Premesse personali. Unilateralità del pensiero marxista. L'inaridimento dell'anima del proletario come conseguenza della concezione materialistica del mondo. Il carattere di merce del lavoro. La dittatura del proletariato e il manifesto comunista. La socializzazione dei mezzi di produzione e il problema del plusvalore. I compiti della scienza dello spirito ad orientamento antroposofico. L'estraneità alla vita delle idee sociali invalse fino ad ora. La vita giuridica indipendente dalla vita economica. Rischi delle rivoluzioni politiche e importanza delle rivoluzioni intellettuali. Lenin e Trotsky becchini della civiltà. La liberazione dell'educazione è un compito urgente. La protesta delle generazioni future a seguito della socializzazione dei mezzi di produzione. Le possibilità di realizzare la triarticolazione in Svizzera. Interazione fra liberalismo, democrazia e socialismo.
Conclusione dopo il dibattito
La differenza fra l'idea della triarticolazione e il vecchio ordinamento corporativo. Parlamentarismo e vita dello Stato. L'inutilità dei programmi sociali. Le leggi dell'organismo sociale. La triarticolazione come esigenza del tempo.
In sostanza quando si tratta di idee destinate ad essere realizzate nella vita pratica, gli errori completi sono meno dannosi delle mezze verità, delle verità per un terzo e per un quarto. Infatti gli errori completi sono relativamente facili da confutare e non dureranno a lungo nella vita pubblica. Le mezze verità, i quarti di verità, sono tentazioni straordinariamente forti di fronte alla complessità della vita. Essi vengono veicolati a lungo nella vita a causa delle svariate passioni, a causa dei sentimenti che muovono gli animi finché, forse dopo dure lotte, forse anche dopo grandi sofferenze, si capisce che le mezze verità e i quarti di verità sono appunto tali e che, così come vengono concepiti, non vanno applicati alla vita.
Osservando la vita con imparzialità, soprattutto dopo i duri anni di prove che l’umanità civile ha appena attraversato, bisogna ammettere che quel che ho appena detto è vero soprattutto riguardo a quella che adesso e già da lungo tempo viene chiamata la ‘questione sociale’. Infatti in sostanza nella questione sociale tutti aggrovigliano in un grande mucchio un’enorme quantità di mezze verità e di quarti di verità.
Adesso c’è il tentativo, che ho fatto nel mio libro I punti essenziali della questione sociale rispetto alle necessità della vita nel presente e nell’avvenire, di guardare a ciò che, a prescindere dalle mezze verità e dai quarti di verità dei programmi, questa lotta sociale moderna, questa moderna questione sociale, contiene realmente e a cosa essa possa orientarsi in base alla realtà. Ciò che è dato in questi Punti essenziali dovrà poi essere ulteriormente ampliato, per esempio qui per la Svizzera, nel Futuro sociale pubblicato dal dottor Boos.
Prima di addentrarmi nell’argomento vero e proprio di stasera, consentitemi magari una breve, brevissima osservazione personale, che però è connessa all’argomento. Quello che ho cercato di fare è appunto in tutto e per tutto un tentativo consapevole della sua incompiutezza. Quel che ho cercato di fare nel mio libro I punti essenziali della questione sociale non è sgorgato da una qualche direzione politica esistente, non vuole affatto assumere un dato punto di vista politico, per così dire non vuole impicciarsi direttamente nella vita politica presente adesso. È nato da un’osservazione molto lunga della vita e non vuole essere una sorta di programma, né una qualche idea sociale astratta, ma vuole essere il risultato della vita pratica stessa, così come è risultata a me, poiché ho avuto l’occasione (mi è arrivata così, attraverso il mio destino) di conoscere realmente, posso ben dirlo, tutte le classi sociali e le categorie di persone del mondo attuale, di conoscerle nelle loro reciproche rivendicazioni, nei loro reciproci malintesi, nella loro collaborazione e mancanza di collaborazione. E poiché, in sostanza, negli anni passati, in cui ho sempre avuto occasione di sfiorare appena argomenti come quello di oggi, mi sono dovuto occupare principalmente della scienza dello spirito in quanto tale, posso dire che ciò che avrò da dirvi non ha subito alcuna influenza dalle diverse colorazioni partitiche. La mia vita mi ha portato attraverso alcune cose, ma in ogni caso mai attraverso alcun partito. E quello che infine è il risultato di un’osservazione sociale decennale, che è sempre stata intrapresa dal punto di vista della conoscenza scientifico-spirituale, egregi convenuti, mi impedirà anche in futuro di partecipare ad un qualche programma di partito.
Perciò bisogna dare stimoli per la reale esecuzione pratica, è questo l’importante. Che tali stimoli, quando se ne parla, debbano essere concepiti in principi più o meno apparentemente astratti è ovvio; però questi principi astratti devono esprimere solo quella che appunto è esperienza di vita e che può assolutamente essere posta alla base di una configurazione pratica della vita.
Da un punto di vista del genere, cioè non secondo programmi, ma da un punto di vista pratico, osserviamo la vita sociale che si è sviluppata da più di mezzo secolo proprio nel mondo civile che ci riguarda, osserviamo questa vita sociale, e vedremo che la concezione della vita sociale è completamente diversa, e lo è da decenni, da più di mezzo secolo, è completamente diversa per le classi dominanti da una parte e le grandi masse del popolo proletario dall’altra.
Convivendo con gli operai (per anni sono stato insegnante di una scuola per la formazione degli operai a Berlino) ho potuto conoscere anche il modo di pensare delle vaste masse proletarie, e non solo il modo di pensare, ma anche il modo di sentire, i sentimenti che si imprimono in ciò che poi va a cristallizzarsi nelle rivendicazioni sociali, sia del presente che anche del prossimo futuro.
Quello che ho raccolto nel mio I punti essenziali della questione sociale è il precipitato di conoscenze che ho sempre creduto di dover trarre da ciò che osservavo, cioè di conoscenze dalle quali risulta che dall’idea cosciente, dal programma di partito cosciente che sta alla base delle rivendicazioni della vasta massa proletaria, in qualche modo non si riesce a progredire nella questione sociale, che questa massa proletaria si è votata in modo veramente fatale a mezze verità e a quarti di verità e che, proprio prendendo sul serio la questione sociale, non ci si può arrestare a ciò che viene formulato sotto l’influsso di ciò che più di mezzo secolo fa (l’inizio risale a più di mezzo secolo fa) fecero Karl Marx e i suoi seguaci. Come ho detto, è sotto l’impressione di queste conoscenze, che ho scritto i miei Punti essenziali della questione sociale, proprio in un momento in cui c’è da credere che simili verità, simili conoscenze, possano essere capite grazie alla conferma che hanno avuto dal mondo dei fatti. Ho scritto I punti essenziali della questione sociale dopo che già da anni imperversava il male provocato dalla guerra, dalla cosiddetta guerra mondiale. Non mi riferisco all’esito della guerra, ma al fatto che questo male, questo terribile sterminio abbia potuto colpire l’umanità civile moderna.
Nella primavera del 1914 a Vienna ebbi a dire che chi osservava l’evoluzione dell’umanità moderna dal punto di vista della scienza dello spirito vedeva che l’evoluzione sociale moderna era uguale ad una malattia, ad una specie di formazione tumorale che nel prossimo futuro sarebbe potuta scoppiare in maniera terribile. Questo libro è stato scritto in un periodo in cui in Russia una corrente, sviluppatasi dal marxismo programmatico, avrebbe già dovuto portare ad un risultato pratico. Quello che non si può che chiamare ‘il terribile naufragio del marxismo in Russia’, che è evidente a chiunque sia imparziale, potrebbe essere stato la prima conferma di queste idee che ho espresso nei Punti essenziali della questione sociale. Da allora sono seguite ulteriori conferme. Basti pensare al naufragio della rivoluzione ungherese, che ha dovuto calpestare così tante speranze. E infine si pensi solo all’insabbiamento non ancora avvenuto, ma che è sicuramente in procinto di arrivare, della rivoluzione tedesca del 9 novembre 1918.
Oggi chi conosce la situazione può sapere che questa rivoluzione tedesca è un esperimento che parla, a voce terribilmente alta, della storia mondiale, un esperimento che mostra senza uguali quanto le idee sociali che il XIX secolo ha prodotto in molti ambienti siano incapaci di suscitare una qualsivoglia configurazione pratica della vita. Osserviamo queste idee da una parte. Osserviamo come le sente il proletariato moderno sotto l’influsso degli impulsi che derivano dal cosiddetto marxismo, così com’è stato fondato da Karl Marx, da Engels, e che in realtà non è soltanto una teoria, ma vive nei sentimenti e nelle sensazioni delle vaste masse.
In vaste cerchie della popolazione proletaria il marxismo ha prodotto innanzitutto quella che si vorrebbe chiamare ‘mancanza di fede in un mondo spirituale’. Alla persona ragionevole questa mancanza di fede nel mondo spirituale da parte del proletariato sembra più importante di tutto il resto. ‘Ideologia’: questa è la parola che si potrebbe incontrare se ci si è abituati non a pensare sul proletariato, ma a sentire e a vivere insieme al proletariato. Ideologia, ecco cos’è, o almeno dovrebbe essere, l’intera vita spirituale. Il diritto, l’etica, la morale, l’arte, la scienza, la religione, tutto questo in sostanza è solo come un fumo che sale, come qualcosa che è stato soltanto escogitato dall’economia, qualcosa di inventato che esala dall’unica vera realtà, che consiste nelle condizioni della produzione economica, nei processi economici. Sotto l’influsso delle personalità menzionate il proletario la vedeva la vera realtà in quella che è l’economia. Il modo in cui gli uomini gestiscono l’economia, soprattutto il loro modo di partecipare alla vita economica, il loro modo di rapportarsi nella vita economica ai mezzi di produzione (così viene loro ficcato in testa) proviene dal mero lavoro materiale. Ciò che in loro esala sotto forma di idee, ciò che in loro esala sotto forma di ideali etici, infine quella che è la religione, quella che è la scienza, quella che è l’arte: tutto questo non ha realtà spirituale interiore, così si dice, ma è solo un’immagine riflessa della mera realtà economica.
