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OO 337a - Idee sociali – realtà sociale – prassi sociale – Vol. I



SERATE DI STUDIO DELLA LEGA PER LA TRIPARTIZIONE DELL'ORGANISMO SOCIALE
Prima serata di studio [1]

IndietroAvanti

Stoccarda, 30 luglio 1919



La storia del movimento sociale



Rudolf Steiner: Cari e stimatissimi convenuti! Stasera in realtà non voglio dare delle anticipazioni su quanto affronteremo nelle serate dedicate allo studio ricollegandoci al libro “I punti essenziali della questione sociale”, bensì cercherò di dare una sorta di introduzione, appunto, a tali serate. Con questa introduzione spero invece di riuscire a suscitare in voi un sentimento riguardo ai punti di vista che stanno alla base, appunto, di questo libro. Innanzitutto, esso è stato scritto a partire dall’immediato presente, dalla convinzione che anche la questione sociale abbia assunto una nuova configurazione a seguito degli ultimi eventi e che al giorno d’oggi sia necessario parlare della questione sociale in un modo totalmente diverso da come se ne è parlato, da qualsiasi angolatura, prima della catastrofe bellica della guerra mondiale. Con questo libro, in un certo senso, si è fatto un tentativo: in questo preciso momento dell’evoluzione umana, in cui la questione sociale si fa sempre più pressante e in cui in realtà chiunque partecipi alla vita in modo consapevole, chiunque non prenda parte alla vita umana intorpidito dal sonno o addirittura dormendo, ormai dovrebbe sapere più o meno che cosa debba succedere riguardo a quella che viene comunemente chiamata ‘la questione sociale’. Su questo punto, forse, è davvero opportuno che oggi, per prima cosa, diamo uno sguardo al passato. Forse quindi parlerò di cose che in parte conoscete già, anche se in realtà le osserveremo sotto una luce un po’ diversa da come è stato fatto finora.

Probabilmente sapete già che quando, oggi, si parla della questione sociale, si ripetono le stesse cose che si dicono già da parecchio tempo. E ancora oggi si citano i nomi di Proudhon, Fourier, Louis Blanc per indicare i primi che, fino alla metà del secolo XIX, si sono occupati della questione sociale. E sicuramente sapete già anche che gli odierni sostenitori, o almeno molti degli odierni sostenitori, della questione sociale, per il modo in cui la questione sociale è stata trattata fino alla metà del secolo XIX, chiamano quell’epoca “l’epoca delle utopie sociali”. è bene avere le idee chiare su che cosa si intenda realmente quando si dice che, nella sua prima fase, la questione sociale si è presentata in una maniera tale da collocarsi nella “epoca delle utopie”. Ma non si può parlare di queste cose in senso assoluto, bensì bisogna parlarne, in realtà, soltanto a partire dai sentimenti che hanno i sostenitori della questione sociale del presente. Ora vi descrivo qual è il loro modo di sentire: essi hanno il sentimento che tutti i problemi sociali emersi nell’epoca della quale tratterò per prima fossero nella fase utopistica. E che cosa capisce la gente, quando essi dicono che a quell’epoca la questione sociale era nella fase utopistica? Capisce (e lo si è già notato anche allora, Saint-Simon e Fourier se ne sono accorti molto chiaramente) che qui abbiamo, anche dopo la Rivoluzione Francese, delle persone, appartenenti ad una certa minoranza sociale che sono in possesso dei mezzi di produzione e anche di altri beni dell’umanità, e che da quest’altra parte c’è un grande numero di altre persone (anzi, questa è la maggioranza) che non sono in possesso di tali cose. Queste persone possono lavorare coi mezzi di produzione soltanto mettendosi a servizio di coloro che, appunto, possiedono i mezzi di produzione e anche il terreno – questi in sostanza non hanno nient’altro che se stessi e la propria forza lavoro. Si è notato che la vita di questa grande massa dell’umanità è un’angustia, che la loro vita trascorre prevalentemente in povertà, al contrario degli altri, che fanno parte della minoranza; ed è stata richiamata l’attenzione sulle condizioni della minoranza e su quelle della maggioranza.

Coloro che, dunque, come Saint-Simon e Fourier e anche come Proudhon, hanno scritto a proposito di questa condizione sociale dell’umanità sono partiti da una certa premessa. Sono partiti dalla premessa che fosse necessario far notare agli uomini: “Vedete, la grande massa vive in miseria, in uno stato di mancanza di libertà, di subordinazione economica, e questa, per la grande massa, non è un’esistenza degna dell’essere umano. Le cose devono cambiare”. E così si è escogitato di tutto e di più per trovare un modo per cambiare questo stato di disuguaglianza fra gli uomini. Ma c’era sempre una data premessa, e questa premessa era che ci si diceva: “Se si sa su che cosa si basa tale disuguaglianza e se si trovano le parole giuste, se si ha abbastanza coscienza morale per richiamare l’attenzione sul fatto che la maggioranza degli esseri umani vive in uno stato di subordinazione economica e giuridica e anche di indigenza, questo discorso scuoterà i cuori, le anime, della minoranza, dei benestanti, dei più fortunati. E per il fatto che questa minoranza capirà che le cose non possono rimanere così, che bisogna cambiare le cose, verrà fuori un altro ordine sociale, si imposterà un altro ordine sociale”. Dunque la premessa era che gli uomini si sarebbero prestati, partendo dal più profondo impulso dell’anima, a fare qualcosa per la liberazione della grande massa dell’umanità. E poi si proponeva che cosa si sarebbe dovuto fare. E si credeva che se la minoranza, se gli uomini che erano alla guida, i leaders, avessero capito che era giusto quanto si voleva fare, sarebbe stato apportato un miglioramento generale delle condizioni dell’umanità.

Sono state dette molte cose straordinariamente intelligenti da questa parte, soltanto che tutto ciò che è stato intrapreso in questa direzione oggi viene percepito dalla gran parte dei sostenitori della questione sociale come utopistico. Cioè, oggi non si conta più sul fatto di dover dire: “Il mondo andrebbe organizzato nel tal modo, così la disuguaglianza economica, e politica, e giuridica fra gli esseri umani avrebbe fine”. Al giorno d’oggi non serve a nulla appellarsi all’intelligenza, alla capacità di capire, delle persone che sono più fortunate, delle persone privilegiate che sono in possesso dei mezzi di produzione e cose del genere. Se dovessi esprimere ciò che è andato perduto nel corso della seconda metà del secolo XIX, dovrei dire: è andata perduta la fiducia nella ragione e nella buona volontà degli esseri umani. è per questo motivo che i sostenitori della questione sociale dei quali sto parlando si dicono: “Escogitare dei bei piani su come bisognerebbe impostare le cose nel mondo umano è ben possibile, ma non ne viene fuori nulla, perché per quanto belli siano i piani che vengono predicati, per quanto toccanti siano le parole con le quali si fa appello ai cuori, alle anime delle minoranze dirigenti, non succederà comunque un bel niente. Tutte queste idee non hanno alcun valore, e le idee senza valore che descrivono il futuro, in realtà, detto in modo popolare, sono per l’appunto utopie. Pertanto non è assolutamente di alcuna utilità – dicono – descrivere un qualche cosa che dovrebbe succedere in futuro, perché non ci sarà mai nessuno che rinuncerà ai propri interessi, che potrà essere toccato dalla sua stessa coscienza, dalla sua visione morale, ecc .” – Nelle cerchie più vaste, e cioè fra i sostenitori della questione sociale, la fiducia nella coscienza e nella concezione morale sono appunto andate perdute.

Ci si dice che le persone non agiscono affatto sulla base di quanto hanno capito, per quanto riguarda le istituzioni sociali o mentre stanno vivendo la loro vita sociale: agiscono secondo il proprio interesse. E gli abbienti ovviamente hanno un interesse a mantenere le loro proprietà. Coloro che sono socialmente privilegiati hanno un interesse a conservare i propri privilegi sociali. Perciò è un’illusione, contare sul fatto che basti dire che si dovrebbe fare questo o quello. Infatti, appunto, non lo fanno, perché non agiscono in base al ragionamento, bensì in base al proprio interesse.

