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OO 329 - Liberare l’uomo per ricostruire la società



Terza conferenza
Le rivendicazioni del proletariato e le nostre proposte per il futuro

IndietroAvanti

Winterthur 19 marzo 1919


Il movimento proletario come critica vivente della civiltà moderna. Disamina di tre concetti che vivono nel proletariato: la concezione materialistica della storia, la teoria del plusvalore secondo Marx, la teoria della lotta di classe. Che cosa significa ‘vita spirituale libera’ e perché è importante. Necessità di porre la forza del diritto al posto della forza del privilegio. Dallo Stato unitario all'organismo sociale triarticolato. I due confini della vita economica. La forza lavoro come fattore principale della formazione dei prezzi. La somma dei mezzi di produzione come controvalore reale del denaro. Il rapporto dei mezzi di produzione con lo Stato giuridico e con la vita spirituale. Le conseguenze del trasferimento dei mezzi di produzione alla proprietà comune.


Conclusione dopo il dibattito

L'idea della triarticolazione è il contrario dell'utopia e si contrappone al vecchio ordinamento corporativo. L'essere umano come punto in cui si cristallizzano i tre settori dell'organismo sociale. La differenza tra proprietà e gestione. Il superamento del pensare in programmi e il superamento delle abitudini.


Non crediate che oggi io voglia prendere la parola per parlarvi di un’intesa fra le diverse classi sociali attualmente esistenti nello stesso modo in cui, di questi tempi, tanto spesso si preoccupano di fare certe fazioni che ritengono appunto necessario parlare di intesa. Vorrei parlarvi di un’intesa completamente diversa, come vedremo tra poco. Se si tiene conto di com’è andata la vita nel corso degli ultimi decenni, forse anche di più, non si può parlare di un’intesa come la intendono loro, soprattutto se si considera il fatto che ai giorni nostri essa è sfociata in fatti che parlano chiaro e che sono veramente terribili per persone che fino a poco tempo fa non avrebbero mai immaginato che le cose sarebbero potute andare così. E poi, a che cosa servirebbe parlare di intesa in quel modo, dato che lo fanno già loro, che ci tengono così tanto?

Alcuni giorni fa, a Berna, alla cosiddetta conferenza della Società delle Nazioni, quella cerchia di persone ne ha di nuovo parlato, dicendo una marea di cose. Ciò che hanno detto sulla vita internazionale che ci si auspica e che credono sarà possibile realizzare nel prossimo futuro ricordava veramente i discorsi che certi uomini di Stato continuarono a tenere, sempre con lo stesso tono di fondo, in primavera e inizio estate 1914. Vorrei esporvi quel che disse in uno di quei discorsi un uomo di Stato di una delle potenze che in seguito condussero alla guerra. Disse più o meno così (egli pronunciò queste parole alla sua sede governativa): “Grazie all’impegno dei gabinetti dei governi delle grandi potenze europee abbiamo ragione di credere che la pace in Europa sia garantita per un lungo periodo.” In maggio 1914! Questa è la pace di cui si parlava e che poi è arrivata e ha ucciso almeno dieci milioni di persone e ne ha mutilate diciotto milioni! E così la gente ha preso atto di quel che si celava in quel periodo.

Io stesso, se posso fare quest’osservazione personale, nella primavera del 1914, ad una riunione che tenni a Vienna, riguardo a ciò che, se non si era ciechi e sordi nei confronti della realtà, si poteva vedersi avvicinare, ebbi a dire: “In questo organismo sociale stiamo soffrendo di un subdolo cancro che in brevissimo tempo dovrà esplodere come una piaga dilagante.” Si poteva anche parlare così, quella volta.

Ora, io penso che i fatti abbiamo dimostrato che aveva più ragione chi parlava del subdolo cancro dell’ordinamento sociale di quella volta, che non chi parlava come ne parlavano gli uomini di Stato di allora per stordire le persone, per illuderle. E così, adesso, ci sono di nuovo moltissime persone che parlano della vita internazionale che si dovrà instaurare fra i popoli. E trascurano di parlare e trascurano di pensare a quella che è e che sarà la cosa più importante, la cosa più essenziale e che oggi si annuncia già con fatti che parlano chiaro: trascurano di parlare di quelle che sono le vere, reali esigenze sociali del presente.

Fino ai terribili anni che sono cominciati nel 1914, come descrivevano certe persone la vita della cosiddetta civiltà moderna? Si sentiva continuamente parlare dei grandiosi progressi dell’umanità, di quanto più velocemente, rispetto alle epoche precedenti, fosse possibile fare viaggi d’affari a lunga percorrenza su tutto il pianeta, di come il pensiero volasse sulla Terra alla velocità del lampo, di come si divulgassero la scienza e l’arte – quelle che appunto in certe cerchie si chiamano ‘scienza’ e ‘arte’ e così via. Si cantavano lodi sperticate su questa civiltà moderna. E gli ultimi quattro anni e mezzo?

Cos’è diventata nel corso di questi quattro anni e mezzo questa moderna civiltà europea? Com’è potuto accadere? È potuto accadere solo perché questa civiltà moderna, di cui si intessevano le lodi, poggiava su un campo che era minato, minato certamente non da qualcosa di nemico all’umanità di per sé, ma minato dalle rivendicazioni assolutamente giustificate che una grande parte dell’attuale popolazione mondiale aveva nelle direzioni più diverse. Essa non sentiva che questa civiltà offrisse un’esistenza degna dell’essere umano.

Questa civiltà era possibile, invece, solo innalzandosi come una sovrastruttura che poggiava su una determinata base, costituita dal fatto che innumerevoli persone non avevano un’esistenza degna dell’essere umano. E quella che va considerata la cosa peggiore è che si era aperto un profondo abisso nella comprensione: un abisso fra coloro che, da una parte, intonavano quei canti di lode e coloro che, dall’altra, alle assemblee cui riuscivano a partecipare a stento dopo il duro lavoro, dovevano continuare a gridare: “Non può andare avanti così!”

Nelle cerchie dominanti c’era una scarsa tendenza a trovare una vera intesa, un’intesa come la si sarebbe dovuta cercare da decenni, sì, forse da più di mezzo secolo. In questo mezzo secolo il movimento proletario è cresciuto sempre più. E cresce in modo tale per cui va detto che finora la vita della popolazione proletaria se ne è stata lì come una potente critica storico-mondiale a ciò che le classi finora dominanti hanno provocato nella storia del mondo, nell’evoluzione dell’umanità. Oggi i fatti esprimono questa critica, che in un modo o nell’altro è stata mossa spesso contro queste classi dominanti. Le classi finora dominanti come hanno accolto, molto spesso, il grido che giungeva loro: “Non può andare avanti così”? Non serviva andare tanto in là (vorrei fare degli esempi) non serviva spingersi tanto in là quanto, per esempio, ha fatto una personalità caratteristica, una personalità di spicco fra le classi dominanti del recente passato, cioè come il Kaiser tedesco che, delle masse proletarie che si palesavano socialiste, ha detto: “Questi animali, che minano le basi del Reich tedesco, devono essere sterminati”. Oppure un’altra volta ha detto (sono proprio parole sue): “Queste persone sono nemiche dell’ordinamento divino del mondo”. Non sarebbero solo nemici di altri uomini, ma nemici dell’ordinamento divino del mondo! Non serviva, come ho detto, spingersi tanto in là; ma idee strane giravano. Qui, per esempio, nel Reich tedesco, per certi motivi che adesso non voglio esporre a critica, i socialdemocratici avevano disposto per i crediti di guerra, almeno una parte prevalente dei socialdemocratici aveva disposto per crediti di guerra, e avevano anche (di nuovo per motivi che non voglio menzionare) fatto il loro dovere di soldati, generalmente si erano comportati in un certo modo rispetto alla cosiddetta guerra mondiale. Non crediate che nelle cerchie intellettuali borghesi fosse tanto raro pensare, dopo aver visto quanto era patriottico il comportamento della socialdemocrazia, che realmente in futuro i soldati sarebbero stati solo uomini che si sarebbero lasciati usare, da bravi, per ciò per cui li si sarebbe usati molto volentieri, specialmente nel Reich precedente, se le cose fossero andate a finire diversamente, ma proprio molto diversamente, da come sono andate a finire. Essi lo credevano sul serio (questo è un dato di fatto). Nella fattispecie, li si sarebbe usati molto volentieri per dare il loro placet alle tasse nel defunto parlamento.

Ora, perfino fra i socialisti ci sono persone che non se li erano nemmeno lontanamente sognati, questi fatti che parlano chiaro, e che però ormai sono successi. Anche i socialisti ribadivano molto spesso: “Dopo questa guerra mondiale, il governo non potrà continuare come prima, con la popolazione proletaria; dovrà tener conto di quello che i proletari vogliono”. Adesso i fatti sono piuttosto cambiati, no? Questo governo, almeno una gran parte di esso, oggi non può molto tener conto della volontà della popolazione proletaria.

