà la proprietà fondiaria nella condizione di essere benefica per tutti – nella misura in cui poi sulla Terra qualcosa possa essere benefico. La tripartizione non vuole risolvere questioni brucianti attraverso i pensieri, ma attraverso i dati di fatto oggettivi dei quali le persone si occupano quando si dedicano a pensieri che dipendono solo da loro stesse e non a pensieri che continuano a lavorare con le vecchie tradizioni. È diverso dire che si cerca di agire nella direzione della tripartizione, o invece dire che lo Stato è un brav’uomo, che può tutto, che fa tutto giusto. Per mezzo della tripartizione si risolve la questione fondiaria, per il fatto che il terreno viene spogliato di quel carattere di merce che gli è stato gettato addosso; lo Stato non impedisce [la distribuzione ingiusta del terreno], raziona soltanto; è lui che introduce gli uffici per occupare le abitazioni, è lui che stabilisce quanto può avere ciascuno, è lui che impedisce l’incetta –non deve più essere così!

Nevvero, si potrebbe dire, è del tutto a posto se le persone la pensano come ha mostrato Morgenstern [in una poesia]. Un tizio viene investito da un’automobile. Viene portato a casa ferito. Palmström – così si chiama quell’uomo – si avvolge in panni umidi, soffre, ma non si abbandona al suo dolore, perché è un buon sostenitore dello Stato. Legge nel codice civile: lì, nel luogo in cui sono stato investito, le auto non possono circolare; perciò non può essere passata nessuna automobile, perché questo sarebbe contro la legge, e poiché è contro la legge, io non sono stato investito, infatti: ciò che non può essere non deve neanche essere successo. Vedete, è più o meno in questo modo, quando oggi si vuole riformare ciò che ha le sue radici nella realtà, dicendo: “Se il valore del terreno si accresce in modo indefinito, andrà allo Stato, il quale poi sa già impedire che si faccia incetta” – perché l’incetta non succede, se lo dice lo Stato. È vietato, quindi non c’è.

Ora, stimatissimi convenuti, proprio da questo esempio potete dedurre com’è diverso l’intero il metodo, l’intero modo di concepire la vita a cui la tripartizione vuole condurre tutta la vita sociale. Non si tratta (l’ho detto spesso) di pensare soltanto: si cambiano le strutture esteriori; con una struttura si tolgono soldi a chi ne ha troppi e si danno allo Stato, perché l’importante è che le persone cambino il modo di pensare fino nella loro più profonda interiorità. Questo riesce loro così difficile, non vogliono proprio farlo. Procedete come emerge veramente dal senso della verità e come è descritto nei «Punti essenziali della questione sociale», e vedrete che l’importante è soprattutto che le associazioni vengano rette da chi è interiormente legato a ciò che produce o a ciò che consuma – sulla seconda cosa si vedrà di meno, ma sulla prima si avrà davvero molto da vedere.

