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OO 337a - Idee sociali – realtà sociale – prassi sociale – Vol. I



SERATE DI STUDIO DELLA LEGA PER LA TRIPARTIZIONE DELL'ORGANISMO SOCIALE
Sesta serata di studio

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Stoccarda, 28 luglio 1920



Punti di vista storici riguardanti la politica estera



Rudolf Steiner: Cari e stimatissimi convenuti! Attualmente (e con questo intendo dire proprio oggi, adesso) si deve sempre continuare a ripetere e a sottolineare che non è possibile alcun progresso nella situazione economica, statale e spirituale dell'Europa centrale se le persone che prendono parte alla vita pubblica non lasciano che in tutto il loro modo di pensare mettano radici dei punti di vista più ampi di quelli che purtroppo sono invalsi finora nelle sfere più vaste. E perciò vogliate perdonarmi se oggi la prenderò alla larga e in un certo senso cercherò di gettar luce sulla politica culturale europea partendo da alcuni punti di vista storici che comunque vanno presentati solo in modo aforistico.

Se vogliamo farci un'idea dell'attuale situazione pubblica, dobbiamo farci un'immagine precisa proprio del contrasto esistente [in tre aree geografiche] riguardo allo Stato, alla cultura e all'economia: la prima area è quella che potremmo chiamare il mondo occidentale, precisamente quello in cui vivono le popolazioni appartenenti all'elemento anglo-americano e a rimorchio del quale oggi stanno le popolazioni neolatine. Poi, da quella zona anglo-americana a occidente, dobbiamo distinguere nettamente, secondo i tre punti di vista menzionati, tutta quella che si potrebbe definire l'area culturale dell'Europa centrale. E da queste due bisogna poi distinguere una terza area, che è l'Oriente, il vasto Oriente, che si unifica sempre di più in una regione chiusa (molto più di quanto qui si tende a pensare sulla base di notizie assai imprecise), un'area che include la Russia europea con tutto ciò su cui si estende già oggi, e in futuro si estenderà sempre di più, il suo dominio, e anche una grande parte dell'Asia. Non si hanno mai le idee abbastanza chiare sulle notevoli differenze ci sono fra queste tre aree e su come, in base a queste differenze, si dovrebbero anche prendere anche i singoli provvedimenti secondo i tre punti di vista menzionati, se si vuole che, in un modo o nell'altro, con questi provvedimenti risulti qualcosa di fruttuoso per l'avvenire. è veramente triste dover constatare sempre di nuovo come, mancando una consapevolezza della necessità di avere delle idee nuove per una ricostruzione, anche trattative tanto importanti come quella di Spa vengano condotte come se al giorno d'oggi si potesse veramente continuare a gestire l'economia con gli stessi pensieri che, a partire dal 1914, sono giunti già di per sé all'assurdo. Cercherò (come ho detto, solo in modo aforistico, e sembrerà che tutto venga caratterizzato in modo troppo generico, però anche essendo generici ci si riferisce a cose molto concrete), cercherò di elaborare le differenze fra il modo di formarsi delle rappresentazioni in Occidente, al centro e in Oriente, e si vedrà che da queste rappresentazioni si possono ricavare dei punti di vista fruttuosi per il presente e per il futuro.

Forse possiamo cominciare dal fatto che il mio appello, pubblicato nella primavera del 1919, è stato così frainteso nei singoli gruppi tedeschi perché si basava sul fatto che la Germania, a partire dagli anni Settanta del XIX secolo, ha perso quello che era stato il suo compito di definirsi in quanto Stato e, a poco a poco, di consolidarsi. Si direbbe che questa Germania si sia limitata a creare una specie di cornice di fatto, ma che non è stata capace di costruire all'interno di questa cornice idee portanti, un contenuto veramente sostanziale, un contenuto culturale. Ora, è possibile che un cosiddetto uomo pratico accusi di idealismo chi porta delle idee; ma appunto con questi uomini pratici il mondo non arriva più in là delle crisi, delle crisi singole o anche poi di quelle crisi universali come per esempio quella che è sfociata nel 1914. Se si è uomini pratici in questo senso, si possono aprire delle attività commerciali, si possono soddisfare singoli interessi, apparentemente anche interessi in grande; ma per quanto a singoli individui possa anche andare bene e per quanto a singoli individui le proprie imprese possano anche sembrare buone, finirà per continuare a succedere che, per necessità di cose, con queste premesse si giungerà a delle crisi, e queste crisi devono andare a confluire in una catastrofe come quella che abbiamo vissuto a partire dal 1914 come la più grande catastrofe mondiale.

Ora, qual è l'elemento caratteristico che ci si presenta sempre più spesso nell'area centro-europea, precisamente a partire dagli anni Settanta? Vediamo che qui, dove l'importante è proprio l'ambito ideale, dal quale sarebbe dovuto sorgere proprio un certo contenuto culturale, ecco, vediamo che qui, all'interno dell'Europa centrale (anche nella vita politica e sociale), a parte singoli lodevoli provvedimenti, in sostanza non si fa nient'altro che una specie di discussione teorica. Nei dibattiti, sia nei parlamenti, sia al di fuori dei parlamenti, nei dibattiti fra il partito proletario (che è andato sempre più assumendo un carattere socialdemocratico) e i diversi altri partiti (che per i propri interessi o per via della tradizione credevano di dover combattere contro questo partito proletario), è stato quasi sempre distorto, in misura maggiore o minore, tutto quello che era stato fatto, in un certo senso, per rispondere alle necessità del tempo. Vi si è fatta molta critica e contro-critica, si è discusso molto, ma in sostanza che cosa è emerso da tutto questo? Da tutto questo gran parlare che cosa è risultato necessario per una futura ristrutturazione sociale che consenta alle gente di vivere? Chi, fra gli stimatissimi convenuti di stasera, ha già spesso ascoltato le mie conferenze, saprà che non amo darmi alle teorie, e che quando si tratta di parlare a grandi linee voglio fare riferimento diretto alla vita pratica. E quindi anche oggi voglio documentare quello che ho detto riferendomi appunto alla vita pratica.