Se si guarda da tutte e due le parti, da una parte si presenta ciò che il socialista austriaco Pernerstorfer, secondo la mentalità che certe cerchie borghesi avevano durante la guerra mondiale, caratterizzò dicendo: “Questi milioni, in quanto membri degli Stati che conducevano la guerra, pattuirono volentieri la pace con la socialdemocrazia; ma avrebbero voluto una pace a condizione, più o meno, che l’altro, a cui si offre l’amicizia a vita, la accetti, ma che poi si impicchi”. Ma se guardiamo dall’altra parte, nemmeno lì c’era alcuna possibilità di suscitare molta comprensione. Qui posso parlare molto bene per esperienza personale, perché per anni, come insegnante alla scuola di formazione per operai fondata da Wilhelm Liebknecht, ho collaborato allo sviluppo di quella che nelle anime proletarie si era formata come concezione del mondo. Chi sa che cosa si andava formando nell’anima proletaria sa anche quali sono le rivendicazioni che risuonavano nell’anima di coloro che appunto si riunivano in quelle assemblee, nelle anime dei proletari che strappavano quelle assemblee all’orario di lavoro, e spesso anche alla propria salute fisica. Queste rivendicazioni continuavano sempre a rivestirsi di tre elementi. Certamente qualcuno non parlava con una comprensione ampia e totale di ciò che si manifestava in questi tre elementi, ma nelle anime dei proletari c’era un sentimento profondo che si intrecciava in queste tre rivendicazioni, anche quando, apparentemente, non venivano espresse come rivendicazioni. La prima di queste rivendicazioni si rivestiva delle parole: ‘concezione materialistica della storia’; la seconda si rivestiva della parola, molto significativa per il proletario, ‘plusvalore’: e la terza era quella che da decenni, per il proletariato, anche quando il proletario ne parlava secondo il suo modo di intendere, quindi secondo il suo modo di vedere, era la ‘lotta di classe’, il che indicava che in questa nuova epoca, nella lotta di classe, il proletario è diventato appunto un ‘proletario che ha coscienza di classe’.

Che cosa rivestivano effettivamente queste tre parole? All’inizio sembra che sia una cosa del tutto teorica, proprio scolastica, quando uno dice di credere nella concezione materialistica della storia; solo che oggi vogliamo parlare nel senso della vita pratica, e non in senso teorico. Che cosa intendeva e che cosa intende tutt’ora il proletario, quando esprime la sua concezione del mondo dicendo di avere una concezione materialistica della storia? Da quando, nel corso della storia più recente, insieme alla tecnica moderna si è sviluppato il capitalismo moderno, egli ha sempre potuto riascoltare il vecchio ritornello delle cerchie dominanti. Però, quando guardava alle classi dominanti, il proletario notava pochissimo dell’effetto che, stando a quanto si afferma, questo vecchio ritornello avrebbe stimolato nell’anima umana. Le persone delle cerchie dominanti dicevano: “L’uomo vive in un certo ordine sociale di generazione in generazione. L’umanità vive appunto a seconda del modo in cui si sviluppa la vita storica; e vive secondo leggi che corrispondono ad un ordinamento cosmico divino”. Lo si chiamava ‘ordinamento cosmico morale’ e, se si voleva essere illuminati, lo si chiamava forse anche ‘le idee’ che dominano la vita storica dell’umanità.

Il proletario osservava quelle cerchie, che parlavano come se la loro vita fosse condizionata da potenze spirituali-morali che se ne andavano a tessere in giro per il mondo.

Però, da parte sua, egli non riceveva nulla da queste potenze morali; e ancor meno vedeva qualcosa di un ordinamento divino che si esplicasse nei fatti. Si parlava di un ordinamento cosmico divino, ma non lo si vedeva, questo ordinamento cosmico divino. Egli, soprattutto, non lo vedeva nelle azioni degli uomini, nel rapporto reciproco fra le persone. Egli era proprio (questo si era sviluppato nei secoli) era proprio stato intessuto nell’ordinamento economico capitalistico, nell’ordinamento economico capitalistico privo di anima, che imbarbarisce. Tale ordinamento era venuto fuori contemporaneamente alla tecnica moderna, che aveva richiamato numerose persone da quel mondo dell’antico artigianato che si diceva essere lastricato d’oro (in un certo senso era pavimentato d’oro); ma quello che il proletario moderno viveva stando alla macchina in fabbrica non era lastricato d’oro. Per lui, questo ordinamento sociale si estrinsecava nel suo stare alla macchina, nel suo essere inchiodato all’ordinamento economico capitalistico. E, mentre emergeva questa vita tecnica e capitalistica moderna, egli vedeva come le classi dominanti avevano organizzato secondo i loro interessi, come Stato moderno, quello che avevano preso in consegna da un certo organismo sociale di epoche antiche. Soprattutto vedeva che, con quanto il moderno ordinamento economico rendeva alle classi dominanti grazie all’ordinamento economico moderno, grazie allo Stato moderno, queste assumevano i loro cosiddetti leader spirituali, assumevano i loro insegnanti, i loro giuristi, i loro medici e così via. E notava, come ho detto, poco del fatto che in questa guida spirituale vigesse un ordinamento cosmico divino, morale. Piuttosto, essendo abituato a vedere che l’uomo dipende dall’ordinamento economico, notava che anche queste cerchie dominanti dipendevano completamente dall’ordinamento economico. Egli vedeva che il capitalismo, la tecnica moderna, il sistema di sfruttamento, mettevano le guide spirituali al posto in cui erano. Mentre questa vita spirituale moderna emergeva così dallo Stato moderno, certe cerchie di questa vita spirituale avevano spesso detto: “Ah, nel lontano medioevo la filosofia, la saggezza del mondo (e così si intendeva in generale la scienza) era in un certo modo serva della teologia. Ma quelle stesse cerchie davano meno importanza al fatto che nell’epoca più recente la scienza veramente non era diventata una scienza libera poggiante su se stessa, bensì era diventata serva fedele del sistema statale moderno. Di nuovo, non serviva spingersi tanto in là, quanto fece un noto fisiologo moderno, che una volta da un ambiente colto, dall’Accademia delle Scienze di Berlino, disse: “Gli eruditi che fanno parte di questa Accademia delle Scienze di Berlino sono le truppe coloniali spirituali degli Hohenzollern”. Non era necessario, come ho detto, spingersi tanto in là; ma certamente si sono potute vedere (e durante la guerra mondiale tutto ha raggiunto un certo apice), si sono certamente potute vedere cose strane, durante questa guerra mondiale. Certamente non si può subito dimostrare ai matematici, ai chimici, che obbediscono ad ordini dati dall’alto; in questo la loro scienza brilla con minore intensità, evidentemente dipende con minor forza da ciò che pulsa nella vita. La storia dipende già di più da ciò che pulsa nella vita. Chi studia quella che è stata prodotta come storia da coloro che hanno operato a servizio dello Stato in quest’ambito ha potuto farsi un giudizio più spregiudicato di altri, se per esempio considerava tutto ciò che durante questa guerra mondiale e già prima, veramente anche molto tempo prima, su ciò che era stato detto sull’importanza storica degli Hohenzollern. Ma ormai, quando verrà scritta in futuro, la storia degli Hohenzollern avrà veramente un aspetto diverso! Si può già dire che quella che questi signori hanno prodotto in questo campo era una fedele immagine riflessa di ciò che in realtà voleva chi esercitava il potere; questa non era davvero una vita spirituale libera, non era altro che una sovrastruttura spirituale poggiante sull’ordinamento economico degli ultimi secoli e soprattutto dell’epoca più recente. Che miracolo però, quando il proletario, osservando tutto ciò, si diceva: “Ah, tutto l’ordinamento morale cosmico, tutte le idee nella storia! Che cos’ha da dire l’ordinamento cosmico divino? Ogni uomo dipende dalle basi economiche. A seconda di come sono queste basi economiche, dispone i suoi pensieri, vive i suoi sentimenti, e infine si fa perfino le sue rappresentazioni religiose: è tutta una sovrastruttura ideologica! Quello che è veramente reale è l’ordinamento economico!

Si può capire, come ho detto, l’impressione che nell’anima del proletario sorgeva dalla vita immediata. Questo proletario era costretto (perché la classe dominante stessa doveva richiedergli una certa formazione, perché nel suo ordinamento economico non poteva più utilizzare gli ignoranti di prima, gli analfabeti di prima), questo proletario era certamente costretto, in questa formazione che voleva avere, che voleva ricevere, ad accogliere quella che nell’epoca più recente si era sviluppata come scienza, come tutto il pensiero scientifico sul mondo.