Ora, vedete, sulle prime tutte le situazioni sono celate, sono coperte da un velo per il fatto che viviamo nell’astrazione dell’economia finanziaria, come ho spiegato qui oggi e anche l’altra volta in una di queste serate. Per esempio non si osserva nel modo giusto com’è il rapporto fra i beni più grandi e quelli più piccoli. Ci si agiterà, perché oggi si vuole avere tutto comodo, contro i beni maggiori o per i beni minori o al contrario. Ma tutto viene ricondotto ad un certo monismo del pensare astratto: per l’economia nazionale o vanno bene soltanto grandi proprietà, oppure vanno bene solo piccole proprietà. Ma questo non corrisponde alla realtà. Si tratta del fatto che in base a determinate circostanze è giusta proprio la collaborazione fra proprietà grandi e proprietà piccole, di grandi attività con piccole attività, soltanto che ciò che appunto è giusto sorge soltanto a partire dall’associazione, che nei «Punti essenziali» è stata descritta come l’aspetto essenziale della vita economica: grandi attività economiche cooperano con quelle piccole e in questo modo fanno il meglio possibile per l’economia nazionale. Non si tratta di incorniciare tutto per bene secondo determinati parametri, ma del fatto che tenendo conto di una determinata situazione le proprietà grandi cooperino con quelle piccole. Credete che non corrisponda a determinate circostanze reali, il fatto che le proprietà dei latifondi prussiani da sole, per quanto riguarda le barbabietole, hanno prodotto il 54,8 % della produzione totale, dunque più della metà della produzione, mentre in tutte le altre cose in relazione alle proprietà piccole hanno prodotto meno della metà, meno del 50%? Tutto questo si basa su circostanze reali. E può essere fruttuoso nel processo dell’economia nazionale reale solo se le persone che si trovano a gestire le proprietà fondano associazioni basate su queste circostanze reali. Allora viene fuori come l’uno debba sostenere l’altro, perché allora non si lavora sulla base dell’astrazione, ma a partire dalla realtà. E così è possibile stabilire con dei contratti come, semplicemente, da una parte si equilibra quello che dall’altra parte è un sovrappiù nella produzione, ecc ecc. È proprio questo, che giustifica quello che ho detto [all’inizio]: voglio parlarvi della situazione [che ci sarà] nella tripartizione in modo da poter far luce sulla questione della proprietà fondiaria. Non volevo parlare della questione fondiaria come lo si fa di solito, ma volevo mostrarvi come debba essere concepita una qualche questione della vita sociale quando ci si basa sulla tripartizione. E poter già concepire in modo molto concreto questa questione, mentre sulla base della situazione precedente non potrete mai farvi dei concetti chiari su questa questione.

Bisogna proprio essere quasi come il signor parroco Planck, per pensare: “L’organismo sociale, la tripartizione, sono tre triangoli l’uno accanto all’altro, e dall’uno non entra nulla nell’altro”. No, l’organismo sociale tripartito è veramente un organismo, e l’uno trapassa sempre nell’altro, in modo che in ciascuna delle tre parti ci sia sempre qualcosa delle altre due. Anche nell’organismo umano è sempre così: nella testa non agisce solo il sistema neuro-sensoriale, ma vi avvengono anche il ritmo e la digestione. Così, all’interno della vita economica gioca un ruolo anche la vita statale, ha solo il suo proprio centro gestionale, e così nella vita economica ha gioco anche lo spirituale, proprio nel passaggio dei mezzi di produzione dall’uno all’altro.

Ma questo inserirsi di una cosa nell’altra lo vediamo anche in molte cose di tutti i giorni. Prendiamo per esempio una circostanza oggettiva della vita pubblica, in cui tre cose confluiscono in una: il commercio. Il commercio, dal momento in cui si avvale delle strade, da un lato è connesso con la proprietà fondiaria. Però, dato che il terreno per il commercio, le strade, ecc. non può essere proprietà privata, e non può essere nemmeno merce, si vede che qui bisogna uscire dalla merce, che quindi almeno questa parte del terreno non può essere considerata una merce. Ma col commercio è connessa anche tutta la nostra cultura. In realtà l’intero commercio è soggetto a tre punti di vista. [Possiamo chiedere:] Che cosa fa parte del commercio? Prima di tutto i beni, le merci; in secondo luogo le persone; in terzo luogo le comunicazioni. In una qualsiasi delle tre categorie potete collocare tutto ciò che riguarda il commercio: comunicazioni, uomini, merci. Vedete, per il fatto che nel commercio sono incluse le merci, ciò che si riallaccia al commercio delle merci deve essere regolato per mezzo di contratti, secondo gli impulsi della vita economica. Ciò che si ricollega alle persone è regolato dalla vita statale, dai rapporti giuridici. Anche il commercio, fra le persone, deve essere regolato dai rapporti giuridici. Le comunicazioni appartengono alla categoria della vita spirituale; esse sono la vita spirituale del commercio. E vedrete proprio che il commercio realmente tripartito deve essere gestito dai tre lati – ciò che le istituzioni precedenti non hanno fatto. Pensate che assurdità sia il fatto che da noi, per mezzo delle stesse istituzioni, e anche nello stesso modo, vengono consegnati sia i beni che le comunicazioni, cioè vengono recapitati i pacchetti e le notizie, che non fanno per niente parte dello stessa categoria e che non c’è nemmeno alcun bisogno che ne facciano parte esteriormente. Però le vecchie strutture statali non sono riuscite ad arrivare al punto di separare il trasporto dei pacchi dal servizio delle comunicazioni, tanto che l’uno disturba l’altro. Se andate a guardare il tariffario postale, vedrete che anti-economicità c’è nel fatto che la posta serve sia alla circolazione delle notizie che alla circolazione dei beni.