Una delle pubblicazioni più interessanti dell'epoca attuale è il libro «I problemi politico-economici della dittatura del proletariato» del professor Varga, in cui egli descrive ciò che ha sperimentato in prima persona, ciò che egli stesso ha fatto all'interno di una regione economica europea certamente piccola, tuttavia in effetti non piccolissima. Il libro di Varga è straordinariamente interessante per il fatto che, appunto, abbiamo qui un uomo che descrive ciò che egli stesso ha sperimentato, quello che ha fatto e che cosa gli è successo quando egli stesso aveva il potere (anche se soltanto per un breve periodo) di strutturare, di configurare socialmente in modo quasi autocratico una piccola area. Il professor Varga era commissario economico, dunque ministro delle questioni economiche durante il breve dominio della repubblica sovietica ungherese, e in questo libro, che è stato appunto pubblicato, ha descritto quello che ha cercato di fare insieme ai suoi colleghi. Egli era responsabile, in particolare, delle questioni economiche e descrive il modo in cui avrebbe voluto sistemare l'Ungheria, dal punto di vista economico, basandosi sul pensiero marxista – un pensiero molto vicino a quello di Lenin – e descrive nei dettagli con una certa franchezza le esperienze che vi ha fatto. Prima di tutto descrive con precisione come, secondo la speciale prescrizione che si applicava in Ungheria, aveva espropriato le singole imprese, come aveva cercato di configurare una specie di soviet delle imprese con gli operai delle singole aziende, come poi aveva cercato di organizzare insieme queste singole aziende in enti economici più grandi, e come poi questi avrebbero dovuto avere all'apice un consiglio economico superiore con commissari economici, che poi da Budapest avrebbero dovuto amministrare questa vita economica. Egli descrive abbastanza nei dettagli il modo in cui ha fatto tali cose. Egli è, come ho detto, un uomo il cui intero modo di pensare (dunque, quel modo di pensare che doveva diventare direttamente pratico, che poté fare l'economia in Europa per un paio di mesi) tutto questo modo di pensare egli lo aveva ricavato da tutto quanto era avvenuto nel corso degli ultimi cinquant'anni fra il partito socialdemocratico e tutto quello che aveva contrastato questo partito socialdemocratico a partire dai più svariati punti di vista. Come ho detto, egli è molto vicino alle concezioni di Lenin; egli dà particolare rilievo ad un preciso punto di vista. è chiaro, per un uomo come il professor Varga, che descrive i processi con una certa impulsività taurina (un'impulsività taurina come la conosciamo a sufficienza nella vita partitica dell'Europa centrale), gli è chiaro che solo l'esecuzione energica e severa dei principi marxisti, così come la vuole anche Lenin, con questa o quella modifica può risanare l'organismo sociale; egli ne era fortemente convinto. Ora, a parte questo, questo professor Varga è un uomo che non pensa davvero in grande, non pensa in modo molto intelligente, e tuttavia è pur sempre capace di pensare; e quindi sa (e lo descrive, anche) che in sostanza tutto questo movimento viene sostenuto dal proletariato industriale. Ora, dalla situazione particolare, dalle sue esperienze nell'introdurre quanto voleva realizzare in Ungheria, gli è diventata chiara una cosa: che proprio i proletari industriali erano le uniche persone che volevano attenersi tanto energicamente quanto lui stesso alle esigenze del marxismo e che da queste si aspettavano qualcosa, ma che il proletariato industriale, di fatto come la popolazione cittadina, sono quelli che se la cavano di meno quando si tratta proprio di agire in senso pratico, a fare qualcosa con questi principi. Le brevissime esperienze gli mostrarono che in un primo momento, in realtà, solo la popolazione delle campagne ha una possibilità di cavarsela in qualche modo meglio, con questi principi. La popolazione delle campagne se la cava meglio perché questi principi marxisti riportano tutta la cultura ad un certo livello primitivo. Però questo livello primitivo della cultura non è applicabile alla struttura della vita cittadina, ma al massimo a quella della vita contadina in campagna. E così il professor Varga deve ammettere, nonostante sia marxista (per lui è una cosa tanto ovvia quanto il fatto che il teorema di Pitagora è giusto), deve ammettere: dobbiamo renderci conto del fatto che il proletariato industriale e la popolazione cittadina patiranno la fame.

Ora viene quello che un uomo come il professor Varga trae come conseguenze da questi presupposti. Egli dice: Certo, ma per prima cosa il proletariato industriale nelle città avrà l'idealismo, e si abbandonerà a questo ideale anche se dovrà patire la fame. - Ora, ovviamente fa parte della fraseologia dei nostri tempi moderni, che quando una certa idea non funziona, un'idea che però si vuole ritenere assolutamente giusta, che dunque questa idea venga travestita da un idealismo per il quale eventualmente si debba anche fare la fame. L'altra conseguenza tratta da Varga è questa: egli dice: Ora, certo, in un primo momento nelle città e per la popolazione industriale le cose peggioreranno davvero parecchio; ma poi, quando le cose saranno andate male per un periodo sufficientemente lungo, una buona volta andranno meglio; perciò i proletari industriali e gli abitanti delle città devono volgersi al futuro. - Quindi egli dice: Sì, in un primo tempo si passa senza dubbio veramente un brutto periodo; ma in futuro andrà meglio. - E non ha affatto davanti a sé i consiglieri aziendali tanto docili che incontriamo in occidente, ma i consiglieri aziendali assolutamente estremi che sono sorti dal radicalismo in forma leninista e come sono stati introdotti nell'Ungheria dei soviet. Perché non è con qualche metodo governativo precedente, che vengono incaricate le persone che tengono in ordine l'intero apparato economico, ma le persone vengono scelte dalle loro stesse fila. E qui il professor Varga ha fatto l'esperienza (ha potuto sperimentare tutto ciò in prima persona), egli ha detto, e questa è una confessione interessante: Certo, in un primo momento senza dubbio è risultato che le persone che sono state selezionate e che in realtà dovrebbero provvedere alla produttività del lavoro si occupano di andare a zonzo per gli stabilimenti e di scioperare, e gli altri lo vedono, lo trovano più gradevole e anche tutti loro vorrebbero andare ad occupare quei posti; e così si sviluppa un'aspirazione generale a migrare verso quei posti. - Questa è una confessione interessante, da parte di un uomo che non ebbe soltanto l'occasione di elaborare teorie su quanto fosse realistico il marxismo e il leninismo, ma che ebbe anche la possibilità di trasporre le cose nella realtà. Ma c'è qualcos'altro di ancora più interessante. Varga ora mostra come questi commissari economici (che appunto erano da appostare per ambiti maggiori, in cui d'altronde si doveva procedere in modo proprio burocratico), in realtà non avevano né l'inclinazione né la possibilità di fare qualcosa di concreto.

Vedete, il libro di Varga sull'Ungheria dei soviet è straordinariamente interessante dal punto di vista storico-culturale del presente proprio per queste descrizioni che vanno molto nel dettaglio e che ora veramente anche nei dettagli sono tanto interessanti quanto quel paio di cose che ho detto io. Ma la cosa più interessante del libro per me è qualcosa che si trova in circa tre righe. Direi che la cosa più importante è proprio quello che il professor Varga dice quando parla dei compiti dei commissari economici e del modo in cui essi non furono in grado di adempiere a tali compiti. Egli dice: Certo, ma questi commissari economici sicuramente avranno una qualche importanza, anche in futuro, solo se si trovano le personalità giuste per occupare quei posti. - Il buon professor Varga pare non accorgersi affatto di quale potente confessione ci sia in realtà in queste tre righe, che sono fra le più interessanti di tutto il libro. Vediamo passare del tutto inosservata l'ammissione di un uomo che è cresciuto, direi con forza leninista, dalle idee del ventesimo secolo e che ebbe la possibilità di trasporre queste idee nella realtà; vediamo la confessione andare [in senso contrario] a quanto veniva predicato in continuazione quasi in ogni riunione social-democratica: Sì, è sbagliato, del tutto sbagliato, quando le persone credono che la storia proceda dalle idee, dalle genialità delle singole personalità; è molto più giusto [dire che] le personalità stesse e tutto ciò che esse possono sviluppare in termini di idee procede dalla situazione economica. - Dunque, queste persone continuavano a ripetere in continuazione che si erano sbagliati, quelli che avevano fatto conto sulle idee e sulle personalità, e che invece si deve far conto solo e soltanto sulla situazione della produzione, che come una sovrastruttura produce da sé quelle che sono le idee trainanti. Ora arriva un uomo ad introdurre [realmente le idee marxiste] e dice: Certo, queste idee sono tutte molto belle, ma potranno essere attuate soltanto quando ci saranno le personalità giuste per farlo. - è difficile pensare che si possa portare all'assurdo con maggiore forza quella che è proprio la cosa più essenziale, il nerbo, l'impulso più profondo del modo di pensare di un uomo come Varga, questo commissario principale dell'economia, questo ministro delle questioni economiche nell'Ungheria dei soviet. Egli mostra in modo assolutamente chiaro che quanto qui, nelle regioni dell'Europa centrale, è stato preparato in termini di idee del futuro dovette naufragare nel momento in cui ci si apprestò a volerne costruire qualcosa di concreto. Basta solo leggere queste descrizioni, venire a conoscenza di questa confessione, per vedere quanto impotente è in realtà un uomo del genere, che la situazione del momento ha portato ad emergere come guida di un Paese pur sempre importante, e a [quali conclusioni] giunge un uomo del genere nel settore economico.