Ma questo proletario era costretto anche ad altro, oltre che ad accogliere questa scienza moderna, emersa contemporaneamente alla tecnica moderna e al capitalismo, nello stesso modo in cui la accoglievano le cerchie dominanti. Vorrei di nuovo riportare un esempio che ho già fatto recentemente, qui, per spiegare questo fatto. Parlavo proprio di questo argomento. Si poteva perfino essere scienziati spavaldi come Karl Vogt, il corpulento Vogt, si poteva essere divulgatori scientifici come Büchner, ci si poteva sentire, come loro due, proprio dei liberi pensatori, proprio degli illuminati; ci si poteva dire: “Lungi da me tutti i vecchi pregiudizi!” Ma ciò che questa mentalità scientifica moderna aveva prodotto in queste classi aveva sicuramente un effetto completamente diverso da quello che aveva sull’anima del proletariato moderno. Le cerchie dominanti dicevano che gli esseri umani derivano dagli animali. Adesso non voglio discutere sull’infondatezza o sensatezza di questa dottrina, però si diceva così, voglio solo esporre i fatti. Ma le classi dominanti pensavano questa dottrina in un modo per cui essa entrava solo nelle teste. Si poteva sviluppare una sovrannatura della testa. Ma nella vita sociale, nell’ordinamento della vita sociale in cui ci si trovava, vigevano leggi che non erano affatto state tratte dalla concezione di fondo secondo la quale tutti gli uomini sarebbero derivati nello stesso modo da un qualche animale. E si trovava comodo non istituire affatto un ordinamento sociale basato su questa concezione scientifica moderna.

Una volta, come ho detto (cito ancora una volta questo fatto, qui in questa città), mi trovai su un podio insieme a Rosa Luxemburg, morta di recente in modo tragico. Ella ed io allora parlammo di scienza e operai davanti ad un grande gruppo di operai nei pressi di Berlino. Con i suoi modi particolarmente persuasivi, con la sua pacatezza, ella parlò allora soprattutto basandosi sullo spirito della scienza moderna; ma parlò appunto ai moderni proletari. Disse a questi moderni proletari più o meno così: “Oggi guardate solo, una buona volta, la scienza. Si dice che l’uomo non abbia avuto origine da un qualche stato spirituale primigenio, perché – disse così, cito le sue parole quasi alla lettera – in origine l’uomo sarebbe stato un essere davvero indecoroso, che si arrampicava sugli alberi, e noi tutti deriviamo da quegli esseri. Naturalmente questo – disse poi – non è un motivo per fare fra gli uomini quelle differenze di rango che fa l’ordinamento sociale di oggi”. Ecco, vedete, si poteva essere persone illuminate e far parte della cerchia delle classi dominanti, si poteva avere una convinzione nella testa, ma ciò che veniva detto così aveva un effetto diverso sul proletario moderno. Il proletario moderno accoglieva con una grande, immensa fiducia questa (bisogna dirlo) scienza borghese, perché credeva che essa contenesse la verità assoluta. E poiché egli era stato chiamato alla macchina, in fabbrica, nell’ordinamento economico capitalistico, poiché era stato strappato via da tutto ciò che c’era stato prima, poiché non aveva più conservato nemmeno le tradizioni del passato, poiché non poteva rimanere in condizioni di vita completamente nuove, era costretto a prendere quel che questa scienza borghese gli dava come riferito all’uomo intero e a chiedersi: il mondo è così come lo spiega questa scienza moderna?

La vita spirituale del proletario moderno va principalmente in questa direzione. Questo è ciò che continua a costringere l’anima ad avere il sentimento che non può andare avanti così. E qui dietro si cela una delle rivendicazioni.

Se non si faceva parte delle cerchie dominanti, che avevano determinate idee sul proletariato, ma, vivendo fra il proletariato, si poteva pensare e parlare con il proletariato, si poteva sentir ripetere in continuazione la seconda rivendicazione, era nell’aria, la si percepiva. Chiunque abbia vissuto all’interno di questa cerchia sa che col concetto di ‘plusvalore’ e con tutto ciò che vi è connesso, Karl Marx e i suoi seguaci hanno gettato nella classe operaia, in modo teorico, qualcosa che aveva un effetto galvanizzante. Infatti in questa classe operaia moderna c’era qualcosa che, per via delle condizioni di vita dell’epoca più recente, capiva, capiva con profondo dolore che cos’è il plusvalore.

Questo è il punto in cui bisogna dire che oggi ci troviamo ad una svolta dell’evoluzione storica. Ciò che viveva nel proletariato moderno era una critica a quel che la classe finora dominante aveva dato nel corso dell’evoluzione storica dell’umanità. Oggi il proletariato moderno è chiamato ad agire. E sarà possibile agire solo se, proprio in questo punto che si collega alla parola ‘plusvalore’, si avrà il coraggio, ovunque si voglia andare avanti nella vita umana stessa, di andare oltre a ciò che Karl Marx intendeva quando parlava di plusvalore e a ciò che vi si annette.

Che cos’era infatti che, collegandosi a questo plusvalore, suscitava una comprensione tanto profonda, tanto corrispondente al sentimento, nell’anima del proletario moderno? Era ciò che toccava il nerbo principale di tutto il sistema economico moderno. Che cos’è l’economia, quell’economia sulla cui base, materialmente, tutti noi viviamo? Che cosa sono merce, produzione, circolazione e consumo? In questo circolo della vita economica, in cui dovrebbe circolare solo la merce, già da un lontano passato è entrato, staccandosi dalle altre forme, ciò che si può caratterizzare soltanto così: nell’ordinamento economico capitalistico moderno la forza lavoro del proletario moderno continua a vivere nello stesso modo di una merce. Essa viene comprata, viene scambiata come una merce contro altre merci. Questo, il proletario moderno lo sente. Per quanto sia sempre successo in piccole dosi, per deviare per così dire la sua attenzione da questo dato di fatto fondamentale, ci troviamo profondamente inseriti in un contesto in cui il lavoro proletario non è altro che una merce. Qui il proletario moderno sente, molto più di quanto in realtà era stato costretto ad esprimere in parole teoriche finora, perfino nella scienza socialista, qui il proletario moderno sente tutta l’indegnità umana della propria esistenza. Nella propria esistenza egli non vede che la prosecuzione dell’antica esistenza da schiavo della servitù della gleba. Lo schiavo viene venduto come uomo intero; il proletario moderno deve, dato che non possiede nulla, immettere la sua forza lavoro sul mercato del lavoro, ed essa gli viene acquistata. Ma è forse possibile portare la forza lavoro sul mercato, senza portarvi se stessi? In quanto uomini, non si è così legati ad essa da dover subire, da uomini, lo stesso destino che subisce la propria forza lavoro? È di questo, che si tratta: non solo di un’altra forma di compenso, che non è altro che l’acquisto della forza lavoro come merce; bisogna cercare di fare in modo che nella vita economica moderna la forza lavoro perda il carattere di merce. Questa è proprio la domanda, espressa più o meno chiaramente, del proletariato moderno: come si può fare in modo che l’uomo, anche se non ha nient’altro da dare all’organismo sociale oltre alla sua forza lavoro, abbia un’esistenza degna dell’essere umano?

Che cosa significa, in realtà, che la sua forza lavoro, che non è paragonabile in nessun modo con una qualche merce, non è altro che merce? Che cos’è questo, in realtà? Questa è la grande menzogna della vita: ciò che in realtà non può mai diventare merce, la forza lavoro, nella vita moderna viene trasformata in merce. Così questa è una menzogna oggettivata, immessa nella realtà; essa deve trasformata in verità: è così che si potrebbe formulare la rivendicazione riguardante questo punto.

E il terzo punto è quello che il proletariato moderno vede: è la lotta. Egli osserva la vita economica moderna; nelle profondità dell’anima egli ha un sentimento del fatto che la vita economica potrà essere risanata solo a partire dal senso civico. Come si esprimerebbe, per esempio, nel caso specifico, il senso civico? Ora, in un caso specifico si può dire: l’imprenditore, il datore di lavoro e il lavoratore, producono insieme. Perciò la comunanza, il senso civico, dovrebbe consistere nel fatto che essi hanno lo stesso interesse nei confronti dell’organismo sociale. E invece l’imprenditore compra dall’operaio la forza lavoro come una merce, mentre producono il prodotto insieme. Del prodotto, egli non gli dà appunto nient’altro che il prezzo di acquisto per questa merce. Il contratto di lavoro, per quanto appaia sempre più o meno abbellito, non cambia le cose. Finché questo contratto di lavoro viene stipulato sull’utilizzo del lavoro del proletario, fino ad allora, questo contratto dovrà sempre fare della forza lavoro una merce. Bisogna arrivare a far sì che l’unico contratto possibile fra quello che oggi si chiama ‘dipendente’ e quello che oggi si chiama ‘imprenditore’ non sia quello che viene stipulato sul lavoro, ma quello che deve essere stipulato sulla distribuzione del prodotto fra il lavoratore e il dirigente. In quest’ambito non è possibile nessun’altra giustizia. In quest’ambito non c’è nessun’altra reale espressione di quello che è stato chiamato ‘senso civico’. Ma che cosa vede il proletario moderno al posto di questo senso civico? Ora, egli vede la lotta di classe. Vede la sua classe, che produce con la sua forza lavoro fisica, in lotta con la classe imprenditoriale, e vede fluire alla classe imprenditoriale il plusvalore, senza poter partecipare a quei ‘destini’ che questo plusvalore ha all’interno dell’organismo sociale.