Nel senso più ampio, si può dire, a poco a poco (ma veramente solo a poco a poco) Karl Marx ha riconosciuto questo punto di vista. Nella vita di Karl Marx si possono descrivere veramente parecchie fasi. Nella giovinezza, Marx fu anche un pensatore idealista e pensò, anche nel senso che ho appunto caratterizzato, alla realizzazione delle utopie. Ma fu proprio lui, e dopo di lui anche il suo amico Engels, a dissociarsi nel modo più estremo da questo far affidamento alla capacità di comprensione delle persone. E se caratterizzo in generale quella che in realtà è una grande storia, posso dire: Karl Marx alla fine ha maturato la convinzione che nel mondo le cose non possano migliorare altrimenti che facendo appello a quelle persone che non hanno un interesse a conservare i propri beni e i propri privilegi. Non si può assolutamente badare a coloro che hanno un interesse a conservare per sé i propri beni, anzi, bisogna non tenerne affatto conto, perché in qualche modo non acconsentiranno mai ad aderire a nessuna delle prediche che ricevono, per quanto belle esse siano. D’altra parte c’è proprio la grande massa dei proletari [che non hanno alcun bene da perdere]. Karl Marx stesso fece sua questa convinzione all’epoca in cui in Europa centrale iniziò a formarsi in nuce quello che oggi si chiama ‘proletariato’; egli vide come, in Europa centrale, il proletariato fosse sorto da altri contesti economici. Quando poi andò a vivere in Inghilterra, là la situazione era un po’ diversa. Ma all’epoca in cui Karl Marx passò dagli idealisti ai materialisti economici, in realtà in Europa centrale si era ancora appena alla nascita del proletariato. Ed egli si disse: “Questo proletariato moderno ha proprio interessi molto diversi rispetto a quelli della minoranza che dirige, che guida, perché consiste di uomini che non possiedono nient’altro che la propria forza lavorativa, di uomini che non hanno altro sostentamento, per vivere, che quello di mettersi a servizio degli abbienti, cioè di mettersi a servizio di coloro che possiedono i mezzi di produzione. Se questi operai lasciano il proprio lavoro, rimangono (il che quella volta valeva nel senso più assoluto) letteralmente per strada. Non hanno davanti a sé nient’altro che la possibilità di una corvée per quelli che possiedono i mezzi di produzione. Questi uomini hanno un interesse molto diverso da quello degli abbienti. Essi hanno interesse a che tutto l’ordine sociale precedente abbia fine, a trasformare questo ordine sociale. A loro non serve predicare in modo da stimolare la loro capacità di pensiero, ma soltanto in modo da stimolare il loro egoismo, il loro interesse. A questo ci si può affidare. Far prediche a coloro per affidarsi ai quali bisognerebbe contare sulla comprensione non serve proprio a nulla, perché gli uomini non agiscono in base alla propria capacità di pensare, bensì in base ai propri interessi. Dunque, non ci si può rivolgere a quelli per i quali bisognerebbe far leva sull’intelletto, bensì agli interessi di quelli che non possono far altro che iniziare una nuova epoca partendo proprio da una forza interiore. Tale forza interiore, che infine Karl Marx ha trovato, è l’egoismo. Perciò egli non credette più che l’umanità sarebbe stata in grado di compiere quel passo in avanti verso nuovi condizioni sociali se non, appunto, grazie alle azioni del proletariato stesso. Il proletariato poteva, così pensava Karl Marx, aspirare ad un rinnovamento delle condizioni sociali umane soltanto a partire dai propri interessi, dai propri interessi del tutto egoistici. E così il proletariato libererà (ma ora non per benevolenza umana, bensì per interessi egoistici) anche tutto il resto dell’umanità, perché non ha altro da offrire che ciò che producono gli uomini che non rimangono attaccati ai vecchi beni e che con il cambiamento non hanno alcun vecchio bene da perdere.

Ci si dice dunque: “Da questa parte, qui, ci sono le cerchie dei dirigenti, dei leaders, essi hanno certi diritti che sono stati loro conferiti in tempi precedenti, o che in tempi precedenti hanno acquisito, e ai quali sono tenacemente attaccati. Queste cerchie di dirigenti, di leaders, sono in possesso di questo o di quello, se lo passano in eredità all’interno della loro cerchia, della loro famiglia, e così via. Queste cerchie, se c’è un cambiamento, hanno sempre da perdere, per il semplice fatto che, se non perdessero niente, non avverrebbe appunto alcun cambiamento. Si tratta proprio del fatto che coloro che non possiedono nulla dovrebbero ricevere qualcosa, perciò quelli che hanno qualcosa non possono che perderla. Quindi si potrebbe fare appello alla comprensione soltanto se tale capacità di comprensione della classe degli abbienti, dei dirigenti, apportasse l’impulso a voler perdere qualcosa. Ma loro non accondiscendono”. Così vedeva le cose Karl Marx. Perciò bisogna fare appello a quelli che non hanno niente da perdere. è per questo motivo che nel 1848 il “Manifesto comunista” si conclude con le seguenti parole: “I proletari non hanno altro da perdere, che le loro catene, ma hanno tutto da guadagnare. Proletari di tutto il mondo, unitevi!”

Ora, vedete, dal momento in cui fu pubblicato il manifesto comunista, questa è diventata in un certo senso una convinzione. E oggi, ché nella gran parte del proletariato vivono certi sentimenti che subiscono già l’influsso, appunto, di questo modo di vedere le cose, oggi non si riesce proprio più a rappresentarsi correttamente quale enorme cambiamento sia avvenuto nelle concezioni socialiste verso la metà del secolo XIX. Ma sarebbe bene che vi andaste a leggere qualcosa come il “Vangelo di un povero peccatore” di Weitling, un garzone, che è stato scritto non molto prima del manifesto comunista, e che poi lo confrontaste con tutto ciò che è stato scritto dopo la pubblicazione del manifesto comunista. In questo “Vangelo di un povero peccatore”, ispirato da un sentimento schiettamente proletario, predomina un linguaggio, si potrebbe dire, in un certo senso perfino poetico, ardente, ma in tutto e per tutto un linguaggio che vuole fare appello alla buona volontà, alla comprensione degli uomini. è convinzione di Weitling che con la buona volontà degli esseri umani si possa intraprendere qualcosa. E tale convinzione è sparita solo verso la metà del XIX secolo. E l’atto che ne ha provocato la sparizione è appunto la pubblicazione del manifesto comunista. E da quel momento, dal 1848, in realtà possiamo seguire quella che oggi chiamiamo ‘la questione sociale’. Infatti se noi, oggi, volessimo parlare come Saint-Simon, come Fourier, come Weitling – ecco, ci troveremmo veramente a predicare ai sordi. Infatti, fino ad un certo grado, è del tutto giusto che nella questione sociale non si possa intraprendere nulla, appellandosi alla comprensione delle cerchie dei dirigenti, dei leaders, che hanno qualcosa. è così. Le cerchie dei dirigenti, dei leaders, non hanno veramente mai rinunciato, non rinunceranno nemmeno oggi – non hanno la minima idea di farlo, perché qui nell’anima umana le forze incoscienti giocano un ruolo straordinariamente importante.

Vedete, nel corso del XIX secolo la nostra cultura spirituale è diventata del tutto frase fatta. E il fatto che riguardo alla cultura spirituale viviamo nella frase fatta è un dato di fatto molto più importante di quanto comunemente si pensi. E così, i membri delle cerchie dei dirigenti, dei leaders, naturalmente pronunciano ogni tipo di belle parole anche sulla questione sociale e spesso essi stessi sono convinti di averla, la buona volontà. Ma in realtà lo credono e basta, è soltanto una loro illusione; nel momento in cui si pone realmente mano a qualcosa a questo riguardo, salta subito fuori che è un’illusione. Di questo parleremo ancora. Comunque, come ho detto, oggi non possiamo più parlare come si parlava al tempo delle utopie. Questa è la reale conquista raggiunta grazie a Karl Marx: il fatto che egli ha mostrato quanto l’umanità di oggi è impelagata nell’illusionismo, a tal segno che non ha senso contare su nient’altro che sull’egoismo. Bisogna una buona volta farci i conti; perciò non si può ottenere assolutamente niente se in qualche modo si vuole far leva sull’altruismo, sulla buona volontà, sulle basi morali degli esseri umani (dico sempre “in relazione alla questione sociale”). E questo cambiamento improvviso, che ci ha portati a dover parlare della questione sociale, ai giorni nostri, appunto in un modo totalmente diverso da come si poteva ancora parlarne, per esempio, nella prima metà del secolo XIX, questo cambiamento improvviso si è verificato appunto con il manifesto comunista. Però non si è verificato tutto in un colpo, ma era sempre ancora possibile che, anche dopo il manifesto comunista, e ancora fino agli anni Sessanta, come tutti saprete già (alcuni socialisti più giovani hanno già dimenticato quei tempi), era dunque ancora possibile che questo genere totalmente diverso di pensare sociale, il tipo di Ferdinand Lassalle, afferrasse i cuori, le anime. E anche dopo la morte di Lassalle, avvenuta nel 1864, è ancora continuato quello che era il socialismo di Lassalle. Lassal fa in tutto e per tutto parte di quegli uomini che, anche se l’altro modo di pensare si era già manifestato, contavano ancora sulla forza d’urto delle idee. Lassalle voleva senz’altro ancora scuotere gli uomini nella loro capacità di capire, soprattutto nella loro volontà sociale. Ma questa sfumatura lassaliana scemò sempre più mentre l’altra, la sfumatura marxista, che voleva far leva soltanto sugli interessi di quella parte della popolazione umana che possedeva solamente se stessa e la propria forza lavoro, prendeva sempre più piede. Però comunque non fu un passaggio così veloce. Tale maniera di pensare si sviluppò soltanto gradualmente nell’umanità.