E se si va a guardare da dove abbia preso forma questa concezione, bisogna dire che questa concezione è l’eredità della concezione del mondo che nel corso degli ultimi tre-quattro secoli ha avuto origine proprio sotto l’influsso delle classi dominanti. Non è vero che la vita sociale moderna sia sorta esclusivamente a causa del capitalismo e di ciò che nell’ultimo periodo si è collegato al capitalismo attraverso la tecnica moderna. No, la faccenda è che contemporaneamente al sorgere del capitalismo moderno e della tecnica moderna è sorta una certa concezione del mondo che vuole avere a che fare soltanto con fatti chimici, meccanici, fisici, che non vuole elevarsi ad una comprensione autonoma della vita spirituale. La complessità della vita economica moderna è arrivata al punto che tutto è stato per così dire inondato dagli influssi, dagli impulsi di tale vita economica. Come la vita economica è stata tratta dalla tecnica, e a sua volta la tecnica dalla scienza moderna, così quella concezione del mondo che era orientata esclusivamente alla scienza ha prodotto una concezione del mondo che consiste esclusivamente in idee, in concetti, in pensieri riferiti alla vita esteriormente meccanica, chimica, fisica. Sulla concezione del mondo, questa vita moderna non ha avuto la forza di concepire idee diverse, pensieri diversi da quelli che si riferiscono all’insediamento della vita economica, all’insediamento delle attività tecniche moderne nel loro insieme. Questo orientamento scientifico, tutto questo pensiero moderno, era incapace di altre idee. Con questo pensiero moderno si potevano trovare risposte su come avvengano i processi meccanici esteriori e su come si debbano azionare nella vita pratica; con questa scienza si potevano dare informazioni sulla chimica, sulla fisica, ma da queste idee, da questi pensieri scientifici rimaneva fuori una cosa, sicuramente quella più vicina all’essere umano: l’essere umano stesso. O piuttosto, detto meglio, si concepiva anche l’uomo solo nella misura in cui è composto di materie, di forze meccaniche, fisiche e chimiche. Ma poiché oltre a tutto ciò l’uomo è anche spirito e anima, in realtà in questo modo non lo si concepiva, l’uomo. E si aveva una concezione del mondo dal cui mondo di pensiero, in realtà i pensieri, sull’uomo erano esclusi. La scienza moderna ha risposto in modo moderno con perfezione incomparabile alle domande sull’origine dei processi fisici, ma nessuno ha risposto a questi uomini moderni in modo moderno alla domanda su come abbiano origine i processi animici. Che cos’è l’uomo nella sua essenza più interiore?
E vedete, le classi dominanti hanno conservato come oggetto di famiglia, come tradizione, quanto proveniva dalla religione, dall’arte, dalle antiche concezioni del mondo, dall’antica etica. Tutto questo colmava l’anima delle classi dominanti moderne. Esse se lo immaginavano accanto a questa concezione scientifica del mondo come qualcosa che per loro aveva una certa importanza insieme alla scienza che fluiva nella tecnica e nell’economia. E così, per le classi dominanti, nella vita animica interiore si creò una doppia corrente: una corrente, che in un certo senso lontano dalla vita elaborava le questioni religiose, che lontano dalla vita si coniava principi morali, che lontano dalla vita faceva arte e sviluppava certe concezioni del mondo. Egregi convenuti, quanto è lontano, per esempio per il moderno commerciante, o per il moderno industriale o per il moderno funzionario statale, ciò che egli sente, ciò che prova come uomo religioso, ciò con cui vuole sostenere la sua bontà di uomo, quelli che sono i suoi sentimenti estetici: quanto è lontano tutto ciò da quel che avviene nella sua vita pratica e si manifesta nel suo ufficio e nella sua contabilità? Pensateci! Qui ci sono due correnti della vita completamente diverse. E una di esse, la corrente della vita spirituale, che in sostanza è un oggetto di famiglia proveniente da tempi antichi, non ha la forza di penetrare nella vita esteriore. In quella che è la vita pratica esteriore vivono le casualità della giornata, vive ciò che, direi, nella vita pratica va avanti da sé. Poi si ha il piacere di ritirarsi dalla vita e si considera la vita religiosa, etico-spirituale, artistica, come qualcosa che aleggia al di sopra di essa. Ma è solo per questo, che per le classi dominanti della civiltà moderna in generale è stato possibile avere un contenuto animico: perché, accanto a ciò che fluiva nella vita pratica esteriore, esse costruivano questa vita spirituale interiore estranea alla vita.
Il proletario, che è stato richiamato dall’antico mestiere, che è stato posto alla macchina, alla macchina astratta che perciò non ha assolutamente nulla di affine a quel che vive nell’uomo, il proletario non poteva, non era in grado di accogliere le antiche tradizioni, i costumi, il diritto, l’arte, la religione, la concezione del mondo che era stata tramandata dai tempi antichi e in cui le classi dirigenziali vivevano nonostante l’economia moderna, tecnica, priva di anima e di spirito, poiché ciò non corrispondeva ai suoi sentimenti, che egli poteva sviluppare solo stando alla macchina. Al proletario rimaneva solo ciò che proveniva dall’economia stessa. E così egli si costruì una concezione del mondo, i suoi stessi capi gli costruirono una concezione del mondo, priva di spirito e di anima: una ideologia.
Un’ideologia si può sostenere teoricamente. Un’ideologia la si può ideare. Con un’ideologia ci si può addirittura ritenere molto intelligenti. Ma con un’ideologia non si può vivere, perché l’anima viene erosa. L’anima dell’uomo può realmente vivere solo se non crede che ciò che pensa siano solo pensieri irreali, ma se può essere consapevole del fatto che ciò che vive in essa si collega come qualcosa di vivo e reale ad un mondo spirituale vivo e reale.
E così nel programma socialista si parla molto, moltissimo; non serve affatto considerare ciò che viene detto, perché quel che avviene nella coscienza delle persone in questo modo è molto diverso da quel che vive realmente nella loro anima. Ma ciò che oggi vive realmente nelle anime soprattutto in quelle della vasta massa della popolazione intellettuale è desolazione dell’anima. Questa è una dimostrazione del fatto che con quella che è la moderna concezione del mondo si può certamente pensare, ma non si può vivere. Questa è la prima parte della questione sociale.
So benissimo quante persone dal loro punto di vista, dal loro punto di vista cosciente, a ragione dicono: “Tu ci stai parlando della questione sociale come di una questione dello spirito. Ma a noi interessa che si appianino le differenze sociali, delle disuguaglianze sociali. A noi importa che il pane venga distribuito alle persone in parti uguali.” Ecco, questa è una visione superficiale che può avere solo chi non si spinge al di sotto della superficie delle cose. Perché la questione sociale è presente nei sentimenti, nella vita subconscia del proletariato moderno. Per quanto cerchiate di soddisfare i bisogni puramente materiali del proletariato, se anche ci riusciste (ma non ci riuscirete), vedreste che la questione sociale dovrà risorgere in una forma nuova. Non funzionerà, finché la vita spirituale avrà con l’anima proletaria un rapporto come quello che ho appena descritto. Perché le persone credono che si tratti solo di interessi materiali. In realtà questo rapporto dipende dall’erosione delle anime, dalla vuotezza di contenuto della vita.
Questo deve essere considerato il vero fondamento di una prima parte dei sentimenti sociali, del profondo anelito del proletariato.
La seconda parte la conosce chi, come ho già detto, non ha solo imparato a pensare e a sentire sul proletariato, ma è veramente in grado di pensare e di sentire insieme al proletariato. Costui impara che cosa può significare per il proletario moderno quando, attenendosi al marxismo, gli si continua a ripetere: egli sta alla macchina, lavora, ma per il suo lavoro riceve soltanto il salario. Gli si paga la sua forza lavoro col salario, come sul mercato delle merci si paga la merce.
Il proletario moderno sente che la forza lavoro umana non può essere una merce, che non la si dovrebbe vendere e comprare così sul mercato come una merce! Da questo sentimento sorge nel proletario moderno quella che egli chiama la sua ‘coscienza di classe’. Grazie alla coscienza di classe egli vuole crearsi la possibilità che la forza lavoro umana non sia più una merce; perché ha il sentimento che il suo lavoro non produca solo quei valori che nella vita economica sono giustificati, ma produce un plusvalore le classi dominanti, dirigenziali, quelle che egli ritiene essere le classi capitalistiche, gli sottraggono.
E così la seconda cosa che muove il proletario è il nesso fra il plusvalore e la compravendita, indegna dell’essere umano, della forza lavoro umana come merce.
E qual è la terza? Per conoscerla bisogna osservare che in sostanza, riguardo alle questioni sociali, le classi dominanti, dirigenziali, essenzialmente hanno sviluppato una tendenza diversa da quella di coloro che hanno avanzato le rivendicazioni del proletariato. A partire da se stesse, è proprio il caso di dirlo, sono poche le persone delle cerchie dominanti, dirigenziali, che hanno la tendenza ad occuparsi realmente di quelli che sono i punti essenziali della questione sociale, per il semplice fatto che coloro che hanno una posizione sono sempre meno propensi a pensare all’evoluzione di questa posizione, rispetto agli altri, che stanno appena cominciando a volersela conquistare, una posizione. Ma in tal modo, ancora una volta più nell’inconscio, più in modo istintivo che nella chiara coscienza, nelle ampie cerchie del proletariato è dovuta nascere l’idea che non ci si debba aspettare assolutamente niente dalle cerchie dominanti, dirigenziali, che per risolvere la questione sociale si debba fare affidamento esclusivamente su se stessi. E così è venuta fuori una delle cose più fatali dell’evoluzione storica più recente. È venuto fuori ciò che, direi, fa leva su una parola che si pronuncia spesso, che si sente dire spesso, ma che si conosce poco nel suo significato più profondo. Probabilmente sapete che il manifesto comunista introdotto nel 1848 dal movimento sociale marxista si conclude con le parole: “Proletari di tutto il mondo unitevi”. Per chi conosce il movimento proletario moderno è comprensibile che siano venute queste parole. E l’effetto di queste parole è fatale nel modo peggiore, perché queste parole indicano fin da principio che cosa deve succedere: la lotta. E oggi si deve ancora costruire su questa lotta. Queste parole costruiscono sulla lotta. Non costruiscono sul fatto che, sotto la potenza e la forza d’urto di un’idea che deve realizzarsi nella vita pratica, gli uomini si incontrano; non costruiscono sulla fede nella forza dello spirito. Queste parole costruiscono sul contesto materiale esteriore di una classe di persone, sul non-spirituale. E tanto più si inoculano nelle anime queste parole, tanto più esse risultano fatali nella loro chiara e distinta manifestazione della mancanza di fede. E si può anche dire che più distrattamente l’umanità le ascolta, senza coglierne il fatale significato storico, e tanto più dovrà veleggiare verso la mancanza di fede nello spirituale e, poiché gli interessi materiali si raccolgono a seconda della classe sociale, non riuscirà a pervenire a quel che invece deve muovere la vita nell’intimità più profonda, cioè alla fede nella forza degli impulsi spirituali.