Proprio là dove la vita deve cominciare a diventare pratica, proprio là, dove oggi la vita ci è diventata troppo stretta, perché non è più pratica (in tutti gli angoli e i cantoni c’è la non-pratica), là la tripartizione è chiamata a ripristinare ciò che è pratico. Serve proprio solo una cosa, per questa tripartizione: un po’ di coraggio. Chi, comunque, non osa levare i pacchetti postali dal servizio delle comunicazioni della posta e passarli al normale trasporto ferroviario, chi continua ad opporre i suoi dubbi in merito, e non fa concretamente i conti con che cosa significa una cosa o l’altra, per tutta l’eternità non capirà la tripartizione. Perché la tripartizione appunto non si basa affatto sull’attenersi alle vecchie istituzioni, non si basa sull’attenersi a idee di vecchie vignette umane, di vecchie vignette statali, ecc, questa idea della tripartizione si basa appunto sull’osservazione delle circostanze concrete.

Infatti, stimatissimi convenuti, non si può pretendere che l’impulso della tripartizione si occupi della realtà, della pratica, in modo da stabilire come si inserirà un consigliere di corte segreto o un consigliere del governo nell’organismo tripartito. Certo, vengono fatte molte domande più o meno così. Questa è solo una delle domande grottesche. Non si può proprio dire, come vi si inseriscono un consigliere di corte segreto o un consigliere del governo, ma non è neanche affatto necessario che lo si stabilisca. Le circostanze spirituali, giuridiche ed economiche delle persone si regoleranno in modo molto chiaro secondo la conoscenza, secondo la legge, secondo il contratto, solo che all’interno di questi tre ambiti non ci saranno più alcune cose che prima venivano stimate di grande valore. Però, stimatissimi convenuti, non si deve forse riconoscere che nel vecchio regime a volte si è guardato di più a se uno era un consigliere segreto che non a ciò che compiva, a ciò che faceva per l’organismo sociale? Ma nella realtà non è importante, appunto, che uno sia consigliere segreto, l’importante è ciò che fa per l’organismo sociale. Perciò l’idea della tripartizione deve guardare oltre a ciò che salta ancora fuori dal passato come vignetta, se non vogliamo andare incontro alla disfatta totale del mondo occidentale. Essa deve guardare a ciò che deve sorgere nella nuova epoca come frutto del lavoro che una persona compie in una certa forma a servizio dell’organismo sociale tripartito, ma comunque intero.

Dopo il discorso di Rudolf Steiner, diverse persone chiedono la parola per porre delle domande:

Walter Johannes Stein: Il terreno è una totalità che non si può accrescere. C’è dunque solo una determinata quantità di terreno. Su di esso vive un determinato numero di persone. Perciò si può calcolare quanto terreno spetta ad ogni singola persona. Ora vorrei chiedere se tale calcolo ha un valore di realtà, cioè se in tal modo si ottiene una quantità con la quale si può avviare un’attività economica. Oppure è una statistica oziosa?