Negli anni Sessanta, Settanta, e ancora anche negli anni Ottanta, di regola, chi faceva parte del proletariato o comunque faceva parte del gruppo di persone politicamente o socialmente subalterne (anche se non proprio proletarie) giudicava il proprio essere subalterno in senso morale, e giudicava in senso morale anche le cerchie non subalterne della popolazione umana. Stando alla loro coscienza, era cattiva volontà delle cerchie dei dirigenti, dei leaders della popolazione umana, il fatto di lasciare la grande massa dei proletari in uno stato subalterno, che li pagavano male ecc. Per esprimermi in modo banale, direi che negli anni Sessanta, Settanta e fino agli anni Ottanta, si produsse molta indignazione sociale e si parlava dal punto di vista dell’indignazione sociale. E solo più tardi, a metà degli anni Ottanta, avvenne realmente quel notevole cambiamento. Le personalità guida più importanti del movimento sociale negli anni Ottanta smisero definitivamente di affrontare la questione sociale a partire dall’indignazione morale. Fu proprio il periodo in cui erano grandi e più o meno ardevano ancora di fervore giovanile quei leaders sociali che voi, che siete più giovani, siete riusciti soltanto a veder morire: Adler, Pernerstorfer, Wilhelm Liebknecht, Auer, Bebel, Singer ecc. Questi vecchi leaders allora smisero sempre più, negli anni Ottanta, di predicare questo socialismo dell’indignazione. Vorrei esprimerlo in questo modo: questi leaders del socialismo stavano esprimendo il loro convincimento più profondo, quando all’epoca fecero passare il vecchio socialismo dell’indignazione alla nuova concezione socialista. Quello che vi sto dicendo non lo troverete in nessun libro sulla storia del socialismo. Ma chi ha vissuto quel periodo e vi ha partecipato sa che la gente, se era lasciata a se stessa, parlava così.

Immaginiamo che negli anni Ottanta questi leaders socialisti si fossero riuniti per discutere con altre persone dall’animo (puramente) borghese e immaginiamo che fosse presente anche un terzo tipo di persone: borghesi che erano idealisti e che speravano nel bene per tutti gli esseri umani, che fossero d’accordo di fare il bene per tutti gli esseri umani. In un caso del genere sarebbe potuto succedere che i borghesi spiegassero che ci sarebbe sempre dovuta essere gente povera e gente ricca, ecc., perché solo così si poteva salvaguardare la società umana. Poi forse si sarebbe levata la voce di uno di quelli che erano idealisti, che erano scandalizzati dal fatto che così tante persone dovessero vivere in povertà e come subalterni. Allora forse qualcuno avrebbe detto: “Certo, bisogna riuscire a far capire a questa gente abbiente, agli imprenditori, ai capitalisti, che devono rinunciare ai loro beni, che devono stabilire dei regolamenti che consentano alle grandi masse di cambiare la propria situazione” e altro del genere. Si sarebbero potuti tenere dei discorsi molto belli, di questo tenore. Poi, però, avrebbe alzato la voce qualcun altro, che in quel momento si era appena adattato al socialismo e al suo sviluppo, e avrebbe detto: “Ma che cosa andate dicendo! Ma siete proprio infantili! Tutto ciò è infantile, non ha alcun senso! I capitalisti, gli imprenditori, non sono altro che poveri diavoli che non sanno nient’altro che quello che è stato loro inculcato da generazioni. Anche se sentono dire che dovrebbero fare diversamente, non ci riescono affatto, perché non saprebbero nemmeno come farlo. Non entra loro nel cranio, che sia possibile fare qualcosa di diverso. Non si deve accusare, non si devono dare dei giudizi morali, queste persone non devono essere giudicate dal punto di vista morale; questi tizi, questi poveri diavoli, sono cresciuti in tutto un ambiente che ha loro instillato le idee che hanno. Giudicarli dal punto di vista morale significa non capire nulla delle leggi della crescita dell’essere umano, significa darsi alle illusioni. Queste persone non vorranno mai che il mondo assuma un’altra forma. Parlare di loro con sdegno è puro infantilismo. Le cose sono diventate così per necessità, e possono anche cambiare soltanto per necessità. Vedete, con questi tipi infantili, che credono di poter fare delle prediche agli abbienti, ai capitalisti, sul fatto che bisognerebbe tirare su un nuovo ordinamento del mondo, con questi tipetti infantili non si può far nulla; con loro non si riuscirà ad impostare alcun nuovo ordinamento del mondo; essi credono di poter accusare questi poveri diavoli di capitalisti perché in realtà dovrebbero fare un mondo diverso”. Devo esprimere tutto ciò in modo chiaro, perciò ho descritto tutto con contorni netti, ma certamente in un modo che rispecchia bene i discorsi che si sentivano fare dappertutto. Quando venivano scritti, venivano un po’ ritoccati, venivano scritti in modo leggermente diverso, ma questo è quello che c’era alla base. Poi continuavano: “Con questi tizi – ora parlano gli idealisti, che si raffigurano il mondo nel senso di una ideologia –, con questi non si può far nulla. Dobbiamo affidarci a quelli che non hanno niente, che quindi, proprio per interesse, vogliono qualcosa di diverso da quello che vogliono coloro che sono legati ai propri interessi capitalistici. E neanche questi aspireranno a un cambiamento delle condizioni di vita sulla base di un qualche principio morale, ma soltanto per cupidigia, per avere più di quanto hanno avuto finora, per avere un’esistenza autonoma”.

Negli anni Ottanta prendeva sempre più piede questo modo di pensare, di non concepire più il mondo nel senso che il singolo individuo sia particolarmente responsabile di quello che fa, bensì che egli fa quello che deve fare a seconda della sua situazione economica. Il capitalista, l’imprenditore, sfrutta gli altri nella massima innocenza. Chi è proletario non farà rivoluzioni per un principio morale, bensì, nella massima innocenza, a partire da una necessità umana e prenderà i mezzi di produzione, il capitale togliendoli di mano a quelli che appunto li hanno. Questo deve succedere come necessità storica. Sorse questo modo di pensare.

Ora, vedete, in realtà fu soltanto nell’anno 1891 al Congresso di Erfurt, che tutto il lassalianismo, che appunto si basava ancora sulla comprensione delle persone, passò alla fede nel cosiddetto “Programma di Erfurt”, che aveva lo scopo di fare del marxismo la concezione ufficiale del proletariato. Leggetevi bene i programmi di Gothaer, del Congresso del partito ad Eisenach: vi troverete due pretese, come pretese veramente proletarie di quei tempi, che sono ancora connesse con il lassallianismo. La prima pretesa era: l’abolizione del rapporto di salariato; la seconda esigenza era: l’uguaglianza politica di tutti gli uomini, l’abolizione di tutti i privilegi politici. Da queste due pretese procedevano tutte le pretese proletarie fino agli anni Novanta, fino al Congresso di partito di Erfurt, che portò il grande cambiamento. Osservate bene queste due pretese, e confrontatele con le pretese principali del Congresso di Erfurt. Quali sono, ora, le pretese principali del Congresso del partito di Erfurt? Sono: il trasferimento della proprietà privata di mezzi di produzione alla proprietà pubblica; l’amministrazione di tutta la produzione di beni, di tutta la produzione, attraverso una specie di grande cooperativa, cooperativa che il precedente Stato deve diventare. Confrontate il programma precedente, che era il programma proletario degli ani Ottanta, con quello che è stato portato avanti dal programma di Erfurt e che esiste dagli anni Novanta. Vedrete che nei programmi di Gothaer e Eisenach le pretese del socialismo sono ancora pretese prettamente umane: l’uguaglianza politica di tutti gli uomini, l’abolizione dei rapporti di salariato umilianti. Ha già avuto effetto quello che vi ho caratterizzato come l’atteggiamento interiore sorto nel corso degli anni Ottanta. A quel punto, quella che era ancora una pretesa umana si è trasformata in una pretesa meramente economica. Non vi trovate scritto più nulla sull’ideale di eliminare il rapporto di salariato, vi trovate scritte solo le pretese economiche.

Ora, vedete, queste cose dipendono dal modo in cui comunemente le persone si formavano delle idee su come creare esteriormente una condizione sociale migliore per l’umanità. è anche stato detto spesso, da parte di quelle persone che avevano ancora degli ideali: “Ah, che male c’è, se si sfascia tutto, bisogna costituire un altro ordinamento; perciò bisogna fare una rivoluzione, bisogna fare tutto a pezzi subito, deve succedere un grande patatrac, perché solo in tal modo si può costituire un ordinamento sociale migliore”. Così dicevano ancora alcuni buoni socialisti idealisti negli anni Ottanta. A questi, gli altri, che erano all’altezza del loro tempo, che erano diventati leaders, quelli che ormai, come vi ho detto, sono tutti sottoterra, rispondevano: “Tutto questo è senza senso, le rivoluzioni improvvise sono senza senso. L’unica cosa che ha senso è che noi lasciamo il capitalismo a se stesso. Sappiamo che una volta c’erano solo piccoli capitalisti, che poi sono diventati grandi; si sono uniti agli altri, si sono formati dei gruppi di capitalisti. I capitalisti si sono concentrati sempre di più. Noi ci troviamo all’interno di questo processo, in cui i capitalisti si concentrano sempre di più e di più ancora. Poi verrà il tempo in cui in realtà non rimarranno che pochi grandi trusts e consorzi capitalisti. A quel punto basterà solo che il proletariato, in quanto classe nullatenente, un bel giorno in modo molto pacifico, per vie parlamentari, trasferisca la proprietà capitalistica, i mezzi di produzione, alla proprietà collettiva. è una cosa che si può fare benissimo, solo che bisogna aspettare. Fino a quella volta bisogna che le cose si evolvano. Il capitalismo, che in realtà è un bimbetto innocente, non può farci nulla, se è un avvoltoio: questo dipende dalla necessità storica. Però fa anche un lavoro preparatorio, perché concentra i capitali; sono così belli, insieme! Basterà semplicemente che la comunità se ne impossessi. Non dunque violente rivoluzioni, bensì una lenta evoluzione”.