Così, da una parte, si osserva quella che viene chiamata ‘la questione sociale’ dal punto di vista del proletariato. E il proletariato ha visto che certi danni sociali che esso sente sulla propria pelle si sono sviluppati sotto l’influsso del capitale, della tecnica moderna. Che cosa pensa? Pensa che questi danni finiranno quando la proprietà privata passerà alla proprietà collettiva, quando ciò che adesso viene gestito e amministrato da singoli individui verrà gestito e amministrato dalla collettività.
E così vediamo che la rivendicazione proletaria continua a risuonare nel grido che oggi appunto assume già una forma catastrofica: “Conversione dei mezzi di produzione, conversione della proprietà privata dei mezzi di produzione in proprietà comune e in gestione comune dei mezzi di produzione!” Il benessere, presume il proletario, gli arriverà solo quando non sarà più il singolo a gestire i mezzi di produzione in base al suo interesse al profitto, in base al suo interesse al guadagno, ma sarà la collettività, alla quale ognuno può partecipare in modo democratico, a gestire i mezzi di produzione. E poiché il proletariato ritiene di essere stato tradito da chi fa parte delle classi dominanti, dirigenziali, poiché crede che queste classi dirigenziali, dominanti, in base ai loro interessi non si interessino affatto a quella che sarebbe una configurazione della vita sociale, nel grido per una specie di dittatura del proletariato stesso volta a creare nuove condizioni amministrative e sociali risuona anche ciò che si è sviluppato nel corso di molti decenni.
Ma non bisogna guardare queste cose da un punto di vista partitico, queste sono cose che bisogna guardare in modo del tutto imparziale. Forse però per vederle in modo del tutto imparziale bisogna tenere conto anche dell’immagine contrapposta: l’importante è se le rivendicazioni proletarie, così come oggi vengono formulate in un gran numero di periodici e di libri e come vivono nella coscienza delle anime proletarie, siano giuste o no. Perché nei movimenti reali l’importante non sono i contenuti di pensiero, ma ciò che vive nella volontà delle persone. Bisogna tener conto del fatto che milioni di persone credono queste cose, e che non si tratta di confutarle astrattamente, in un modo o in un altro, ma di portarle tanto avanti da capirne appunto anche la funzione pratica realmente secondo la vita, secondo la realtà. Siccome il sottoprodotto, diciamo, dell’economia delle classi dirigenziali, dominanti, è che esse non si sono trovate a dover combattere con la vita, o almeno non nello stesso modo e sulle stesse basi in cui si trova a farlo il proletariato, proprio per questo motivo la questione sociale non si è sviluppata nella stessa misura in cui si è sviluppata nel proletariato, dove tutte le questioni che ho appena menzionato, diciamo, sfociano in una specie di questione dello stomaco o del pane o di soldi; la questione sociale non si è sviluppata nello stesso modo in una questione immediata della vita pratica, nella questione degli interessi personali di ciascuno, perché sotto l’influsso della vita moderna gli interessi personali vengono promossi come un sottoprodotto. Perciò nello stesso ambito le classi dirigenziali, dominanti, non hanno conosciuto le stesse cose che sono capitate al mondo proletario. Comunque la si pensi, che si ritenga che Karl Marx fosse un grande tentatore o seduttore o che si ritenga che fosse un geniale avanguardista (questa è una questione di opinioni), resta il fatto che per le classi dominanti, dirigenziali, un Karl Marx simile non c’è stato. Perciò oggi pare che in sostanza sulle rivendicazioni del proletariato non cada affatto la luce giusta. Si possono provare, si possono confutare; ma sono possibili anche altre concezioni, che si possono provare o confutare altrettanto bene, e che ne costituiscono l’immagine contrapposta.
Vedete, tutto ciò che si sviluppa come mondo umano delle idee nell’arte, nell’etica, nella scienza, ecc., il proletario lo interpreta come una specie di immagine speculare dei rapporti puramente economici, che sono gli unici che egli può abbracciare con lo sguardo. Per lui i pensieri umani sono solo ciò che nell’uomo scaturisce come un’immagine speculare dagli interessi economici, dai rapporti di produzione. Tutto ciò che gli uomini pensano e sentono deriva dai rapporti economici della produzione – così dice il proletario.
A pari diritto, la controparte potrebbe facilmente provare l’esatto contrario. E, precisamente, prendiamo solo una cosa: per esempio direi che è facilissimo dimostrare che tutta la vita economica moderna, così com’è nella civiltà dell’occidente e della sua appendice, l’America, che tutta questa vita economica fra esseri umani, dominata dal mondo moderno, è un risultato di pensieri umani che a loro volta hanno tratto origine dal mondo spirituale. Lo si può dimostrare in modo assolutamente concreto. Non serve affatto fermarsi a rappresentazioni astratte. Prendete quanto segue.
Se teniamo conto delle condizioni precedenti la guerra, possiamo dire che nel mondo occidentale si producono circa quattrocento-cinquecento milioni di tonnellate di carbone all’anno. Nella vita economica moderna questi quattrocento-cinquecento milioni di tonnellate di carbone vengono utilizzati dall’uomo per il lavoro meccanico nell’industria e altro. Da questo numero, da quattrocento a cinquecento milioni di tonnellate, è escluso tutto quello che è necessario per la proprietà privata e così via. La forza e la tecnologia diventano poi una forza economica che fluisce nella vita moderna grazie a questi milioni di tonnellate di carbone utilizzati dalle macchine, e che è calcolabile: possiamo calcolare che cosa significa per l’umanità. Bisogna paragonare in modo oggettivo le forze dei cavalli e le forze umane. Ora, supponendo che un uomo lavori circa otto ore al giorno, con un semplice calcolo si trova quanti uomini dovrebbero usare quanta forza lavoro umana, per svolgere con la loro forza umana lo stesso lavoro che viene svolto tecnologicamente sfruttando questi milioni di tonnellate di carbone. Questo calcolo dà un risultato curioso, molto curioso, perché risulta che, per svolgere lo stesso lavoro che viene svolto grazie allo sfruttamento dell’energia di questo carbone, sarebbe necessaria la forza lavoro di 7-8 milioni di persone.
Vedete, questa possibilità di immettere l’energia del carbone nella vita economica deriva esclusivamente dai pensieri che si sono sviluppati sotto l’influsso dell’evoluzione culturale dell’occidente. Lo evidenzia proprio un confronto con le condizioni economiche dell’oriente. Ora, ci sono circa, diciamo, 250 milioni di persone che hanno in sé quella forza e dalle cui teste hanno avuto origine tutti i pensieri necessari a mettere in scena questa vita economica; rimangono ancora circa 1250 milioni di persone che non hanno preso parte a questa vita economica. Se si calcola che cosa esse poi fanno nello stesso tempo lavorativo giornaliero, si ottiene un numero molto più basso di quello da cui risulta quanto si realizza attraverso l’estrazione del carbone e l’uso del carbone in campo meccanico. Ma questo equivale a dire che la specificità della vita economica moderna è il risultato di pensieri umani. E questi pensieri umani non sono affatto sgorgati dalla materia; sono il risultato dell’evoluzione culturale occidentale. E si può benissimo dimostrare che con questi pensieri, con questo modo di lavorare, ai 1500 milioni di persone esistenti sulla Terra si aggiunge la forza umana di altri 700-800 milioni di persone. Sicché in realtà oggi noi lavoriamo sulla Terra come se non lavorassero solo 1500 milioni di persone, ma come se lavorassero molto più di 2000 milioni di persone. Si può facilmente dimostrare che la struttura vera e propria, il carattere vero e proprio di questa vita economica moderna, dalla quale sono sorte le questioni sociali è un risultato dell’evoluzione spirituale, che questo spirito non è affatto un’ideologia, anzi, che questo spirito è il creatore della vita economica.
Cioè, da una parte c’è la concezione proletaria, dall’altra l’ordinaria contro-concezione, che è realmente tanto ben dimostrabile quanto la prima. Ed esattamente nello stesso modo in cui si può marxisticamente calcolare che gli uomini lavorano per produrre il valore che domina nella giustificata vita economica, il plusvalore, altrettanto esattamente, esattamente con lo stesso rigore scientifico che c’è nel marxismo, si può dimostrare che l’intera vita economica moderna deriva dai pensieri delle cerchie umane dominanti, dirigenziali, e che quel che resta come salario è tratto da ciò che le cerchie dominanti, dirigenziali, fanno socialmente per l’umanità. Come da una parte si calcola il plusvalore che avanza dal lavoro verso l’alto, così si può calcolare altrettanto bene la totalità di tutti i salari come ciò che avanza da quel che viene fatto dalle cerchie dirigenziali, dominanti, dal portato dei pensieri dell’umanità.
Solo che questo non è successo, e sicuramente, ne sono convinto, per il semplice motivo che appunto dall’altra parte, per noncuranza, non lavorò un Karl Marx, che l’avrebbe potuto dimostrare altrettanto bene come il vero Karl Marx ha dimostrato la sua teoria per il proletariato. Quel che vi ho detto adesso veramente non è qualcosa di escogitato in modo astratto. Proprio come l’ho dimostrato per l’estrazione del carbone, così, dai fatti della vita economica, potete dimostrare che è vero il contrario di ciò che ha dimostrato Karl Marx, limitandosi solo al plusvalore.