Veramente il proletario non è tanto stupido da credere che non si debba produrre il plusvalore. Se si mangiasse tutto ciò che si produce con la forza lavoro, non ci sarebbero scuole, non ci sarebbe una cultura spirituale in genere, non potrebbe nemmeno esistere alcuna scuola statale; non ci sarebbero le tasse, ecc.; infatti tutto quello che c’è in queste cose, delle quali certamente anche il proletario sa che sono necessarie all’evoluzione dell’umanità, fluisce dal plusvalore. Ma il proletario vuole un’altra cosa. E quelli che concepiscono la questione proletaria moderna solo come una questione di pane nascondono i fatti. Certamente, è una questione di pane; ma l’importante è il modo in cui la si sente, questa questione del pane. Oggi il proletario moderno la si sente su basi del tutto diverse, a partire dal sentimento di un’esistenza degna dell’essere umano. È questo, l’importante. E invece di sentire il senso civico, egli sente la lotta di classe fra se stesso e colui col quale produce per l’organismo sociale.

Allora qual è, in realtà, l’esperienza di questo proletario moderno nella vita moderna? Ponendo questa domanda adeguatamente, si arriva già alle misure pratiche con le quali in futuro si potranno soddisfare le rivendicazioni proletarie dell’epoca più recente. Si può dire: sissignori, finora si è dimostrata in un certo modo come una verità, come una verità degli ultimi secoli, che la vita spirituale non è che una specie di sovrastruttura, di ideologia, di fumo che esala da quello che è il mero sistema economico. Solo che, nella sua profonda interiorità, il proletario sente la nostalgia di una vita spirituale autentica, di una vita spirituale che esiste per soddisfare l’esistenza di ogni essere umano. Anche se dice che tutta la vita spirituale proviene dall’ordinamento economico, nell’inconscio vuole proprio una vita spirituale che non provenga dall’ordinamento economico, vuole una vita spirituale libera, poggiante su se stessa, vuole una vita spirituale reale. Questa è una cosa.

La seconda è: egli osserva lo Stato moderno. Che cosa vede in questo Stato moderno? In questo Stato moderno egli vede la lotta di classe e ha il sentimento, laddove domina la lotta di classe, che non domini qualcosa che risulti da ogni coscienza umana come un’esigenza necessaria della vita. In un ordinamento sociale in cui può dominare la lotta di classe, domina il privilegio; perché da dove verrebbe la lotta delle cerchie dominanti contro le cerchie nullatenenti, se non da un privilegio? Ma non può dominare il privilegio (così dice l’anima), deve dominare la giustizia. Questa è la seconda rivendicazione. Possiamo esprimere questo punto più o meno così: il proletario moderno vede nello Stato moderno l’incarnazione della lotta di classe. Ma pretende, nell’ambito in cui domina la lotta di classe, la giustizia. E nell’ordinamento economico moderno vede svilupparsi ciò che fa della sua forza lavoro una merce. Egli si vede inglobato in questo processo economico. Certo, finora a livello teorico il proletario ha dato per scientifico che tutto dipenda dalla vita economica. Solo che, interrato nelle profondità dell’anima, ha il sentimento: voglio diventare indipendente dalla vita economica che domina adesso; voglio una vita completamente diversa da quella che dipende da questa vita economica.

Se osserviamo da questo punto di vista i grandi fatti del presente la cui voce dilaga inquietando l’Europa, e che la inquieteranno sempre di più, se li guardiamo, essi dicono così: dagli interessi puramente materiali della classe dominante è risultata una vita spirituale. Ma non è quella che dà a tutti gli uomini un’esistenza degna dell’essere umano. Da quel che le cerchie dominanti, con lo sviluppo della tecnica e del capitalismo, hanno fatto dello Stato moderno, è risultata una comunità del privilegio, non del diritto. E la lotta di classe deve aver fine, al suo posto deve subentrare la vita giuridica. Nella vita economica è risultato che la forza lavoro è stata immessa nella circolazione delle merci; sul mercato delle merci si immette la forza lavoro umana. Bisogna estrarla dal puro circolo economico, la forza lavoro umana. Questo è ciò che si esprime nei fatti della storia mondiale di oggi. Da dove è venuto tutto ciò?

Ora, basta solo, una buona volta, considerare alcuni fatti, che però si possono centuplicare, dal punto di vista di una determinata domanda. Forse vi stupirà che qui si parli proprio dal punto di vista che adesso specifico. Solo che oggi noi siamo ad un punto di svolta decisivo del movimento sociale. Recentemente si è spesso sentito esprimere, in modo più o meno ingegnoso, un luogo comune che però certamente non è affatto soltanto un luogo comune: ciò che questa catastrofe della guerra mondiale ha portato a galla non c’era ancora mai stato prima a memoria d’uomo. Lo si è ripetuto in continuazione. Però si sente dare meno importanza al sentimento: ora, se è così, se in un periodo relativamente breve gli esseri umani sono arrivati a uccidere dieci milioni di persone e a mutilarne diciotto milioni, se ciò è avvenuto in modo incomparabile, perché allora gli uomini non si degnano magari di chiedersi: non dobbiamo, per rendere impossibili tali cose, ricorrere a nuovi pensieri, a pensieri che siano altrettanto diversi dalle abitudini di pensiero invalse finora, quanto lo è stata questa guerra mondiale rispetto alle esperienze fatte finora nella storia dell’umanità? Dovete scusarmi, se da un lato o dall’altro esprimo questi miei pensieri in un modo un po’ estremo. Osserviamo singoli fatti che, come ho detto, si potrebbero centuplicare. Un esempio veramente caratteristico di come vivesse uno Stato secondo le condizioni dell’epoca passata lo dà l’Austria. Posso proprio parlarne, perché ho trascorso tre decenni, la metà della mia vita, in Austria. Proprio studiando questo Stato austriaco si può capire in che cosa consista, effettivamente, ciò che può mandare in rovina un organismo sociale nella nostra epoca. Quando negli anni Sessanta, dal vecchio patriarcalismo, dal dipostismo austriaco, si cominciò a sviluppare una vita costituzionale cosiddetta borghese, i deputati furono eletti alla camera dei Länder austriaca secondo quattro curie: la prima era la curia dei grandi proprietari terrieri; la seconda era la curia del commercio; la terza era la curia delle città, dei mercati e delle zone industriali; la quarta era la curia dei comuni rurali. Questi ultimi addirittura non furono eletti direttamente, ma indirettamente, perché le comunità rurali non erano ritenute poi così sicure. Ora, i rappresentanti di queste quattro curie erano alla camera dei Länder austriaca e facevano leggi, stabilivano i diritti. Ma che cosa significa? Significa che erano puri rappresentanti di commercio, rappresentanti della pura vita economica nel parlamento, e facevano leggi. E che cosa ne deve venir fuori? Gli interessi della vita economica devono semplicemente trasformarsi in leggi, in diritti, in diritti sulla forza lavoro, in diritti sulla proprietà. Per quanto sembri strano, sulla proprietà fu tenuto anche qualche discorso borghese sull’economia politica: la proprietà è propriamente un diritto, la proprietà di mezzi di produzione, la proprietà di terreno è un rapporto giuridico. Infatti tutto il resto, che definirete sulla proprietà, non ha alcun significato nel processo dell’economia politica. Ha significato solo ciò che giustifica la proprietà, il diritto di servirsi in definitiva di una cosa escludendo gli altri. Ciò che il fondamento dell’economia politica fissa è la facoltà di disporne. Nello Stato che c’è stato fino ad ora abbiamo avuto a che fare, invece che con un diritto, con un privilegio.

Qui abbiamo uno degli esempi che si potrebbero centuplicare. Nel vecchio ordinamento, dove questo non era determinato da una legge elettorale, si poteva fare da sé. Quella lega che si chiamava la ‘lega degli agricoltori’, nel governo tedesco, per esempio, era una rappresentanza di interessi puramente economici. Prendiamo un altro esempio. Nella sede del governo tedesco c’era anche il cosiddetto centro, una comunità prettamente religiosa. Lì, nella vita giuridica veniva introdotta la vita spirituale. Dunque interessi spirituali si esprimevano nella vita giuridica. Tutto questo è connesso a quello che a poco a poco, per gli interessi della cerchia fino ad allora dominante, è diventato lo Stato moderno. Quando è arrivata l’epoca più moderna con la sua tecnica, con il capitalismo, ha trovato in questo Stato, così come si era formato dal medioevo, come una cornice. All’inizio si introdusse in questo Stato la vita spirituale, si formò l’elemento teologico, si formarono i teologi, come li si voleva avere nello Stato, i giuristi, i medici, soprattutto i pedagoghi; si formò tutto ciò. L’intera vita spirituale venne imbozzolata nello Stato. Si era come ipnotizzati dal pensiero: lo Stato viene proprio incontro ai nostri interessi, perciò facciamo in modo che nello Stato si insegni così, facciamo in modo che la vita spirituale venga gestita secondo i nostri interessi, come si può fare con questo Stato.