Hans Kaltenhach: Il dottor Steiner non ha riportato tutte le nozioni dei riformatori fondiari; nel suo discorso ha parlato solo delle tasse sull’incremento di valore della proprietà fondiaria. Ma questo rappresenta solo una piccola parte della riforma fondiaria che è stata proposta. L’introduzione di una tassa sulla rendita fondiaria è una chiara dimostrazione del fatto che i riformatori fondiari non vogliono alcuna legge nel senso del vecchio apparato statale. Quello che hanno in mente è uno sviluppo contrattuale che non abbia a che fare con la vecchia legislazione. È nato a partire dall’idea che ognuno debba pagare una tassa sulla rendita fondiaria perché può utilizzare il terreno, perché la rendita che gli spetta attraverso l’utilizzo del terreno egli la dovrebbe distribuire alla comunità. In questo procedimento non si tratta di leggi parlamentari o comunque di leggi nel vecchio senso, ma di molti contratti singoli.

Un partecipante al dibattito: Però alla fine è sempre lo Stato, che incassa le tasse sul reddito fondiario.

Un altro partecipante al dibattito: Si può rigirare la cosa come si vuole: senza riforma sulla proprietà fondiaria non si va più avanti; la riforma sulla proprietà fondiaria deve esserci come fondamento per l’ulteriore sviluppo della nostra società.

Walter Johannes Stein: La tripartizione ci è stata descritta spesso dal dottor Steiner come tripartizione funzionale e non come una tripartizione in settori. Però molte persone si sbagliano; pensano ogni settore di per sé e in cima una corporazione. Questo dunque è un errore. Vorrei chiedere come in realtà sembrerebbe un organismo sociale ripartito in modo così sbagliato.

Hermann Heisler: Come si ottiene un alloggio e come si fa un cambio di abitazione? Come si fa la costruzione edile? Il terreno è un mezzo di produzione; viene messo a disposizione dall’organismo spirituale. Quando l’edificio è pronto, allora non è più un mezzo di produzione? La gran parte delle persone desiderano avere un giardino. Come si dovrebbe fare, non c’è forse molto terreno lì? Che ruolo gioca nella gestione della proprietà fondiaria la vita giuridica?

RudolfSteiner: Stimatissimi convenuti! È vero che la proprietà fondiaria non è fatta di caucciù e non è estensibile a piacimento, e perciò è vero anche che deve esserci una certa relazione fra una zona di terreno separata e le persone che ci vivono sopra. Ora, la faccenda che qui gioca come una situazione ideale-reale, è che di fatto, semplicemente perché nasce una persona, viene realmente, in un certo senso, occupato un pezzo di terreno – questo dipende dalla superficie di terreno totale che è a disposizione, diviso per il numero degli abitanti che c’erano prima più uno. Di fatto è così, che idealmente-realmente ogni persona occupa il pezzo di terreno che gli spetta alla nascita e che semplicemente si stabilisce un rapporto reale fra la superficie di terreno disponibile e quanto in questo modo occupa appunto il nuovo nato. Questo è un rapporto reale. Ma, nevvero, di fatto in questa realtà sociale non fila tutto liscio. Le leggi (intendo ora le leggi di natura, non le leggi dello Stato) ci sono, ma sono approssimative. Se, per esempio, in una certa zona vivono determinate piante, e un certo tipo di pianta si sviluppa in modo particolarmente forte, essa soppianta un altro tipo di pianta, che ora non può più crescere. Se ora in una certa zona succede che in sostanza, di fatto, questo pezzettino, del quale ho detto, diventa troppo piccolo per un nuovo nato, in un certo senso si crea la valvola, e l’emigrazione, la formazione di colonie, ecc. avvengono da sé. Quando la popolazione in una certa zona aumenta, si può appunto anche verificare se al suolo si possano sottrarre ancora più coltivazioni di prima. Questo per esempio è sostanzialmente successo per il terreno della Germania antica.