Se si tiene conto della struttura che la tecnica moderna ha impresso alla vita economica, va considerato che la tecnica moderna deriva dai pensieri umani e questi a loro volta derivano dalla vita spirituale, e che per certi periodi particolari è necessaria una certa concentrazione dei mezzi di produzione che, semplicemente a causa del progresso tecnologico, devono essere concentrati e gestiti dal singolo. Si può ben dire che, se a ciò che hanno fatto la vita economica moderna, i moderni mezzi di produzione, la concentrazione dei mezzi di produzione che adesso sono nelle mani di pochi singoli, se si contrappone a tutto ciò la pretesa di avere il plusvalore che si otterrebbe grazie ai mezzi di produzione gestiti collettivamente, allora si vedrà proprio che cosa ne verrà fuori! Certamente, in abstracto si può sollevare la pretesa che ciò che finora è stato fatto dalle cerchie dirigenziali, dominanti, che hanno apportato i pensieri alla struttura dell’economia moderna, venga loro sottratto e che venga gestito dalla collettività. Però, ora, se non si osserva l’ingranaggio della vita a partire dai sentimenti umani, dalle emozioni, ma si osserva questo ingranaggio della vita in modo imparziale, ecco, sembra che il pensiero che minaccia il prossimo futuro dell’umanità sia questo: se ora potesse realmente succedere che si attuasse il rilevamento di ciò che finora è stato fatto da singole individualità [...] (anche se ha avuto conseguenze nocive), se da adesso in poi dovesse occuparsene la collettività, probabilmente a questa collettività le cose andrebbero come alla metà degli anni Settanta del secolo scorso sono andate ai Giapponesi, che, quando rilevarono le prime navi da guerra dagli Inglesi, agirono a partire da un certo orgoglio nazionale. Gli Inglesi offrirono loro anche degli istruttori per quelle navi da guerra; ma essi li mandarono via, questi istruttori inglesi, perché volevano arrangiarsi da soli nella navigazione. E allora da terra si poté vedere quel bello spettacolo delle cannoniere che giravano sempre in cerchio; non riuscivano ad avanzare, perché i Giapponesi non avevano imparato come si faceva. Si era dimenticato di mostrare loro come si chiudeva e si apriva il pistone attraverso il quale usciva il vapore in eccesso. E così non poterono fare nulla, dovettero aspettare finché non si esaurì tutta la forza vapore.
Così se veramente si guardano le cose così come oggi si compiono nella vita sociale, così si teme che potrebbe andare, se ciò che adesso i singoli membri delle classi dirigenziali, dominanti, fanno con competenza e con capacità specifiche, anche se provocando danni, se tutto ciò appunto dovesse essere rilevato dall’astratta collettività, che vuole valutare democraticamente come organizzare la produzione, come gestire la tecnologia, ecc.
Queste sono tutte cose che non sono annesse a programmi di partito, che non derivano da slogan di partito, ma che risultano a chi vede la vita in modo pratico e senza pregiudizi, e ha veramente la volontà di intervenire nella vita in modo pratico e senza pregiudizi.
E la prima cosa che ne risulterà è anche il primo risultato che ho dovuto trarre nei miei Punti chiave della questione sociale nelle necessità della vita del presente e dell’avvenire. La prima cosa di cui l’umanità ha bisogno è, in aggiunta alla conoscenza della natura, che ora è veramente la creatrice della tecnica moderna e quindi della vita economica moderna, in aggiunta a questa conoscenza della natura, è una reale conoscenza dell’essere umano.
Vedete, per gli altri, il Goetheanum era un coso dove si elaborava una ingarbugliata concezione del mondo che dovrebbe collegarsi al monumentale edificio che adesso è in costruzione a Dornach, una specie di ‘Università di scienza dello spirito, di scienza dello spirito ad orientamento antroposofico’. - Fareste bene a prendere fin dall’inizio quasi come un assioma che ciò che dico in connessione alla scienza dello spirito antroposofica è l’esatto contrario di ciò che ne dice la gran parte delle persone che non la conoscono. Infatti in questa scienza dello spirito si tratta di trovare, in aggiunta alla scienza naturale come fondamento della vita economica moderna, ciò che riguarda l’uomo, una reale conoscenza dell’essere umano. È anche per questo motivo che questa scienza dello spirito viene chiamata ‘antroposofia’, saggezza sull’uomo, una reale conoscenza dell’uomo. Nella conoscenza della natura e in tutto ciò che ha a che fare con la vita meccanica, chimica, fisica, tecnica e con l’economia, le scienze naturali moderne fanno benissimo a non occuparsi dell’uomo, a lasciare l’uomo sullo sfondo quasi come uno spettatore. Ma la fatalità è questa: che nell’epoca più recente tutto ciò che si impronta alle scienze naturali viene applicato anche al pensiero sociale, che si crede di poter comprendere la vita sociale con gli stessi pensieri che sono straordinariamente utili per le scienze naturali, che le scienze naturali hanno elevato a grandissima altezza; ma nel pensiero sociale deve vivere l’uomo. Lì deve dominare una coscienza che arrivi realmente fino all’uomo.
Questa è la coscienza che la scienza dello spirito vuole aggiungere a quello che nell’epoca più recente è il mero pensiero scientifico e, indipendentemente da esso, il pensiero sociale. E la scienza dello spirito (che proprio per questo è scomodissima per così tante persone) vuole penetrare nell’uomo più a fondo di quanto vi si penetri con l’anatomia, con la biologia, per mezzo delle quali dell’uomo si conosce solo l’esteriorità. La scienza dello spirito vuole penetrare in quelle profondità della natura umana in cui avviene qualcosa che non sono solo pensieri, in cui avvengono realtà che sono uguali alle realtà della vita esteriore, che sono uguali anche alle realtà della natura esteriore.
Da una parte la scienza dello spirito vuole realmente elevarsi alla conoscenza dello spirituale. Ma dall’altra non vuole arrestarsi davanti ai fatti della vita quotidiana più pratica. Per la scienza dello spirito è impensabile che nella coscienza umana viva una tale doppiezza come quella che ho descritto per il moderno commerciante, per il moderno astronomo, per il moderno funzionario statale, che hanno la loro vita religiosa ed estetica separata, estranea alla vita, che aleggia al di sopra della vita, che è lontana anche dalla la vita quotidiana. Apparentemente la vita spirituale che si sviluppa così è molto spirituale. In realtà però è estranea alla vita. Perciò ha anche prodotto una certa mancanza di fede nella vita.
Perciò alla fine anche nelle grandi masse non si è più potuta formare una fede nella vita spirituale, alla quale guardare come se dalla vita spirituale potesse arrivare un qualche risanamento sociale. Su questo argomento hanno operato personalità serie e oneste. Coloro che prendono la vita sociale con serietà e capacità di penetrazione considerano la vita spirituale solo come sostanzialmente utopistica. Qui hanno vissuto Fourier e spiriti simili, che si sono fatti dei bellissimi programmi per configurare la vita. Ma da quale struttura intellettuale, da quale costituzione animica sono sorte tutte queste idee sociali e socialiste? Sono sorte da una vita di pensiero che appunto si pone accanto alla vita restandone estranea, che è tanto estranea alla vita, quanto lo è la vita religiosa del commerciante nel registro clienti e fornitori. Che una simile costituzione animica possa generare delle belle idee con intenzioni serie, delle idee dalle buone intenzioni, è ovvio, ma non può generare idee che afferrino la reale vita pratica.
La scienza dello spirito vuole elevarsi alle massime altezze dello spirito. Però lo vuole fare scendendo nell’interiorità più profonda dell’uomo, dove non ci sono pensieri estranei alla vita, ma pensieri che penetrano nelle realtà del mondo esterno. Se, da un lato, questi pensieri devono essere in grado di raggiungere le massime altezze spirituali, dall’altro devono anche essere in grado, al tempo stesso, di afferrare il rapporto fra il datore di lavoro e il dipendente nel registro dei clienti e dei fornitori, ossia di afferrare quanto troviamo ovunque nella vita immediata. Sono stati deboli e impotenti, i pensieri della vita spirituale che ha dominato nelle anime umane negli ultimi tre o quattro secoli; perché questi pensieri erano bei pensieri estetici, religiosi, scientifici e profani, ma non erano pensieri che raggiungessero la realtà e che riconoscessero qualcosa di reale.
Prendete qualcosa che, diciamo, funga da moderno codice morale, da etica, e osservate tutto ciò che dice sull’umanità, sull’essere buoni, sulla benevolenza, sull’amore per il prossimo, sulla fratellanza fra gli uomini: vedrete che tutto ciò è estraneo alla vita, che non afferra la vita immediata; e lo stesso vale per la filosofia che vive in idee astratte, per la vita spirituale moderna in generale.
Al giorno d’oggi soltanto la scienza dello spirito è in grado di cogliere ciò che la filosofia e la vera, reale scienza esteriore in genere portano alla luce. Se vi andate a leggere i miei numerosi libri sulla scienza dello spirito, vedrete che essa non ha nulla a che vedere con quelle astrazioni, con la concezione filosofica del mondo che si tramanda oggi e altro del genere. Vedrete invece che la scienza dello spirito fa affidamento sulla reale immersione nello spirito, in cui l’uomo vive con la sua anima, per afferrare reali conoscenze sull’uomo; è perché l’uomo è il più spirituale di tutti, che essa vuole fondare una conoscenza che si elevi alla massima altezza dello spirito e contemporaneamente si immerga nella vita pratica immediata. Infatti è solo penetrando abbastanza in profondità nelle conoscenze, che questa vita si rivela come un’unità e non come dualità.
Questa vita spirituale sarà anche in grado di penetrare in quella che chiamiamo vita sociale. Quell’astratta scienza dello spirito, quell’astratta scientificità che il proletario moderno sente come ideologia, non è in grado di farlo; non è in grado di penetrare nella configurazione della vita reale. I suoi pensieri, le sue idee, sono troppo deboli, non penetrano, non scendono quaggiù, sono astrazioni, rimangono nell’irrealtà del pensiero. Sono realmente ideologie. Ma lo spirito non deve per forza fermarsi alle ideologie. Lo spirito può addentrarsi nelle idee con tanta forza, che queste idee siano al tempo stesso forze contenute nella realtà. Solo con idee di questo genere è possibile immergersi nella vita sociale.
