Come deve proseguire il lavoro per la tripartizione sociale?
Rudolf Steiner: Stimatissimi convenuti! Naturalmente stasera introdurrò l’argomento in un modo un po’ diverso da come ci eravamo abituati in questi nostri incontri, per il semplice fatto che, in un certo senso, sono rimasto sepolto nella neve e perciò, in realtà, non è possibile riprendere direttamente dallo stesso punto in cui abbiamo finito la volta scorsa. Perciò oggi, forse, sarà opportuno che il nostro incontro si incentri proprio sul dibattito, al quale vi prego di intervenire numerosi.
Quando, dieci mesi fa, qui a Stoccarda abbiamo cominciato a diffondere le idee che sono alla base della tripartizione, questa iniziativa era stata pensata in tutto e per tutto nel senso degli eventi di allora. In quel momento, come membri del settore statale, spirituale ed economico dell’Europa centrale, ci trovavamo nel periodo immediatamente successivo a quella spaventosa batosta che ci eravamo presi con la catastrofe degli ultimi quattro o cinque anni; allora ci trovavamo davanti a tutte quelle domande che appunto da quel punto di vista dovevano essere poste: “Come dobbiamo comportarci, in quanto uomini dell’Europa centrale che (ora, diciamolo in modo asciutto) in quel momento erano appunto quelli che erano stati ‘sconfitti’?” E in quel momento dovevamo basarci sull’idea che (di fronte alle spaventose esperienze, ora, non tanto degli eventi bellici quanto di quelli che hanno fatto seguito all’esito della guerra e che, naturalmente per altri versi, non sono meno spaventosi degli eventi bellici stessi) era necessario risvegliare in un numero sufficientemente elevato di persone la comprensione di quelle idee di rinnovamento della configurazione sociale che avrebbero potuto portare ad una ricostruzione della situazione europea, e precisamente da parte degli sconfitti.
Miei cari amici, quando si ha a che fare con la divulgazione di certe idee, molto spesso si sente dire che queste siano idee di vasta portata. Si dice che forse si può sperare che tali idee di vasta portata in un lontano futuro saranno anche realizzabili (e a seconda di un maggiore o minore ottimismo vengono poi previsti tempi più o meno lunghi), che non possiamo far altro che impegnarci per far sì che l’umanità si accosti a questi ideali ecc. ecc. Però, quando abbiamo iniziato il nostro lavoro, in realtà la situazione del momento non stimolava pensieri che andassero in questa direzione. In quel momento si riteneva che la necessità prioritaria fosse quella di risvegliare in quante più teste possibile la comprensione dell’impulso della tripartizione dell’organismo sociale: di una vita spirituale autonoma, di una vita statale o giuridica autonoma, e di una vita economica autonoma. Era possibile sperare che gli eventi, tanto amari, sarebbero riusciti a risvegliare negli uomini una tale comprensione. Ma si è visto che, quando appunto sarebbe stato necessario, non si è riusciti a risvegliare una tale comprensione in un numero sufficientemente elevato di persone; per motivi che ora non è necessario discutere oltre. E oggi, a ragione, c’è chi chiede: “È veramente possibile portare avanti questa idea della tripartizione nello stesso modo di allora? Non siamo forse andati già troppo oltre, ormai, con il degrado della nostra vita economica?” Senza dubbio, chi capisce questa vita economica del presente non può, così senz’altro (e dico apposta “senz’altro”), rispondere di no, a questa domanda. Infatti, poniamo per ipotesi che allora, quando in aprile dell’anno scorso abbiamo incominciato il nostro lavoro, venendoci incontro un numero sufficientemente elevato di persone (che con assoluta certezza sarebbero riuscite a cambiare le cose), supponiamo dunque che allora noi, di fatto, fossimo riusciti ad ottenere il successo necessario: in quel caso ovviamente la nostra vita economica poggerebbe su basi del tutto diverse. A qualcuno potrà sembrare presuntuoso che io dica così, però è veramente così. E i diversi articoli che sono apparsi nel nostro periodico per la tripartizione possono servire come prova, come dimostrazione di quanto ho detto.
Se noi, che lavoriamo in una cerchia ristretta per portare avanti le idee della tripartizione, da un lato restiamo comunque fermamente convinti del fatto che questo lavoro debba essere portato avanti, d’altra parte siamo anche del tutto convinti che la via che appunto è stata proposta in un primo momento (cioè quella di convincere un numero sufficientemente elevato di anime riguardo alla necessità della tripartizione), che questa via oggi non possa portare al successo abbastanza velocemente. Perciò oggi dobbiamo pensare ad iniziative direttamente pratiche, che già nel prossimo futuro dovranno presentarsi alla nostra ristretta cerchia di contemporanei in una certa forma. Dobbiamo pensare a raggiungere il nostro obiettivo per mezzo di certe istituzioni che possano rimpiazzare quanto appunto si sarebbe verificato in seguito alla collaborazione di un numero sufficientemente elevato di persone convinte. Dobbiamo almeno fare il tentativo, con delle istituzioni che siano istituzioni economiche, di creare delle istituzioni-modello, in modo da dimostrare che le nostre idee in tali istituzioni economiche possono essere realizzate in senso pratico. Queste istituzioni potranno poi essere emulate, nel senso che poi, davanti ai fatti, si crederà a quanto prima non si era voluto credere solo basandosi su quel genere di discorsi che, a quanto pare, convincevano noi. D’altra parte queste istituzioni modello potranno anche avere, nei fatti, certe conseguenze sul piano economico, di modo che sarà possibile porre rimedio ad alcuni di quegli aspetti che si sono manifestati in termini di schiavizzazione economica. Di fatto, nella nostra Europa centrale, siamo veramente arrivati al punto che una grande quantità di persone pensano che sia del tutto indifferente da dove uno tragga i suoi profitti. Se capita, si fanno dare le direttive e anche il supporto materiale oggettivo dai vincitori, se solo questo li mette nella possibilità di ricavarne un certo profitto. Il modo in cui oggi, in Europa centrale, in certi ambienti si pensa di risollevarsi dal punto di vista economico è addirittura vergognoso. Perciò bisogna pensare a creare, a partire dall’idea della tripartizione sociale stessa, istituzioni concrete che possano dimostrare (anche in questa situazione, che è già diventata veramente difficile), che questa idea della tripartizione di fatto non è utopistica, ma pratica.
Vedete, quando abbiamo cominciato il nostro lavoro, spesso ci veniva chiesto: “Ecco, potete darci dei punti di vista pratici per prendere determinate misure, di volta in volta?” Chi faceva questa domanda, di solito, prescindeva completamente dal fatto che non si trattava più di continuare a conservare, grazie a buoni consigli, l’una o l’altra istituzione che avesse già dato prova proprio della sua inutilità, ma che si trattava di costruire, per mezzo di una trasformazione in grande, tutto un edificio sociale nuovo, per mezzo del quale sarebbero poi sorte le singole istituzioni. A questo pro non servivano consigli per una cosa o per l’altra, bensì era necessario che le idee venissero capite in grande, cioè da un numero sufficientemente grande di persone – perché alla fine è chiaro che tutte le istituzioni vengono fatte dalle persone.
Così oggi ci troviamo già di fronte ad una specie di cambiamento di rotta che in realtà non dipende dal fatto che, più o meno, crediamo di esserci sbagliati con le nostre idee. Idee di questo tipo devono sempre fare i conti con il modo in cui il tempo si esprime. E se l’umanità non capisce queste espressioni del tempo, allora proprio le idee devono diventare diverse, perlomeno devono prendere un’altra piega. Così vediamo bene che il nostro ancora giovane movimento per la tripartizione, di fatto, ha già una storia che la dice lunga, e che poggia sulla situazione del nostro tempo presente: una storia che forse per qualcuno potrebbe essere proprio istruttiva, se solo la si volesse osservare.