Questo dunque conferma quanto ha detto il dottor Stein: il rapporto dell’uomo ad un determinato pezzo di terreno. Solo che ci deve essere chiaro che questa circostanza è appunto una circostanza ideale-reale, ma che poi, se la tripartizione diventerà realtà, decideranno sempre i contratti, finché sul terreno vengono prodotte delle merci. Il terreno viene amministrato dalle persone, e le persone che amministrano il terreno devono (semplicemente grazie al fatto che non tutti producono gli stessi prodotti) mettersi in rapporto gli uni con gli altri. Devono appunto stipulare dei contratti, e dopo aver stipulato dei contratti deve esserci qualcosa che li lega al rispetto di questi contratti. Dunque, ciò che subentra nel reciproco scambio fra le persone che coltivano il terreno fa parte dei rapporti giuridici, dei rapporti politici, dei rapporti statali. Ciò che però succede quando una singola superficie di terreno passa da una persona all’altra, soggiace alla legge spirituale, che viene costituita in una vita spirituale autonoma, che si emancipa, e che poi fluisce nella gestione del terreno. I rapporti giuridici si innestano nei rapporti di scambio fra le persone che amministrano il terreno; questi sono rapporti che possono essere regolati solo giuridicamente. Se dunque la tripartizione attecchisce, diventerà veramente evidente se il terreno basti ancora o no o se in qualche modo (ma non attraverso il mero istinto, bensì attraverso un istinto guidato dalla ragione) scaturiscano situazioni di colonizzazione.

Nel complesso però si vedrà subentrare qualcosa di singolare. Nella normale vita quotidiana c’è qualcosa che si regola in modo curiosamente bello, anche se naturalmente solo in modo approssimativo. Si regola molto bene, anche se le persone non possono fare nulla per mezzo di leggi statali o altro per questo: è il rapporto presente sulla Terra fra il numero delle femmine e il numero dei maschi. Finora non si è in grado (e nel senso in cui se lo sognano gli Schencks non lo sarà nemmeno in futuro), per mezzo di leggi statali o per mezzo di qualsiasi altra cosa, di regolare la quantità di uomini che popolano la Terra in modo che si approssimi il più possibile al numero delle donne. Pensate che roba, se un bel giorno ci fossero solo 1/5 delle donne e 4/5 degli uomini o il contrario.

Tuttavia è meglio che questo venga lasciato alle leggi che operano così armoniosamente come leggi naturali. In modo altrettanto armonioso, se la tripartizione una buona volta veramente si realizzerà, quel che succede si adatterà anche alle circostanze. Per esempio non tutti correranno dietro alle professioni legate all’erudizione, né ci vedranno qualcosa di speciale. Allora veramente si instaureranno situazioni tali per cui, per esempio, su una determinata superficie di terreno si porterà un numero di persone adeguato, in modo che all’esistenza del singolo corrisponda la produttività di quella zona che idealmente-realmente gli spetta. Se anche poi, in senso figurato, cinque o cento di queste superfici venissero gestite da un singolo individuo che ne ha la particolare capacità, sicuramente ciò che verrebbe fatto su queste superfici andrebbe a vantaggio degli altri.

Ora, non ho capito la seconda domanda del signor Stein. Mi sembra che abbia chiesto che cosa succederebbe se i tre settori dell’organismo sociale venissero strutturati in modo errato.

Ho già accennato al fatto che al giorno d’oggi la gente trae grande forza dal coltivare ogni genere di «traubismo»[1]. Si rinfaccia alla scienza dello spirito a orientamento antroposofico di aver tratto qualcosa dalla gnosi, di aver tratto qualcosa dall’indianesimo, di aver tratto qualcosa dai Misteri egiziani di Iside. Un articolista ha perfino scoperto che in un libro molto antico, che dovrebbe provenire dalla regione atlantica, c’è quello che la scienza dello spirito copia, e così via. Questa, per così dire, a poco a poco diventa una tecnica, [affermare cose del genere], anche se in realtà sono bugie pesanti, in molti casi perfino vere e proprie menzogne. Perché ovviamente è semplicemente così: se oggi io scrivo un libro di matematica e ci metto dentro il teorema di Pitagora e ho a che fare con lettori che non lo hanno studiato, allora scrivo per loro le cose necessarie. Ma se poi, dopo il teorema di Pitagora, si aggiunge ancora qualcosa che Pitagora non aveva, il lettore non può dire che tutto sia stato preso a prestito, solo perché io ho dovuto dire anche quello che esisteva già prima. Si tratta proprio sempre di riallacciarsi a ciò che è noto e poi di aggiungere ciò che non lo è. È disonesto, quando poi vengono i traubisti a dire che sia stato preso a prestito qualcosa dalla gnosi, ecc. Bisogna sapere quali bugie crasse vengono messe in giro proprio da parte loro. Vedete, se si è rappresentante ufficiale di una conoscenza attuale, si è già molto, molto spronati a non dire il vero. Come professore, si è anche già in una particolare posizione in rapporto alla reale verità. Ma se ora si è entrambe le cose e poi si scrive un libro… non voglio portare oltre questo pensiero.