E dall’altra parte si credeva di servire il progresso, di agire nel senso dell’epoca più moderna, imbozzolando per prima cosa in questo Stato moderno certi settori economici, le poste, i telegrafi, le ferrovie. Questa è la tendenza: fondere tutto nello Stato moderno. Questa è una tendenza borghese. Anche il socialismo, in sostanza, non è altro che l’eredità della borghesia, che esso ha accolto in sé riprendendo da parte sua le idee del vecchio cooperativismo, dell’ordinamento economico capitalistico, che secondo le sue esigenze deve essere giustamente superato. Ma il fatto che ora esso, servendosi della cornice dello Stato, voglia di nuovo fare dell’organismo sociale una grande cooperativa, questa è un’eredità borghese. Un risanamento, un reale risanamento dell’organismo sociale si potrà avere solo se si capisce che lo sfacelo in cui viviamo è dovuto proprio al fatto che sono stati fusi tre settori che non hanno nulla a che fare l’uno con l’altro e che lo Stato moderno ha dovuto farsi carico di tutto, perché si continuava a chiedere sempre di più: “Che cosa deve fare lo Stato?” Quello che può fare lo si è visto nello sfacelo, nelle devastazioni d’Europa avvenute negli ultimi quattro anni e mezzo! Oggi, piuttosto, si ha il dovere di chiedersi: “Che cosa deve tralasciare, in realtà, lo Stato? Che cosa è meglio che esso non faccia?” Oggi ci si dovrebbe decidere a porre questa domanda. Se osservate tutto l’insieme delle discussioni che ci siamo curati di fare finora, non vi meraviglierete se vi dico che sulla base delle osservazioni scientifico-spirituali della vita sociale, veramente con una scienza altrettanto valida, che però non si può esporre in tutti i dettagli nel corso di un’unica conferenza, si giunge a una rivendicazione che è la rivendicazione di maggior senso pratico per soddisfare i bisogni proletari, cioè quella di percorrere la via del ritorno riguardo a ciò che è stato statalizzato, riguardo alla saldatura di tre cose che nella vita sono completamente diverse l’una dall’altra.

Per capirci meglio, lasciate che vi ricordi quelle tre idee fondamentali dell’epoca più recente, che lo stato di bisogno dell’umanità, la Rivoluzione Francese, hanno fatto risuonare alla fine del XVIII secolo come un motto dei tempi moderni: libertà, uguaglianza e fratellanza. Ora, non erano affatto stupidi coloro che, nel XIX secolo e poi fino alla nostra epoca, hanno dimostrato più volte che queste tre idee non sono conciliabili l’una con l’altra, che la libertà non è conciliabile con l’uguaglianza e così via. Tuttavia, chi è capace di sentire queste cose sente che queste tre idee sono dei livelli sani della vita umana, anche se si contraddicono. E perché si contraddicono? Si contraddicono solo perché sono state sempre più presentate come rivendicazioni all’interno di quella che non potrà mai più essere di per sé un’unica centralizzazione, ma che deve scindersi in tre parti indipendenti l’una dall’altra, che si sviluppano l’una accanto all’altra. In futuro l’organismo sociale dovrà scindersi per agire in modo sano, prima in un organismo spirituale in cui tutta la vita spirituale abbia la sua stessa legislazione e la sua stessa amministrazione e dove, a partire dall’insegnante più basso, l’uomo non obbedisce alle disposizioni di uno Stato, non viene costretto a forza ad assoggettarsi al potere della vita economica, ma vive esclusivamente in un’organizzazione a sua volta fondata su leggi spirituali, dove egli sa di essere completamente all’interno di un mondo spirituale, di un mondo puramente spirituale. Non si tratterebbe di essere sempre più infagottati in un organismo di funzionari pubblici, in una burocrazia; perché la vita spirituale può svilupparsi solo se si sviluppano sentimento e comprensione per l’iniziativa personale, per ciò che si trova nelle capacità personali, individuali dell’uomo. Se queste vengono curate nella vita spirituale libera, allora si svilupperà una vita spirituale capace di offrire ad ognuno un’esistenza degna dell’essere umano. Perché allora si svilupperà una vita spirituale che non poggia su una coercizione economica, né sulla coercizione dello Stato, ma che sgorga esclusivamente dagli impulsi che sono alla base della libera umanità. Chi produce spiritualmente parlerà a tutti gli uomini e l’organizzazione spirituale avrà solo ed esclusivamente l’interesse di curare le individualità spirituali. Le facoltà umane individuali sono un’unità, un’unità nelle scuole, nelle scuole secondarie, nell’università, un’unità nell’arte e nella scienza. Questi rami più puramente spirituali, però, agiscono a loro volta unitariamente insieme a quelle capacità individuali che nell’organismo sociale si riversano nel capitale.

Il capitalismo può essere posto su una base solida solo se diventa il veicolo di una vita spirituale libera. Solo questo darebbe la possibilità di soddisfare quella rivendicazione che oggi, di solito, si esprime nella socializzazione dei mezzi di produzione. Infatti solo una vita spirituale libera può suscitare la comprensione sociale, e solo in una vita spirituale libera è possibile cedere continuativamente alla collettività quanto viene realizzato avvalendosi dei mezzi di produzione e del terreno. Per prima cosa questo, riguardo alla vita spirituale libera.

Nell’organismo sociale sano deve svilupparsi come organizzazione autonoma anche quello che è lo Stato giuridico, lo Stato politico vero e proprio. Esso ha a che fare, per esempio, con la regolamentazione della gestione dei rapporti con la dirigenza. Ma prima di tutto ha a che fare con la regolamentazione della forza lavoro umana, che non deve essere estratta dal processo puramente economico per mezzo di leggi astratte, ma che deve esserne estratta dalle persone stesse.

Come deve procedere il processo economico? Il processo economico dipende da una parte da ciò che con esso confina, cioè dalla base di natura, dalle materie grezze presenti in un territorio, dalla resa del terreno, ecc. Fino ad un certo limite la resa del terreno si può migliorare grazie alla tecnologia; però qui c’è un limite, c’è un limite all’agiatezza, un limite dal quale dipendono i prezzi. Qui c’è un confine. Nell’organismo sociale sano deve esserci un secondo confine. Questo secondo confine è l’organismo giuridico, politico, che si sviluppa accanto all’organismo economico. Nell’organismo politico opera ciò per cui tutti gli uomini sono uguali, ciò che riguarda democraticamente tutti gli uomini, dove ognuno deve mettersi d’accordo con tutti gli altri. Questo è l’ambito nel quale si devono decidere, in base agli interessi dell’umanità, la misura e la modalità del lavoro umano. Poi, solo dopo che nell’ambito giuridico indipendente dall’ambito economico si sono decise la misura e la modalità del lavoro umano, la forza lavoro fluisce nel processo economico, e allora la forza lavoro umana forma i prezzi. Allora nessuno detta il prezzo della forza lavoro, ed essa forma i prezzi, così come anche il terreno stesso con la sua resa ecc. determina i prezzi. Questa sarà la grande legge economica del futuro: che la vita economica è imbozzolata fra due confini, sicché la misura e il prezzo del lavoro umano non vengono determinati dalle forze economiche stesse.

E il terzo settore indipendente sarà la vita economica stessa. A causa del poco tempo a disposizione, posso solo accennare all’importanza di questa trasformazione della vita economica. Voglio fare un esempio concreto, per farvi vedere che non vi sto presentando teorie intricate, ma vi sto mostrando quello che si può leggere nella vita pratica e che può penetrare nella vita pratica. Basta solo dire una parola, perché tutti si sentano subito immersi col pensiero nella vita economica (ognuno a modo suo): basta solo dire ‘soldi’. Vedete, quasi tutti conoscono i soldi; alcuni li conoscono per le grandi quantità che ne hanno a disposizione, alcuni per le piccole quantità di cui ne dispongono; ma credono di conoscerlo. Ma di quello che in realtà è il denaro nell’organismo sociale, non dico solo che le persone comuni non ne hanno la più pallida idea, ma nemmeno i nostri attuali eruditi economisti ne hanno idea: in realtà non sanno che cos’è realmente il denaro. Gli uni credono che il denaro si basi sul valore dell’oro, o dell’argento che ne stanno alla base; gli altri ritengono che sia solo una marca, a seconda che lo Stato timbri assegni più o meno leggeri sulle merci, ecc. Si parla di un processo metafisico del denaro e così via, come sono tutte le cose; nella scienza si ha sempre il bisogno di scegliere parole da veri intenditori. Ma non è questo, l’importante; al giorno d’oggi i signori più eruditi sono d’accordo sul fatto che debba esserci qualcosa per il mezzo di scambio denaro. Dovrebbe esserci la copertura aurea, alla quale ci si dovrebbe sempre rifare affinché il denaro abbia un valore.