Vedete, il mistero dell’idea, il mistero pubblico dell’idea che si trova alla base di tutto ciò, lo aveva già spiegato Engels negli anni Novanta. Egli aveva detto: “A che pro fare rivoluzioni repentine? Quello che succede lentamente durante lo sviluppo del nuovo capitalismo, questo assembramento dei capitali, questa concentrazione di capitali, va tutto a nostro favore. Non abbiamo bisogno di cominciare a creare una comunanza, ci pensano già i capitalisti. Dobbiamo soltanto trasferirla in proprietà al proletariato. Perciò – dice Engels – in realtà i ruoli si sono scambiati. Noi, che rappresentiamo il proletariato, non abbiamo nulla di cui lamentarci riguardo allo sviluppo delle cose, sono gli altri che hanno da lamentarsi. Perché quei tizi che oggi si trovano nelle cerchie degli abbienti devono dirsi: noi ammassiamo i capitali, però li ammassiamo per gli altri. Vedete, questi tipetti devono realmente crucciarsi per il fatto che perderanno il loro capitale; si scava loro il viso, diventano emaciati per queste preoccupazioni, per ciò che deve succedere. Proprio in quanto socialisti andiamo avanti molto bene in questa evoluzione delle cose. Ci vengono, dice Engels, muscoli così forti e guance così piene da farci sembrare la vita eterna”. – Questo dice Engels in un’introduzione che scrisse negli anni Novanta, mostrando come fosse del tutto giusto quanto si andava preparando e come bastasse solo aspettare quell’evoluzione delle cose che in realtà stava portando avanti il capitalismo stesso. Tale evoluzione sarebbe poi sfociata nel trasferimento dei beni inizialmente ammassati alla proprietà collettiva di coloro che fino a quel momento non avranno avuto nulla. – Questo era, in reatà, lo stato d’animo dei leaders del proletariato all’inizio del XX secolo.

E così si è pensato soprattutto a partire dai tempi in cui il marxismo non era più stato preso come negli anni Novanta, ma era stato sottoposto, come si soleva dire, ad una revisione, cioè ai tempi in cui apparvero i revisionisti, dunque quelli che oggi sono ancora vivi, che però sono vecchi, come per esempio Bernstein. Ecco che arrivarono quindi i revisionisti. Essi dicevano che si può favorire un pochino l’intera evoluzione, perché se gli operai si limitano a lavorare fino al momento in cui i capitalisti avranno raspato tutto, prima di quel momento patiranno ancora grandi difficoltà, soprattutto in vecchiaia non avranno niente. Allora si fecero delle assicurazioni, ecc.; e soprattutto si fece attenzione ad appropriarsi anche di quanto le classi dominanti possedevano in termini di istituzioni della vita politica. Sapete, allora sorse, di fatto, anche la vita sindacale. E all’interno del Partito socialista c’erano due orientamenti fortemente divergenti: lo spiccato partito dei sindacati e il vero e proprio (come si diceva allora) partito politico. Il partito politico era più dell’idea che una rivoluzione improvvisa non sarebbe servita a niente, che l’evoluzione dovesse procedere da sé, come appunto ho descritto. Perciò si trattava di fare in modo che tutto fosse pronto per il momento in cui il capitalismo si fosse concentrato abbastanza e il proletariato avesse la maggioranza in Parlamento. Di portare avanti il tutto sulla via del parlamentarismo, dell’acquisizione della maggioranza, in modo che nel momento in cui i mezzi di produzione dovessero essere trasferiti alla proprietà collettiva, fosse presente anche la maggioranza per tale trasferimento. Soprattutto in questo gruppo di persone, che vedevano tutto dalla parte del partito politico, alla fine del XIX secolo non fu preso molto in considerazione il movimento sindacale. Questo, a quell’epoca, puntava appunto ad organizzare una specie di competizione, in maniera ordinata, fra sé e gli imprenditori, per riuscire a strappare di volta in volta e sempre di nuovo alle imprese aumenti di salario e cose del genere. In breve, ci si proponeva di imitare quel sistema di negoziazioni reciproche come quello che c’era fra le cerchie dominanti, dirigenti, fra loro, e di estenderlo anche al rapporto fra le cerchie dominanti e il proletariato. Certamente sapete che quelli che venivano più accusati da parte dei sostenitori del sistema socialista politico vero e proprio erano quelli che poi divennero in gran parte borghesi sotto il movimento sindacale. E alla fine degli anni Novanta e all’inizio del XX secolo si poteva osservare dappertutto, fra coloro che erano prevalentemente orientati verso il sistema politico, il grande disprezzo per quelle persone che si erano del tutto impratichite nella vita sindacale, specialmente come per esempio i tipografi che avevano a loro volta costituito un sistema di vita sindacale del tutto diverso, fino all’estremo .

Nella vita sociale c’erano due orientamenti molto severamente distinti l’uno dall’altro: I sindacalisti e quelli che si avvicinavano prevalentemente al partito politico. E, fra i sindacalisti, i tipografi nell’associazione dei tipografi erano proprio i ragazzi modello; erano quei ragazzi modello che si erano anche guadagnati il pieno riconoscimento della cerchia borghese. E credo che così come si aveva una certa paura, una certa preoccupazione a causa del partito politico socialista, così, a poco a poco, con grande soddisfazione si videro venir fuori brave persone come le persone dell’associazione dei tipografi. Di loro ci si diceva: “Questi si borghesizzano, con loro si può sempre trattare, va molto bene così. Se alzano i loro salari, noi alziamo i nostri prezzi, che decidiamo noi. Va bene così”. – E, nevvero, negli anni seguenti funzionò anche, e la gente poi non ci pensò più. Dunque in questo caso si era molto soddisfatti con questa formazione esemplare dello sviluppo sindacale. Ora, se tralascio quelle che sono piuttosto delle sfumature, si può dire che poi questi due orientamenti si sono più o meno sviluppati fino al momento in cui sono stati sorpresi dalla catastrofe bellica. Ma purtroppo allora da questa catastrofe bellica le persone non hanno imparato tutto ciò che in realtà si sarebbe dovuto imparare in relazione alla questione sociale.

Nevvero, non appena, ora, si osserva la situazione in Europa Orientale, in Europa Centrale, se si prescinde da quello che è il mondo anglo-americano e in parte anche il mondo latino, se dunque ci si limita all’Europa centrale e orientale, si può dire che non si è verificato niente di tutta quella storia che diceva: i capitali si concentrano, e quando nei Parlamenti si avrà la maggioranza, i capitali verranno trasferiti alla proprietà della società, ecc. – A che oggi non ci si possa aspettare che le cose filino così lisce ha provveduto la guerra mondiale. Sono stati spesso considerati infantili quelli che si aspettavano una qualche rivoluzione, ma, in sostanza, che cos’è successo negli ultimi quattro-cinque anni? Teniamolo ben presente in modo chiaro, quello che è successo. Nevvero, avete già sentito dire spesso che cosa è successo negli ultimi quattro-cinque anni: in luglio 1914 i governi sono diventati un po’ “confusi” – o molto “confusi” e hanno incitato la gente alla guerra mondiale. Allora la gente ha creduto che ci fosse una guerra mondiale, che ci fossero dei combattimenti, ma con i moderni mezzi bellici, coi mezzi meccanici, c’era qualcosa di molto diverso che nelle guerre precedenti. Non c’è davvero più stata alcuna possibilità che qualcuno diventasse un generale particolarmente famoso, perché alla fine si trattò solo del fatto che una parte avesse una quantità maggiore di munizioni e di altri mezzi per fare la guerra, che una parte fabbricasse meglio dell’altra gli strumenti bellici, o che avesse scoperto un gas e cose del genere, che gli altri non avevano. Prima vinceva uno, poi l’altro scopriva qualcos’altro; poi di nuovo il primo; si ebbe tutta una conduzione spaventosamente meccanica della guerra. E tutto ciò che le persone hanno detto a proposito di quanto era successo qua e là l’hanno detto sotto l’influsso della frase, era solo frase fatta. E a poco a poco l’umanità moderna capirà, anche in Europa centrale, tutto quello che si è andato ad infilare come frase fatta, quando in Europa centrale l’uno o l’altro è stato promosso grande generale, mentre in realtà non era altro che un soldato qualsiasi un po’ confuso. Queste cose sono diventate possibili solo sotto l’influsso della frase fatta. Ecco, è andata proprio così.