Vorrei rendervi evidente con un esempio quanto ho appena detto: chi prende in mano il libro “I punti essenziali della questione sociale” così com’è uscito un anno fa e ne considera le argomentazioni sull’economia vi troverà certe osservazioni sull’organizzazione della vita economica, la quale dovrebbe raggiungere una certa necessaria autonomia, e che in futuro non potrà dipendere dalle istituzioni statali, dall’amministrazione statale, ma che deve poggiare interamente su basi proprie e che deve essere fondata sulle sue proprie basi secondo il principio delle associazioni. Ovviamente oggi posso abbozzare solo alcuni aspetti, forse si andrà oltre nel dibattito.
Quale dovrebbe essere, in realtà, il senso di queste associazioni nella vita economica? Il senso di tali associazioni dovrebbe essere che in un primo tempo si riuniscano dei gruppi che, in qualche modo, siano professionalmente apparentati, che debbano oggettivamente collaborare, che in modo totalmente libero e autonomo, senza sottostare a una qualche amministrazione statale, provvedano alla propria economia, che questi gruppi si trovino insieme. E poi queste associazioni di gruppi professionali dovrebbero a loro volta associarsi ai relativi consumatori, in modo che quello scambio che avviene dapprima fra i gruppi di professioni, ma poi anche, [in un secondo momento] fra le cerchie dei produttori e quelle dei consumatori, sia a sua volta riunito in associazioni. Al posto dell’attuale amministrazione economica dovrebbe subentrare quanto risulta dal libero scambio delle associazioni economiche.
Ovviamente di questa rete di istituzioni economiche fa parte (per quanto riguarda l’amministrazione dei beni) anche tutto ciò che altrimenti agisce nella vita del diritto, nella vita dello Stato, ciò che agisce nella vita spirituale [1]. La vita spirituale (culturale) in quanto tale sta autonomamente sulle proprie gambe, ma coloro che sono attivi nella vita spirituale devono mangiare, bere, vestirsi; perciò devono a loro volta formarsi da sé delle corporazioni economiche, che in quanto tali devono inserirsi nel corpo economico, che nel corpo economico si associno con quelle corporazioni che ora a loro volta possano essere a servizio proprio dei loro interessi. Lo stesso deve succedere con la corporazione di quelle persone che fanno parte della vita statale. Così, dunque, la vita economica includerà tutte le persone che fanno parte dell’organismo sociale – proprio come entrambe le altre due parti, la vita statale e la vita spirituale, includono tutte le persone che fanno parte dell’organismo sociale. Ora, le persone si trovano inserite nelle tre parti dell’organismo sociale da diversi punti di vista. Si tratta del fatto che l’organismo sociale non si articola secondo le collocazioni, ma secondo i punti di vista, e che ogni singolo individuo è inserito in ciascun ‘arto’ dell’organismo sociale con i suoi interessi.
Che cosa si può ricavare da una vita economica siffatta, che poggia sul principio associativo? – Se ne può ricavare il rimedio a quei danni che, negli ultimi secoli e specialmente nel XIX secolo, sono stati a poco a poco arrecati alla vita economica e quindi alla vita umana. Questi danni (ormai, si può dire che l’uomo li sperimenta in primo luogo sulla propria pelle) sono stati causati dal fatto che, nel corso del nuovo secolo, dalla situazione precedente si è prodotta una situazione diversa per quanto riguarda la produzione nella vita economica.
Se si guarda indietro all’epoca fra il XVII e il XVIII secolo, si vede benissimo che la maniera in cui si produceva stava ancora in un certo rapporto con l’essere umano e l’organizzazione che gli è propria. Si nota che a quei tempi la determinazione dei prezzi non dipendeva dagli stessi medesimi fattori dai quali dipende oggi, ma, per esempio, dalla capacità delle persone, per esempio da quanto una persona era capace di lavorare per un certo numero di ore al giorno a questa o quella produzione con una certa dedizione e una certa gioia. Il prezzo veniva dunque determinato dal concrescere dell’uomo con quanto produceva. Al giorno d’oggi questo succede ancora, al massimo, in certi rami della vita spirituale. Se uno scrive un libro, non gli si può imporre un dato numero di ore lavorative giornaliere e assegnargli un salario in base a quel numero di ore lavorative giornaliere. Se, per esempio, si introducesse la giornata lavorativa di otto ore per la scrittura dei libri, ne vedremmo delle belle, perché potrebbe molto facilmente succedere che uno lavori per otto ore, e per questo dovrebbe ricevere un salario, ma che per tre giorni alla settimana per quattro ore non gli venga fuori proprio niente. In questo caso c’è un intimo legame fra le capacità umane, fra l’organizzazione spirituale umana e i prodotti che ne risultano, e un tempo questo avveniva anche per settori molto più materiali – ecco, mano a mano che risaliamo all’indietro nell’evoluzione umana, di fatto, arriviamo a tutti i settori materiali. È solo nei nuovi tempi, che si è sciolto il legame fra il prodotto e la persona che lo produce. Visto in grande, è una totale assurdità, che si voglia mantenere questa separazione del prodotto da chi lo produce. In singoli settori produttivi lo si può mostrare in modo evidente. Prendete per esempio, ora osservata esclusivamente dal punto di vista economico, la fabbricazione di libri. I libri devono essere scritti; questo non è assoggettabile alla legge sulla remunerazione nel modo in cui tale legge per la produzione viene sostenuta, per esempio, dall’attuale socialdemocrazia. Non ne verrebbe fuori nulla. Ma i libri devono essere stampati, e chi li compone (la tipografia) deve pur appoggiarsi ai principi dell’odierna socialdemocrazia, al principio sindacale. Infatti, per comporli non serve che ci si pensi ancora sopra; non è necessario alcun legame intimo fra il produttore e la produzione. Ma se si risale alle fonti, si troverà sempre che proprio quel lavoro per il quale non serve un legame del genere non esisterebbe affatto, se prima non ci fossero quei lavori dai quali dipende tutto questo lavoro esteriore. Se non ci fosse il costruttore edile, non potrebbero lavorare tutti quei dipendenti salariati che costruiscono le case. Se non ci fossero gli scrittori, nessun tipografo potrebbe comporre libri. È sicuramente vero, che al giorno d’oggi non si fanno questi ragionamenti, però sono ragionamenti che vanno assolutamente posti alla base delle considerazioni sull’economia nazionale, e nel modo più assoluto.
Non ho potuto esporre nel dettaglio tutto ciò che è fluito nei “Punti essenziali” in termini di esperienze di vita, perché tali punti sono stati ideati per il lettore pensante. E posso assicurarvi che oggi è sicuramente molto utile, se mentre si legge un libro si pensa anche un pochino e non si dice sempre: “È così difficile da capire, bisogna mettersi a pensare, doveva essere scritto in un modo molto più semplice”. Ma la sequenza degli articoli del nostro periodico per la triarticolazione, che illuminano le cose dai punti di vista più disparati, ha rinsaldato sempre di più questo legame fra il produttore e la produzione. E solo per il fatto che veramente, ai giorni nostri, prima di tutto proprio anche per l’influenza del modo di pensare materialistico, si è finito per guardare più al modo di produrre che non alla disposizione e alle capacità del produttore, che negli oratori e nei pensatori socialisti astratti è perfino sorta l’idea che la produzione in quanto tale sia sostanzialmente ciò che domina tutta la storia, l’intera vita umana. Questa idea è sorta per il fatto che, di fatto, con la tecnica moderna e con certe altre condizioni sociali, è successo che il prodotto ha preso il potere sulle persone che lo producono. Tanto che si può dire: mentre prima, fino circa a tre secoli fa, prevalevano ancora molti altri aspetti dell’essere umano, [da allora ad oggi] nella vita sociale quello che apparentemente ha assunto il dominio è proprio l’uomo economico – l’uomo economico e il processo economico. Uomini come Renner per esempio, che è perfino diventato cancelliere di Stato in Austria, lo hanno proprio detto, che non si potrà più continuare a parlare di ‘homo sapiens’, quell’homo sapiens che negli ultimi secoli ha fatto capolino nelle teste degli uomini, ma si potrà ancora parlare solo dello ‘homo economicus’ – che questa sia l’unica verità. Ma ora, dal XIX secolo, dato che le cose nella realtà sono soggette per leggi proprie a dei mutamenti, non continua più a dominare l’homo economicus, l’uomo economico, il processo economico, bensì possiamo dire: a partire circa dal 1810 (tanto per stabilire una data) l’uomo dominante è diventato il banchiere. E più di quanto si crede, in questo XIX secolo, nella vita economica del mondo civile è diventato dominante il banchiere, il cambiavalute, colui che in realtà non fa che amministrare il denaro. Tutti gli avvenimenti che si sono susseguiti a partire da allora hanno subito più o meno l’influsso di questo mutamento storico: nel contesto dell’economia nazionale, dall’uomo economico e dal processo economico si è gradualmente sviluppato il banchiere, il cambiavalute, soprattutto colui che fa prestiti e, dall’andamento sociale pubblico, l’amministrazione finanziaria, l’amministrazione del denaro.