Ma è anche interessante il motivo per cui un uomo del genere giunge all'ambito statale. Vedete, qui bisogna proprio unire le argomentazioni del professor Varga e le circostanze temporali. Forse vi ricorderete di come sempre di più negli ultimi decenni dalle parti più diverse siano stati sollevati certi problemi, e che tutte le cariche furono invase non da specialisti tecnici, né da specialisti commerciali, ma da giuristi. Vi ricorderete quanto si è parlato di questo fatto, nell'ingranaggio del vecchio apparato statale. Anche per altre questioni, specialmente nella statalizzazione delle linee ferroviarie, erano sempre stati proprio gli specialisti veri e propri, a doversi tirare indietro, e i giuristi erano quelli ai quali in sostanza fu data la massima importanza e che vennero collocati nei posti più importanti. Ora, come parla il professor Varga dei giuristi, dei quali peraltro fa parte anche lui? Come parla degli altri uomini di Stato, dei capi di Stato, dei funzionari statali? Ne parla in modo da dire di loro: Non vengono nemmeno presi in considerazione, vengono semplicemente eliminati, non vogliono più dire niente; i giuristi di tutti i tipi devono inserirsi nelle fila del proletariato, perché non servono, se si vuole socializzare la vita economica. - Si noti come qui confinino direttamente l'una con l'altra due cose: l'elitario Stato di giuristi, che ha portato in auge i giuristi, e lo Stato socialista, che dichiara inutile tutto questo sistema di giurisprudenza. Dunque, nello Stato socialista i giuristi vengono semplicemente rimossi, non ci si pensa nemmeno. Sono persone sulle quali non si fa più affidamento. Non vengono calcolate, nel momento in cui si vuole creare un nuovo ordinamento sociale. E la vita spirituale viene semplicemente classificata come un'appendice dello Stato economico. Cioè, ovviamente, nei due mesi di repubblica sovietica ungherese non fu classificata per niente. Perciò in quest'ambito Varga non aveva ancora sperimentato nulla; qui espone solo le sue teorie. E così vediamo proprio come questo professor Varga, che ha introdotto, direi per quanto riguarda la storia mondiale, un'opera notevole della letteratura attuale, vediamo come quest'uomo in realtà non radichi mai nella realtà. Al massimo radica nella realtà con l'unica banale frase, con l'ovvia banalità: Se si vuole che si adempia come si deve ad una carica, bisogna collocarci le persone giuste. Tutto il resto è paglia, è roba senza valore; però questa roba senza valore sarebbe dovuta diventare realtà in una regione comunque non piccolissima. Naturalmente un uomo del genere qui trova ogni genere di scuse per il fatto oggettivo che l'Ungheria dei soviet è finita così rapidamente – a causa dell'invasione della Romania e ogni altra cosa del genere. Però chi riesce a vedere chiaramente in queste cose deve dirsi: Semplicemente, dato che l'Ungheria è un territorio più piccolo, e quindi tutto ciò che demolisce, tutto ciò che scioglie e che decompone aveva una via più breve dal centro Budapest alla periferia del territorio, semplicemente per questo motivo nell'Ungheria dei soviet si è mostrato molto rapidamente ciò che in oriente, in Russia, dove la via dal centro Mosca alla periferia è più lunga, si mostrerà più avanti, anche se sicuramente in cose che possono preoccuparci molto.

Vedete, sostanzialmente nelle personalità preminenti, nelle personalità veramente in primo piano, abbiamo proprio a che fare solo con due tipi di cose. Da un lato abbiamo quei leader che, più o meno come l'attuale cancelliere dell'impero (si continua ancora a chiamarlo 'cancelliere dell'impero'), impersonano un personaggio primordialissimo nei negoziati internazionali, che continuano sempre a lavorare con le idee più trite e ritrite che ci siano, e dall'altro lato abbiamo quelle personalità, come lo è il professor Varga, che voleva fondare qualcosa di nuovo – qualcosa di nuovo che però è nuovo solo per il fatto che le sue idee portano più rapidamente alla demolizione. Anche le idee degli altri portano alla demolizione, ma dato che non procedono in modo così radicale, la demolizione procede in modo più disordinato, più lento; quando arriva il professor Varga con le sue idee, le cose sono più sostanziali, più estreme.

Prendiamo ora le idee occidentali. Come ho detto, qui si può descrivere molto, si può continuare a descrivere fino a domani, però vorrei presentare solo alcuni punti di vista. Vedete, dal punto di vista morale o dal punto di vista delle simpatie e antipatie umane, si può pensare come si vuole su questi Paesi occidentali, soprattutto sulla politica culturale anglo-americana (per me la si può chiamare anche 'politica anti-culturale'); non voglio litigare su questioni di gusto. [Non voglio parlare di questo], ma voglio parlare delle necessità storiche e politiche, di quello che come impeto, come impulso ha agito nella politica inglese negli stessi decenni nei quali in Europa centrale si discuteva in modo tanto teorico, che la prima cosa che è venuta fuori sono le idee di Varga. Chi osserva questa politica inglese trova che alla sua base prima di tutto il resto c'è qualcosa che è un tratto, un tratto fondamentale (non serve che piaccia a nessuno, però è un tratto fondamentale), quello di agire attraverso le idee, di fluire attraverso le idee.

Come si dovrebbe caratterizzare in modo oggettivo il contrasto fra questa Europa centrale e questi Paesi occidentali, anglo-americani (ne fanno parte anche le nuove generazioni coloniali)? A tal riguardo direbbe: straordinariamente caratteristico è che in questo tratto fondamentale, che prima di tutto appare nella politica commerciale, nella politica industriale dei Paesi occidentali, è sempre chiaramente percepibile qualcosa – non dico che sia comprensibile, ma è nettamente percettibile – qualcosa che si manifesta anche come idea. Nel 1884 uno storico inglese, il professor Seeley, nel libro «L'espansione della Gran Bretagna» ha descritto questa cosa. Voglio leggervi le sue stesse parole, meglio di tutto insieme a quel paio di frasi che esprimono in modo chiaro e netto di che cosa si tratta. Nel suo libro «L'espansione della Gran Bretagna Seeley dice:

«Abbiamo fondato il nostro regno in parte, come bisogna ammettere, permeati di ambizione alla conquista, in parte con intenzioni filantropiche, per porre fine a gigantesche disgrazie». - Egli intende le disgrazie nelle colonie. Cioè, si tende in modo del tutto consapevole ad una politica espansionistica (l'intero libro racchiude proprio quest'idea), ad un'estensione della sfera di potere della Gran Bretagna su tutto il mondo. E si anela a questa espansione, perché si crede che questa missione, che mira ad impiegare forze di espansione economica, che questa missione sia toccata al popolo britannico – più o meno nello stesso modo in cui nell'antichità era toccata una certa missione al popolo ebraico. Lo dice uno storico: Nelle persone che commerciano in Inghilterra (intendo che praticano il commercio), che sono industriali, che sono colonizzatori, che sono persone che amministrano lo Stato, in tutte queste persone vive una schiera compatta di conquistatori del mondo. - Questo è quanto dice questo storico Seeley. E le migliori persone dell'Inghilterra, che sanno di che cosa si tratta anche grazie alle società segrete, sottolineano espressamente: il nostro Regno è il Regno insulare, tutt'intorno abbiamo il mare, e secondo la configurazione di questo nostro Regno ci tocca questa missione. Poiché siamo un popolo insulare, proprio per questo, da un lato dobbiamo conquistare per ambizione e dall'altro lato dobbiamo, per filantropia (vera o creduta tale), cercare di sconfiggere i mali che ci sono in tutti i Paesi incivili. Tutto questo deriva dall'istinto di popolo, ma dall'istinto di popolo in un modo tale che si è sempre pronti a fare una data cosa, a non farne un'altra, quando si tratta di avvicinarsi in qualche modo al grande scopo dell'espansione dell'entità britannica. Che cosa se ne sa [dell'essere britannico]? Vi prego, stimatissimi convenuti, di tenere ben presente proprio quello che ho appena detto: dunque, cosa se ne sa? Si sa che gli inglesi pensano: Noi siamo un popolo insulare. Questo è il carattere del nostro Regno, che è costruito su un'isola. Non possiamo che essere un popolo conquistatore. - Se qualcuno ha il gusto di dire «un popolo rapinatore», può farlo, oggi non si tratta di questo, si tratta solo di dati di fatto e della tendenza politica, perché questi determinano qualcosa; i giudizi di gusto non hanno alcun effetto sul settore del quale ci stiamo occupando oggi. Dunque [in Inghilterra] si sa condurre una politica, soprattutto nel settore economico, che proceda da una chiara conoscenza di ciò che si è in quanto popolo nella regione della Terra in cui si vive. Questo è denso della realtà, questo è spirito della realtà.