Ora, nevvero, oggi che l’Inghilterra ha il potere mondiale e insiste sull’oro, naturalmente nel traffico internazionale la valuta aurea non si può superare dall’oggi al domani. Ma proprio per il risanamento della vita economica bisogna chiedersi: in realtà, com’è che le persone dicono che il denaro in circolazione, indifferentemente in quale forma, deve sempre essere ricondotto alla quantità d’oro presente in uno Stato, perché, così si dice, l’oro è una merce gradita, una merce che a lungo non cambia il suo valore? - Tutte queste teorie potete andarvele a leggere. Ci si riferisce appunto alle eccellenti caratteristiche che l’oro ha, per farsi rappresentare dal denaro.

Ora però, in realtà, a cos’è riferito il denaro, nello stesso modo in cui gli economisti credono che il denaro sia riferito all’oro? A tal proposito bisogna che la scienza faccia un passo avanti. È necessario dare una risposta alla quale oggi la gente non crederà ancora. Nei miei prossimi opuscoli che saranno pubblicati sulla questione sociale parlerò più approfonditamente anche di questo. Oggi le persone dicono ancora di non credere a questa risposta. Ma se ci si chiede: “Che cos’è in realtà il vero, reale controvalore del denaro in circolazione?” allora, se si osserva la vita economica senza pregiudizi, la risposta è, per quanto al giorno d’oggi possa suonare strana: “Il denaro è solo un valore immaginario, comunque sia.” Ciò che in realtà corrisponde al denaro è la somma di tutti i mezzi di produzione presenti in un territorio sociale, territorio incluso. A questo si riferisce tutto ciò di cui il denaro non è che l’espressione. Tutte le belle qualità che gli esperti in economia politica attribuiscono all’oro affinché esso possa esprimere la valuta, tutte queste qualità in realtà vanno attribuite ai mezzi di produzione. Perciò proprio dalla circolazione delle merci con l’ausilio del denaro deve risultare la domanda: “Ciò che è alla base di tutta l'economia nazionale come il suo bene più prezioso, pur essendo in continua trasformazione e assumendo forme sempre nuove, come può diventare una base unitaria della vita economica allo stesso modo del denaro che lo rappresenta?” Tutto ciò che vive collettivamente nei mezzi di produzione, come a modo suo fa il denaro, i mezzi di produzione devono essere collettivi. Cioè, la loro circolazione deve essere tale da corrispondere al fatto che nessuno possa lavorare ai mezzi di produzione se non in quanto vi collabora l’intero organismo sociale.

Qui bisogna tener conto di due aspetti. Il primo è che l’organismo sociale subirebbe immense perdite, se si escludessero le capacità individuali. L’uomo, con le sue capacità individuali, finché le ha e finché le vuole impiegare, dovrebbe lavorare per l’organismo sociale. Ma nel momento in cui non lavora più per l’organismo sociale, i mezzi di produzione che egli gestisce devono essere consegnati alla totalità dell’organismo sociale dallo Stato giuridico.

Mi basta solo accennare ad un settore della nostra vita moderna in cui la cosa è stata fatta. È un settore che l’uomo moderno deve considerare forse il più meschino, il meno importante di tutti, il più irrilevante, perché nel capitalismo moderno lo si tratta così: è la vita spirituale. Ciò che si produce di spirituale è sicurissimamente connesso alle capacità individuali; ma a trent’anni dalla morte passa alla collettività, non ci appartiene più.

Questo bene massimamente meschino, massimamente irrilevante, oggi viene trattato così. Si cerca un modo per cedere alla società ciò che il singolo produce. Si tratta di questo passaggio. Anche in ambito spirituale è assolutamente giusto. Perché ciò che si ha sulla base delle proprie capacità individuali lo si deve comunque all’organismo sociale, e ciò che si è raggiunto sulla base delle proprie capacità individuali va restituito all’organismo sociale.

Così in futuro lo Stato giuridico dovrà passare alla collettività anche ciò che è stato prodotto con l’ausilio di mezzi di produzione materiali. Non si deve riflettere su come si possano burocraticamente socializzare i mezzi di produzione, come nell’ordinamento sociale che c’è stato finora. Coloro che opprimono sono cresciuti nel capitalismo. Così, se solo si lavorasse ad una socializzazione dei mezzi di produzione, nell’ordinamento sociale futuro si recluterebbe l’oppressore dal burocratismo, dalle fila di quelli che oggi si chiamano socialisti. Ma quello della socializzazione, cioè il trasferimento di ciò che il singolo produce con le sue capacità individuali è giusto. Bisogna puntare in questa direzione. Allora, se ci si pensa bene, si capirà che molti, nel contesto della vecchio sistema economico, del vecchio ordinamento statale, e del vecchio ordinamento spirituale, hanno detto: se vogliamo tenere insieme l’umanità, ci serve ciò che si sostiene reciprocamente: trono e altare. Ora sì, nell’epoca più recente spesso il trono è la poltrona del presidente, e l’altare una cassaforte di Wertheim[1]. Ma spesso per entrambi il principio è lo stesso.

Si pone solo la domanda se sarebbe poi tanto meglio se trono e altare si trasformassero in agenzia e macchina e fabbrica e se, invece della gestione che c’è stata finora, tutto fosse una mera contabilità. L’esigenza sociale che si pone è profondamente giustificata; solo che viviamo in un punto di svolta storico. Abbiamo bisogno di pensieri che trasformino ciò che è vecchio in modo radicale. E come, sotto l’influsso della sfera borghese dell’epoca più recente, la vita spirituale, la vita giuridica la vita politica sono confluite l’una verso l’altra, così il proletario moderno dovrebbe capire che bisogna intraprendere la via del ritorno. Tuttavia questo proletario moderno ha acquisito una comprensione della partizione perché ha studiato come le singole sfere economiche e della vita devono agire l’una nei confronti dell’altra, ha studiato la lotta di classe, ha veramente conosciuto le sfere economiche nel loro reciproco rapporto! Dovrebbe avere una comprensione del fatto che l’unità dell’organismo sociale non viene disturbata, ma al contrario viene favorita, se non si cerca una mera centralizzazione unitaria in cui tutto viene mischiato assieme, ma se vengono separati l’uno dall’altro, ciascuno con la propria amministrazione, con le proprie leggi, i tre settori: l’organizzazione spirituale, l’organizzazione giuridica o statale e l’organizzazione economica.

Non dite che si complicherebbero i rapporti reciproci fra gli Stati sovrani! Tutto ciò risulterà molto più intenso, molto più armonioso di adesso, quando tutto confluisce insieme ed è caotico. Quando il proletario moderno, guardando e sentendo le proprie esigenze, mirerà a soluzioni veramente pratiche delle sue domande vitali, al soddisfacimento delle sue speranze, si orienterà a questa partizione, che forse oggi suona ancora estranea. E io non credo che in cerchie diverse da quelle proletarie ci potrà mai essere tanta comprensione per i fatti storici più recenti. Oh, l’ho visto continuando sempre a fare proposte in questa direzione negli ultimi quattro anni e mezzo. Dicevo: “Questa triarticolazione pretende di fare programmi astratti, non è una fantasticheria nata in una notte, ma viene dalla vita, è ciò che nei prossimi dieci, venti, trent’anni vuole realizzarsi in Europa. E si realizzerà, che ora lo vogliate o no; avete solo la scelta se mettere giudizio adesso, e realizzare qualcosa per libera scelta, oppure aspettarvi le rivoluzioni più mostruose”. Eh bè, le rivoluzioni sono arrivate subito!

Perciò credo che chi è stato posto dalle condizioni di vita esteriori a ciò che non ha nulla di umano da dire, alla macchina senza vita, chi è stato imbozzolato nel barbaro capitalismo, io credo che debba avere una comprensione di queste idee, che si prendono le distanze da tutto ciò che è vecchio e che invece sono intimamente affini a ciò che è nuovo, che sorge, che diviene. E io sono convinto che queste idee a poco a poco si faranno strada nei cuori e nelle anime di uomini più nuovi, soprattutto del proletariato moderno, sono convinto che se il proletario capisce nel senso giusto queste esigenze e la possibilità di risolverle, allora, essendo diventato un proletario che ha coscienza di classe, che lavora per la sua liberazione, per la sua classe, ma che al tempo stesso libera l’uomo, egli porrà un’altra cosa al posto della classe: il sano organismo sociale triarticolato. Così facendo, egli non diventerà solo il liberatore della sua classe, ma il liberatore dell’intera umanità, cioè di tutto ciò che, in quanto veramente umano, si merita di essere liberato e che deve essere liberato nell’umanità.