Ma a tal fine è appunto necessaria una determinata struttura sociale. E questa struttura sociale ho cercato di delinearla, di articolarla schematicamente almeno, nei miei Punti essenziali della questione sociale. Ho cercato di dimostrare che è necessario che, di fatto, la gestione della vita spirituale si separi dalla vita economica e dalla via statale, alla quale deve essere lasciata la cura del diritto; lo spirituale va separato da tutto ciò che è politico ed economico. Finché sarà la vita economica a sviluppare sulle sue basi la vita spirituale, mentre chi è economicamente forte al tempo stesso è anche in grado di portarsi avanti nel modo migliore nella sua formazione spirituale, finché in genere c’è un legame, un intimo rapporto fra la vita spirituale e la vita economica, fino ad allora sarà impossibile che la vita spirituale si sviluppi in piena libertà.
Ma chi conosce la vita spirituale di cui ho appena parlato sa che essa può svilupparsi solo sulla base di una completa libertà. Perché la vita spirituale di cui ho parlato è un prodotto dell’interiorità umana. Questa interiorità umana deve essere coltivata in piena libertà. La scuola e l’educazione devono essere gestite dalla propria amministrazione in modo indipendente, indipendentemente sia dalla vita economica che dalla vita statale, dalla vita politica e giuridica.
Le cose sono completamente diverse, se l’insegnante, fin dalla classe più bassa, non deve orientarsi secondo ciò che gli impone la vita economica, se non deve orientarsi in base alle pretese dello Stato per poter avere il suo posto di lavoro; è diverso se quel che avviene nella vita spirituale, nella parte più importante, appunto nell’educazione e nell’istruzione, se ciò dipende esclusivamente da ciò che le persone devono sperimentare nello spirito. Se dovessi caratterizzarlo concretamente, dovrei dire: in futuro tutta la vita spirituale, anche l’educazione e l’istruzione, dovrà essere strutturata in modo che coloro che insegnano, che educano, dalle classi più basse a quelle più alte, siano gravati del compito di istruire e di educare solo in una misura che consenta loro di avere anche la possibilità di gestire appunto la vita spirituale in cui lavorano, in cui sono attivi. La vita spirituale costituisce una parte autonoma dell’organismo sociale. Si gestisce da sé, è posta sotto la sua stessa gestione.
Se sarà così, allora non si vivranno situazioni simili a quella di cui ora parlerò, che colpiscono con tanta forza l’occhio dell’anima. A Stoccarda, grazie all’energico interesse per la vita sociale del nostro amico Emil Molt, abbiamo cercato di fondare una scuola la cui struttura, almeno nella sua costituzione spirituale interiore, è stata tratta dallo spirito appunto caratterizzato. Lì gli insegnanti sono stati preparati in modo da agire almeno nel senso di una vita spirituale completamente libera. Bisognava per così dire cominciare da questo lembo perché oggi sono state aperte molte vie e perché ciò che qui si intende è veramente stato pensato appunto in senso eminentemente pratico e in realtà lo si capisce solo pensandolo con un certo istinto per la vita pratica, non basandosi su ogni tipo di idee teoriche e altro del genere. È una scuola con otto classi che, impostando liberamente l’insegnamento, deve raggiungere le stesse prestazioni esteriori di chi insegna nelle scuole elementari e medie ordinarie e anche nelle scuole secondarie ordinarie e negli ordinari ginnasi fino al quattordicesimo, quindicesimo anno di età, contemporaneamente per i maschi e per le femmine, ma che al tempo stesso deve sviluppare l’individualità umana in modo completamente libero, in modo che l’individualità si inserisca nella vita sociale e possa poi configurarla, e dove gli slogan secondo i quali le individualità devono svilupparsi non vengono dettati dalla vita sociale dal punto di vista economico e dal punto di vista statale. Ma poi si vede che si prendono in mano i regolamenti su come si deve insegnare di classe in classe, e oggi i regolamenti prescrivono già che cosa deve essere fatto. Ma a chi ha una dirittura del pensiero, a chi è in grado di osservare la vita in modo autonomo, l’unica possibilità sembra essere che ciò che deve essere posto alla base dell’educazione, dell’insegnamento, ciò per cui si decide che cosa debba succedere a scuola giorno dopo giorno, ora dopo ora, che tutto questo non possa essere deciso da una qualche volontà democratica – il che assumerebbe l’aspetto di una miopia pedagogica – ma che debba essere stabilito in base alle capacità specifiche e di settore di coloro che lavorano in base alla vita spirituale stessa e che sanno anche gestire lo spirituale.
Queste cose devono appunto essere intese in senso pratico. E lo saranno solo se molto di quel che oggi si chiama ‘pratico’ e che non si riesce ad immaginare diversamente, diventerà diverso da com’è oggi, solo se si guarderà con vera spregiudicatezza come dovrebbe essere, e si seguiranno le reali leggi interiori dello sviluppo dell’essere umano.
L’altra cosa, che deve aggiungersi a questa vita spirituale libera che ha la sua ‘propria amministrazione’ – oggi posso solo abbozzarlo – è lo Stato giuridico autonomo, l’elemento statale politico, che però abbia espulso da sé da un lato la vita spirituale autonoma, ma dall’altro anche la vita economica. In realtà negli ultimi secoli una vita giuridica c’è stata solo nella misura in cui questa vita giuridica si è sviluppata dalla vita economica. E proprio in quegli Stati che sono stati trascinati in questa terribile guerra dalla loro economia statale, si è visto con maggiore chiarezza, che la loro costituzione politica in genere era una conseguenza della vita economica, che per così dire lo Stato era già in grandissima misura anche la comunità economica. Questo arriverebbe solo al culmine massimo dell’assurdità, se ora con un programma statale marxista sorgesse una grande cooperativa in cui i mezzi di produzione dovessero essere gestiti ed utilizzati dalla collettività. Non nascerebbe nulla di nuovo, si accrescerebbe solo enormemente ciò che ha prodotto questi grandi danni. Invece, nella vita giuridica autonoma, la creazione delle leggi può avvenire solo da parte della coscienza giuridica autonoma. Questo significa che accanto alla vita economica si deve sviluppare un settore statale o giuridico dell’organismo sociale. Proprio questo settore comprenderà tutto ciò su cui tutte le persone già maggiorenni sono diventate capaci di giudicare.
La vita spirituale non potrà mai essere gestita in modo democratico; la vita spirituale deve essere gestita a partire dalle conoscenze specifiche e di materia del singolo individuo autorevole. Ma nemmeno quella che è la vita economica in quanto tale può essere gestita democraticamente. Essa deve essere gestita in modo da avere alla base l’elemento corrispondente all’ambito economico. La vita economica deve essere gestita in modo che chi si occupa di economia in un certo settore sia spiritualmente maturo all’interno di quel settore, che vi sia saldamente ancorato. Questo essere inseriti, questo essere ancorati, saldamente ancorati, questo saper agire in un ambito economico si indebolirebbe, se si dovesse decidere in modo democratico come lavorare nelle singole aziende o che cosa produrre nelle singole aziende e così via.
Per rendere veramente feconde per la comunità sociale le forze disponibili, è assolutamente necessario che il singolo rappresentante, per via delle sue conoscenze specifiche, delle sue capacità di settore, stia al posto giusto e produca per la collettività quel che può produrre secondo le sue capacità. Contemporaneamente però rimane ancor sempre ciò su cui egli non può decidere da solo, ma che ogni persona diventata maggiorenne che rappresenta l’elemento democratico è capace di giudicare, ciò per cui tutti sono uguali, in cui tutti sono ugualmente inseriti e in cui ognuno deve anche sviluppare un rapporto con gli altri.
Oggi negli ambienti socialisti si ripete in continuazione che l’operaio è separato dal prodotto del suo lavoro, che egli elabora il prodotto, che conosce a stento, o di cui conosce solo una parte. Tutto questo è senz’altro vero. Il prodotto va sul mercato, egli ne è separato, è separato dal suo settore lavorativo, semplicemente immette il suo lavoro, il suo lavoro umano, in qualcosa che non conosce affatto. Però sarà così soltanto finché non avremo, accanto alla vita economica in cui il singolo è inserito, un settore autonomo, finché non avremo una vita autonoma in cui ci si forma fra pari, perché ogni uomo è pari a tutti gli altri. Questa vita autonoma in cui si decide solo ciò che riguarda il diritto, questa vita politica vera e propria, è il contenuto della vita statale. È quella in cui si può realmente sviluppare l’elemento democratico. Però lo si deve curare nel concreto. Non si può dire che quelli che hanno fatto qualcosa di eccellente in un determinato ambito della vita economica sicuramente faranno qualcosa di eccellente anche in ambito giuridico e che perciò la cosa migliore per l’ambito giuridico sia che se ne occupino proprio loro. No, non è così, perché l’uomo è in grado di coltivare e di valutare solo ciò che nella vita si sviluppa realmente nel concreto. La vita giuridica non deve legarsi caoticamente alla vita economica, la vita giuridica deve essere giustapposta alla vita economica. E l’uomo deve rapportarsi, deve instaurare un rapporto concreto in ambito giuridico con l’altro uomo. In lui deve svilupparsi interesse per gli altri uomini, coi quali egli convive nella vita economica, quando la vita economica sviluppa dei bisogni che devono essere soddisfatti. In ambito giuridico ogni persona saprà: “Tu sei un membro dell’umanità, tu prendi parte a qualcosa che determina il tuo rapporto con gli altri e solo il tuo rapporto con gli altri. Tu sei inserito nella compagine umana, adesso ti riconosci come membro dello Stato fondato sull’uguaglianza fra gli uomini, sulla democrazia. Questo Stato diventa per te una realtà. Infatti diventa una realtà in quanto tratta innanzitutto il tuo diritto del lavoro”. Il diritto del lavoro non viene più organizzato nella vita economica, il lavoratore non dipenderà più dal potere economico di colui insieme al quale egli può svolgere un lavoro e intraprendere un’attività, ma varrà ciò per cui ogni uomo è uguale. Nell’ambito giuridico separato si dovrà decidere ciò per cui tutti gli uomini sono uguali. E altri rapporti dovranno essere regolati negli ambiti corrispondenti. Oggi posso solo caratterizzare tutto questo molto in generale, potete trovare maggiori dettagli nel mio I punti essenziali della questione sociale.