Ora, però, il denaro ha caratteristiche molto particolari. Il denaro rappresenta cose diverse, ma il denaro di per sé è sempre lo stesso. Posso acquisire una certa somma di denaro vendendo un brano musicale (una produzione spirituale) oppure posso anche acquisire una somma di denaro vendendo stivali. La somma
di denaro può essere sempre la stessa, ma ciò che vendo può essere molto diverso. In questo modo, rispetto al reale andamento della vita, il denaro assume un certo carattere astratto. E così, sotto l’influsso dell’economia bancaria mondiale dovette verificarsi l’estinzione delle interazioni concrete nei commerci sociali umani, l’estinzione delle interazioni concrete [fra prodotto e produttore, e sorse] il commercio del mero rappresentante, del denaro.
Ma questo ha delle conseguenze ben precise. Ne consegue che le tre parti costitutive più essenziali del nostro processo economico (la proprietà fondiaria, i mezzi di produzione e i beni di consumo) che per loro natura si inseriscono nel processo dell’economia nazionale in modo del tutto diverso, vengono assoggettate non solo a livello di pensiero, ma in modo reale, allo stesso potere, vengono trattate nello stesso modo. Infatti, a chi ha come unico interesse quello di acquisire o di amministrare una certa somma può essere indifferente, che tale somma di denaro rappresenti la proprietà fondiaria oppure mezzi di produzione, cioè macchine o altro del genere, che servono per altre produzioni, ma che vengono prodotte da uomini, oppure che rappresenti articoli di consumo, articoli di consumo diretto. Gli interessa soltanto di ricevere una determinata somma di denaro per qualcosa oppure che, se ce l’ha, essa gli frutti degli interessi, indifferentemente attraverso che cosa. Così, dovette farsi sempre più strada l’opinione che gli interessi che si ottengono vadano separati dai singoli prodotti e dai settori produttivi, e che questi interessi debbano essere sostituiti dall’interesse astratto per il capitale che cancella tutte queste differenziazioni, cioè per il capitale finanziario. In tal modo, però, succedono delle cose ben precise.
Prendiamo la proprietà fondiaria. La proprietà fondiaria non è di certo solo una cosa qualsiasi, bensì è situata in un determinato luogo ed è in rapporto con le persone di tale luogo, e le persone di tal luogo hanno esse stesse degli interessi per questa proprietà fondiaria, interessi che si possono definire interessi morali, interessi di tipo animico. Per esempio può trattarsi di un terreno davvero importante per gli interessi culturali e umani generali, può darsi che su questa proprietà venga seminato un certo prodotto. Voglio descrivere queste situazioni in modo un po’ estremo, normalmente nella vita non sono così estreme, ma l’essenziale, ciò di cui si tratta, può essere rappresentato in questo modo. Chi è concresciuto per tutta la vita col terreno saprà bene come, diciamo, la produzione di una cosa o di un’altra nella proprietà fondiaria sia in relazione con tutte le condizioni della vita. Ha fatto delle esperienze, vivendo con la terra. Per esempio, per decidere se sia bene o meno disboscare una certa zona, possono esserci delle questioni importanti che possono essere esaminate in tutto e per tutto soltanto da chi sia concresciuto con la situazione locale di quella zona. Sono cose che si possono sapere solo per esperienza.
Ora, si può perfettamente capire che per le condizioni umane generali sia vantaggioso che una certa proprietà venga sfruttata in un modo ben preciso, ma che utilizzandola in quel modo si ottenga solo un determinato raccolto. Questo modo di vedere le cose va subito a remengo, se al posto dell’uomo che sta in rapporto con la proprietà fondiaria subentra il principio del capitalismo finanziario. In questo caso, infatti, la proprietà fondiaria può semplicemente passare di mano in mano come una merce. Però chi acquisisce una proprietà fondiaria semplicemente perché essa gli frutta dei soldi ha come unico interesse che il denaro gli renda i relativi interessi. Su tutto quello che prima era un concreto interesse umano si riversa un principio astratto. E la persona in questione, quella il cui unico interesse è il denaro, si chiede allora se rispettando le condizioni che l’altra persona, quella che è concresciuta col terreno, ritiene necessarie, la cosa gli renda abbastanza; in caso contrario, vorrà usare il terreno per qualcos’altro. In questo modo, solo a causa del punto di vista del capitalismo finanziario, vengono distrutti dei rapporti umani che sono invece necessari.
Così i punti di vista del capitalismo finanziario sono stati trasposti in tutti i rapporti umani. Nell’economia politica hanno distolto le persone da quanto può sortire soltanto dal collegamento fra l’uomo e la produzione, dal legame dell’uomo alla proprietà fondiaria, dal suo legame ai beni di consumo che circolano fra le persone in un determinato territorio. Nei secoli passati questo legame c’era. Ma tutto questo è svanito a causa dell’influsso dell’uomo economico, soprattutto, però, a causa dell’influenza del banchiere nel secolo XIX. Mentre fino a circa il 1810 l’economia nazionale dipendeva dai commercianti e dagli industriali, nel XIX secolo i commercianti e gli industriali, anche senza confessarlo, iniziarono sostanzialmente a dipendere dall’economia finanziaria nazionale e internazionale, dai banchieri.
Questo tipo di economia finanziaria non può che trascinarci nell’egoismo economico. Però questo tipo di economia finanziaria non si deve confondere, come invece succede oggi in molti modi, con il mero capitalismo. Il mero capitalismo (lo trovate spiegato meglio nel mio «Punti essenziali») dovrebbe far sì che soltanto chi è qualificato (e che proprio per questo concresce con la produzione) possa avere in mano grandi quantità di capitale, sia esso in mezzi di produzione, sia esso in denaro che rappresenta i mezzi di produzione. Inoltre, dovrebbe rimanervi legato soltanto fino a quando sia in grado di mettere al servizio della produzione le proprie capacità. Questo mero capitalismo è assolutamente necessario per l’economia politica moderna, e inveire contro di esso è assurdo. Abolirlo significherebbe seppellire l’intera economia politica moderna. Si tratta proprio di capire a fondo la realtà, di capire, per esempio, che fra mettere l’amministrazione di un grande complesso di proprietà fondiaria nel quale può essere assolutamente necessario l’appaiarsi di bosco e verde nelle mani di un uomo competente e metterla invece nelle mani di uno che separa il bosco dal verde isolando il terreno, che parcella la proprietà fondiaria e la disfa in piccoli appezzamenti e cose del genere, c’è una grande differenza. Questo può essere bene in certe regioni, mentre in altre finirebbe per distruggere l’economia politica. Si tratta soprattutto di tener conto delle circostanze concrete. E noi dobbiamo finalmente ritrovare la via che ci conduce alle circostanze concrete.