E come stanno le cose in Europa centrale? A che pro continuare a farsi illusioni? Così non si andrà mai avanti. Si va avanti solo se si tiene presente qual è la realtà. Come stanno le cose, dunque, in Europa centrale, nello stesso momento in cui la volontà inglese si è sempre più cristallizzata in quello di cui ho parlato adesso, che procede da una chiara conoscenza del territorio sul quale si agisce, - nello stesso momento come vanno le cose in Europa centrale? Ora, in Europa centrale non abbiamo affatto a che fare con un simile riconoscimento dei compiti che risultano dai territori sui quali si vive – non c'è proprio assolutamente per niente. Prendiamo la regione dalla quale è partita la tragedia in Europa, l'Austria-Ungheria; questa Austria-Ungheria in un certo senso è stata fatta dalla storia moderna per dare la dimostrazione di come uno Stato moderno non dovrebbe essere fatto. Vedete, questa Austria-Ungheria includeva (oggi non posso parlarne in modo più esteso, oggi voglio darne solo una caratterizzazione del tutto aforistica ed esteriore), questa Austria-Ungheria in un primo momento includeva i tedeschi che vivevano nelle zone alpine e nell'alta e nella bassa Austria, che erano suddivisi nelle mentalità più diverse, e inoltre includeva a nord i cechi con forti influssi tedeschi nella Boemia tedesca, poi a est la popolazione polacca, e ancora più a est la popolazione rutena, poi le altre diverse popolazioni che si trovavano a est dell'Austria-Ungheria, soprattutto i magiari, e poi verso sud i popoli slavi meridionali. Stimatissimi convenuti, tutto ciò viene tenuto insieme da un'idea carica di realtà in modo simile a quello [degli inglesi]: Noi siamo un popolo insulare e quindi dobbiamo conquistare? - No! Con che cosa sono stati tenute insieme, allora, queste tredici diverse zone [linguistiche] riconosciute dallo Stato dell'Austria-Ungheria? Tenute insieme (posso dirlo, perché ho passato metà della mia vita, quasi trent'anni, in Austria), sono state tenute insieme solo ed esclusivamente per mezzo della politica interna asburgica, per mezzo di questa politica interna asburgica disgraziata. Si direbbe che tutto quello che è stato fatto in Austria-Ungheria in realtà è stato fatto secondo il punto di vista: Come si può tenere in piedi questa politica interna asburgica? Questa politica interna asburgica è un prodotto del medioevo. Non è dunque presente nient'altro [per questa coesione] che l'interesse egoico di una casata principesca, nulla di simile a ciò che, per esempio, viene ad espressione nello storico inglese Seeley nel 1884.