Rimane ancora la vita economica, la vita economica vera e propria, unitaria. E allora in questa vita economica non ci sarà quel che c’è oggi; nella vita economica ci saranno associazioni formate dai consumatori e dai produttori insieme. E queste associazioni dovranno occuparsi di ciò che dipende strettamente dalla determinazione dei bisogni, dalla determinazione dei prezzi, dal valore della merce, da tutto ciò che si lega solo al lavoro umano che passa nella merce. La vita economica non dovrà decidere sull’apporto della forza lavoro umana, su questo decide la vita giuridica. Nell’ambito della vita economica le corporazioni dovranno occuparsi solo dei giusti prezzi. Così che, da una reale conoscenza specifica e di settore dovuta all’inserimento nella vita economica, risulteranno prezzi tali per cui di fatto il singolo, in cambio di quel che produce, riceverà in media la quantità di beni che gli servono per soddisfare i suoi bisogni per un periodo di tempo sufficiente a consentirgli di produrre un altro prodotto uguale a quello che ha barattato.
Qui in breve arrivo alla cellula primigenia della vita economica; presentandola come ve la devo presentare adesso, sembra un po’ paradossale, tuttavia in sostanza tutto si basa su di essa. Su di essa si basa soprattutto il fatto che così risultano i giusti rapporti fra i prezzi; perché un appianamento sociale non si può raggiungere attraverso una gestione collettiva qualunque, né attraverso un qualunque passaggio dei settori alla gestione della collettività, o alla proprietà collettiva, ma soltanto facendo in modo che il rapporto fra i valori delle merci non sia determinato dal caso di ciò che avviene sul mercato, ma che sia determinato dalla ragione umana, in modo che derivi dalla reale conduzione della vita economica in quanto tale.
Detto in modo asciutto e paradossale ed effettivamente banale: se oggi finisco di fabbricare un paio di stivali, nell’organismo sociale questo paio di stivali deve avere lo stesso valore dei beni dei quali avrò bisogno finché avrò di nuovo fabbricato un paio di stivali simili, includendo nel prezzo tutto ciò che va fatto per i disoccupati, gli invalidi e così via. Questa è la cellula originaria della vita economica.
Di fatto, se la vita economica viene completamente separata dagli altri due settori della vita sociale, cioè dalla vita spirituale indipendente e dalla vita giuridica indipendente, si può raggiungere anche questo.
Come ho già detto, posso solo accennarvi a queste cose, che però sono state realmente sviluppate dalla vita pratica, concependo la vita così come appunto è, così come vuole configurarsi. Questo è anche il motivo per cui, mentre infuriava questa terribile guerra mondiale, dissi a certe persone: “L’importante è che l’infuriare di questa guerra può essere affrontato solo avvalendosi di idee provenienti dallo spirituale. Avete la scelta – così dissi a quei tali – se parlare all’umanità adesso di queste idee che l’umanità può comprendere come punto di partenza per un effettivo miglioramento della Terra, oppure assistere a cataclismi di tipo sociale e rivoluzioni.
Non ci si è degnati di mettere giudizio. Così è venuta la rivoluzione. Ma riguardo alle rivoluzioni c’è una particolarità. Ce ne sono state, di rivoluzioni, nel mondo. Una delle rivoluzioni più grandi fu quella che si compì con l’ascesa del cristianesimo. Che rivoluzione fu? Fu una rivoluzione spirituale. Quelle che cambiarono furono le condizioni della vita spirituale. Il rinnovamento che può realmente giungere in seno all’umanità lungo questa via, attraverso una metamorfosi evolutiva, in un primo momento può consistere solo in impulsi spirituali.
La rivoluzione cristiana fu uno sconvolgimento spirituale. E ciò che essa provocò poi nella vita giuridica e nella vita economica fu una conseguenza della rivoluzione spirituale che si era compiuta attraverso il cristianesimo. Perciò fu, questa, una grande rivoluzione, e chi conosce l’evoluzione del cristianesimo sa quanto profondamente incisiva sia stata la rivoluzione spirituale portata al mondo dal cristianesimo.
Ma ora consideriamo un sovvertimento della situazione giuridica, della situazione politica: troviamo questi sovvertimenti nella rivoluzione francese o nella rivoluzione continentale del 1848. Studiando queste rivoluzioni e si vedrà che qualcosa raggiunsero, che qualcosa cambiò; ma rimase molto che non costituiva affatto una soluzione delle rivendicazioni sollevate prima, ma che costituiva una soluzione di rivendicazione precedenti, resti avanzati da queste rivoluzioni politiche, dai tre elementi della vita umana. Si possono studiare, i sovvertimenti in ambito spirituale, in ambito politico-giuridico; un sovvertimento in ambito spirituale, quello del cristianesimo; un sovvertimento in ambito politico-giuridico, il sovvertimento della rivoluzione francese e della rivoluzione del 1848. Adesso si vuole un sovvertimento in ambito economico. A partire da se stessa, la vita economica si può meccanizzare, ma a partire da se stessa non può trasformarsi. Chi conosce il contesto dell’economia mondiale sa che ci possono essere sovvertimenti spirituali, perché lo spirito può fecondare tutto il resto della vita, mentre invece, se i sovvertimenti colpiscono i rapporti giuridici fondati sulla convivenza animica fra le persone, continua sempre a rimanere indietro qualcosa. Ma se si vuole trasformare l’esteriorità stessa formatasi puramente da sé, allora questa è un’illusione. È semplicemente una legge dell’evoluzione della storia del mondo, che laddove si voglia compiere una rivoluzione puramente economica, come attualmente in Russia, finché non accoglierà in sé qualcosa di realmente spirituale, questa rivoluzione economica non può che essere il becchino della civiltà moderna.
È vero che Lenin e Trotzki sono gli ultimi consequenziali istruttori del darwinismo che ha vissuto per decenni nelle masse. Ma cercando di realizzare quanto aveva potuto idealmente prender forma in base ad idee puramente economiche e in cui si era potuto credere finché non è stato messo in pratica, nello stesso momento in cui lo si vuole introdurre nella vita, si diventa becchini della civiltà. E sotto l’influsso di tali idee nell’oriente europeo non potrebbe che diffondersi la morte, se non si capisse che nella nostra epoca ci è necessario qualcosa di completamente diverso: un rinnovamento della vita spirituale.
Questo è ciò che oggi volevo sottolineare con particolare enfasi: che ci è necessario sviluppare, in una parte indipendente dell’organismo sociale, una vita spirituale libera che ora, a sua volta, costruisca sullo spirito reale. Da questo spirito risulterà un vero futuro sociale. Non c’è niente da sperare, in una nuova rivoluzione. Questa nuova rivoluzione dovrebbe essere una rivoluzione economica. Una rivoluzione economica può solo distruggere, non può costruire. Oggi il mondo è maturo per una nuova spiritualità per poter ricostruire.
Questo è quanto ha da dire chi non difende un pregiudizio in base ad esigenze di partito, o a programmi di partito, ma guarda spregiudicatamente e onestamente la vita e prende onestamente sul serio quella che usualmente, anche se mal intesa, viene chiamata ‘questione sociale’. La prima cosa cui si deve provvedere nel corso dell’evoluzione umana è che si diffonda luce su queste cose, che chi, grazie alla cultura ricevuta dal passato, ha già chiarezza su questi aspetti, li chiarisca alle grandi masse, che faccia chiarezza alle grandi masse su ciò che è necessario. Altrimenti le grandi masse sanno certamente che cosa rivendicano basandosi sulle loro passioni, ma non riescono a capire bene che cosa può essere realmente rivendicato nell’interesse dell’umanità e nell’interesse di un futuro sociale.
Quanto ho cercato di spiegare nel mio I punti essenziali della questione sociale non segue un qualche slogan di partito, segue ciò che si è cercato di riconoscere dall’evoluzione della storia mondiale stessa, ciò che si è cercato di riconoscere dal punto di vista della storia del mondo. Chi parte dalla socializzazione dei mezzi di produzione non sa già niente di evoluzione. Perché anche se oggi fosse possibile realizzare la socializzazione dei mezzi di produzione, il che non può essere, perché naturalmente è impossibile, perché annienterebbe tutte le iniziative del singolo, ma comunque, anche se fosse possibile partire dalla socializzazione dei mezzi di produzione, la generazione attuale avrebbe questi mezzi di produzione ad una certa età, e la generazione successiva resterebbe di nuovo senza. E dalla protesta di coloro che verranno risulterebbe di nuovo ciò cui oggi si deve porre rimedio.
Solo un pensiero tratto dalla piena realtà, non da realtà unilaterali, solo un pensiero così oggi è reale fin dal principio. E il pensiero della triarticolazione dell’organismo sociale che vi ho presentato tiene conto anche dell’evoluzione nel tempo, non solo dello spazio in cui gli uomini siedono l’uno accanto all’altro. Perciò questo pensiero può configurare la vita spirituale nelle sue parti più importanti, nel suo ambito più essenziale, nella scuola e nell’educazione, e anche in riferimento all’organismo sociale, molto tempo prima, in modo da poter apportare forze all’organismo sociale in modo adeguato. Al giorno d’oggi i socialisti continuano a ripetere: “Se introduciamo la distribuzione dei mezzi di produzione alla collettività, se introduciamo l’obbligo di lavoro ecc., attraverso queste strutture sociali educheremo le persone in un modo tale per cui esse lavoreranno da sé” e così via. Ecco, non farà proprio nulla, l’umanità, non farà nulla, avrà voglia di lavorare e sarà contenta di lavorare solo se la vita spirituale ravviverà realmente le capacità umane individuali delle persone, e queste possono essere ravvivate solo se formiamo l’uomo, già nel periodo dell’educazione, tenendo conto della sua piena individualità.
Nello stesso modo in cui avviene in questo ambito, anche negli altri ambiti della vita l’idea sociale della triarticolazione dell’organismo sociale è ciò che sta alla base della pratica nel modo più completo; essa può stare alla base della pratica perché è costruita sulla base di una reale scienza dello spirito, che non deve riconoscere soltanto la natura, ma deve riconoscere l’uomo, in modo che anche l’uomo entri a far parte della coscienza dell’uomo.