Ora, cos’è successo, invece, in realtà? Le persone, davanti ai meri eventi esteriori, non ci hanno fatto caso. Mentre la gente credeva che fosse avvenuta una guerra mondiale (che in realtà non era che una maschera), in realtà si è compiuta una rivoluzione. In realtà in questi quattro-cinque anni è successa una rivoluzione. Solo che questo, la gente ancora oggi non lo sa, ancora oggi non ci fa caso. La guerra è il lato esteriore, la maschera; la verità è che si è compiuta una rivoluzione. E giacché si è compiuta una rivoluzione, oggi la società in Europa centrale e orientale si trova in una condizione del tutto diversa e non ce ne si può far nulla, con ciò che la gente aveva pensato per situazioni precedenti. Oggi è necessario che tutti i pensieri che ci si era fatti prima vengano ordinati in modo totalmente nuovo, che si pensino le cose totalmente ex novo. E si è cercato di farlo con il libro: “I punti essenziali della questione sociale”: si è cercato di fare i conti in modo del tutto corretto con la situazione nella quale ci siamo venuti a trovare a seguito degli eventi più recenti. Perciò non fa nessuna meraviglia, che le persone dei partiti socialisti, che non riescono a tener dietro agli eventi abbastanza velocemente, portino incontro a questo libro un malinteso dietro l’altro. Se soltanto le persone accondiscendessero a verificare i propri pensieri (a verificare un po’ quanto dicono di volere), capirebbero bene che stanno ancora vivendo sotto l’influsso delle idee che si erano fatti prima dell’anno 1914.

Nevvero, queste idee, che si sono avute fino al 1914, si sono talmente insinuate in modo corrosivo nell’ambiente degli uomini, che questi non ne saltano più fuori. E cosa ne consegue? Ne consegue che, anche se al giorno d’oggi è necessario un nuovo agire, anche se in Europa orientale e centrale è avvenuta una rivoluzione, anche se oggi dobbiamo mettere in atto una ricostruzione (non secondo idee vecchie, ma secondo idee nuove), nonostante tutto ciò, la gente predica idee vecchie. E che cosa sono, oggi, i partiti, anche i partiti socialisti? I partiti socialisti sono quelli che ancora oggi predicano questo o quel vangelo socialista nella stessa vecchia maniera in cui hanno predicato fino al luglio del 1914, perché non c’è una differenza fra questi programmi di partito e quelli precedenti – tutt’al più una differenza che viene da fuori. Per chi sa come stanno le cose, nei singoli gruppi di partito viene detto tremendamente poco di nuovo, o perfino niente del tutto, di nuovo. I vecchi avanzi di pensieri vengono tirati fuori ancora oggi. Ora sì, certo, una piccola differenza c’è: se uno ha un paiolo di rame e ci batte dei colpi, esso suona; se si batte nello stesso identico modo su una botte di legno, essa suona diversamente; ma il modo di battere i colpi può essere esattamente lo stesso. Dipende da cosa si batte, se il suono è diverso. E così è oggi, quando la gente espone i suoi progetti di partito. Quanto è contenuto in questi vecchi programmi di partito in realtà sono i vecchi rimasugli di partito; solo perché adesso ci sono altre condizioni sociali il suono è un po’ diverso, ed è la stessa differenza che si ha battendo su un paiolo di rame invece che su una botte di legno. Che parlino i socialisti indipendenti o i socialisti di maggioranza o i comunisti, quello che dicono sono comunque appunto vecchi motti di partito, che suonano diversamente perché invece di esserci un paiolo di rame, c’è una botte di legno. In realtà, per molti versi non si è imparato proprio niente, assolutamente niente. Ma si tratta di imparare qualcosa, bisogna che questa spaventosa guerra mondiale, come la si chiama, ma che in realtà è stata una rivoluzione mondiale, ci dica qualcosa.

E a questo punto si può realmente dire: nelle grandi masse si è preparati, a sentir dire qualcosa di nuovo. Ma nelle grandi masse succede così: si dà ascolto a quello che dicono i leaders. C’è una buona capacità di comprensione, un buon intelletto umano sano, nelle grandi masse incorrotte, e in realtà si potrebbe sempre contare sulla capacità di comprensione, quando si esprime qualcosa di veramente moderno, qualcosa che si possa definire moderno nel senso migliore della parola. Questo dipende in parte dal fatto che le masse non sono istruite. Ma non appena le persone entrano nel tipo di istruzione che si può avere a partire dagli ultimi tre o quattro secoli, questa caratteristica della mancanza di istruzione ha fine. Se si osserva quella che è l’attuale formazione scolastica pubblica, dalla scuola elementare in su, fino all’università (e il peggio sarà quando adesso verrà fondata la scuola unica socialista, nella quale sarà presente in massima misura quanto è stato combinato nella scuola elementare pubblica), si vede che quello che viene comunicato nelle scuole corrompe le teste, le estranea dalla vita. Bisogna venire fuori da tutta questa roba, bisogna veramente stare sulle proprie gambe nella vita spirituale, se si vuole venir fuori da questa diseducazione. Però, vedete, attraverso questa diseducazione i grandi e i piccoli leaders proletari sono diventati così. Hanno dovuto far propria questa formazione; questa formazione si è infilata nelle nostre scuole e negli scritti popolari, si è infilata dappertutto. E così i cervelli rinsecchiscono a tal segno da diventare inaccessibili alle cose, e a fermarsi ai programmi di partito e alle opinioni che ci si è ficcati in testa e inculcati. Ed ecco che allora anche se viene la rivoluzione mondiale si continua a fischiettare i vecchi programmi.

Vedete, questo destino ha sostanzialmente attraversato quello che è stato voluto in tutti i modi con questo libro “I punti essenziali della questione sociale” e con le conferenze. Qui sono stati veramente fatti i conti con ciò di cui oggi il proletariato ha veramente bisogno, con ciò che i tempi stessi rendono necessario. Questo è stato inizialmente anche capito [dal proletariato], ma poi non lo hanno capito quelli che sono i leaders del proletariato nei diversi gruppi di partito. Cioè, non voglio affatto essere ingiusto, e non voglio spremere la verità; non sto dicendo, per esempio, che questi leaders non capiscano questo libro, perché non posso pensare che lo abbiano letto, che lo conoscano. Non direi una cosa giusta, se affermassi che loro non possano capire questo libro. Però non possono affatto decidersi a capire che sarebbe necessario qualcosa di diverso di quello che loro pensano da decenni. Il loro cervello si è rinsecchito troppo, è troppo rigido per riuscirci. Ed è per questo che si fermano a quello che hanno pensato per molto tempo e ritengono essere un’utopia proprio quella che è il contrario di tutte le utopie. Perché, vedete, il libro “I punti essenziali” tiene pienamente conto del fatto che oggi non ci si può più muovere nelle utopie nel senso di Saint-Simon, Fourier, Proudhon e così via, ma tiene anche conto del fatto che non ci si può più attenere al punto di vista che l’evoluzione avverrà di per sé. Perché ciò che hanno visto Marx ed Engels, ciò che si è sviluppato [al loro tempo], e da cui essi hanno tratto le loro conclusioni, da tutto questo oggi non si possono più trarre conclusioni, perché la guerra mondiale lo ha spazzato via; tutto questo, nella sua vera forma, oggi non esiste più. Chi, oggi, dice le stesse cose che dicevano Marx ed Engels dice qualcosa che Marx non avrebbe mai detto. Marx ha una grande paura proprio dei suoi seguaci, perché ha detto: per quanto mi riguarda, io non sono un marxista. – E oggi direbbe: Quella volta le cose erano ancora diverse; quella volta io ho tratto le mie conclusioni da dati di fatto che non erano ancora così modificati, così cambiati, come in seguito li ha modificati la guerra mondiale.

Ma vedete, quelle persone che non riescono a imparare niente dagli eventi, e che oggi hanno una disposizione d’animo simile a quella che i vecchi cattolici avevano nei confronti dei loro vescovi e dei loro papi, queste persone non possono affatto capacitarsi del fatto che qualcosa come il marxismo debba anch’esso essere sviluppato nel senso della realtà oggettiva. Essi hanno davanti a sé sempre la vecchia realtà, e perciò le persone fischiano e sibilano sempre le stesse cose che hanno fischiato e sibilato prima della guerra mondiale. Così fanno i socialisti, ma anche i borghesi. Lo fanno le cerchie più vaste. I borghesi ovviamente lo fanno molto assonnati, con l’anima del tutto addormentata, gli altri lo fanno in modo da trovarsi comunque in mezzo e da vedere il crollo, ma in modo da non voler fare i conti con la realtà che grazie a ciò si manifesta. Oggi è appunto necessario che gli uomini accolgano qualcosa di nuovo. E perciò è necessario capire qualcosa [come la tripartizione], che non è un’utopia, bensì che fa proprio i conti con la realtà oggettiva. Se da quella parte ciò che fa i conti con la realtà oggettiva viene definito come una cosa che si mette di traverso, in realtà si potrebbe essere davvero soddisfatti. Perché se la gente definisce linea retta ciò che la porta avanti, allora bisogna, per fare qualcosa di sensato, mettersi di traverso, per portare ciò che è insensato in una direzione sensata. Però, vedete, quelli che capiscono ancora ciò che è sensato, dovrebbero approfondire quanto viene detto qui. E queste serate servono a questo.