Però, vedete, la stessa storia succederà anche con la tripartizione. Anche se ora non affermo né di aver scoperto il numero tre, né tantomeno che il numero tre non sia stato già applicato nei modi più svariati ad alcune situazioni fisiche, per esempio all’uomo, può comunque venire qualcuno a dirmi: ecco, anche negli antichi testi arabi si trova una tripartizione dell’uomo, anche lì l’uomo è già stato diviso in tre parti. Ma l’importante nella nostra tripartizione lo trovate nel mio libro «Sugli enigmi dell’anima», nel quale parto da concetti legati alla funzione. Non dico: “L’uomo consiste di tre tratti”. Dico: “C’è un ambito neuro-sensoriale, c’è un ambito dell’aria e del sangue e c’è un ambito della digestione”. Ma dico espressamente: “La digestione avviene in tutto l’uomo intero; i tre settori sono in tutto l’uomo intero”. Io distinguo secondo le funzioni; qui io parlo di un’attività neuro-sensoriale, non di una qualche zona, e distinguo da quell’attività la funzione dell’attività ritmica e in terzo luogo la funzione del ricambio. Questo è l’uomo, strutturato secondo le funzioni. Vedete, con quanta severità nel libro «Sugli enigmi dell’anima» ho caratterizzato proprio tutto ciò come ‘funzioni’.

Ora uno scopre in un libro antico che in Arabia l’uomo veniva diviso in tre parti, in tre tratti. Ora costui potrebbe anche dire: “Qui c’è uno che parla della tripartizione dell’organismo umano; ha proprio preso in prestito la cosa più importante, il numero tre, da tradizioni antichissime. E poi anche in questo antico libro si divide per analogie” (questa è una cosa che io ho applicato proprio solo per una certa interpretazione; leggete cosa c’è sulle analogie nei «Punti essenziali»), “lì, in quel libro, l’ente statale esteriore viene suddiviso proprio secondo delle analogie; viene distinto in ambiti, e in cima ad ogni ambito c’è un principe. Ci sono tre principi in cima, quindi anche in questo caso nient’altro che il numero tre”. Ora, i principi – se questo debba poi succedere, una volta o l’altra, potete voi stessi prendere posizione. Non si tratta di tre prìncipi; lo spirito interiore è del tutto diverso nella tripartizione sociale, [qui si tratta di ciò che corrisponde alle funzioni]. Se non si osserva ciò che corrisponde alle funzioni, potrebbe sorgere l’errore di avere due o tre parlamenti l’uno accanto all’altro, come una volta ha scritto un professore di Tubinga nella «Tribüne». Nella tripartizione si tratta appunto del fatto che non ci saranno tre parlamenti l’uno accanto all’altro, e neanche tre prìncipi, ma solo un parlamento, nella forma statale democratica. Infatti nella vita spirituale non si parlamentalizzerà, bensì sarà attiva una gestione adeguata a partire dalla cosa stessa, e lo stesso accadrà in ambito economico. Dunque, ci si può proprio rallegrare per la gioia che le persone provano nel vedere la tripartizione già anche nei libri antichi. Ma se vuole agire in un modo fruttuoso sulla base dei pensieri della tripartizione, ci si deve veramente addentrare in quanto è descritto nei «Punti essenziali».

Ora in risposta alle domande del parroco Heisler: Come si ottiene un alloggio? Ecc..

