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OO 329 - Liberare l’uomo per ricostruire la società



Seconda conferenza
Che senso ha il lavoro del proletario moderno?

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Berna 17 marzo 1919


Il contrasto fra la dottrina borghese dell'ordinamento cosmico morale e la realtà vissuta dal proletariato. Il proletariato come critica vivente della civiltà moderna, spiegata in base agli effetti della concezione materialistica della storia, della teoria del plusvalore secondo Marx, del lavoro come merce e della lotta di classe. Modi di vedere che si annunciano come nuove correnti dietro le esigenze esteriori: primo, il desiderio di una vita spirituale che consenta un'esistenza degna dell'essere umano; secondo, l'esigenza di un ordinamento giuridico in cui la forza lavoro venga liberata dal carattere di merce; terzo, il superamento della lotta di classe per mezzo di nuovi rapporti giuridici. Che cosa lo Stato deve fare e non fare. L'idea della triarticolazione e alcuni dettagli sulla natura dei singoli ambiti.

Non crediate che stasera io voglia prendere la parola allo scopo di esprimermi in favore di un accordo fra le diverse classi della popolazione attuale nello stesso modo in cui tanto spesso, al giorno d’oggi, parlano di conciliazione e di accordo soprattutto le classi dominanti, finora dominanti. Stasera vorrei parlarvi di un accordo completamente diverso, cioè di quello richiesto a gran voce da tutti i fatti sociali e dalle grandi forze storiche dell’evoluzione umana che si stanno manifestando adesso. Vorrei parlarvi di ciò che mi sembrano richiedere queste forze storiche che, diciamo, oggi scuotono il mondo soprattutto riguardo al movimento proletario.

È proprio quasi tutta la vita moderna, quella vita che certe fazioni chiamano ‘la civiltà moderna’, ad impedire che si parli di un accordo diverso. Che cosa abbiamo sentito dire, nel corso degli ultimi decenni, in seno a questa civiltà moderna! Ricordiamo come le classi finora dominanti hanno considerato questa civiltà moderna, diciamo, perfino durante la terribile catastrofe bellica che negli ultimi anni ha colpito e terrorizzato l’umanità. Quanto spesso si è detto quanto noi uomini siamo progrediti nel fare, nel produrre! Siamo talmente progrediti da riuscire a comunicare un pensiero su tutta la Terra in poco tempo, si sono creati legami fra i Paesi più lontani, la vita spirituale in tutte le sue forme ha raggiunto una diffusione enorme. Ora, potrei continuare ancora a lungo questo inno di lode sulla civiltà moderna, non come lo voglio cantare io, ma come lo ha intonato questa classe dominante. Solo che adesso vediamo le cose dall’altra parte. Che cos’è che in realtà ha reso possibile questa civiltà moderna, sulla quale sono stati intonati così tanti inni di lode? La sua esistenza è stata possibile solo, in un certo senso, sotto la minaccia di coloro che, per l’essenza più interiore della propria umanità, non potevano essere d’accordo con ciò che facevano i fruitori di questa civiltà moderna. E così, accanto a tutta quella che si potrebbe anche chiamare una specie di cultura di lusso, si potevano udire le voci che provenivano dall’altra parte e che in sostanza continuavano sempre a ripetere: “Non può continuare così! Per quanto la vostra civiltà possa essere magnifica per voi, la sola e unica cosa che la rende possibile è che la grandissima parte della popolazione di tutta la Terra non può prender parte direttamente a questa civiltà. Deve sentirsi esclusa da questa civiltà, deve per così dire guardare da fuori, però sono loro, che si sobbarcano tutto il lavoro per sostenere questa civiltà!

Ora, forse che negli ultimi decenni gli altri abbiano dimostrato di aver capito in qualche modo i motivi e i retroscena di questo loro grido? Non si può dire di sì. Oggi ci sono delle persone che dicono cose molto strane. Negli ultimi giorni ho seguito un po’ la Conferenza della Società delle Nazioni che c’è stata qui a Berna. Vi abbiamo potuto ascoltare ogni genere di bei discorsi, cioè discorsi che i signori ritenevano belli. Ma chi è capace di vedere un po’ più in profondità ciò che si esprime nei fatti che sconvolgono il mondo, che oggi stanno attraversando l’Europa, da tutto quello che hanno detto si è potuto innanzitutto notare che si è trascurato di parlare e anche trascurato di pensare sulla questione più importante del presente, cioè su quella domanda di gran parte dell’umanità che si va agitando sempre di più. Si è trascurato di parlare e anche trascurato di pensare sul nerbo vero e proprio della questione sociale! Questa conferenza ha dimostrato scarsissima comprensione per questa questione, mentre invece ci si è ricordati di qualcos’altro, soprattutto delle settimane della primavera e dell’inizio dell’estate del 1914. A questo proposito, le cerchie che finora hanno detenuto il potere e i loro capi hanno anche fatto alcuni discorsi strani. Si potrebbero fare molti discorsi simili a quello che nel 1914 un uomo di Stato a capo di un Paese dell’Europa centrale tenne davanti ad un Parlamento, in cui disse: “Grazie all’energico impegno dei gabinetti europei possiamo sperare che nell’immediato futuro la pace fra le grandi potenze europee sia assicurata.” Si parlava ancora così in tutti gli emendamenti possibili nel maggio, nel giugno del 1914. E poi?