Dibattito

L’organizzatore esprime, con parole profondamente sentite, il suo stupore perché il movimento proletario trova comprensione da una parte finora del tutto sconosciuta. Esprime la sua gratitudine non solo per la conferenza, ma anche per il lavoro spirituale che l’ha preceduta.

Primo intervento (dott. Schmidt): è d’accordo con l’obiettivo di Steiner, chiede come raggiungerlo. Sostiene che la via per raggiungerlo sia stata abbozzata da quello che il movimento socialista è stato finora: partito, sindacato, movimento dei consorzi. Anche in futuro i tre settori della vita rimarranno legati insieme come oggi, ma saranno organizzati dai sostenitori del movimento socialista. Il primo scopo deve essere quello di cambiare l’ordinamento economico nel senso dell’uguaglianza.

Secondo intervento: sul contenuto dell’obiettivo si troverà facilmente un accordo. La triarticolazione è un’utopia (accenno a Fourier). Il modo per raggiungerla è predeterminato dalla tendenza evolutiva dell’epoca: la lotta di classe.

Terzo intervento: bisogna tener conto anche del movimento spirituale. Ogni rivoluzione è stata preparata dalle idee.

Quarto intervento: le esperienze fatte durante la guerra hanno confermato la concezione materialistica della storia. Non è d’accordo con l’affermazione che il socialismo prenda in carico la fede borghese nello Stato. La dittatura del proletariato non ha altro scopo, che quello di preparare l’abolizione dello Stato. La libertà spirituale sarà possibile solo in una società di persone liberamente produttive. Solo il movimento proletario di massa ha prospettive di successo.

Rudolf Steiner: Ciò che gli egregi signori hanno detto, in realtà, non aprirà molte possibilità di interessarsi di una cosa o dell’altra, perché è del tutto naturale che, attenendosi alle concezioni correnti, si facciano appunto delle obiezioni. Vorrei dire che mi aspettavo che sarebbero state dette queste cose, fino nei dettagli. Riguardo ad alcuni punti che mi sembrano importanti vorrei chiedervi ancora un po’ del vostro tempo.

Per ora vorrei richiamare l’attenzione su quanto segue. Quando si dicono cose come quelle che ho detto stasera, c’è sempre chi obietta di non riuscire ad immaginare bene come le cose si trasformino in realtà. E dall’altra parte si pretende addirittura che non si diano utopie. Credo che passerà un po’ di tempo, prima che si riconosca che veramente ciò che ho esposto stasera sta ad un’utopia come il nero sta al bianco: cioè è il contrario di un’utopia. Le due cose vanno un po’ insieme. Quello che volevo dire non si può caratterizzare in altro modo che dicendo, come ho già detto a qualcuno, che è nella tendenza evolutiva dei prossimi dieci, venti, trent’anni. E che lo vogliamo o no, dovremo realizzarlo, o con ragionevolezza o con la rivoluzione. Appunto non c’è la scelta di non realizzarlo, perché è l’epoca stessa che lo vuole. E a volte l’evoluzione dell’umanità prende anche delle vie che poi interrompe, tornando apparentemente indietro, e naturalmente non si tratta di un vero ritorno a stati precedenti, ma naturalmente è un ritorno a una struttura completamente nuova. Naturalmente si sa che nell’epoca più recente la vita sindacale, la vita cooperativa, la vita politica partitica hanno fatto moltissimo e che a questo si deve moltissimo. Ma dall’altra parte va detto che in tutte le cose che sono state fatte appunto si deve celare qualcosa di insoddisfacente, qualcosa di non ancora maturo. Oggi non abbiamo la convinzione che ci siano dei fatti nuovi. Ma di fatto c’è qualcosa che adesso, infine, ci chiede di prendere un orientamento diverso da quello che si è avuto finora! Quando si dice che io abbia sopravvalutato il potere dell’idea – io non ho affatto parlato di idee! Ho parlato proprio del contrario di quello che si potrebbe chiamare ‘il potere dell’idea’. Infatti, in realtà, qual è l’esigenza che ho presentato? Io ho proposto un’organizzazione sociale possibile. Ho indicato il modo in cui le persone devono porsi le une rispetto alle altre per trovare ciò che è giusto. Un utopista in realtà parte sempre dall’idea che l’ordinamento sociale debba essere configurato in un modo o nell’altro. Si ritiene sostanzialmente più intelligente di tutti gli altri; bisogna aspettare lui, e dopo che lui ha parlato non c’è più niente altro da dire. Poi, se non trova il contatto, si siede nella sua soffitta e aspetta. Non mi passa nemmeno per la testa, nella benché minima misura, né di aspettare un milionario, né di credere di saperne, in qualche modo, più di altri a proposito di una o dell’altra cosa.

Vedete, c’è un fenomeno sociale molto generale cui l’uomo, in quanto singolo individuo, non può arrivare: è il linguaggio umano stesso. Si è detto innumerevoli volte che se l’uomo vive su un’isola deserta e cresce da solo senza sentir parlare altre persone, da solo non è in grado di arrivare al linguaggio. Il linguaggio si sviluppa nell’uomo a partire da un fenomeno, per mezzo degli altri uomini. È così per tutti gli impulsi sociali. Non possiamo arrivare assolutamente a niente di sociale, se non per il fatto che gli uomini agiscono l’uno sull’altro nel modo giusto; perciò ho dovuto sviluppare un’idea. Non mi passa nemmeno per la testa di credere che con un’idea si possa riformare qualcosa. Ho cercato di rispondere alla domanda: come diventano gli uomini, se si rapportano l’uno all’altro nel modo giusto, se gestiscono da una parte la vita economica, dall’altra la vita giuridica, dalla terza parte la vita spirituale, come si svilupperanno allora gli uomini? Di preferenza creeranno associazioni nello Stato economico, fra produttori e consumatori, fra categorie professionali unite assieme e così via; vivendo in uno Stato giuridico democratico, le idee, l’impulso dell’uguaglianza di tutti gli uomini di fronte alla realtà si svilupperanno su premesse completamente diverse. Trovandosi all’interno dell’organizzazione spirituale: come vi agiranno l’uno sull’altro? Vedete, basta solo guardare alla realtà. Un giudice può avere zie, zii, nonni, nipoti e così via, può voler loro molto bene, amarli teneramente, è questo è un bene. Ma se uno ruba, ed egli lo deve appunto giudicare in quanto giudice, dovrà giudicarlo esattamente nello stesso modo in cui, secondo l’altro punto di vista, dovrebbe giudicare uno del tutto estraneo.

Spesso proprio da parte di professori mi è stato obiettato che io voglia suddividere l’umanità in tre classi. Voglio il contrario! Prima erano divisi in ceto contadino, ceto insegnante e ceto militare. Ma l’attuale ceto insegnante non insegna niente. Il ceto contadino non è altro che uno stato di violenza e al ceto militare è stato dato il compito di dire ai nullatenenti che cosa vogliono i possidenti! Ecco, vedete, questo è proprio quello che deve essere superato: i ceti, le classi, devono essere superate suddividendo l’organismo in quanto tale separatamente dall’uomo. L’uomo è l’elemento che unisce. Da una parte, l’uomo sarà inserito nell’organismo economico, ed essendo inserito nell’organismo economico, potrà al tempo stesso essere membro della rappresentanza dello Stato politico; e potrà anche far parte della vita spirituale. In tal modo si è creata l’unità. Voglio proprio liberare l’uomo, suddividendo l’organismo sociale in tre parti. Cercate solo di capire cos’è: è il contrario di un’utopia, è una realtà vera. È importante che le persone non credano che sia stata escogitata una qualche teoria astrusa, ma che si chiedano: come bisogna che si ingranino, le persone, per trovare anche da sole ciò che è giusto nell’agire comune? Questo è il contrario estremo a tutto il resto. Tutti gli altri partono dall’idea; qui si parte dalla reale partizione sociale degli esseri umani, qui si fa realmente attenzione a che tutte le differenze vengano eliminate per il fatto che l’uomo stesso, in quanto uomo, costituisce l’unitarietà. E perciò mi dispiacerebbe, se facesse presa proprio l’opinione che il contrario di tutto l’utopismo fosse un’utopia! Questa in realtà è l’unica obiezione che mi arreca dispiacere, perché non coincide affatto con il nerbo delle mie spiegazioni. Questo è l’importante, e vorrei richiamare l’attenzione soprattutto su questo.