In chiusura vorrei ancora solo sottolineare che ciò che potete leggere dettagliatamente in riferimento alla futura formazione del capitale, alla futura formazione del lavoro, alla futura formazione dell’economia e così via, nel mio I punti essenziali della questione sociale e che là è spiegato più in dettaglio, come ho già detto, oggi è ancora un debole tentativo. E deve essere un debole tentativo proprio perché non è un programma qualsiasi che sia stato escogitato, ma è ricavato dalla vita pratica. Alle persone che oggi dicono: “Non si può capire, quel che c’è nei Punti essenziali della questione sociale” manca appunto l’istinto della realtà oggi necessario per capire realmente ciò che è pratico fin dalle sue fondamenta. Non si tratta solo di parteggiare per un pensiero sociale scientifico, ma si tratta di parteggiare per quei pensieri che possono essere portati dall’istinto per le cose da realizzare. Allora, cercando di descrivere quei pensieri, non si avanzerà la pretesa che essi siano perfetti fin dall’inizio. Si sottolineerà sempre: sono un tentativo. E così ciò che viene presentato nell’ambito del movimento per la triarticolazione dell’organismo sociale deve assolutamente essere un tentativo. Perché quel che ne dovrà venir fuori alla fine si mostrerà appunto dopo essere stato trasformato e introdotto nella pratica.
Perciò spesso ho detto: è possibile che di tutte le singole indicazioni concrete che do, non rimarrà una pietra sopra l’altra; però ciò che deve essere proposto viene plasmato in modo da afferrare la realtà per un lembo. Se la si afferra per lì, allora forse risulterà qualcosa di completamente diverso, ma si lavorerà sul serio. Non si tratta di programmi, né di idee precostituite sulla cui base mettersi a lavorare, per quanto queste siano intelligenti e per quanto siano antiche, ma di mettersi a lavorare in base alla realtà della vita pratica! Ma non di lavorare a seconda dei casi della vita di tutti i giorni, ma sulla base di grandi idee, con ampie vedute, dalle quali sono realmente sorte tutte le grandi strutture, anche quelle sociali. Credo che la pensi così chiunque parli di queste cose nello stesso modo in cui oggi ho cercato di farlo io. Vorrei spiegarvi con un esempio cosa intendo dire. In questi giorni, in un atelier in cui per il resto si ha a che fare solo con opere di scultura, dove si scolpisce per l’edificio, una persona ha elaborato un modello di sedia. Alla base di questa sedia bisognava porre l’idea che essa da un lato avrebbe dovuto soddisfare il nostro sentimento di bellezza, di cui ci occupiamo nell’edificio di Dornach, ma dall’altro doveva essere meno costosa possibile. L’intero progetto doveva tener conto, oltre che della bellezza della forma, anche della maggiore economicità possibile. Ora avevamo fatto un modello. Quando abbiamo dato questo modello all’artigiano, ci siamo detti: qui c’è il modello, ma adesso comincia la realizzazione pratica, ed è possibile che la sedia che ne verrà fuori alla fine sarà completamente diversa dal modello. Ma quella che ne verrà fuori sarà pratica proprio perché il modello è stato pensato in modo pratico.
È così che vorrei che venissero intese le cose anche riguardo ai Punti essenziali della questione sociale. In un certo senso tutti gli stimoli che troverete sulla questione sociale, per esempio qui per la Svizzera nel Futuro sociale, in questo libro e nelle nostre altre idee, dovrebbero essere solo qualcosa come una specie di modello; però dovrà essere un modello pensato in senso pratico. Se si avvia il lavoro in questo modo, ne uscirà la pratica. Forse alla fine le cose avranno un aspetto addirittura completamente diverso, ma sicuramente risulteranno veramente pratiche solo se si intraprende il lavoro sulla base di un impulso pratico.
Penso che il luogo più favorevole per realizzare un simile organismo sociale tripartito, il luogo in cui esso potrebbe essere realizzato con particolare forza (scusate se dico tutte queste cose, specialmente per coloro che non vi si sono molto addentrati, tuttavia ci tengo a dirle), potrebbe essere proprio questo Paese, che a ragione è orgoglioso della sua antica democrazia. Infatti, dato che l’elemento democratico si è sviluppato proprio qui, qui è più facile che da qualsiasi altra parte capire in che modo si debba trovare la via per separare la vita spirituale e la vita economica da entrambe le parti in modo adeguato. - L’idea della triarticolazione è cresciuta in modo progressivo. Se si prendono sul serio queste idee, credo che proprio vivendo in una comunità democratica si capirà, si comprenderà con maggiore facilità ciò che può dover succedere per la triarticolazione dell’organismo sociale. Altrimenti la triarticolazione dell’organismo sociale verrà attaccata da destra e da sinistra, da tutte le parti. E mentre bisognerebbe proprio che la questione sociale venisse presa sul serio, è successo che io per esempio vengo attaccato personalmente nel modo più osceno proprio dai capi dei partiti socialisti di tutte le sfumature. Ma l’importante appunto è che nell’evoluzione umana sono emerse tre grandi idee, che basta solo prendere sul serio. Una di queste idee è quella del liberalismo, l’altra è quella della democrazia, la terza è quella del socialismo. Se si prendono sul serio queste tre idee, non si potrà mischiarle tutte e tre insieme, o far prevalere l’una sull’altra, ma ci si dovrà dire: dalla vita spirituale indipendente deve irraggiare qualcosa che fluisca fino nel capitalismo, che fluisca nell’intero organismo. Questo è il libero sviluppo umano, è l’elemento liberale. Nello Stato politico, nella vita giuridica, deve vivere qualcosa in cui tutti gli uomini siano uguali. Questo è l’elemento democratico. E nella vita economica deve dominare l’elemento della fratellanza. Queste tre cose devono costituire la vera base della struttura sociale. È questo l’importante. Ciò che di benefico ha cominciato ad emergere nel corso della più recente evoluzione umana in conseguenza del liberalismo, della democrazia e del socialismo non lo si deve combattere unilateralmente, e nemmeno sostenere unilateralmente; si deve intuire che nella vita spirituale autonoma cresce il liberalismo che illumina tutta la restante vita sociale; che nel vero Stato giuridico cresce la democrazia, che a sua volta illumina tutto il resto della vita; che nella vita economica, che si occupa solo di produzione di merci, di circolazione di merci, di consumo di merci e della determinazione dei giusti prezzi condizionata da tutto ciò, domina a sua volta il socialismo che tutto compenetra. Allora, se si afferra questo, giustamente si concepirà la vita tenendo ben conto del fatto che nella vita esteriore gli errori completi, essendo più facilmente intuibili, sono meno dannosi delle mezze verità o dei quarti di verità.
Ma al giorno d’oggi spesso nel movimento sociale fluiscono quarti di verità, terzi di verità. E attenendosi a quella che è una verità parziale, si crede di comprendere la vita intera. Invece si dovrebbe voler comprendere tutta la vita solo anche con una vivace cooperazione delle verità. L’intera verità a tutto tondo non si può esprimere con un’idea astratta e nemmeno con una realtà astratta. Si può afferrare solo nella cooperazione vivente delle idee. Allora dalle mezze verità e dai quarti di verità potrà risultare anche in ambito sociale la verità intera della vita, che è necessaria. E si capirà che la lotta contro gli errori pieni è meno necessaria della rettifica delle mezze verità e dei quarti di verità.
Oggi volevo sottolineare con forza tutte queste cose in riferimento alle idee sulle necessità della vita nella questione sociale del presente e del prossimo futuro del genere umano
Il dottor Roman Boos richiama l’attenzione sul fatto che anche qui in Svizzera la situazione economica è fortemente a rischio, e che perciò bisogna riuscire ad appellarsi alla creatività, che questo è assolutamente necessario, e che bisogna dare il massimo peso a quel che oggi il dottor Steiner ha accennato nella conferenza. (Non sembra aver luogo un dibattito).
Dibattito
Rudolf Steiner:
In riferimento alle parole conclusive sarò molto breve. Forse qualcuno potrebbe dire che in questa conferenza ho detto molte cose su ogni ambito dell’organismo sociale: la vita spirituale, la vita giuridica, la vita economica; ma che alla gran parte di coloro che oggi parlano della questione sociale tutto ciò non interessi affatto, perché la questione sociale sarebbe appunto innanzitutto una questione economica.
Ora tenete conto di tutto l’assetto sia della conferenza, sia anche di ciò che si intende con l’impulso per la triarticolazione dell’organismo sociale. Dalla conferenza avrete capito, almeno in parte, che non viene proposto un programma già pronto, ma si parte dal fatto che l’organismo sociale stesso, dunque la vita sociale umana, deve essere articolata in un certo modo, deve essere articolata in modo che la vita economica, la vita democratica, politica o giuridica e la vita spirituale vengano gestite separatamente, ognuna per conto proprio.
Ora naturalmente è facilmente che si dica: qui tu effettivamente separi in tre settori quella che deve essere un’unità, l’intera società umana, l’organizzazione sociale umana. Ma è proprio grazie alla gestione autonoma dei tre settori, che sarà possibile provocare la giusta unità di questi settori. Non si tratta, per esempio, come certi hanno creduto, di rinnovar la suddivisione dell’umanità in ceto intellettuale, ceto militare e ceto contadino, come avveniva nella concezione del mondo precristiana, platonica. No, a quei tempi si è divisa l’umanità in quanto tale in tre ceti; sicché uno apparteneva ad un ceto, un altro al secondo, un altro ancora al terzo ceto. Questo è proprio quello che va evitato: cioè che gli uomini non possano essere uomini interi, ma che si dividano in ceti. Non si divide l’umanità in quanto tale, ma si articola la vita umana. E chi è inserito nella vita si trova in un certo modo in tutti e tre i settori: nella vita spirituale nella misura in cui partecipa vivamente alla vita spirituale in un modo o nell’altro; è inserito nella vita giuridica, nelle questioni giuridiche generali, perché in questo settore è diventato maggiorenne, o direttamente attraverso un qualche referendum, o indirettamente attraverso rappresentanza o altro del genere, ed è inserito anche in un determinato ambito economico in cui è accreditato attraverso la sua stessa persona, oppure ha conoscenze specifiche e di settore, e vi è inserito per tramite di un’associazione; l’intera vita economica è in sé articolata.