Ma la [mancanza di concretezza] non si manifesta soltanto nell’economia nazionale, nella singola economia nazionale, ma si manifesta sempre di più e sempre di più nell’economia internazionale. Si vede (e questo è del tutto chiaro a chi studia le cose) che le persone, anche quando sono dei capitalisti, quando lavorano in proprio e a seconda delle proprie capacità provvedono a un qualche settore della produzione, non si disturbano l’uno con l’altro, ma anzi si agevolano a vicenda. Il male comincia soltanto quando le persone in un modo qualsiasi si astraggono dal loro legame coi settori della produzione. Voglio fare solo un esempio in cui le cose sono andate così in modo proprio evidente, sotto l’influenza dell’economia finanziaria del XIX e del XX secolo: nelle formazioni di Trust, nella formazione di cartelli. Supponiamo che una serie di settori della produzione si riunisca in un Trust, in un cartello. Che cosa ne consegue?
Un Trust, un cartello, deve sicuramente avere un qualche scopo, e questo ovviamente è che le persone guadagnino di più con il Trust che senza Trust. Ma ci riescono soltanto facendo prezzi da monopolio, cioè vendendo al di sopra dei normali prezzi concorrenziali che ne risulterebbero. Bisogna dunque creare la possibilità di alzare i prezzi, cioè di stabilire dei prezzi che siano più alti dei normali prezzi concorrenziali. Certo, si possono fare prezzi del genere, e in molti casi sono anche stati fatti. Però non si è giunti al [sano modo di] produrre. Di fatto, sotto l’influsso di questo modo di trarre profitto non si può produrre in modo sano. Nevvero, se non si vuole provocare una sproporzione rispetto ai costi degli impianti, che diventerebbero troppo elevati se si producesse soltanto ciò che si produce al di sopra del prezzo concorrenziale, allora si deve produrre così tanto [di più], da coprire i costi per le macchine e per l’intera attrezzatura, e cioè tanto quanto si produrrebbe se si potesse ricavare solo il prezzo concorrenziale. Però si riesce a vendere soltanto la quantità che viene appunto venduta a prezzo di monopolio.
Infatti sicuramente, se si producesse a prezzo concorrenziale, si dovrebbe smerciare molto di più, e quindi anche produrre molto di più, di quanto si vende a prezzo di monopolio. Questa è un’esperienza dell’economia nazionale: si vende meno, se si vende a prezzo di monopolio, ma non si può produrre di meno, perché altrimenti la produzione non tira. Che cosa ne consegue? Bisogna andare nei Paesi limitrofi e procurarsi là un mercato; là si vende al di sotto del prezzo di produzione. Ma ora si entra nella concorrenza internazionale. Questa concorrenza internazionale ha giocato un ruolo enorme. Se si tiene conto solamente dei prezzi determinati dall’economia finanziaria, ci si crea una concorrenza che altrimenti non ci sarebbe, per il fatto che si vende in modo diverso: nel mercato diretto [al di sopra del prezzo di produzione] e nei Paesi limitrofi al di sotto del prezzo di produzione. Lo si può fare; se solo si fanno i relativi calcoli, si guadagna perfino di più, però si danneggiano i corrispondenti produttori dei Paesi limitrofi. Se una buona volta si cercheranno le cause di quegli stati d’animo che in Occidente hanno provocato la guerra, le si troveranno in queste cose. Così si scoprirà quale enorme passo in avanti sia stato fatto verso la rovina [sociale] sulla via che porta dal capitalismo alla formazione di trust, alla formazione di cartelli, alla monopolizzazione per mezzo dei cartelli. Il capitalista in quanto tale produce a prezzi concorrenziali, non ha mai interesse in dazi protettivi. E anche il dazio protettivo è qualcosa che si è infilato fra le cause della guerra. Questi sono i danni che l’economia finanziaria ha arrecato alla vita internazionale. Tutto questo è talmente evidente a chi studia la moderna vita economica, che in realtà non si può realmente avere niente in contrario. Perciò necessariamente si pone la domanda: come veniamo fuori da questi danni? Non c’è alcun altro modo per venire fuori da questi danni, che quello di tornare a collegare l’uomo al prodotto, di ripristinare direttamente il legame fra l’essere umano e la produzione.
È quanto si è cercato di fare con l’idea economica della tripartizione sociale: quel legame che precedentemente, in circostanze del tutto diverse, sussisteva fra il singolo individuo e la produzione, al giorno d’oggi lo si può ristabilire solo se i produttori dello stesso tipo si legano fra loro e se le persone unite da motivi professionali tornano a riunirsi in gruppi, in associazioni, con i restanti settori produttivi e con i rispettivi consumatori. In questo modo le associazioni, le persone che si sono raccolte insieme, sapranno come si possa mettere in circolazione la produzione: non soltanto il denaro che si riversa sulla produzione come qualcosa di indifferenziato. Ma così si riuscirebbe a suscitare di nuovo, proprio nella sostanza, l’unica cosa che rende possibile un’economia nazionale proficua per l’umanità.
Vedete, era necessario che oggi, una buona volta, si scrutasse in profondità nella realtà, perché tutte le chiacchiere in materia socio-economica tanto blaterate negli ultimi tempi, in sostanza, sono proprio state fatte astenendosi dal guardare alla realtà. Certamente, singoli individui hanno fatto osservazioni indovinate su questo o quello. Però la gran parte di quanto è stato espresso e soprattutto tutto ciò sotto il cui influsso si sono sviluppati il capitalismo mondiale moderno da una parte e la lotta salariale dall’altra, questo cancro della vita moderna, è sorto per il fatto che non si è più guardato veramente al regolare contesto della vita economica, e che non si aveva nemmeno più sotto gli occhi (in quanto uomini inseriti nella vita economica) quel filo (che cuciva insieme i produttori e i consumatori, e che in passato era ancora ben visibile), perché il denaro ha annientato tutto. Ma se ci saranno le associazioni, diventerà di nuovo chiaro e limpido come si debba produrre questo o quello. Allora, chi deve produrre qualcosa (essendoci le associazioni) riceverà informazioni dalle persone che fanno parte delle relative associazioni, [e verrà discusso e deciso,] se si possa produrre una certa quantità di questo o di quello. Vi può sorgere qualcosa senza quell’economia dirigistica di cui blatera Moellendorff [2] (per il fatto che l’uno viene informato dall’altro in libero scambio) tutto può essere articolato in modo tale che l’elemento determinante sia proprio il consumo.
Con l’idea della tripartizione si trattava di questo: di parlare all’umanità, una buona volta, a partire dalla piena realtà. È proprio perché le persone, di questi tempi, sono così poco abituate a guardare in faccia alla realtà, che risulta così difficile capire questa cosa; le persone si sono disabituate ad affrontare la realtà. E quindi che cosa ne capisce, la gente, della vita economica nella sua interezza? Il costruttore edile capisce qualcosa di costruzione, il falegname capisce qualcosa di falegnameria, il calzolaio di scarpe, il barbiere di tagliare barbe, ognuno capisce qualcosa di economia in rapporto al proprio settore. Ma tutto ciò che queste persone ‘pratiche della vita’, in qualche modo, sanno della vita economica dipende certamente solo dal fatto loro, non anche da quello degli altri. Per questo motivo è così astratto. Una buona volta bisognava parlare all’umanità a partire dal contesto reale dell’intera vita sociale. Poichè per gli uomini è diventato inusuale usare le esperienze di vita come criterio, essi vedono come utopia proprio quanto nasce dalla realtà. Invece l’importante è proprio che questa idea della tripartizione sociale venga riconosciuta come l’immagine contraria di tutto ciò che è utopistico, che essa venga riconosciuta come qualcosa che nasce dalla vita reale, e che proprio per questo può anche far presa nella vita reale. E si tratta solo di questo: del fatto che le persone capiscano queste cose. Allora si vedrà che ognuno (qualunque sia la sua collocazione) capirà correttamente l’idea della tripartizione dell’organismo sociale, proprio nel momento in cui capirà qualcosa del nesso fra la sua stessa produzione e tutto l’andamento economico mondiale. Questa idea della tripartizione dell’organismo sociale non ha nessuna paura di essere messa alla prova, di essere verificata nel dettaglio da chi, essendo in relazione col mondo, capisce qualcosa della vita economica. Ma oggi non sono molti, quelli che capiscono qualcosa della vita economica o della vita sociale; le persone si lasciano trascinare e preferiscono non aver bisogno di partecipare in prima persona ad una qualsivoglia [decisione sull’] ordine [sociale], preferiscono che ci pensi il governo. Perciò le persone sviluppano idee talmente contorte da arrivare a considerare utopistico ciò che è realistico. In ogni caso, al giorno d’oggi la situazione è un po’ oscurata per il fatto che le potenze occidentali, avendo vinto la guerra, si sono conquistate la possibilità di non essere all’altezza del tempo. Quello che oggi vuole l’idea della tripartizione è il tempo stesso a volerlo. L’evoluzione umana oggi è giunta a questo punto. La vittoria delle potenze occidentali non significa altro che la conquista di una dilazione, per poter restare ancora nelle vecchie condizioni sociali. Questo lusso, le potenze occidentali possono permetterselo; se lo sono conquistato. Ma le potenze centrali non possono concederselo; esse hanno il compito di soddisfare le richieste del tempo. Se le soddisfano, ciò avrà effetto sul mondo intero. Se non le soddisfano, affonderanno.