E cosa abbiamo sperimentato nel resto dell'Europa centrale, per esempio in Germania? Sì, devo dire: Mi ha sempre profondamente ferito nell'intimo, quando per esempio ho letto qualcosa come spesso dice Herman Grimm, che descrive in modo chiaro e netto ciò che ha sentito negli anni in cui era studente, ai tempi in cui era ancora un delitto dire di essere un tedesco. La gente oggi non lo sa più; non si deve dimenticare che si era un württembergese, si era un bavarese, un prussiano, un turingio e così via, ma non si era tedeschi. Ed essere tedeschi, tedeschi della grande Germania, ai quei tempi era una rivoluzione, lo si poteva dichiarare solo in una cerchia ristrettissima, era un delitto contro gli interessi egoici della casata regnante. Fino al 1848, dice Hermann Grimm, fra i tedeschi il peggior delitto in campo politico era quello che per i francesi era il massimo onore: definirsi un francese; definirsi un tedesco era [per i tedeschi il delitto più grave]. E credo che oggi molte persone leggano il «Discorso alla nazione tedesca» di Fichte senza affatto capirne correttamente le parole introduttive, perché le riferiscono a qualcos'altro. Fichte dice: Io parlo semplicemente per i tedeschi, semplicemente dei tedeschi. - Intende dire che parla senza tener conto delle differenze fra austriaci, sassoni, turingi, bavaresi e così via, appunto ai tedeschi – lo intende rigorosamente [nel senso] della politica interna; non c'è niente in questa frase che contenga qualcosa che vada verso l'esterno. [Essere tedeschi in senso politico] era una cosa che non era concessa, era proibito. Sembra quasi stupido, ma era proibito – un po' secondo lo stesso principio che emerge in un aneddoto sull'imperatore Ferdinando, che veniva chiamato 'il buono', Ferdinando il buono, perché del resto non aveva altre caratteristiche utili. Di lui si racconta che Metternich gli avesse annunciato: “A Praga la gente inizia la rivoluzione” e che l'imperatore Ferdinando abbia risposto: “è loro consentito?” - più o meno in base a questo stesso principio del non essere consentito fu trattato l'essere tedeschi fino al 1848. E poi da questo essere tedeschi si produsse proprio un ideale, che poi crollò nella politica di potere; si produsse quell'ideale [dell'unità], al quale ancora oggi si continua ad anelare. La via del destino che questo ideale ha preso la si può vedere in dettaglio nel modo migliore con l'esempio dell'esteta Vischer, di «V-Vischer», che viveva qui a Stoccarda; egli era stato ricolmo fino agli anni Settanta dell'ideale della grande Germania, che si cela nelle parole di Fichte: io parlo semplicemente per i tedeschi, semplicemente dei tedeschi. - Ma poi si sottomise a quelle circostanze che all'inizio degli anni Settanta Nietzsche caratterizzò con le parole: Erano un'estirpazione dello spirito tedesco in favore dell'impero tedesco. - Ma si vede quanto a denti stretti un uomo come Vischer metamorfosa il vecchio ideale in quello nuovo, quanto spaventosamente difficile gli riesce, di far passare quello nuovo per una verità alla quale si è convertito. In questo senso l'autobiografia «Il vecchio e il nuovo» di Vischer è straordinariamente interessante. E in quello che ho appena esposto si vede bene che, quando la situazione mondiale esigeva una politica mondiale, in Europa centrale appunto non sviluppò altro che quella insignificante discussione della quale ho parlato. In realtà ciò che successe negli anni Sessanta, Settanta fu politica interna contro politica esterna; era seguita a quanto sarebbe dovuto nascere dall'ideale tedesco. In sostanza, stimatissimi convenuti, gli italiani, i francesi, forse perfino gli inglesi sarebbero felici, se avessero uno storico come lo è stato Treitschke per i tedeschi. Lo si può definire un brontolone (forse lo era, e si può giudicare di poco gusto la sua maniera di descrivere le cose), ma questo tedesco proprio per i suoi carissimi tedeschi ha veramente trovato delle bellissime parole. Si doveva solo penetrare con lo sguardo [attraverso il brontolare] – lo si doveva fare anche personalmente. Quando una volta lo incontrai a Weimar (era la prima volta che lo incontravo), egli non era già più in grado di udire, bisognava scrivergli tutto, ma parlava a voce molto alta, accentuata, chiara – e mi chiese: Da dove viene, che compatriota è Lei? - Io gli scrissi che ero austriaco. Dopo alcune brevi frasi, che scambiammo, egli mi disse: “Sì, gli austriaci o sono persone assolutamente geniali o sono teste di rapa”. Naturalmente si aveva la possibilità di scegliere se far parte dell'una o dell'altra di queste due categorie, perché una terza categoria non c'era. Egli era dunque un uomo che parlava in modo deciso. In Treitschke si può leggere proprio bene di quel conflitto dei poteri interni che in realtà ha provocato il destino del popolo tedesco, quel conflitto dei poteri interni fra gli Asburgo e gli Hohenzollern, e Treitschke trova proprio le parole per dire anche agli Hohenzollern le verità più crude. Ora, la cosa straordinaria è, quando si fa politica nella non conoscenza della propria situazione territoriale, si fa politica come non la si può più fare nei tempi moderni, e così si crea appunto una situazione innaturale. E quando ci si trova dentro un qualcosa di così innaturale, allora si aspira a ciò cui aspirava e ancor oggi aspira il professor Varga: Ecco, se solo si riuscisse a fare in modo che ci fossero le persone giuste nei posti giusti! Ma la cosa straordinaria è questa: nella specifica situazione inglese questo si è verificato da sé a partire da un certo senso della realtà. Mentre in Europa centrale si litigava su teorie socialiste e anti-socialiste, per poi giungere a tentativi di ricostruzione sociale che non potevano portare proprio a nulla, era il riconoscimento realistico della situazione in cui ci si trovava, che in Occidente portava in alto uomini che ora veramente, nei loro posti, per ciò che si voleva fare e che Seeley descrive, facevano le cose giuste. Qui il senso della realtà portava gli uomini giusti nei posti giusti – ovviamente, per noi erano le cose sbagliate, ma non era loro compito, essere giusti per noi. Prendete forse subito uno dei più grandi – altri, di più piccoli ce n'erano veramente molti – uno dei più tipici: Cecil Rhodes. Tutta la sua attività in realtà si esplica in una forma veramente pratica, mentre in Europa centrale si teorizza. In Europa centrale si teorizza sullo Stato del futuro. Cecil Rhodes, venuto fuori proprio dal basso, è riuscito a diventare il più grande re dei diamanti. Come ci è riuscito? Perché si dà il caso straordinario (per noi è straordinario) che la banca Rothschild, a quel tempo ancora potente, gli procurava i crediti mondiali più grandi; li procurava ad un uomo che aveva una mano pratica per fare affari esattamente nella stessa direzione in cui Seeley, a partire dalle idee britanniche, che vanno fin dentro le società segrete, descrive la politica mondiale britannica. Infatti Cecil Rhodes era un uomo che non solo faceva affari, ma continuamente ritornava sempre indietro in Inghilterra, ritornava in isolamento, studiava Carlyle e persone del genere, dalle quali lo irraggiava quest'idea: La Gran Bretagna ha una missione, e noi ci poniamo a servizio di questa missione. - E che cosa ne consegue? In un primo momento è la banca dei Rothschild [che gli fa credito] – quindi un'azienda bancaria che è connessa allo Stato, ma che comunque è sorta da circostanze private. Ma poi: di che cosa è capace un uomo come Cecil Rhodes? Egli è capace di considerare quello che si potrebbe chiamare 'lo Stato britannico' interamente come uno strumento per la politica espansionistica inglese – e questo con una marcata caratteristica – collegato alla grande fede nella missione britannica. Egli è in grado, come molti altri, (solo che egli è uno dei più grandi) di usare lo Stato britannico come uno strumento per questo fine, e di fare in modo che quello che fa rifletta la sua luce sul potere britannico che diventa sempre e sempre più grande. Tutto ciò è appunto possibile solo per il fatto che nella popolazione inglese è presente una coscienza della particolare missione storico-mondiale in quanto popolo insulare. E dall'Europa centrale non si fu in grado contrapporre niente che ne fosse all'altezza. Dunque, che cosa succede qui in occidente? Una politica economica condotta da personalità cresce insieme alla politica statale. Perché crescono insieme? Perché la politica inglese è del tutto adatta al tempo moderno, e adatti al tempo moderno lo si è solo se si è in condizione di concepire le idee a partire dalla realtà in cui si vive. Allora la politica statale può concrescere con la politica economica. Però lo Stato inglese è uno Stato che in quanto tale esiste solo nelle carte – in realtà è un conglomerato di situazioni private. è solo una frase fatta, quando si parla di uno Stato britannico; si dovrebbe parlare di vita economica britannica e di antiche tradizioni, che ci sono, di antiche tradizioni spirituali e cose simili. Nel senso in cui la Francia è uno Stato, in cui la Germania cerca di diventare uno Stato, la Gran Bretagna non è mai stata uno Stato. Però lì si è capito il territorio sul quale si viveva; si è organizzata la vita economica in modo consono a tale territorio. Vedete, oggi la gente riflette su come dovrebbe essere diversa l'Inghilterra, su come l'Inghilterra non dovrebbe perseguire una politica espansionistica, su come dovrebbe fare la «brava». Così, come se la immaginano da noi molte persone, l'Inghilterra non potrebbe più essere l'Inghilterra; infatti quello che essa fa e ha fatto si basa interamente proprio sul fatto di essere un'isola. E può continuare a svilupparsi solo per il fatto che continua a perseguire questa politica.