Domande di questo genere sono appunto troppo rigide. Non voglio dire che non siano importanti, sono estremamente importanti. C’è una tale carenza di alloggi nel mondo, che la gente cerca di ottenerne uno in modo molto grottesco. È perfino successo che qualcuno si sia sposato per trovare un alloggio, per non restare sulla strada. È straordinariamente importante sapere come si ottiene un alloggio, ma non si dovrebbe tingere tutta la propria concezione della tripartizione con qualcosa che pensa ancora troppo fortemente nello stile di ciò che deve essere superato.

Pensate la tripartizione dell’organismo sociale realizzata – non si deve pensare in modo astratto, perché se si tratta di come si debba pensare qualcosa, allora bisogna guardare a questa realizzazione della tripartizione, per quanto lontana essa ancora sia; non si può rispondere a tutto soltanto secondo gli obiettivi. Nell’organismo tripartito l’uomo non dovrà solo cercarsi un alloggio, ma farà anche qualcos’altro. Sarà qualcosa, direttore di fabbrica o falegname o qualcos’altro. Essendo dirigente di fabbrica o falegname, sarà possibile vivere; per questo si verrà retribuiti. Questo riconciliare l’uomo col suo lavoro, nell’organismo sociale tripartito, deve però gradualmente passare alla gestione del settore spirituale dell’organismo: ricevere un alloggio fa poi parte della retribuzione; sono due cose che vanno insieme. Quindi non dovete pensare: io sono un uomo e devo ricevere un alloggio, ma dovete partire da questo: io non sono semplicemente soltanto un uomo, ma ho anche qualcosa da fare in un dato luogo, e fra le cose che per questo mi vengono date come retribuzione c’è (se la situazione sociale è normale) anche un alloggio. Non si tratta solo di porre astrattamente la domanda: ‘Come ricevo un alloggio?’ – ma bisogna chiedersi: ‘Cosa succede se c’è la tripartizione?’ – Qui l’uomo riceve appunto, se è un uomo, in un dato luogo (e lo si è, in genere, se non si è un angelo, che è dappertutto) qui l’uomo riceve, come riceve il suo stipendio, anche un alloggio, e questo dipende appunto da quello che proviene dall’organizzazione della vita spirituale. Oppure, se si tratta del fatto che non si viene spostati in un nuovo settore, ma si opera altrimenti in un altro contesto lavorativo, allora questo fa parte dello Stato o dell’ambito politico. Ma queste domande non possono essere poste in modo astratto.

Bisogna veramente prima attendere un poco la situazione che verrà grazie alla tripartizione, oppure bisognerà farsi un quadro di come la situazione diventerà con la fantasia. Poi si potrà realmente anche rispondere alla domanda su come si dovrà trattare quando si avrà un posto, dunque si farà un lavoro, in modo che poi si possa avere anche un giardinetto e cose del genere. Queste sono realmente cose che non vanno al nerbo della tripartizione. Si può star certi che saranno regolate in modo che realmente si possa giustamente avere un piccolo giardinetto davanti alla casa, se una buona volta ci saranno le condizioni che vengono create dalla tripartizione. Allo stesso modo è importante regolamentare la costruzione edile. Che cos’è, la costruzione edile? È in rapporto con la questione fondiaria. Ma se questa questione fondiaria non è più una questione di merce, ma una questione del diritto e della vita spirituale, allora la questione della costruzione edile è a sua volta una questione che è in rapporto con l’intero sviluppo culturale dell’umanità. Ed è ovvio che le case vengono costruite a partire dagli stessi impulsi a partire dai quali una persona viene collocata nel suo lavoro. Si tratta dunque di non farsi tutte queste domande in modo astratto, di non farle in modo da strappare l’uomo, come un essere astratto, da tutta la sua concretezza. In un organismo sociale tripartito vivente le cose non sono tali per cui la sola e unica domanda sia come si ottenga un alloggio, ma, con la domanda, si verrà inseriti in tutta la concretezza della vita, e qui tutto dipende dal trattare queste cose in modo conforme alla realtà.