Nevvero, già da lungo tempo si è cercato di mettere in pratica quanto viene tratto dai dati di fatto. E così ci riuniamo da settimane (non ho bisogno di ripetere queste cose, alla fine di questa conferenza potrete fare delle domande o discutere pro o contro), ci siamo riuniti da settimane per rimettere in piedi quello che chiamiamo il consiglio di fabbrica. Abbiamo cercato di fare questo consiglio di fabbrica partendo dalla realtà oggettiva attualmente necessaria, di farlo veramente in modo che i dati di fatto vengano dalla mera vita economica, non dalla vita politica, la quale non può dare fondamento alla vita economica. Infatti, se oggi si guarda in faccia la realtà, bisogna stare saldi sulla base dell’organismo sociale tripartito. E chi oggi non vuole questa tripartizione agisce contro la necessità storica dell’evoluzione umana. Oggi deve essere così come ho detto spesso: che la vita spirituale poggi su se stessa, che la vita economica poggi su se stessa, che la vita del diritto o la vita politica venga amministrata in modo democratico. E nella vita economica dovrebbe essere dato il primo avvio ad una configurazione veramente sociale con i consigli di fabbrica. Ma che cosa è necessario affinché ciò avvenga? Ciò può avvenire solo se prima ci si chiede: ora, ecco, qua c’è l’impulso dell’organismo sociale tripartito, esso è una novità, rispetto a tutte le precedenti mummie di partito; c’è anche qualcos’altro di nuovo, qua? Gli scemi oggi affermano che le idee si limiterebbero a svolazzare per l’aria. Se ascoltate queste discussioni, vedrete che queste persone portano ogni tipo di giudizio negativo, ma non offrono niente di accostabile alla tripartizione dell’organismo sociale. è tutto un discorso senza capo né coda, quando da parte dei socialisti si dice che le idee svolazzino così nell’aria e basta – come è stato detto in un giornale fondato da poco in una discussione sulla triarticolazione.

Si tratta prima di tutto di chiedersi (e di avere le idee chiare in merito): “Non c’è nient’altro?” Allora ci si fermi per ora alla tripartizione dell’organismo sociale, fino a che non si riesca a contraddirla in modo sostanziale, fino a che non le si possa mettere accanto qualcosa che sia oggettivamente di pari valore. Sui vecchi programmi di partito non si può più discutere, ne ha discusso la guerra mondiale; chi capisce realmente le cose sa che queste vecchie mummie di partito sono state confutate dalla catastrofe bellica. Ma se poi non si può rispondere a questa domanda dicendo che c’è anche qualcosa di diverso e che abbia oggettivamente lo stesso valore e se si vuole andare avanti, allora ci si può dire sinceramente: “Allora lavoriamo nel senso della tripartizione dell’organismo sociale”. Diciamocelo con tutta sincerità: i vecchi nessi di partito hanno perso il loro significato; bisogna lavorare nel senso della tripartizione.

Quando, l’altro ieri, ho parlato a Mannheim, alla fine si è fatto avanti un signore, che ha detto: “Quello che ha detto ora Steiner è bello, ma non è quello che vogliamo; non vogliamo ancora un altro partito nuovo oltre a tutti i partiti vecchi. Chi vuole una cosa del genere dovrebbe entrare negli altri partiti e agire all’interno di essi”. – Non potei rispondere altro che così: “Ho seguito molto a lungo la vita politica con assoluta precisione, da ben prima che questo signore, che ha parlato adesso, nascesse. E, nonostante nella mia vita io sia venuto a conoscere ciò che socialmente, in qualche modo, ha agito come forza, non ho proprio mai operato all’interno di un qualche partito né ci sono potuto stare dentro, e non mi viene in mente, adesso che sono alla fine del mio sesto decennio di vita, di diventare in qualche modo un uomo di partito: né di avere a che fare con un altro partito né con uno fondato da me stesso. Quindi, non vorrei avere a che fare neanche con un partito fondato da me stesso; nessuno deve temere che accada una cosa del genere, cioè che io fondi un altro partito. Perché il fatto che ogni partito, per necessità naturale, dopo un certo tempo, diventi sciocco, questo l’ho imparato, proprio per il fatto che non mi sono mai inserito in alcun partito. E ho imparato a compatire le persone che non lo capiscono. Perciò nessuno deve aver paura che ai partiti vecchi se ne aggiunga uno nuovo. Ed è per questo che non l’abbiamo nemmeno fondato, un nuovo partito, ma invece è stata fondata l’associazione per la tripartizione dell’organismo sociale per rappresentare le idee dell’organismo sociale tripartito, il cui carattere non-utopistico, il cui carattere realistico, appunto, viene capito proprio da un certo numero di persone. Le persone che lo capiscono, però, dovrebbero anche sinceramente e lealmente professarsi a favore.

Perché non deve succedere neanche così: c’è un pezzo teatrale, in cui il gallo canta al mattino e ogni volta, dopo che il gallo ha cantato, sorge il Sole. Ora, certo, il gallo non può capire i nessi, perciò crede che quando lui canta il Sole risponda al suo richiamo, che esso sorga perché lui ha cantato, crede di essere stato lui, a far sorgere il Sole. – Dopotutto, se qualcuno nella vita non-sociale si dà a una tale illusione come questo gallo, che canta sul letame e vuole far sorgere il Sole, non importa. Ma se qui, in questo contesto, succedesse che l’idea veramente economica del consiglio di fabbrica procedesse bene sul terreno dell’organismo tripartito, ma che quelli che se ne occupano volessero rinnegarne l’origine, e cioè che è stato l’impulso della tripartizione a mettere in moto questa idea, e se queste persone credessero che i consigli di fabbrica siano sorti per il fatto di aver cantato, ecco che farebbero lo stesso errore, e sarebbe davvero un errore fatale. Ma questo non deve succedere. Ciò che avviene in questa direzione [dei consigli di fabbrica] ciò a cui qui si è messo mano, non deve essere separato, deve restare in relazione con l’impulso correttamente inteso della tripartizione dell’organismo sociale. E chi vuole realizzare i consigli di fabbrica nel senso di questo impulso non potrà mai accettare che ci si limiti solo a costituire i consigli di fabbrica in modo più o meno unilaterale e che si gracchi in continuazione: “Consigli di fabbrica, consigli di fabbrica!” Questo non basta. Ha senso solo se contemporaneamente si aspira a tutto ciò a cui si dovrebbe aspirare grazie all’impulso dell’organismo sociale tripartito. Si tratta di questo. Perché, se volete realmente capire ciò che si trova nei “Punti essenziali”, dovete acquisire quel punto di vista che si può acquisire appunto grazie agli eventi che sono avvenuti negli ultimi quattro-cinque anni. Chi capisce bene questi eventi ha come l’impressione che in questi quattro o cinque siano trascorsi i secoli, e davanti ai programmi di partito ha l’impressione che chi li rappresentava abbia dormito per secoli. Oggi bisogna capire tutto questo con chiarezza e senza riserve.

Ciò che vi ho detto ora ovviamente avrei anche potuto scriverlo nella prefazione di questo libro. Solo che è soltanto negli ultimi mesi, che si è visto quanto i programmi di partito al presente siano rigidi e sterili. Ma sarebbe già di una certa utilità, se nella prefazione al libro ci fosse scritto proprio questo. Molte delle cose che non stanno scritte in questo libro ve le ho dette oggi, dato che voi, mi pare, avete deciso di riunirvi qui per studiare in modo adeguato le serie questioni sociali del presente riallacciandovi a questo libro. Ma prima di cominciare bisogna già aver chiaro che non si può più continuare a trotterellare nel vecchio stile dei programmi di partito e dei modelli di partito, ma che bisogna decidersi ad affrontare le cose, oggi, per come esse sono nella realtà e a eliminare tutto ciò che non tiene conto di queste cose nuove. Soltanto così capirete correttamente che cosa si vuole raggiungere proprio con questo impulso dell’organismo sociale tripartito. E lo capirete correttamente se vi accorgerete che ogni frase di questo libro è fatta in modo da poter diventare azione, da poter essere tradotta direttamente in realtà. E la gran parte di coloro che dicono di non capirlo o che siano utopie o altro del genere sono solo persone alle quali manca il coraggio, proprio il coraggio, di pensare, oggi, con tanta forza che i pensieri possano intervenire nella realtà. Quelli che continuano a sbraitare: “Dittatura del proletariato”, “Conquista del potere”, “Socialismo”, per lo più pensano molto poco, mentre dicono queste cose. è per questo che con queste frasi fatte non si può intervenire nella realtà. Ma poi questi vengono e dicono che qui [con i “I punti essenziali della questione sociale”] verrebbe dato qualcosa che è mera utopia. Un’utopia lo diventa solo nelle teste di chi non ne capisce niente.

Perciò bisognerebbe chiarire a queste persone ciò che, in una forma un po’ modificata e in relazione a qualcos’altro, ebbe a dire Goethe, ridendo del fisiologo Haller, che era un ricercatore naturale impenitente. Haller aveva detto:

All’interno della natura
Non penetra alcuno spirito creatore.
Beato colui al quale essa
Mostra solo la scorza esterna!

Goethe controbattè, dicendo:

“All’interno della natura” –
Oh, tu, filisteo! –
“non penetra alcuno spirito creatore.”

...

“Beato colui al quale essa
Mostra solo la scorza esterna!”
Lo sento ripetere da sessant’anni,
Io inveisco, ma in segreto.

...

La natura non ha nè cuore
Né scorza,
essa è tutto in una volta.
Verifica bene se tu stesso
Sia cuore o scorza!