E cosa abbiamo sperimentato nel resto dell'Europa centrale, per esempio in Germania? Sì, devo dire: Mi ha sempre profondamente ferito nell'intimo, quando per esempio ho letto qualcosa come spesso dice Herman Grimm, che descrive in modo chiaro e netto ciò che ha sentito negli anni in cui era studente, ai tempi in cui era ancora un delitto dire di essere un tedesco. La gente oggi non lo sa più; non si deve dimenticare che si era un württembergese, si era un bavaverse, un prussiano, un turingio e così via, ma non si era tedeschi. Ed essere tedeschi, tedeschi della grande Germania, ai quei tempi era una rivoluzione, lo si poteva dichiarare solo in una cerchia ristrettissima, era un delitto contro gli interessi egoici della casata regnante. Fino al 1848, dice Hermann Grimm, fra i tedeschi il peggior delitto in campo politico era quello che per i francesi era il massimo onore: definirsi un francese; definirsi un tedesco era [per i tedeschi il delitto più grave]. E credo che oggi molte persone leggano il «Discorso alla nazione tedesca» di Fichte senza affatto capirne correttamente le parole introduttive, perché le riferiscono a qualcos'altro. Fichte dice: Io parlo semplicemente per i tedeschi, semplicemente dei tedeschi. - Intende dire che parla senza tener conto delle differenze fra austriaci, sassoni, turingi, bavaresi e così via, appunto ai tedeschi – lo intende rigorosamente [nel senso] della politica interna; non c'è niente in questa frase che contenga qualcosa che vada verso l'esterno. [Essere tedeschi in senso politico] era una cosa che non era concessa, era proibito. Sembra quasi stupido, ma era proibito – un po' secondo lo stesso principio che emerge in un aneddoto sull'imperatore Ferdinando, che veniva chiamato 'il buono', Ferdinando il buono, perché del resto non aveva altre caratteristiche utili. Di lui si racconta che Metternich gli avesse annunciato: “A Praga la gente inizia la rivoluzione” e che l'imperatore Ferdinando abbia risposto: “è loro consentito?” - più o meno in base a questo stesso principio del non essere consentito fu trattato l'essere tedeschi fino al 1848. E poi da questo essere tedeschi si produsse proprio un ideale, che poi crollò nella politica di potere; si produsse quell'ideale [dell'unità], al quale ancora oggi si continua ad anelare. La via del destino che questo ideale ha preso la si può vedere in dettaglio nel modo migliore con l'esempio dell'esteta Vischer, di «V-Vischer», che viveva qui a Stoccarda; egli era stato ricolmo fino agli anni Settanta dell'ideale della grande Germania, che si cela nelle parole di Fichte: io parlo semplicemente per i tedeschi, semplicemente dei tedeschi. - Ma poi si sottomise a quelle circostanze che all'inizio degli anni Settanta Nietzsche caratterizzò con le parole: Erano un'estirpazione dello spirito tedesco in favore dell'impero tedesco. - Ma si vede quanto a denti stretti un uomo come Vischer metamorfosa il vecchio ideale in quello nuovo, quanto spaventosamente difficile gli riesce, di far passare quello nuovo per una verità alla quale si è convertito. In questo senso l'autobiografia «Il vecchio e il nuovo» di Vischer è straordinariamente interessante. E in quello che ho appena esposto si vede bene che, quando la situazione mondiale esigeva una politica mondiale, in Europa centrale appunto non sviluppò altro che quella insignificante discussione della quale ho parlato. In realtà ciò che successe negli anni Sessanta, Settanta fu politica interna contro politica esterna; era seguita a quanto sarebbe dovuto nascere dall'ideale tedesco. In sostanza, stimatissimi convenuti, gli italiani, i francesi, forse perfino gli inglesi sarebbero felici, se avessero uno storico come lo è stato Treitschke per i tedeschi. Lo si può definire un brontolone (forse lo era, e si può giudicare di poco gusto la sua maniera di descrivere le cose), ma questo tedesco proprio per i suoi carissimi tedeschi ha veramente trovato delle bellissime parole. Si doveva solo penetrare con lo sguardo [attraverso il brontolare] – lo si doveva fare anche personalmente. Quando una volta lo incontrai a Weimar (era la prima volta che lo incontravo), egli non era già più in grado di udire, bisognava scrivergli tutto, ma parlava a voce molto alta, accentuata, chiara – e mi chiese: Da dove viene, che compatriota è Lei? - Io gli scrissi che ero austriaco. Dopo alcune brevi frasi, che scambiammo, egli mi disse: “Sì, gli austriaci o sono persone assolutamente geniali o sono teste di rapa”. Naturalmente si aveva la possibilità di scegliere se far parte dell'una o dell'altra di queste due categorie, perché una terza categoria non c'era. Egli era dunque un uomo che parlava in modo deciso. In Treitschke si può leggere proprio bene di quel conflitto dei poteri interni che in realtà ha provocato il destino del popolo tedesco, quel conflitto dei poteri interni fra gli Asburgo e gli Hohenzollern, e Treitschke trova proprio le parole per dire anche agli Hohenzollern le verità più crude. Ora, la cosa straordinaria è, quando si fa politica nella non conoscenza della propria situazione territoriale, si fa politica come non la si può più fare nei tempi moderni, e così si crea appunto una situazione innaturale. E quando ci si trova dentro un qualcosa di così innaturale, allora si aspira a ciò cui aspirava e ancor oggi aspira il professor Varga: Ecco, se solo si riuscisse a fare in modo che ci fossero le persone giuste nei posti giusti! Ma la cosa straordinaria è questa: nella specifica situazione inglese questo si è verificato da sé a partire da un certo senso della realtà. Mentre in Europa centrale si litigava su teorie socialiste e anti-socialiste, per poi giungere a tentativi di ricostruzione sociale che non potevano portare proprio a nulla, era il riconoscimento realistico della situazione in cui ci si trovava, che in Occidente portava in alto uomini che ora veramente, nei loro posti, per ciò che si voleva fare e che Seeley descrive, facevano le cose giuste. Qui il senso della realtà portava gli uomini giusti nei posti giusti – ovviamente, per noi erano le cose sbagliate, ma non era loro compito, essere giusti per noi. Prendete forse subito uno dei più grandi – altri, di più piccoli ce n'erano veramente molti – uno dei più tipici: Cecil Rhodes. Tutta la sua attività in realtà si esplica in una forma veramente pratica, mentre in Europa centrale si teorizza. In Europa centrale si teorizza sullo Stato del futuro. Cecil Rhodes, venuto fuori proprio dal basso, è riuscito a diventare il più grande re dei diamanti. Come ci è riuscito? Perché si dà il caso straordinario (per noi è straordinario) che la banca Rothschild, a quel tempo ancora potente, gli procurava i crediti mondiali più grandi; li procurava ad un uomo che aveva una mano pratica per fare affari esattamente nella stessa direzione in cui Seeley, a partire dalle idee britanniche, che vanno fin dentro le società segrete, descrive la politica mondiale britannica. Infatti Cecil Rhodes era un uomo che non solo faceva affari, ma continuamente ritornava sempre indietro in Inghilterra, ritornava in isolamento, studiava Carlyle e persone del genere, dalle quali lo irraggiava quest'idea: La Gran Bretagna ha una missione, e noi ci poniamo a servizio di questa missione. - E che cosa ne consegue? In un primo momento è la banca dei Rothschild [che gli fa credito] – quindi un'azienda bancaria che è connessa allo Stato, ma che comunque è sorta da circostanze private. Ma poi: di che cosa è capace un uomo come Cecil Rhodes? Egli è capace di considerare quello che si potrebbe chiamare 'lo Stato britannico' interamente come uno strumento per la politica espansionistica inglese – e questo con una marcata caratteristica – collegato alla grande fede nella missione britannica. Egli è in grado, come molti altri, (solo che egli è uno dei più grandi) di usare lo Stato britannico come uno strumento per questo fine, e di fare in modo che quello che fa rifletta la sua luce sul potere britannico che diventa sempre e sempre più grande. Tutto ciò è appunto possibile solo per il fatto che nella popolazione inglese è presente una coscienza della particolare missione storico-mondiale in quanto popolo insulare. E dall'Europa centrale non si fu in grado contrapporre niente che ne fosse all'altezza. Dunque, che cosa succede qui in occidente? Una politica economica condotta da personalità cresce insieme alla politica statale. Perché crescono insieme? Perché la politica inglese è del tutto adatta al tempo moderno, e adatti al tempo moderno lo si è solo se si è in condizione di concepire le idee a partire dalla realtà in cui si vive. Allora la politica statale può concrescere con la politica economica. Però lo Stato inglese è uno Stato che in quanto tale esiste solo nelle carte – in realtà è un conglomerato di situazioni private. è solo una frase fatta, quando si parla di uno Stato britannico; si dovrebbe parlare di vita economica britannica e di antiche tradizioni, che ci sono, di antiche tradizioni spirituali e cose simili. Nel senso in cui la Francia è uno Stato, in cui la Germania cerca di diventare uno Stato, la Gran Bretagna non è mai stata uno Stato. Però lì si è capito il territorio sul quale si viveva; si è organizzata la vita economica in modo consono a tale territorio. Vedete, oggi la gente riflette su come dovrebbe essere diversa l'Inghilterra, su come l'Inghilterra non dovrebbe perseguire una politica espansionistica, su come dovrebbe fare la «brava». Così, come se la immaginano da noi molte persone, l'Inghilterra non potrebbe più essere l'Inghilterra; infatti quello che essa fa e ha fatto si basa interamente proprio sul fatto di essere un'isola. E può continuare a svilupparsi solo per il fatto che continua a perseguire questa politica.

Come stavano le cose, invece, in Europa centrale? Qui, in Europa centrale, non si sviluppò alcuna comprensione per i territori nei quali si viveva; non vi si trovò l'idea di una missione conforme alla propria realtà, mancò questo grande tratto caratteristico. Mentre nel regno britannico quello che si chiama Stato, ma non lo è, si è fatto usare molto bene proprio dai politici economici più dotati come uno strumento della politica dell'Inghilterra, [in Austria-Ungheria] le cose si separarono; qui ci si poteva solo votare all'illusione che, per quella che sarebbe dovuta essere la politica austro-ungarica, si potesse usare il territorio in cui ci si trovava. Le cose che in Inghilterra rimanevano unite qui furono separate. E lo studio della situazione austro-ungarica presenta addirittura qualcosa di grottesco, perché si è cercato di creare una regione economica basandosi su un punto di vista con il quale non la si poteva creare. Perché la politica interna austriaca sarebbe dovuta essere fin dall'inizio una specie di [politica interna]. Certo, se la politica interna asburgica fosse stata la politica della casa mondiale Rotschild, allora si sarebbe potuta sviluppare una politica economica interna; però con la politica interna austriaca non si riuscì nemmeno a sviluppare qualcosa come la politica orientale o cose del genere. Non funzionava, le cose si separarono. Lo stesso avvenne anche in Germania, anche se io non ho avuto occasione di osservarlo in modo così chiaro come in Austria.