Dunque non si tratta nemmeno di sopravvalutare un qualsivoglia potere dell’idea. Qui non viene dato nulla alla forza dell’utopia, ma a ciò che gli uomini diranno e penseranno e sentiranno e vorranno quando saranno inseriti nell’organismo sociale in un modo degno dell’essere umano. Proprio perché qui si pensa secondo realtà, è naturalmente difficile indicare tutti i dettagli. Lo si può fare, ma chiunque si abitui a pensare secondo realtà sa che se si lascia veramente giudicare alle persone, se si lascia che le persone giudichino da sé, allora forse in un caso concreto potranno perfino giudicare in modi diversi e avere tutti ragione. Voglio farvi il seguente esempio:

vedete, in futuro ci si dovrà servire naturalmente anche dei mezzi di produzione con le proprie capacità individuali; infatti chi è capace di dirigere una qualche impresa non dovrà guidare la produzione come gli pare, ma perché coloro che lavorano da lui concludono con lui un libero contratto, perché capiscono che il loro lavoro prospera meglio se viene guidato bene. - Questa è una cosa che dovrà necessariamente succedere in futuro, che sorgerà assolutamente da sé. Allora bisogna dire: in realtà, con le premesse che si fanno qui, ha origine qualcosa di nuovo; non ha più origine alcuna proprietà, ma solo una gestione. Allora si conosce solo una gestione. Perché ho richiamato l’attenzione sul fatto che il bene materiale dev’essere trattato in modo simile a quello che oggi viene considerata la cosa più meschina: il bene spirituale. Cioè, dopo un determinato periodo, non riferito a ‘dopo la morte’, ma a quando l’impresa non lavora più produttivamente con i mezzi di produzione, i mezzi di produzione vengono dati in gestione ad un altro dirigente. Nel dettaglio questo è molto complicato ma appunto, proprio perché si pensa secondo la realtà, e non in modo utopistico, si può solo dare l’indicazione: se il rapporto reciproco fra le persone sarà giusto, si troveranno le giuste condizioni. È questo, l’importante.

Vedete, dopo che sono avvenuti fatti così decisivi, dopo che è arrivata la guerra mondiale, si può essere del parere che debbano veramente arrivare idee nuove, ma non si può continuare a sottolineare: “Dobbiamo attenerci alle nostre rivendicazioni!” Questo è stato proclamato per decenni. Non andiamo avanti, dicendo che vogliamo una società che si dispieghi liberamente, che vogliamo una comunità sociale libera per l’uomo: ma come? Ho detto che finora è stata una specie di politica, adesso la cosa passa ai fatti. Molto giustamente l’egregio signore che è intervenuto ha accennato alla Russia. È giustissimo. Nel momento in cui si presentano veramente fatti così decisivi, non si può più solo brancolare nell’incertezza. Ecco, si tratta di riuscire a rappresentarsi qualcosa di molto ben determinato. E credo che in ciò che ho esposto si potrebbe notare questo: non è un programma, è una direzione, una via. Ovunque vogliate, se solo lo volete, potete portare avanti lo stato attuale delle cose partendo dal punto di partenza in cui si trovano. Prendete solo una trasformazione delle condizioni precedenti come quella che c’è in Russia. In ogni momento, in un qualche settore in cui viene avviata l’amministrazione statale, potete allontanare questa vita spirituale, per prima cosa facendo fondare scuole libere, facendo fondare nella vita economica cooperative libere e così via. Potete proseguire il lavoro in ogni punto, qualsiasi sia il punto di partenza. Non ci si deve immaginare tutto secondo le circostanze svizzere. La vita diventa sempre più internazionale. Oggi in Germania, per esempio, è già necessario qualcosa di completamente diverso da pochi anni fa. Si può continuare a lavorare da qualsiasi punto di partenza; si tratterà solo di continuare a costruire oltre. E conto appunto sul fatto che ora in una cooperativa, in un sindacato, in un qualsiasi partito, qua o là c’è già la possibilità che sorga qualcosa; ovunque si sia, si possono articolare le cose in modo che queste tre parti emergano in tutti i settori. Allora arriviamo ad un’organizzazione veramente adeguata, richiesta dall’organismo sociale sano, e niente affatto ad una socializzazione utopistica o utopica.

La prima cosa cui bisogna anelare è di evitare qualsiasi utopia, estirpare tutta la fede di poter fare qualcosa con idee astratte. Nella vita sociale si può fare qualcosa solo con persone che sanno che cosa vogliono esattamente nella precisa situazione in cui si trovano. L’importante non è affatto che oggi ci sia una lotta fra quelli che dobbiamo ancora chiamare ‘nullatenenti’ e ‘possidenti’. Se lavorano nel senso del movimento che oggi ho presentato, se i possidenti e i nullatenenti lavorano nel modo giusto, questo andrà a loro favore. Se i possidenti si oppongono, presto perderanno le loro proprietà. Ma l’importante è che nelle masse viva la conoscenza di ciò che deve succedere. E vedete, a questo riguardo, diciamo, con gli impulsi sociali è ancora peggio che con le materie mediche, o tecniche. Se uno che non capisce niente di come si costruiscono i ponti vuole comunque costruire un ponte, esso crolla. Se uno cura qualcuno, ecco, allora in linea di massima non si può dimostrare se il paziente sia morto nonostante la cura oppure addirittura a causa della cura; qui la cosa puzza già di bruciato. E nell’organismo sociale la cosa puzza molto di bruciato, lì per lo più non si può dimostrare quale sia il rimedio e quale ciarlataneria, per cui per lo più si parla a vanvera nell’indeterminato. Vedete, ho sentito un oratore che parlava anche di cose sociali; principalmente voleva dimostrare che in realtà non si aveva bisogno di nient’altro che del Cristo, per far andare tutto bene nella vita sociale. Solo che non si deve assolutamente pensare che adesso cominci un dibattito su questo argomento. Ma ho dovuto ricordare una cosa che ho letto da ragazzo, ai tempi della scuola, credo quasi quarantacinque anni fa. C’era scritto: “O Cristo era un ipocrita o era un pazzo, oppure era ciò che ha detto di essere: il Figlio del Dio vivente”. Come ho detto, non voglio criticare né in un senso, né nell’altro; noto solo questo: recentemente ero a Berna, dove un signore, allacciandosi alla Conferenza della Società delle Nazioni, tenne un discorso in cui disse che la Società delle Nazioni è male organizzata – che sia mal organizzata lo credo anch’io – ma egli disse che viene mal organizzata se non si capisce che: “O Cristo era un pazzo, o un ipocrita, oppure era il Figlio del Dio vivente, come diceva di essere”. In breve, tutto ciò che quarantacinque anni fa c’era nel mio libro di scuola, quel signore l’ha presentato alla sua riunione di fedeli. E innanzitutto bisogna notare che però nel frattempo c’è stata la guerra mondiale! Le persone, dopo aver avuto duemila anni di tempo per dare al mondo le loro cose, sono andate talmente avanti che nonostante tutto è arrivata la guerra mondiale. Questo non significa forse che proprio dalla guerra mondiale si dovrebbe imparare qualcosa? Socialmente non è forse meglio e non risana di più l’organismo sociale, se anche in ambito socialista, nell’ambito della conoscenza socialista, si impara veramente qualcosa di nuovo dalla guerra mondiale? Bisogna dire di rimanere conservatori con le vecchie idee che per molti versi sono naufragate anche a causa della guerra mondiale? Voglio sottolineare soprattutto questo: era veramente prevedibile e per me è stato assolutamente importante (lo dico senza alcuna antipatia), sono molto contento che siano state dette cose come quelle che sono state dette. Ma vorrei comunque sottolineare che rimanendo conservatori, insistendo rigidamente su ciò che si è detto per secoli e che adesso si ripete da decenni, con questa rigida insistenza, restando così in questo conservatorismo, si sono arrecati molti danni al mondo! Il socialismo, col suo atteggiamento conservatore, non voglia arrecar danno a sé stesso! Perché questo danno sarebbe molto, molto grande, forse molto più grande di quello che peraltro è già stato arrecato.

Forse avete sentito ciò che ho detto alla fine della mia conferenza: che bisogna contare sul fatto che proprio il socialismo, e più ancora il proletariato, possono portare proprio alla liberazione di ciò che nell’uomo deve essere liberato. Dunque non si tratta di un’idea, non si tratta di sopravvalutare un’idea, e io non ho nemmeno detto nulla a proposito del fatto che il socialismo debba unirsi all’azienda dello Stato e cose del genere; si tratta invece di risolvere un problema dell’umanità!

E poiché credo che per il singolo sia piuttosto indifferente che cosa pretende da solo, egli dovrebbe richiedere ciò che riguarda tutti insieme ad altre persone. Se il singolo individuo vuole enunciare le sue rivendicazioni socialiste, non può che fallire. Bisogna enunciarle nella comunità umana.

Dunque quello che chiedo non è una qualche idea, non è una qualche utopia, ma è ciò che gli uomini, trovandosi all’interno dell’organismo sociale, potranno dire da sé.


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Note:

[1] Celebre marca di casseforti del tempo inventate da Franz von Wertheim. N.d.C.

Trad. 11/2021