Oggi per una buona volta bisogna dirlo chiaro e tondo, perché oggi si tratta di aut/aut. Perciò è anche così sconveniente, quando si ripresentano continuamente persone molto intelligenti e per esempio dicono: “Ora sorgerà di nuovo una discordia tra i francesi e gli inglesi. Infatti gli inglesi, per via delle loro antiche tradizioni, non vogliono stipulare alcuna alleanza militare coi francesi; non vogliono nemmeno concedere crediti; non sono neanche del tutto d'accordo con le intenzioni dei francesi riguardo ai confini del Reno ecc.” – Questa è la prosecuzione di quanto ha già agito nella guerra e prima della guerra così devastante.
Così si è anche sempre speculato: “Ora i nemici sono di nuovo in disaccordo; forse possiamo concludere una pace separata con qualcuno”. – Con questa diplomazia alla fine si è arrivati al punto da avere quasi tutto il mondo contro. Quando oggi persone di questo calibro continuano a corrompere le idee della gente e continuano a speculare sul fatto che i francesi e gli inglesi sono ancora una volta discordi, stanno del tutto sognando; non hanno alcuna comprensione della realtà. Questa è una prosecuzione di quel vecchio modo di pensare diplomatico che Czernin ha descritto in modo così bello nel suo libro, in cui richiede che venga riconosciuto la straordinaria importanza dei diplomatici. Questa importanza straordinaria dei diplomatici, però, consisteva nel fatto che essi potevano commerciare nei relativi saloni, vi osservavano l’atmosfera e poi scrivevano lunghe lettere a proposito di questa atmosfera e così via. In guerra tutto ciò fu ancora portato avanti in modo molto bello, il più possibile, solo che allora l’atmosfera la si giudicava più per vie tortuose. Da questo giudicare l’atmosfera prima della guerra è appunto derivata la catastrofe bellica. E oggi la gente ricomincia di nuovo a speculare nello stesso modo. Ma se le persone si svegliano, vedranno che in realtà hanno solo portato le cose al punto da sedersi fra due sedie. Si parla di un profondo abisso che si crea tra francesi e inglesi; gli intelligentoni oggi ne parlano. Quando ci si sveglierà, si vedrà che certamente c’è questo abisso, ma al di sopra di questo abisso le persone [i francesi e gli inglesi] vanno d'accordo, e che nell’abisso ci sediamo noi stessi. Che al posto di questo modo di pensare così sciagurato per l’umanità se ne metta uno corrispondente alla realtà, ecco qual è il vero fondamento dell’impulso della tripartizione dell’organismo sociale. E quando lo si capirà, ci si volgerà a questa tripartizione per necessità interiore.
Dopo le parole introduttive di Rudolf Steiner si apre il dibattito; diverse persone chiedono la parola:
Georg Herberg crede che di fronte all’aumento dei prezzi negli ultimi anni (come esempio sceglie il prezzo di una tonnellata di ferro, che prima costava 13 Marchi e oggi ne costa 1700) sia necessario far maggiore luce sul problema dei prezzi. Che in questo senso si debba prendere in considerazione soprattutto la controparte dei consumatori, cioè la parte dei produttori.
Siegfried Dorfner, prima che abbia inizio il dibattito vero e proprio, vorrebbe richiamare l’attenzione dei presenti su tre questioni fondamentali, che nel lavoro della tripartizione si potrebbero considerare tipici dell’intera situazione: per prima cosa, a questa serata erano stati invitati dei capi di partito, ma non si sono presentati. In secondo luogo, se anche una buona volta si presentassero, per lo più nei dibattiti tacerebbero; non ci sarebbero interlocutori. In terzo luogo, fra i seguaci dell’antroposofia molto spesso si sente dire: «L’antroposofia mi piace, ma la tripartizione no». E quindi il mancato successo di tutto il lavoro per la tripartizione non stupisce granché.
Carl Unger vorrebbe ritornare ancora una volta alle cose precedenti e richiama l’attenzione sul significato dei trust nell’attuale vita economica. Cita l’esempio del ferro; qui bisognerebbe appunto procedere dal fatto che in questo settore si abbia a che fare con un trust per l’acciaio. Dice che una simile posizione di monopolio l’abbiano assunta anche le fabbriche di zucchero tedesche; che in Germania ci siano davvero infiniti campi di rape, ma che il prezzo sia stato maggiorato in relazione a questa grande offerta.
Walter Johannes Stein è del parere che la situazione nella produzione dello zucchero tedesca indichi un problema davvero centrale, cioè il rapporto fra proprietà fondiaria e mezzi di produzione del tutto in generale. Precisamente, si pone la domanda se per esempio la mucca sia un mezzo di produzione o se invece faccia parte della proprietà fondiaria. Ma ancora più complicata diventa la cosa, se alla fine la mucca viene abbattuta; se in quel caso essa non assuma il carattere di merce. Perciò egli prega Rudolf Steiner di parlare in modo ancora più dettagliato sul rapporto fra proprietà fondiaria, mezzi di produzione e merce.
Rudolf Steiner: Miei cari amici! In merito alla differenza fra proprietà fondiaria e mezzi di produzione, la cosa più essenziale è che la proprietà fondiaria è qualcosa di limitato, non è elastica, che, in un certo senso, non può accrescersi, mentre i mezzi di produzione, che vengono prodotti dal lavoro umano, possono accrescersi e attraverso l’aumento dei mezzi di produzione la produzione può appunto a sua volta essere aumentata.
Ora, quando si fanno tali distinzioni, si tratta del fatto che spesso, naturalmente, bisogna partire da punti di vista diversi. Nel momento in cui si fa una distinzione fra proprietà fondiaria e mezzi di produzione, a ciò che inizialmente c’è già di per sé e che non è stato fatto dalle mani dell’uomo ci si riferisce col termine di ‘proprietà fondiaria’. Per chi osserva le cose dal punto di vista dell’economia nazionale, una mucca, che l’uomo non si fabbrica da sé col proprio lavoro, fa appunto semplicemente parte della ‘proprietà fondiaria’, finché non viene abbattuta; nel momento in cui viene abbattuta, ovviamente diventa una merce. Ma poi giunge in un modo ben determinato sul mercato delle merci, e allora si ha a che fare con due cose: in primo luogo, col dato di fatto che essa viene sottratta alla forza produttiva della proprietà fondiaria, e in secondo luogo con l’altro dato di fatto, cioè che essa vi entra in qualità di merce; la mucca è in un certo senso un prodotto limite. Prodotti limite come questo ce ne dappertutto. Ma si tratta di determinare, in un certo senso, ciò di cui ci si occupa, riuscendo a prendere le denominazioni da ciò che è caratteristico di volta in volta.