Si potrebbe anche descrivere la situazione orientale e mostrare come non si arrivò assolutamente mai ad una discussione. In occidente tutte le discussioni erano state lasciate alle spalle; in realtà erano state liquidate, direi, dai tempi di Cromwell. Poi si era sviluppata la pratica. Nelle regioni centrali si discuteva e si arrivò al punto di credere che la pratica sia quello che risulta da una mera necessità logico-astratta. In oriente non si giunse proprio per niente a [tali discussioni], ma si arrivò semplicemente ad accogliere l'occidente, tanto che uno zar, Pietro il Grande, portò l'occidente a oriente, e anche un Lenin si adattò al chiacchierio occidentale e lo portò a oriente. In realtà è cambiato solo il mantello, perché in sostanza Lenin è uno zar tanto quanto lo erano gli zar precedenti. Non so se gli riesca altrettanto bene di portare egli stesso il mantello proprio tagliato giusto, come per esempio è stato detto del signor Ebert da quelli che lo hanno osservato in Slesia e che hanno voluto notare che nell'imitazione del guglielmismo egli è riuscito addirittura ad annuire nel modo giusto; non so se sia così anche per Lenin. Ma per quanto la maschera possa anche essere diversa, in realtà ci troviamo ancora davanti ad uno zar, solo in un'altra forma, uno zar che ha introdotto l'occidente in oriente. Questo suscita quel cozzare innaturale dell'atmosfera piena di speranza di tutto l'oriente con le idee non capite provenienti dall'occidente. è strano come in Russia 600 000 persone dominino tanto energicamente i milioni di altre persone e che queste 600 000 a loro volta vengano dominate da un paio di commissari del popolo. Ma una cosa del genere può succedere solo perché chi anela ad una nuova configurazione del mondo nel modo in cui lo fa l'uomo orientale in fondo, in un primo momento, non si sente per niente toccato da come il suo anelito venga soddisfatto. Se a Mosca fosse arrivato un altro con idee completamente diverse, avrebbe potuto dispiegare lo stesso potere. Di questo si accorgono pochissime persone al presente, perché la gran parte della gente è del tutto sprofondata nell'irrealtà.

Ma che cosa deriva da tutto quello che ho appunto cercato di caratterizzare aforisticamente? Ne deriva che in occidente ci sarà bisogno di molto tempo, prima che (grazie al concrescere degli interessi cosiddetti statali e degli interessi economici) l'idea della tripartizione diventi popolare. E ne deriva anche che il centro Europa è la regione in cui è necessario che inizialmente questa idea metta radici, perché le persone dovrebbero capire che la situazione precedente qui ha disperso tutto. In sostanza tutto si è proprio scisso; si cerca solo di tenerlo ancora insieme con vecchi fermagli che non funzionano più. La tripartizione in fondo è già qui, sotto la superficie, si tratta solo di portarla a coscienza e di configurare la realtà come quello che è già presente sotto la superficie. A tal pro è veramente necessario sapere finalmente che con le vecchie personalità non si può far nulla e che esse devono essere sostituite da personalità che abbiano le idee chiare sul fatto che quello che pensano queste vecchie personalità dall'anno 1914 è stato portato all'assurdo e che qualcosa di nuovo deve prenderne il posto. Questo è quanto ho cercato di chiarire già durante la sciagurata guerra mondiale a quelli che forse avrebbero avuto la possibilità di fare qualcosa. E vi sono contenuti i motivi per cui, da quando la catastrofe mondiale era temporaneamente sfociata in rivoluzione mondiale, si cerca di inserire l'idea della tripartizione in quante più teste possibile; perché ciò di cui abbiamo bisogno è di avere quante più persone possibile con l'idea della tripartizione. Durante la guerra mondiale non si è capito che ai quattordici punti di Woodrow Wilson, che sono astratti, si sarebbe dovuta contrapporre con autorevolezza la tripartizione, che è concreta. I pratici l'hanno trovata non pratica, perché non hanno alcuna vera idea del nesso fra idea e pratica. Certamente, i quattordici punti di Woodrow Wilson sono quanto meno pratici possibile. E forse la tragedia peggiore che potesse succedere al popolo tedesco è che lo stesso uomo sul quale si contava negli ultimi giorni del periodo catastrofico, che poteva ancora diventare cancelliere del Reich dal vecchio regime, che lui stesso riusciva a prendere in qualche modo sul serio i quattordici punti di Wilson. Per il momento questi quattordici punti sono sfociati nell'impossibilità dell'astratta Società delle Nazioni; essi rivelano in modo pratico la loro impossibilità a Versailles e Spa. Ma ciò che questi punti sono riusciti a fare, nonostante siano astratti, è stato di mettere in moto eserciti e navi. E anche i punti che vengono al mondo con la tripartizione dovrebbero mettere in moto qualcosa; anche se non proprio eserciti e navi, tuttavia essi dovrebbero mettere in moto le persone, in modo che ci possa di nuovo essere un organismo sociale capace di vivere. Questo può succedere solo sulla via verso la tripartizione, ne abbiamo già parlato dai più disparati punti di vista. Oggi volevo parlarne da un paio di punti di vista della storia moderna. Questa storia moderna naturalmente va osservata da punti di vista diversi da come la si osserva usualmente, solo come a scuola. La tripartizione ci porterà oltre questa scolasticità, per il fatto che la vita spirituale viene liberata. E dalla vita spirituale liberata poi sarà possibile dare un posto a quelle personalità delle quali perfino un professore come Varga oggi deve dire: se noi le avessimo avute, forse anche la storia sarebbe andata bene. - Ma è sicuro che per le vie del professor Varga non si arriverà a fare in modo che quelle personalità vengano messe al loro giusto posto.

Dopo l'introduzione di Rudolf Steiner svariate persone chiedono la parola per fare domande e dire la loro opinione:

Max Benzinger: Se vogliamo davvero che si realizzi la tripartizione, dobbiamo assolutamente uscire allo scoperto con questa idea. Non basta invitare gli interessati a partecipare alle serate di studio.

Siegfried Dorfner: Nei «Punti chiave» si dice che i mezzi di produzione possono costare qualcosa solo fino a quando sono stati prodotti. Se una fabbrica produce mezzi di produzione, per esempio dei torni: allora il tornio può costare qualcosa solo fino a quando viene prodotto? Così però la fabbrica che li produce non avrebbe coperture per farli. I mezzi di produzione pronti non devono dunque essere pagati?

Rudolf Steiner: Se si producono torni e si vuole venderli in quanto torni, questi non sono ancora mezzi di produzione. Sono proprio ancora merci e non mezzi di produzione; diventano mezzi di produzione solo nel momento in cui vengono piazzati nella comunità sociale per produrre. Si tratta di osservare il concetto di mezzo di produzione nel processo sociale reale. Qui, i torni sono mezzi di produzione solo dove vengono ancora usati solo come mezzi di produzione; fino a quel momento vengono venduti come merci, e chi li vende è un consumatore.

Un altro partecipante al dibattito: Si è parlato di merci. Non si deve distinguere fra merci provenienti dalla campagna e merci industriali? Le merci che vengono dal settore agricolo di solito producono un'eccedenza, mentre le merci industriali lavorano con un bilancio passivo.