A quelli che parlano della tripartizione dell’organismo sociale come di un’utopia, verrebbe da dire: verifica bene se quello che ti frulla nella testa sia esso stesso un’utopia o sia realtà. – E si troverà che tutte le cornacchie hanno in testa in gran parte utopie e che perciò la realtà stessa nelle loro teste diventa un’utopia o una ideologia o come la vogliono chiamare. Perciò oggi è così difficile affermarsi con la realtà, perché la gente si è cementata per bene l’accesso alla realtà.

Però dobbiamo dircelo: dobbiamo lavorare seriamente, altrimenti non riusciremo a mettere in atto la nostra volontà; e si tratta proprio di questo, del fatto che noi vogliamo mettere in atto la nostra volontà. E se dovessimo lasciar perdere tutto, perché riteniamo che sia sbagliato, dovremmo, per poter passare dal volere all’agire, volgerci a quella verità che vogliamo considerare appunto reale, perché non c’è nient’altro che possa portarci dalla volontà all’azione, che il seguire coraggiosamente e spregiudicatamente la realtà. In realtà questo dovrebbe essere scritto prima degli studi di queste serate, come una specie di insegna, come un motto. Stasera volevo fare una premessa per queste serate di studio. Spero che questa premessa non vi trattenga dall’occuparvi di questi studi in modo da far sì che alla fine veramente, prima che sia troppo tardi, quei pensieri che portano in sé il germe dell’azione possano penetrare nel mondo in modo fruttuoso.

Viene data la possibilità di intervenire.

Rudolf Steiner: Il libro “I punti essenziali della questione sociale” è stato scritto in un modo specifico sotto due aspetti. Per prima cosa, è stato scritto in modo che, di fatto, esso sia tratto totalmente a partire dalla realtà. Alcune persone che leggono il libro non riflettono su questo aspetto. E lo posso anche capire, che al giorno d’oggi non ci riflettano sopra. Qui, in questo circolo, ho già parlato una volta (ma non c’erano tutti quelli che sono presenti oggi), di come ora veramente pensa la gente al giorno d’oggi. Precisamente, ho citato l’esempio del professore di economia nazionale, Lujo Brentano, che lo ha mostrato in modo così simpatico nel numero scorso del “Gelben Blattes” (il foglio giallo); lo ripeto molto brevemente, perché mi ci voglio riallacciare un attimo. Questo luminare della moderna economia politica dell’università (è per così dire il primo) vi ha sviluppato il concetto di imprenditore e ha cercato, sulla base del suo pensare illuminato, di caratterizzare i tratti salienti dell’imprenditore. La prima e la seconda caratteristica non serve che io le enumeri; la terza caratteristica, secondo lui, è che l’imprenditore è colui che mette i propri mezzi di produzione, a suo rischio e pericolo, a servizio dell’ordinamento sociale. Ora, egli ha questo concetto di imprenditore, e poi lo applica. E poi giunge al notevole risultato che il lavoratore proletario di oggi, in realtà, è anch’egli un imprenditore, perché corrisponde a questo suo concetto di imprenditore per quanto riguarda la prima, la seconda e la terza caratteristica. Infatti il lavoratore possiede la sua stessa forza lavoro come mezzo di produzione; egli ne dispone, e in relazione ad essa egli si applica al progresso sociale a proprio rischio e pericolo. – Così questo luminare dell’economia politica inserisce molto bene il concetto del prestatore d’opera nel suo concetto di imprenditore. Vedete, così appunto pensano le persone che si fanno dei concetti che non hanno senso alcuno; non hanno alcun senso, se si vogliono dei concetti che siano veramente applicabili alla realtà. Ma anche se forse non vi piacerà molto, si può tranquillamente dire: molto più del 90% di tutto quello che oggi viene insegnato o stampato opera con concetti del genere; se si vuole applicarli alla realtà, funziona tanto poco quanto il concetto di imprenditore di Lujo Brentano. è così nella scienza, è così nella scienza sociale, è così dappertutto, perciò la gente ha proprio disimparato a capire ciò che agisce con concetti corrispondenti alla realtà.

Prendete ora i fondamenti della tripartizione dell’organismo sociale. Nevvero, si possono mettere nei modi più diversi, questi fondamenti, perché la vita ha bisogno di molti fondamenti. Ma uno dei modi è questo: che si sappia che nell’epoca moderna è sorto quello che si potrebbe chiamare l’impulso alla democrazia. La democrazia deve consistere nel fatto che ogni uomo divenuto maggiorenne possa stabilire il suo rapporto giuridico nei parlamenti democratici, in modo mediato o diretto, con ogni altro uomo divenuto maggiorenne. Ma proprio quando si vuole seriamente e sinceramente inserire nel mondo questa democrazia, non si riesce ad amministrare le questioni spirituali nel senso di questa democrazia, perché qui ogni uomo divenuto maggiorenne dovrebbe poter decidere su ciò che non capisce. Le faccende spirituali devono essere regolate sulla base della comprensione delle cose, cioè devono essere fatte poggiare su se stesse; quindi non possono affatto essere amministrate in un parlamento democratico, bensì devono avere la loro propria amministrazione, che non può essere democratica, ma che deve venire dalle cose. Lo stesso avviene nella vita economica; qui le cose devono essere amministrate sulla base dell’esperienza economica e del vivere dentro la vita economica. Perciò dal parlamento democratico devono essere separate da un lato la vita economica e dall’altro la vita spirituale. Da ciò sorge l’organismo sociale tripartito.

E ora qui c’è, a Tubinga, il professor Heck, che è quello che (ne ho già parlato) che ha detto che non c’è affatto bisogno di prestarsi a dire che gli usuali rapporti di salariato, nei quali si viene retribuiti per il proprio lavoro, avrebbero qualcosa che abbassa il lavoratore, perché anche Caruso è in un rapporto di salariato. La differenza non sarebbe di principio: perché Caruso canta e prende la sua paga, e anche il proletario lavora e prende la sua paga; e anche lui, in qualità di professore, prende la sua paga, se insegna. La differenza fra Caruso e il proletario sarebbe solo che Caruso per una serata prende da trenta a quarantamila marchi e il proletario un po’ di meno. Ma questa non sarebbe una differenza di principio, ma solo una differenza relativa alla somma percepita. E quindi non serve – questo è quello che pensa questo illustre professore – sentire niente di degradante nella retribuzione; lui stesso non la vive così. – Tutto questo solo per inciso. Ma ora questo professore tanto intelligente ha anche scritto un lungo articolo contro la tripartizione. Dice: “Se dividiamo in tre, avremo tre parlamenti”. – E allora mostra che non va bene, che ci siano tre parlamenti, perché dice: “Nel parlamento per l’economia, il piccolo artigiano non capirà il punto di vista del grande industriale”, ecc. – Così il buon professore si è fatto le sue idee sulla tripartizione, e contro queste idee (che io trovo ancora molto più stupide di quanto le trovi stupide il professor Heck; le criticherei anch’io da cima a fondo), contro queste idee lui si scaglia, ma sono idee che ha creato lui stesso. Si tratta proprio del fatto che non ci siano tre parlamenti uno accanto all’altro, bensì di togliere quanto non appartiene a nessun parlamento. Egli fa semplicemente tre parlamenti e dice: “Non va bene” – Così si vive in concetti estranei alla realtà e su questa base si giudica anche il resto.

Ora proprio nell’economia nazionale, nell’economia politica, sono entrati quasi solo quelli che sono concetti non reali. Ma vedete, adesso, che il tempo stringe, non potrei mettermi a scrivere tutta un’intera biblioteca che spieghi tutti i concetti dell’economia politica. Perciò nei “Punti essenziali” ovviamente si trova una grande quantità di concetti che devono essere trattati in modo adeguato. Per esempio basta prendere in considerazione quanto segue:

Nevvero, in un’epoca dalla quale ormai siamo già usciti, determinate condizioni sociali sono state stabilite, sostanzialmente, solo ed esclusivamente attraverso la conquista. Un determinato territorio apparteneva ad un popolo o a una razza; un altro popolo lo invadeva e si conquistava una certa zona. Quelle razze o quei popoli che lo abitavano prima venivano costretti al lavoro. Il popolo che aveva conquistato il territorio ne assumeva il possesso e in seguito a ciò si stabiliva un determinato rapporto fra conquistatori e conquistati. I conquistatori, per il fatto che erano conquistatori, ottenevano il possesso del territorio. Così erano quelli economicamente forti, mentre i conquistati erano quelli economicamente deboli, e si venne formando quello che divenne un rapporto giuridico. Perciò in quasi tutte le epoche antiche, nel divenire storico, attraverso la conquista si configurarono dei rapporti giuridici, cioè dei privilegi giuridici e degli svantaggi giuridici. Poi vennero i tempi in cui non si poteva più conquistare liberamente. Potete studiare la differenza fra la conquista libera e la conquista vincolata per esempio prendendo in considerazione l’inizio del Medioevo. Potete studiare come certe popolazioni, i Goti, venivano spinti verso sud, ma in territori che erano interamente in possesso di qualcuno; lì, per quanto riguarda l’ordinamento sociale, ricevevano una posizione diversa da quella dei Franchi, che migrarono verso occidente, dove trovarono dei territori che non erano totalmente già di proprietà di altri. In questo modo sorsero diritti di conquista diversi. Nei tempi moderni agirono poi non soltanto i diritti che dipendono dal terreno, dal territorio, che erano sorti attraverso le conquiste, ma si aggiunsero i diritti di coloro che avevano dei privilegi dovuti a quanto possedevano e che ora, grazie al potere economico, poterono acquisire i mezzi di produzione. A questo punto a quello che nel senso odierno è il diritto legato al terreno, si aggiunse la proprietà dei mezzi di produzione, cioè la proprietà privata dei capitali. Da ciò risultarono poi rapporti giuridici derivati da rapporti economici. Vedete, questi rapporti giuridici sono sorti esclusivamente dai rapporti economici.