Nevvero, nel processo economico in primo luogo si ha a che fare con quanto è necessario per la produzione, ma che non si può produrre sa sé. A questo appartiene la proprietà fondiaria stessa e anche alcune altre cose; si riassume tutto ciò semplicemente in ‘proprietà fondiaria’. In secondo luogo, del processo economico fa parte tutto ciò che serve a produrre qualcos’altro, ma che deve prima essere stato prodotto a sua volta, come per esempio le macchine. Visto nel contesto dell’economia nazionale, il processo del lavoro, il lavoro che deve essere impiegato per la fabbricazione delle macchine, non fa parte della proprietà fondiaria. Questo è l’essenziale nell’economia nazionale: i mezzi di produzione devono essere visti dal punto di vista dell’equivalente al lavoro solo fino a quando essi, in quanto mezzi di produzione, sono pronti per la produzione. Nel momento in cui ci sono dei mezzi di produzione, in realtà si inseriscono nel processo economico esattamente come la proprietà fondiaria. Finché si lavora ai mezzi di produzione e si deve ricorrere all’economia nazionale per poter lavorare ai mezzi di produzione, fino a quel momento bisogna vedere una differenza nel modo in cui si inseriscono nell’economia nazionale i mezzi di produzione da una parte, e la proprietà fondiaria dall’altra. Nel momento in cui i mezzi di produzione sono pronti, vanno a far parte della stessa categoria dell’economia nazionale della quale fa parte la proprietà fondiaria. Finché devo ancora occuparmi della fabbricazione della locomotiva, il processo dell’economia nazionale in cui avviene la fabbricazione della locomotiva devo giudicarlo in modo diverso da quando la locomotiva è pronta. Quando la locomotiva [come mezzo di produzione già pronto] sta sulle rotaie e viene mossa dagli uomini per l’ulteriore produzione, nel processo dell’economia nazionale essa si colloca nella stessa categoria della proprietà fondiaria. Per questo motivo è difficile fare distinzioni: per il fatto che oggettivamente il mezzo di produzione già pronto appartiene alla stessa categoria della proprietà fondiaria. L’essenziale è quanto si deve impiegare in termini di lavoro per fare un mezzo di produzione, e questo va ad aggiungersi ai mezzi di produzione, mentre alla proprietà fondiaria manca. Naturalmente, ciò dipende da quanto segue. Se la proprietà fondiaria fosse elastica, la si potrebbe accrescere, e allora essa dovrebbe o crescere da sola, oppure dovrebbero produrla gli uomini. Ma non voglio discutere oltre su questa domanda. Il fatto che la proprietà fondiaria abbia una determinata dimensione la distingue appunto dai mezzi di produzione. Essa può soltanto essere utilizzata in modo più o meno intensivo, il che la torna di nuovo a far assomigliare ai mezzi di produzione.
Ora, naturalmente, bisogna prendere in considerazione il terzo settore, la merce vera e propria. Il suo aspetto caratteristico e che essa viene consumata. Questo, nel processo dell’economia nazionale, la rende qualcosa di sostanzialmente diverso dai mezzi di produzione, i quali non vengono consumati direttamente, ma vengono solo logorati. In tal modo però la merce è a sua volta qualcosa di diverso dalla proprietà fondiaria, la quale serve anch’essa altrettanto poco al consumo, ma che al massimo deve essere ammigliorata, ecc.
In questo modo queste tre cose devono essere distinte come sostanzialmente diverse nel processo dell’economia nazionale: 1. la proprietà fondiaria, che [esiste], senza che vi sia stato applicato il lavoro umano; 2. il mezzo di produzione, che inizia quando viene impiegato il lavoro umano; entrambi – la proprietà fondiaria e i mezzi di produzione – non sono per l’utilizzo diretto; 3. la merce, che è per il consumo diretto.
Però, vedete, le cose sono messe in modo che il tutto è anche una questione temporale. Perché nel momento in cui riflettete sul fatto che i mezzi di produzione, come per esempio le macchine, in un determinato tempo si usurano, in quel momento i mezzi di produzione vi appaiono come merci – solo che sono merci che appunto hanno bisogno di un tempo più lungo per essere consumate. Se nella vita si fanno distinzioni, queste distinzioni hanno la caratteristica di essere massimamente scomode; non sono mai tali per cui possano essere suddivise in modo tassativo. In queste questioni bisogna rimanere in movimento. Infatti, nella realtà, i mezzi di produzione hanno in un certo senso anche carattere di merce. Tale carattere di merce, come lo possono avere i mezzi di produzione, la proprietà fondiaria non ce l’ha nello stesso modo, motivo per cui qui bisogna di nuovo fare una più severa distinzione. Nel caso della proprietà fondiaria è proprio una stupidaggine, dotarla del carattere di merce da punti di vista puramente finanziario-capitalistici. Perciò, vedete, se si applica qualcosa nella realtà, non si deve attenersi a concetti astratti. Questo è precisamente qualcosa che potrebbe creare opposizione in chi legge i “Punti essenziali della questione sociale”: la gente vorrebbe avere dei concetti ben imballati ciascuno nella sua scatola. Soltanto così trova bello quello che legge; certamente in quel caso, dopo aver letto una mezza pagina, si sa che cosa si ha letto. Nella realtà però un mezzo di produzione lo si capisce soltanto sapendo che in un primo tempo non si consuma, ma se si prende in considerazione un arco di tempo più lungo, è uguale a una merce. Bisogna quindi riflettere sul fatto che il mezzo di produzione ha sia la caratteristica di essere consumato, sia quella di non essere consumato e il concetto deve corrispondere a questo.
Bisogna avere dei concetti in movimento. La gente oggi non li vuole; vuole avere dei concetti imballati in scatole. Non vuole affatto pensare fino al punto di raggiungere la realtà. Altrimenti non succederebbe affatto che qualcuno venisse a dire: “L’antroposofia mi piace moltissimo, ma non voglio saperne nulla della tripartizione”. Chi parla così assomiglia più o meno a uno che dice: “Certo, che sono interessato allo spirituale, ma questo spirituale non deve estendersi alla politica; questo spirituale deve essere indipendente dalla politica”. Certo, miei cari amici, è proprio quello che vuole raggiungere la tripartizione. Ma poiché lo spirituale oggi non è mai indipendente, è un’illusione, da pare vostra, credere di potervi interessare soltanto allo spirituale. Affinché il vostro ideale astratto possa diventare concreto, affinché voi abbiate qualcosa di cui possiate interessarvi, senza che questo qualcosa sia influenzato dalla politica, la tripartizione deve prima conquistarselo, un tale settore, in modo che ci sia un ambito nel quale non sia necessario occuparsi di politica. La tripartizione lotta proprio per ciò in cui le anime addormentate vogliono sentirsi a loro agio, ma che hanno davanti a sé solo come illusione. Queste anime dormienti, – oh, sarebbe così bello svegliarle! – si sentono così tremendamente bene, nel loro intimo misticismo, quando colgono tutto il mondo nella propria interiorità, quando scoprono di avere Dio nell’anima e diventano persone tanto perfette! Ma questa interiorità ha valore soltanto se penetra nella vita. Vorrei sapere che valore ha se ora, in un’epoca in cui tutto incalza, in cui il mondo è in fiamme, l’uomo non trova la via per partecipare nelle occasioni pubbliche. Questo è un bell’interesse per l’antroposofia, che vuole interessarsi solo all’antroposofia e non trova una sola volta la possibilità di partecipare a ciò che l’antroposofia vuole stimolare. Quegli antroposofi che vogliono interessarsi solo all’antroposofia e non a ciò che l’antroposofia può diventare nei confronti della vita assomigliano a chi è caritatevole solo con la bocca, ma che per il resto fa in fretta a chiudere le tasche quando dovrebbe essere caritatevole sul serio. Perciò quello che si trova nelle persone che vogliono interessarsi all’antroposofia solo a modo loro sono chiacchiere antroposofiche. La realtà dell’antroposofia è invece ciò che si trasmette alla vita.