Qui il signor Kaltenbach ha già detto qualcosa di giusto, [quando ha accennato all’importanza della rendita fondiaria]. Naturalmente ho scelto solo un esempio, proprio la tassa sull’incremento del valore. Ma esattamente la stessa cosa avrei dovuto dirla, in realtà, in merito alla tassazione della rendita fondiaria. Però, stimatissimi convenuti, ora vorrei sapere se poi quella che è stata posta come domanda non sia già stata risposta. Perché per me l’importante non era se ora si tratta di una rendita fondiaria o di un incremento del valore, bensì il fatto che fondamentalmente viene data una tassa allo Stato; il signor Kaltenbach ha proprio detto chiaramente «tassa», e con ciò egli intende qualcosa che viene dato allo Stato. Quale tipo di tassa sia, quella che dovrebbe essere data allo Stato, non importa. L’importante è che lo Stato venga limitato ad un unico settore dell’organismo sociale, che non dovrebbe conservare la struttura di oggi. Non si può dire che i riformatori fondiari non vogliano leggi nel senso del vecchio apparato statale. Certo che le vogliono. Vogliono caricare sul groppone del vecchio Stato qualcosa, credendo che il vecchio Stato ce la possa fare. Ma non ce la farà mai. Ovviamente so che ruolo gioca il fatto che ci si sia abituati ad una certa idea; non si riesce a separarsene. Però penso che in realtà tutto ciò che è stato detto a proposito della tassa sulla rendita fondiaria abbia già trovato una risposta nello spirito di ciò che è stato detto sull’incremento del valore.

Si vorrebbe così tanto, che non riemergesse ancora il vecchio. Non si vorrebbe che nemmeno uno venisse a dire: “Io non voglio affatto che i consiglieri segreti siano proprio come i vecchi consiglieri segreti, ma voglio che l’organismo tripartito fabbrichi nuovi consiglieri”. – [È lo stesso,] dire così o dire: “Ecco, i riformatori fondiari non vogliono dare proprio nulla allo Stato”. Però le tasse le vogliono certamente pagare, e le tasse nella forma attuale si possono pagare soltanto allo Stato. In questa domanda se ne cela un’altra: “A chi si dovrebbero pagare le tasse?” E se si tratta di contratti – ecco, sapete, finora veramente i contratti nessuno Stato li lascia stipulare con se stesso sulle tasse. Ha un aspetto diverso, ciò che qui gioca fra lo Stato e la persona, quando si devono pagare le tasse; qui davvero non si tratta di contratti.

È importante che cerchiamo di accogliere in modo vivente come l’idea della tripartizione dell’organismo sociale voglia un cambio di mentalità. Ma a questo (anche se spesso con buona volontà si ammette che si dovrebbe e anzi si deve cambiare il modo di pensare) si oppone appunto il fatto che, quando poi si cerca di cambiare il modo di pensare, si rimane appunto attaccati alla parola, per esempio alla parola ‘legge’. Ecco, così mi è anche già stato chiesto: “Lo Stato come dovrebbe introdurre la tripartizione?” Ecco: dobbiamo abbandonare le abitudini di pensiero, le abitudini verbali. Dobbiamo giungere a pensieri tratteggiati con precisione, altrimenti l’impulso della tripartizione dell’organismo sociale sicuramente non verrà capito.


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Note:

[1] Traubismo: la stessa scientificità supeficiale rappresentata dal professor Traub. Friedrich Traub (1860-1939) aveva conseguito il dottorato in Teologia e in seguito fu attivo nel servizio pratico clericale e scolastico. Dal 1910 lavorò come professore ordinario per la teologia sistematica all'università di Tubinga; nel 1930 fu insignito del titolo di professore emerito. Fu un grande oppositore di Rudolf Seiner e nel 1919 a Tubinga scrisse un articolo dal titolo "Un articolista ha perfino scoperto che da un libro molto vecchio, che sarebbe provenuto dalla zona atlantica": di più non si è potuto scoprire.