Ora le persone vengono a chiedere i concetti di potere economico, del significato economico del terreno, vogliono avere i concetti di mezzi aziendali, di mezzi di produzione, dei capitali ecc. Certo, però non hanno una reale e profonda comprensione di come vanno le cose. Così finiscono per prendere le cose più superficiali e non riescono a cogliere che cosa realmente si nasconda dietro i diritti sul terreno, dietro i rapporti di potere in relazione ai mezzi di produzione. Naturalmente tutte queste cose sono state contemplate nel mio libro. Lì si è pensato in modo corretto; lì, quando si parla di diritti, se ne parla a partire dalla consapevolezza di come il diritto è sorto attraverso i secoli; lì, quando si parla di capitale, se ne parla a partire dalla consapevolezza di come è nato il capitale. Si è evitato accuratamente di applicare concetti che non fossero concepiti interamente a partire dal momento in cui sono sorti; perciò questi concetti si presentano in modo diverso che nei manuali comuni al giorno d’oggi.

Ma si tiene conto anche di qualcos’altro. Prendiamo un determinato dato di fatto, nevvero, il dato di fatto di come è sorto il protestantesimo. Molto spesso nei libri di storia si racconta che Tetzel abbia viaggiato nell’Europa centrale e che la gente era indignata per la vendita di indulgenze e altre cose del genere. Ma non c’era soltanto questo, questo è solo ciò che appariva in superficie. La cosa principale, che vi si nascondeva dietro, era il dato di fatto che a Genova c’era una banca per conto della quale (non per conto del papa) era venuto in Germania questo rivenditore di indulgenze, perché quella banca aveva fatto credito al papa per altre necessità. Tutta la faccenda era un’impresa capitalistica. Con questo esempio del commercio di indulgenze come impresa capitalistica, dove si è addirittura fatto commercio dello spirito, con questo esempio potete studiare (o meglio, se si comincia a studiare da qui, se ne viene lentamente a capo) che infine tutto il potere del capitale si rifà allo strapotere dello spirituale. Se studiate come in realtà il capitale è arrivato al potere, troverete sempre lo strapotere dello spirituale. Ed è realmente così. Nevvero, chi è furbo, chi è ingegnoso, ha un potere maggiore di chi non è furbo, di chi non è ingegnoso. E in questo modo sorge in modo giustificato (o anche ingiustificato) molto di quello che è l’ammasso del capitale. Bisogna tenerne conto, quando si considera il concetto di capitale. Attraverso studi reali di questo genere si viene a scoprire che il capitale poggia sul dispiegamento del potere spirituale e che ai diritti sul terreno e sul suolo, ai diritti di conquista, si è aggiunto da un’altra parte il potere dell’antico spirito teocratico. Dall’antica Chiesa è provenuto molto di quello che poi è in realtà confluito nel capitalismo moderno. C’è un nesso occulto fra il potere capitalistico moderno e il potere dell’antica Chiesa. E tutto ciò si è poi riunito in un unico minestrone nel moderno potere di Stato. Lì dentro trovate i rimasugli dell’antica teocrazia, i rimasugli delle antiche conquiste. E infine si sono aggiunte le conquiste moderne, e la conquista più moderna di tutte dovrebbe ora essere la conquista dello Stato da parte del socialismo. Ma nella realtà non si dovrebbe procedere in questo modo. Deve venire qualcosa di nuovo, a spazzare via del tutto questi vecchi concetti e impulsi. Perciò si tratterà quindi che noi, nei nostri studi, ci occupiamo anche dei concetti che ci sono alla base. Oggi, a chiunque voglia parlare di questioni sociali, dobbiamo dare un chiarimento preciso su che cosa sia il diritto, su che cosa sia il potere e su che cosa sia nella realtà un bene [economico], un bene sotto forma di merce, e altro del genere. In questo ambito vengono fatti gli errori più grandi. Voglio per esempio portarne uno alla vostra attenzione; se non siete attenti a questo, capirete male molte cose del mio libro.

Oggi prevale l’opinione che la merce sia lavoro immagazzinato, e che anche il capitale sia lavoro immagazzinato. – Potete dire che non faccia danno, avere dei concetti del genere. Ma non è innocuo, perché concetti del genere avvelenano tutto il pensare sociale. Vedete, come stanno realmente le cose, col lavoro – col lavoro come impiego di forza lavoro? Certo, qui si ha una gran bella differenza, se io per esempio utilizzo la mia forza fisica muscolare facendo sport, oppure se vado a far legna. Se faccio sport, consumo la mia forza muscolare; posso stancarmi e aver bisogno di ripristinare la mia forza muscolare esattamente nello stesso modo di uno che va a far legna. Posso impiegare la stessa quantità di lavoro sia per fare sport che per far legna. La differenza non sta nel fatto che io devo ripristinare la forza lavoro, è ovvio che bisogna ripristinarla, la differenza consiste nel fatto che in un caso la forza lavoro viene impiegata solo per me, in senso egoistico, nell’altro caso in senso sociale per la comunità. Queste cose si distinguono attraverso la funzione sociale. Dicendo, ora, che qualcosa è lavoro immagazzinato, non tengo conto del fatto che il lavoro in realtà smette di essere dentro una determinata cosa nel preciso momento in cui si smette di lavorare. Non posso dire: “Il capitale è lavoro immagazzinato”, bensì devo dire: “Il lavoro c’è solo fino a quando viene svolto”. Ma nel nostro attuale ordine sociale il capitale conserva il potere di richiamare in qualsiasi momento altro lavoro. L’errore fatale non sta in ciò che dice Marx, che il capitale è lavoro immagazzinato, bensì nel fatto che il capitale dà il potere di mettere al proprio servizio nuovo lavoro (non lavoro immagazzinato), bensì lavoro fresco sempre di nuovo. Molte cose dipendono, e molte altre dipenderanno, dal fatto che si pervenga a formarsi su queste cose dei concetti chiari, che poggino sulla realtà. E da tali concetti, che ora sono del tutto intrisi di realtà, proviene questo mio libro. Esso non poggia su quei concetti che sono stati molto utili per l’educazione del proletariato. Ma oggi, che si dovrebbe costruire qualcosa, non hanno più alcun senso, questi concetti.

Vedete, se dico: “Il capitale è lavoro immagazzinato”, questo va bene per educare il proletariato; esso ne ha ricavato i sentimenti che doveva ricavarne. In quel caso non si trattava del fatto che il concetto sia del tutto sbagliato (si può educare anche con concetti del tutto sbagliati). Però per costruire qualcosa è necessario che si abbiano dei concetti giusti. Perciò oggi abbiamo bisogno in tutti i settori dell’economia politica di concetti giusti e non possiamo più continuare a lavorare con concetti sbagliati. Non dico per frivolezza, che si può educare anche con concetti sbagliati, ma da principi generali dell’educazione. Vedete, quando raccontate delle storie ai bambini, non volete anche costruire qualcosa con queste cose che sviluppate in quel modo; nell’educazione si osserva qualcosa di diverso da quello che si osserva quando si costruisce nella realtà fisica. In questa è necessario lavorare con concetti reali. Un concetto come ‘il capitale è lavoro immagazzinato’ non è un concetto. Il capitale è potere e conferisce il potere di porre a proprio servizio in qualsiasi momento nuovo lavoro fresco. Questo è un concetto vero con logica obiettiva. In questi ambiti bisogna lavorare con concetti veri. è quello che si è cercato di fare nei “Punti essenziali”. Perciò credo che molto di ciò che non vi è contenuto in termini di definizione dei concetti, di caratteristica dei concetti, debba essere rielaborato. E chi poi sarà in grado di contribuire a tale rielaborazione, della quale si ha bisogno per capire qual è il modo di pensare, il fondamento, di questo libro, apporterà un gran bene a queste serate di studio. Si tratta dunque, carissimi convenuti, proprio di questo.

Certo, nevvero, bisognerebbe scrivere un dizionario, se si volessero chiarire tutti i concetti, – ma che cosa sia il ‘capitale’ lo si può dire ora in una sola di queste serate di studio. Se oggi non si hanno dei concetti chiari: cos’è, in realtà, il capitale? Che cos’è la merce? Che cos’è il diritto? – senza questi concetti non si va più avanti. E questi concetti sono totalmente confusi nelle cerchie più vaste; devono per prima cosa essere rettificati. Oggi ci si dispera proprio, quando si parla con la gente dell’ordinamento sociale; le persone non seguono, perché non hanno imparato a padroneggiare la realtà. E proprio a questo bisogna appunto provvedere.


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Note:

[1] Questa conferenza coincide praticamente con la 14° conferenza del ciclo noto come OO 330. N.d.C.