In conclusione ha luogo un dibattito sul futuro lavoro per la tripartizione con i dirigenti dei gruppi locali. Ci sono tre domande fondamentali che sorgono nella discussione. In primo luogo: si può giungere a compromessi? In secondo luogo: si dovrebbe prender parte alle elezioni? In terzo luogo: in quale forma si dovrebbe fare la propaganda per la tripartizione? Paul Kretschmar, di Colonia, sostiene che bisognerebbe cercare di avere un’influenza sulla commissione interna attuale e sul parlamento. I giornali, in questo senso, giocherebbero un ruolo non irrilevante. Perciò bisognerebbe organizzare una specie di ufficio stampa, per pubblicare articoli in riviste specializzate. Sarebbe importante anche la formazione di oratori competenti; questi dovrebbero potersi appoggiare ad una specie di abbecedario di tripartizione – in modo simile a Damaschke con la pubblicazione del suo abbecedario del terreno. La fondazione di una casa editrice propria sarebbe altrettanto necessaria per puntellare efficacemente la propaganda del giornale. In fondo sarebbe da prendere in considerazione perfino una partecipazione alle elezioni.
Herr Klug, anch’egli di Colonia, al contrario, mette in guardia da una partecipazione alle elezioni del tutto indipendente. In ogni caso sarebbe discutibile se si possa procedere unendosi ad altri partiti indipendenti. Inoltre si dovrebbe assolutamente discutere se non si possano costituire associazioni di consumatori.
Hermann Heisler ritiene che in realtà dovrebbe veramente esserci una specie di ‘catechismo di tripartizione’; questo dovrebbe dare il filo conduttore per come la tripartizione si inserisca nella vita pratica, soprattutto nella vita economica. Nella situazione attuale si porrebbero soprattutto tre domande. La prima: come potrebbe la tripartizione, se venisse realmente realizzata in Europa centrale, contrastare la carestia che dobbiamo aspettarci in Europa? Secondo: quale obiettivo deve essere dato, adesso, alla classe operaia? Terzo: in che misura è lecito andare nelle manifestazioni dei partiti politici e professarsi a favore delle finalità della tripartizione?
Siegfried Dorfner è convinto che il miglior mezzo per la propaganda per la tripartizione sia quello di uscire dal partito.
Walter Conradt crede, per quanto riguarda l’influenza della stampa, che si debba partire dal fatto che nella parte avversa è subentrata una decentralizzazione delle opinioni. Per quanto riguarda invece l’influenza del partito proletario, gli eventi degli ultimi anni avrebbero mostrato, soprattutto in rapporto alla «Missione del manifesto», che il proletariato da un anno sia per così dire «andato in confusione», che quindi in un primo momento non si possa più contare su di esso.
Richard Seebohm ritiene che sia già successo che un giornale si sia occupato di singole questioni, ma che non si debba dimenticare che, anche se il controllo governativo adesso è stato abolito, tuttavia i giornali sono oppressi dall’industria. E non si dovrebbe nemmeno tralasciare il fatto che infine ci sono anche membri della tripartizione che non vogliono avere nulla a che vedere con l’antroposofia. Su queste basi sarebbe importante sostenere il giornale di tripartizione già esistente.
Paul Kretschmar cita di «Generalanzeiger» di Colonia, al quale sicuramente potrebbero essere sottoposti anche articoli sulla tripartizione.
Ernst Uehli cita un amico straniero che gli avrebbe confermato che non si possa ottenere l’adesione della stampa per grandi idee; in generale si potrebbe affermare
che l’idea della tripartizione nei giornali verrebbe molto criticata. Lottare per la vera ‘umanità’ e la stampa sono due cose che non vanno insieme, come ha già affermato il filosofo tedesco Karl Christian Planck.
Emil Molt richiama l’attenzione sul fatto che da parte della confederazione per la tripartizione è stato previsto un corso per oratori* guidato da Rudolf Steiner.
Alla fine del dibattito, Rudolf Steiner viene pregato di prendere posizione riguardo alle questioni emerse, nonostante sia già tardi.
Rudolf Steiner: Miei stimatissimi convenuti! Per prima cosa vorrei dire soltanto che sarò costretto ad essere breve, e vi prego di tenerne veramente conto. Dunque, non è possibile affrontare in modo esauriente le singole questioni che avete proposto. Forse riusciremo a farlo la prossima volta. Vogliamo partire da quella che è la questione relativamente più importante: Come agirebbe la tripartizione nella carestia che sta per colpire l’Europa centrale?
Anche se a qualcuno sembrerà strano, vorrei dire che dietro questa domanda se ne nasconde un’altra, tutta diversa, che rende difficile dare una risposta. Ma così, in generale, per questa domanda deve valere quanto segue. Nevvero, diciamo, dieci anni fa, nel mondo non c’era quella che oggi si chiama carestia, in ogni caso non c’era quella che può arrivare come carestia nel prossimo futuro e verosimilmente, dato che le anime dormono, finirà per arrivare. Ma bisogna proprio fare le seguenti riflessioni, per quanto semplici e primitive possano apparire: qui sulla Terra non ci sono meno materie prime che dieci anni fa; non ci sono meno campi che dieci anni fa; e in sostanza non c’è neanche meno forza lavoro umana di dieci anni fa – nella guerra se ne sono andati milioni, certo, ma non solo di produttori, bensì anche di consumatori. Quindi, in generale, le cose stanno, per le possibilità economiche, per le condizioni economiche, esattamente come dieci anni fa.
Era forse otto settimane fa, che sui giornali circolava una lettera scritta dal noto politico, il russo Pëtr Kropotkin, in cui egli dava due importanti comunicazioni. La prima è che adesso sta lavorando ad una etica – è interessante, che ora egli cominci a scrivere un’etica. L’altra comunicazione è che adesso ci sarebbe soltanto una possibilità, e cioè che l’occidente consegni dei generi alimentari alla Russia, che venga consegnato del pane. È ovviamente la cosa più semplice, quando non c’è pane, di prenderlo là dove appunto ce n’è. Ora, anche altre persone hanno, a volte, punti di vista del genere. Quattordici giorni fa ho ricevuto una lettera da un avvocato e notaio della Germania centrale. La lettera suonava molto avvocatesca e notarile, perché era sfacciata e stupida. Ma vi era scritto anche che adesso con certi idealismi non si riuscirebbe a tirar fuori un cane da dietro la stufa, che si tratterebbe di lottare per un tozzo di pane. Ora, vedete, tutto ciò che io vi ho appunto spiegato non riflette le cose più semplici e primitive. Infatti, chi ci riflette, saprà che si tratta soltanto di portare gli uomini ad una organizzazione tale per cui dalle premesse esistenti adesso come dieci anni fa si possa prendere in mano la situazione e che lo si faccia. Questo ovviamente non succederà se le persone vengono liquidate o con ciò che pensano i vecchi «Czernine» in termini di saggezza nazionale o popolare, o i vecchi «Bethmänner», scritto con l’acca o senza acca, e nemmeno con ciò che i vecchi social-democratici, questa specie particolare di «Beth-männern al negativo», stimolano; bensì si tratta del fatto che alle persone vengano nuovamente dati degli scopi, che esse vedano che noi lavoriamo su questo. E questo può appunto essere dato attraverso il movimento per la tripartizione. Si tratta del fatto che non si dica quello che oggi dicono in molti, anche se è sicuramente relativamente giusto: non ci sarà nessuna carestia, oppure noi potremo superarla, se le persone riprendono a lavorare. Certo, se! Ma se le persone hanno in mente quella condizione disperata del lavoro che risulta dai vecchi programmi e dalle vecchie macchinazioni, non vogliono lavorare. Ma si porti all’umanità qualcosa che infiammi, in modo che le persone vedano davanti a sé qualcosa che le possa condurre ad un’esistenza degna dell’essere umano, [allora esse vorranno lavorare], e allora potrà essere prodotto anche il pane. Questa è una condizione fondamentale importante per la produzione del pane: la fiducia nell’umanità. Se noi non otteniamo questa fiducia, allora la carestia verrà di sicuro. Affinché, però, sorga la fiducia, è necessaria la tripartizione. Ora, in questo contesto, posso soltanto accennarvene. Ma se voi seguite questo pensiero, vedrete che la carestia può perfino essere sostanzialmente prevenuta solo per mezzo della diffusione della tripartizione. Comunque c’è una necessità: che questa idea della tripartizione prima di tutto attecchisca in quante più teste possibile, in modo che queste teste non caschino in ogni possibile cosa che non è altro che la prosecuzione del vecchio sistema. Questa prosecuzione del vecchio sistema si diffonde molto, davvero molto – solo in una forma apparentemente nuova. Perché, vedete, per certi versi oggi è così, come se le personalità leader si fossero assunte il compito di provocare la carestia. Oggi tutto, proprio tutto, aumenta di prezzo in modo fantasmagorico. Ma i prezzi hanno un senso solo se sono relativi l’uno all’altro. Oggi i prezzi dei generi alimentari più importanti vengono tenuti artificialmente bassi. Non voglio dire che dovrebbero aumentare, ma non devono essere sproporzionati ai prezzi delle altre cose. Questa sproporzione impedisce che, ancora in un qualche modo, ci si voglia affrettare a produrre prodotti grezzi, generi alimentari. La creazione di una carestia in questo modo è diventata proprio un provvedimento governativo. È una cosa che va capita bene. In secondo luogo bisogna sottolineare che comunque questa è una questione internazionale e bisogna chiedersi:
In Europa centrale è possibile, solo introducendo la tripartizione (o in qualunque altro modo la si voglia chiamare), raggiungere qualcosa?