Rudolf Steiner: Naturalmente questa faccenda oggi dovrà essere fraintesa in molti modi, perché noi non viviamo affatto in una situazione tale per cui, in un certo senso, risulti un grande bilancio, includendo semplicemente tutto quello che viene prodotto in questo bilancio di una zona economica chiusa – non può affatto venire fuori un bilancio del genere. Lei non può inserire la nostra attuale economia agricola in qualche modo in un bilancio complessivo, se ha una data quantità di carico ipotecario sui beni, e poi paragonarlo all'industria. Quando dico che in sostanza l'industria è destinata a vivere di tutto ciò che viene prodotto dall'agricoltura, bisogna immaginare che non ci sia tutto ciò che da noi si è immischiato e attraverso il quale in un certo senso può essere realizzato solo un bilancio globale offuscato. Se ciò che non può essere merce smette di essere merce, in special modo il terreno e la forza lavoro umana, se sarà merce solo ciò che nel senso della tripartizione può circolare fra produttori e consumatori, allora si potrà compilare un bilancio che consentirà di vedere che ogni volta le spese che sono necessarie per l'industria devono essere coperte dal sovrappiù dell'agricoltura. è ovvio, che attualmente non sia così. Ma appunto stiamo vivendo in tempi in cui dovrebbe delinearsi un bilancio totale di una regione economica chiusa veramente basato sulla produzione. Quello che ho detto è noto già da molto tempo, da parte della vita economica. Nevvero, perfino Walter Rathenau sottolinea che ogni industria è un bene divoratore, nel senso che i raccolti/i proventi devono sempre continuare ad entrare nell'industria e che bisogna sempre continuare a contribuire. Ma questo deve venire da qualche parte, e può venire solo da quelli che sono i proventi/raccolti dell'agricoltura. Ma nei nostri bilanci attuali questo fatto non viene ad espressione.

Signor Roser: è proprio tipico dell'epoca in cui viviamo, che una persona come Varga si sia trovata a dover dire che sono mancati gli uomini giusti. Quello che è necessario è un'educazione delle masse. Ma anche da noi, nel movimento per la tripartizione, mancano gli uomini giusti. I quali sarebbero assolutamente necessari, perché la tripartizione deve essere diffusa in grande stile.

Emil Molt: Deve veramente succedere qualcosa. Dovrebbero capirlo tutti, già solo osservando se stessi.

Un altro partecipante al dibattito: Vorrei ancora porre una domanda al dottor Steiner. Nel quotidiano di Francoforte è uscito da poco un articolo in cui si poneva l'ovvia domanda: “Dunque, come si può di fatto rendere libera la vita spirituale, dato che deve comunque essere finanziata dalla vita economica?” Come risponde il dottor Steiner a questa domanda che, per l'organizzazione a cui si riferisce l'articolo, non ha ancora ricevuto una piena risposta?

Rudolf Steiner: Abbiamo trattato questa questione molto spesso, qui, cioè di come si farà con il sostegno economico della vita spirituale. E la notizia nel giornale deve semplicemente essere inesatta, se si riferisce alle nostre discussioni nel movimento per la tripartizione nel suo complesso.

Interruzione

Sicuramente può essere successo da qualche parte, che qualcuno non abbia potuto dare informazioni; ma quanto spesso io stesso ho detto che nella triarticolazione veramente non si tratta di una tripartizione dell'uomo, ma di una articolazione [dell'organismo sociale] in tre organizzazioni della vita, che devono necessariamente svilupparsi una accanto all'altra: la vita spirituale, quella statale e quella economica. Gli uomini saranno proprio inseriti in tutti e tre i settori. E così è del tutto ovvio che quello che le personalità che sono nell'organizzazione della vita spirituale devono amministrare di spirituale nella vita spirituale non costituisce che soltanto un unico settore. Però queste personalità, che sostengono la vita spirituale, devono anche vivere. Perciò si articoleranno in organizzazioni economiche. E non farà affatto differenza, se un'organizzazione del genere, diciamo, consisterà di insegnanti o di musicisti o di ciabattini o di sarti. Perché l'organizzazione economica non esiste affinché si provveda solo proprio all'uno o all'altro settore della vita economica, bensì affinché tutte le persone vengano economicamente sostenute. E poiché sono inserite nel settore economico dell'organismo sociale, esse vengono sostenute economicamente.

Si può restare sorpresi, per come qui vengano fraintese le cose. è emerso anche davanti ai nostri, se posso chiamarli così, 'occhi dei tripartitori'[1] uno schema carino, che è stato elaborato da un partito socialdemocratico radicale a Halle – bello, nevvero, il modo scolastico di fare gli schemi. Qui sopra ci sono (viene disegnato), così belli, i posti più importanti della vita economica – in cima ovviamente ce n'è soltanto uno. Poi si diramano scendendo verso il basso. Se le cose andassero così, il futuro Stato socialista sarebbe qualcosa che corrisponderebbe al più elevato ideale della burocrazia. Ma proprio alla fine, qui si sono trovate tre suddivisioni più piccole, dedicate alla vita economica. E di queste tre suddivisioni alcuni signori erano così entusiasti, da dire: qui dentro c'è tutta l'idea della tripartizione. Ora, a base di tutto ciò c'era prima di tutto l'idea sbagliata che un giorno l'organismo sociale sarebbe stato suddiviso in questo modo. Non dovrà affatto essere suddiviso in questo modo, così come anche l'organismo umano non è suddiviso in tre parti che stanno l'una accanto all'altra. E tuttavia nell'organismo umano ci sono tre parti: noi siamo al tempo stesso uomini della testa, uomini del torace e uomini del ricambio. Ma non solo la testa è uomo della testa, l'uomo della testa si estende a tutto l'organismo umano; all'uomo della testa appartiene l'intero sistema neuro-sensoriale. E l'uomo del cuore a sua volta non si trova solo nel cuore; per esempio il senso del calore si estende in tutto il corpo, perciò tutto il corpo è anche uomo del cuore. E il ritmo ce lo abbiamo dappertutto, anche nel sistema della testa. I sistemi si compenetrano reciprocamente. Ora posso parlarne solo astrattamente, ma le corporazioni della vita spirituale ci saranno semplicemente anche come corporazioni economiche. Solo che queste corporazioni spirituali avranno qui le loro organizzazioni nella parte economica dell'intero organismo sociale, e ciò che faranno non potrà immedesimarsi nell'organizzazione della parte spirituale dell'organismo tripartito.

Oggi ci sono comunque molti motivi per avere dei fraintendimenti in queste cose; questi malintesi si sono visti più e più volte, anche fra gli insegnanti accademici. Questi insegnanti accademici dovrebbero almeno essere inseriti nella vita culturale. Ma se si dice loro che dovrebbe essere proprio ovvio che coloro che sono inseriti nella vita spirituale costruiscano una società con i loro simili per gestire la vita spirituale stessa (Klopstock ha proprio parlato di una repubblica di studiosi), qui si sperimenta spesso che un insegnante universitario dica: No, [non voglio], perché qui, poi, la persona in questione non sarebbe un responsabile al Ministero della Pubblica Istruzione, bensì un mio collega; no, io preferisco che qui ci sia un responsabile al Ministero della Pubblica Istruzione, piuttosto che un mio collega.

Dunque si tratta del fatto che noi non si mischi [nella situazione sociale attuale] niente di ciò che qui vive come le tre professioni, la professione di insegnante, la professione militare e la professione di contadino, che noi non mischiamo nulla di tutto ciò, bensì che ci sia chiaro che gli uomini oggi non vivono tripartiti, separati [in posizioni]. [Deve esserci chiaro] che l'uomo è del tutto inserito in tutte e tre le parti dell'organismo sociale. Allora si potrà anche capire come chiunque debba essere attivo nella vita spirituale o chiunque debba essere attivo nella vita statale, comunque è inserito nella vita economica e che la vita economica deve provvedere a lui. Dunque si tratta del fatto che gli uomini sono inseriti nell'intero organismo sociale.


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Note:

[1] Così nel testo.