E ora proprio dalle diverse repliche che sono state fatte, si vede quanto poco, ancora oggi, si sia capito il pensiero fondamentale. Così, per esempio, in un periodico è stata pubblicata una lunga discussione su questa triarticolazione dell’organismo sociale ed è stato detto: “Sì, lui vuole mettere tre parlamenti al posto di un unico parlamento: un parlamento spirituale, un parlamento giuridico e un parlamento economico. Ma il fatto è che in un parlamento democratico si può decidere solo ciò su cui ogni persona è capace di giudicare, per cui non serve alcuna conoscenza specifica e di settore, e che bisogna proprio escludere ciò per cui servono conoscenze specifiche e di settore. Dunque, nell’ambito della vita spirituale e nell’ambito della vita economica non può esserci nessun parlamento, così, [perché là] la cosa è appunto capovolta. Si tratta dunque di applicare onestamente il parlamentarismo, limitandolo all’ambito in cui esso si possa realmente estrinsecare in modo adeguato.”
Però da questo discorso si vede che in realtà a tutt’oggi il nerbo è stato poco capito. Ma se si capisce il nerbo della cosa, allora si vedrà che questa idea è stata pensata in modo concreto proprio fin dalle fondamenta. Chi credesse di poter articolare, per esempio, la vita economica secondo una determinata struttura, basandosi su un qualche programma, per quanto bene egli abbia escogitato questo programma, per quanto si creda intelligente, tuttavia non pensa a partire dalla realtà. Invece pensa a partire dalla realtà chi dice che l’umanità deve vivere in un organismo sociale che sia amministrato da tre versanti; allora verrà fuori una struttura sociale. Gli uomini configureranno la vita sociale a seconda di quello che sperimenteranno grazie alla triarticolazione. L’importante non è che si dica: “Adesso c’è una questione sociale, deve essere risolta. Oggi non si riesce ancora a risolverla, domani ci si riuscirà” l’uno lo dice in un modo, l’altro in un altro modo, ma sono in molti a pensarla così.
No, chi crede che sia così pensa in modo del tutto irreale. Il fatto è che nell’umanità la questione sociale è arrivata in superficie, e adesso bisogna creare una struttura sociale tale per cui la questione sociale venga risolta continuativamente. Oggi ci sono queste condizioni, oggi verrà risolta così o così, non verrà risolta domani. E se domani emergeranno altre questioni, allora la situazione dovrà essere risolta per domani; poi verranno ancora altre cose, e gli uomini devono essere inseriti nella struttura sociale. Sarà un processo continuo. La soluzione va affrontata sempre di nuovo di giorno in giorno. Non è una cosa di cui per esempio si possa dire che c’è oggi e che continuerà ad esserci, ma bisogna chiedersi: come dev’essere configurata la società, affinché ciò che la società attua possa essere fatto in senso sociale? Se non si prendono realmente in questo senso le cose umane, se non si pensano secondo la loro reale natura, non si capisce ciò che avviene nella realtà.
Oggi si crede di pensare, ma si pensa in modo massimamente irreale. Per esempio si crede che la vita sociale verrà strutturata in senso sociale attraverso una certa trasformazione della vita economica. Ora, bello!, sarebbe proprio come credere che il singolo organismo umano venga strutturato da quel che l’uomo mangia e beve. No, l’organismo umano ha delle leggi interne. Ha delle leggi per cui già all’età della seconda dentizione attraversa una trasformazione ben precisa, all’età della maturità sessuale attraversa di nuovo un’altra trasformazione. Nell’organismo umano le trasformazioni, l’interno dell’organizzazione umana, provocano i processi; e anche il corso dell’evoluzione storica provoca le idee. Oggi siamo arrivati ad un punto in cui è necessario affrontare la triarticolazione dell’organismo sociale!
Ora in chiusura voglio dirvi ancora qualcosa per mostrarvi come sono intese le cose. Vedete, chi studia i miei scritti saprà che quando mi succedono cose del genere non voglio assolutamente deridere gli altri. So benissimo che è degno di considerazione anche ciò che può produrre l’animo più semplice. Ma pensate cos’è successo: in un dibattito mi fu obiettato (effettivamente spesso al giorno d’oggi, laddove si crede di essere particolarmente rivoluzionari, vengono mosse obiezioni secondo un certo slogan, dell’obiezione stessa non serve occuparsi) mi fu obiettato qualcosa che non aveva direttamente a che fare con la questione. Quel tale disse (parlava secondo la fraseologia più radicale del partito socialista): “Vedete, egregi convenuti, non vogliamo affatto disfarci, per esempio, del lavoro spirituale, vogliamo che continui ad esserci; infatti vedete – disse – io per esempio sono un calzolaio, so benissimo di non essere in grado di fare il lavoro di un impiegato dell’anagrafe; quando governeremo noi dovremo dunque impiegare persone che siano in grado di assumere quella carica.” Un pensiero glorioso! Il brav’uomo credeva di non essere in grado di svolgere il lavoro di un impiegato dell’anagrafe, ma credeva di poter diventare il ministro che avrebbe determinato l’intera struttura. Per lui questo era assolutamente ovvio.
Al giorno d’oggi nella vita reale questo tipo di errori semplici, in cui si vive, è l’essenza, è sempre alla base di tutto. Queste cose ci mostrano quali sono gli approcci che possono portare a qualcosa di fecondo.
Per contro, recentemente sono venuto a conoscenza di quanto segue anche da un altro lato. Era stato scritto un articolo che effettivamente condannava completamente tutta la triarticolazione dell’organismo sociale, e alcune settimane fa ad una delle mie conferenze venne da me un Americano, che disse: “Ho letto questo articolo; l’articolo è scritto in modo da offendere tutto. Ecco, ci deve essere qualcosa! E allora mi sono procurato la cosa.” così disse. Vedete, a volte anche gli articoli diffamatori hanno i loro buoni effetti. Ora, quando venne da me quell’uomo si era già del tutto addentrato nell’idea della triarticolazione. Mi chiese: “Credete che adesso, con questa idea della triarticolazione, abbiamo qualcosa di valido nel senso più assoluto per tutto il futuro dell’umanità?” Ho risposto: “No. Abbiamo attraversato una fase dell’evoluzione storica che ci ha portati a racchiudere ogni cosa in questo Stato unitario. In questo Stato unitario sono state racchiuse, diciamo noi in Austria, la vita economica, la vita giuridica, la vita spirituale, precisamente sotto forma di vita culturale etnica. Ne ho parlato spesso. Nel XIX secolo in Austria c’era un’amministrazione tale per cui nel XX secolo non era possibile assolutamente nient’altro che ciò che portò alle vicende della Bosnia-Erzegovina, alla negoziazione di quell’annessione. Quel che ne derivò andò ad amalgamarsi con la costruzione della ferrovia di Salonicco, cioè con una cosa puramente economica. E ne venne fuori una mescolanza caotica alla quale si aggiunse anche un elemento puramente spirituale, cioè la contrapposizione della cultura slava a quella magiara. E allora il terribile groviglio dei popoli dell’est preparò ciò che risultò dal groviglio dei tre ambiti intrecciati insieme. Ma essi erano appunto di natura tale da spingere verso lo Stato unitario. Adesso questo è maturo per dividersi nei tre settori. E a sua volta sorgerà una necessità completamente diversa in un tempo che relativamente non è affatto molto lontano. La vita è appunto viva, non è niente di finito. Si vuole qualcosa che valga per sempre e dappertutto!”
Queste idee hanno di scomodo che non possono essere inventate con astrazioni, come i programmi: si introducono i programmi e poi è fatta. No, non è così; queste idee, le idee spirituali, fanno i conti con la vita spirituale, con la vita giuridica e con la vita economica nell’organismo sociale triarticolato. E perciò possono anche sempre trovare solo ciò che vale per una determinata epoca. E sono consapevoli del fatto che in una determinata epoca tutto questo dovrà a sua volta essere sostituito da qualcos’altro. Esse prendono sul serio anche l’evoluzione, in quanto è nell’evoluzione che cercano anche ciò che esse stesse possono trovare per la loro epoca.
Dunque, volevo solo mostrare in questo senso un risultato pratico e dire che non si può trattare di qualcosa di assoluto, come in altri attuali programmi, ma di qualcosa che sia pensato nel senso più eminente a partire dal presente.
Così ciò che oggi vuole entrare nel mondo incontra i giudizi più diversi. Si possono trovare i giudizi più diversi, se solo questi giudizi, queste valutazioni, si orientano ad uno studio vivo delle cose. In queste cose non si tratta di esporre pedantemente quel che dice una certa parte ma, così com’è inteso, che la verità venga colta in senso pratico. Poi dei particolari, dei dettagli, può non restare una pietra sull’altra, ma da questo modo vivo di pensare sorgerà e opererà ciò che può essere benefico.
In questo senso queste cose vorrebbero essere dette dalla realtà per la realtà. La triarticolazione dell’organismo sociale non è intesa né può essere intesa da sviluppi unilateralmente politici, da un’evoluzione concepita solo in modo unilaterale. E così vorrebbe anche essere accolta, questa triarticolazione dell’organismo sociale, senza emotività.
Dall’altro lato vorrebbe essere considerata spregiudicatamente, come è stata spregiudicatamente pensata. Qualcuno oggi dice: “Sì, questa triarticolazione dell’organismo sociale sarebbe molto buona, ma dovrebbe subentrare proprio alla fine; prima dovrebbe venire la dittatura e così via.” Se si pensa così, allora in realtà appunto non si vuole qualcosa di pratico, ma solo qualcosa che derivi da esigenze astratte che vengono fuori direttamente solo da uno stato d’animo qualsiasi. Allora appunto non si vuole la triarticolazione sociale come la intendiamo noi, ma in realtà si vuole ciò di cui ci si è innamorati.
Ma se si vuole seriamente raggiungere qualcosa nella vita, ci si deve elevare al punto di vista di chi osserva la vita spregiudicatamente e ne ha una visione d’insieme.
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