A questo proposito devo richiamare l’attenzione su quanto ho scritto nel periodico di tripartizione, e precisamente sempre di nuovo e ancora di nuovo a partire dai più diversi punti di vista: se soltanto si raccogliesse veramente il coraggio di diffondere la tripartizione, anche nelle condizioni peggiori, anche in una carestia, funzionerebbe, se gli uomini delle regioni occidentali o orientali potessero vedere in noi qualcosa di positivo.
Così, oggi il mondo ha ancora la stessa visuale che aveva nel 1916, quando è stata emanata nel mondo l’offerta di pace, che offriva a tutti frasi fatte su frasi fatte, ma nulla di concreto. Si verifichi tuttavia una buona volta come andrebbero le cose nella vita internazionale, se ci si presentasse con qualcosa che ha come mano e piede, che ha sostanza e contenuto come l’idea della tripartizione dell’organismo sociale. Attualmente si vede come per esempio proprio gli uomini di Stato inglesi di settimana in settimana abbiano sempre più paura di quanto avviene qui, in questa Germania. Per loro è qualcosa di massimamente sconosciuto. E poiché non possono trarne nulla di giusto, devono affrontare la paura che qui possa sorgere perfino un bolscevismo peggiore che in Russia.
Ma se conoscessero in modo più preciso Bauer, Ebert e Noske, questo sarebbe perfino un buon sistema per far passare loro la paura. Infatti la verità è questa: che qui non succede niente, che in realtà passa un mese dopo l’altro senza che succeda proprio niente. Si faccia una verifica, che aspetto assumerebbero le cose nella vita internazionale, se proprio l’Europa centrale immettesse nel mondo qualcosa di sostanziale. Soltanto avendo le idee chiare su queste cose si può affrontare una questione come quella di come funzionerà la tripartizione nella carestia che sta avanzando; in relazione a tutto il resto questa non è una domanda. È proprio vero che solo e unicamente la tripartizione è in grado di mettere in atto un’organizzazione tale per cui si lavorerà di nuovo e di nuovo ci sarà fiducia. Allora la carestia potrà essere evitata.
Per agire a livello internazionale, l’idea della tripartizione deve però attecchire in modo efficace nelle teste. Allora io non mi preoccuperei che possa non funzionare nel commercio internazionale. Finché si agisce soltanto per sciovinismo, non si raggiungerà alcun successo. Se qui, in Europa centrale, si inventasse qualcosa di significativo, questo qualcosa diventerebbe valido anche a livello internazionale. Se qui attecchiscono idee sane, le barriere internazionali cadranno da sé; infatti gli uomini agiscono sicuramente secondo il proprio interesse e traggono profitto come possono. E vorrei ancora accennarvi qualcosa a proposito della questione del giornale: non vorrei contestare che di tutte le cose che sono state dette, alcune sono più importanti. E sarà meritevole, se l’uno o l’altro degli amici qua o là piazza un articolo in un qualche giornale. Ma a questo riguardo la cosa più essenziale rimane il fatto che andando ad infilarsi negli altri giornali si può raggiungere tanto poco, quanto andando ad infilarsi nei partiti. Lo si può fare, ma in realtà è la stessa cosa, solo in un altro colore. Non lo biasimo, sono del tutto d’accordo, che succeda. La cosa positiva, però, sarebbe che gli amici diffondessero il più possibile il nostro periodico per la tripartizione. Potete dire: “Bello, però i giornali nei quali vogliamo inserire gli articoli la gente li ha; al periodico per la tripartizione devono abbonarsi”. Devono appunto abbonarsi. Tutti non lo faranno, ma un certo numero lo farà. Poi potremo procedere a trasformare il periodico per la tripartizione in un quotidiano. Soltanto dopo potremo inserire tutti gli articoli che vorremo; allora sarà efficace. Quindi si tratta di lavorare così tanto per il periodico di tripartizione, che adesso è ancora soltanto un settimanale, che proprio grazie alla sua resa, questo periodico possa essere trasformato in un quotidiano. Allora non avremo bisogno di ‘infilarci’ dagli altri; di questo si tratta. Perché non dovrebbe essere possibile posare sulle sue gambe una cosa di importanza così colossale?
Poi sono state indicate ancora diverse altre cose. Riguardo alla partecipazione alle elezioni, vorrei dire solo quanto segue: ovviamente, in astratto si può assolutamente dire che prender parte alle elezioni ed entrare in parlamento e agire da là, insospettirebbe lo Stato attuale. – Questo non lo si può dire così senz’altro. Non voglio pronunciarmi una volta così fortemente pro o contro; dipende dalle diverse circostanze concrete, se si partecipa alle elezioni o no. Ma se si capisce in modo rigoroso la tripartizione, in linea di principio non è del tutto giusto, non prender posto in parlamento. Ciò che è giusto in linea di principio, pensato in modo consequenziale nel senso della tripartizione, sarebbe: prender parte alle elezioni, che si facciano votare tutti quelli che possono essere votati, entrare in parlamento e fare ostruzione per tutte le questioni che riguardano la vita spirituale e la vita economica. Questo sarebbe pensato in modo consequenziale nel senso della tripartizione. Si tratta di separare la parte intermedia, la vita dello Stato. Essa può essere tirata fuori solo se le altre due vengono spostate a sinistra e a destra. Questo non lo si può fare altrimenti che facendosi veramente votare, entrando e facendo ostruzione a tutto ciò che viene trattato e deciso sul settore della vita spirituale e di quella economica. Questo sarebbe pensato in modo consequenziale nel senso della tripartizione dell’organismo sociale. Questa è un’idea che deve essere pensata in modo consequenziale e anche che può essere pensata in modo consequenziale in rapporto alle circostanze concrete, perché essa è scaturita dalla realtà. – Questo è quello che ci sarebbe da dire in merito alle questioni più importanti.
In merito al nuovo obiettivo che adesso si dovrebbe dare agli operai, devo dire che, dopo le esperienze con i consigli di fabbrica, per me è più una questione accademica. La questione deve essere trattata diversamente; [bisogna chiedersi], se sia anche il caso, di dare un tale obiettivo. È stata sollevata la questione dei consigli di fabbrica. Ci si è dati da fare il più possibile e si è cercato dappertutto di incentivare i consigli di fabbrica. Gli operai hanno promesso tutto il possibile e non hanno mantenuto niente. In un primo momento si sono presentati alle riunioni, poi ne sono rimasti fuori. E questo tornerebbe a succedere con i prossimi nuovi obiettivi che volessimo portare alle attuali organizzazioni operaie.
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