E poi è arrivato ciò che ha ucciso milioni di persone, che ha mutilato milioni di persone. Si era previsto proprio bene, ciò che finì per imporsi accanto alla civiltà moderna cui si cantavano quelle lodi!

Quella volta, io stesso, se posso fare questa osservazione personale, dovetti invece dire cose diverse da quelle che dicevano quegli uomini di Stato. Nella primavera del 1914, ad un’assemblea a Vienna, dovetti dire: “Chi osserva la vita dell’attuale umanità europea vede in essa qualcosa di simile ad un lento cancro che dovrà esplodere.” Ora, oggi si può rimettere al giudizio dell’umanità chi fosse il profeta migliore: quello che parlava del cancro, che poi è esploso in modo così terribile nella cosiddetta guerra mondiale, oppure quelli che pensavano che grazie all’impegno dei gabinetti si poteva prevedere una lunga pace? Proprio come i signori, allora, trascurarono di parlare di quella che attraversava il cielo politico d’Europa come una nuvola nera, così oggi certe persone trascurano di parlare della cosa più importante: delle potenti forze sociali che avanzano nella vita dei popoli della Terra. Stando così le cose, per ora ci sono veramente pochissime prospettive di trovare un accordo, per così dire, con la ragione. Ma un accordo dall’altra parte, come ho già detto, lo si può cercare. E questo accordo mi sembra risultare se si parte da quanto segue.

La situazione in cui la popolazione proletaria si è trovata fino adesso è sostanzialmente del tutto diversa da come sarà da adesso in poi. Chi non si è limitato a riflettere sul movimento proletario solo da un certo punto di vista teorico, ma ha vissuto questo movimento proletario dall’interno, sa che quella che il movimento proletario viveva era una grande, insistente critica a ciò che per secoli, per tre o quattro secoli, avevano provocato le istituzioni, le massime delle classi che hanno dominato finora. Quella che il proletario moderno sentiva era la critica storico-mondiale vivente a tutto ciò che esse avevano creduto di dover introdurre nell’umanità. E in sostanza quella che avveniva all’interno del proletariato era una grande, potente critica. Mentre i gruppi finora dominanti si intrattenevano all’interno della loro cultura borghese, della quale cantavano le lodi, mentre nei loro uditori potevano ascoltare ciò che serviva al loro Stato, mentre nei loro teatri vedevano il mondo immaginario che riguardava le loro faccende, mentre coltivavano anche qualche altro aspetto di quella che sentivano come una tanto risanante civiltà moderna, le masse proletarie si riunivano, nelle ore che riuscivano a ricavare dopo il pesante e faticoso lavoro giornaliero, per riflettere sulle questioni più serie dell’evoluzione umana, le questioni più serie della storia mondiale. Tuttavia la moderna evoluzione tecnica e quella capitalistica ad essa connessa avevano strappato il proletario moderno a tutti gli altri contesti umani, che invece, per esempio, l’antico artigianato consentiva; lo avevano messo alla macchina, agganciato all’ordinamento mondiale capitalistico e quindi escluso, nel sentire immediato, da ciò che i gruppi dominanti, dirigenti, coltivavano. A questo punto lo sguardo dell’anima, l’occhio spirituale del proletario, si volse all’interesse generale, e da un certo punto di vista più elevato, dell’umanità. E alle assemblee dei proletari si coltivò ciò che appunto poi finì per risuonare sempre più spesso nel grido: “Non può continuare così!”

Ma anche in quel che si sviluppava lì c’era una potente, grandiosa critica alla politica che c’era stata fino ad allora, alla gestione dell’economia che c’era stata fino ad allora da parte delle cerchie dominanti. Adesso tutto questo è giunto ad un nuovo stadio. E mi sembra che oggi studiare veramente con attenzione questo passaggio ad un nuovo stadio sia uno degli obiettivi sociali più necessari in assoluto.

Da quando nell’evoluzione dell’umanità hanno fatto ingresso anche il capitalismo moderno e la tecnica moderna, il proletario moderno come ha sentito l’ordinamento sociale che si era formato in tre - quattro secoli? Il proletario come sentiva tutto ciò che doveva guardare da outsider e che, nella misura in cui gli era possibile, ecco, voleva proprio accogliere con partecipazione interiore, per avere anche qualcosa per l’anima? Le vecchie classi dominanti gli parlavano di alcune forze attive nel divenire storico dell’umanità; gli parlavano di ogni specie di ordinamento cosmico morale e cose del genere. Ma lui, il proletario moderno, che alzava lo sguardo verso ciò che queste classi dominanti facevano, non sentiva molto la forza, l’originarietà interiore di quegli ordinamenti cosmici morali; egli sentiva che l’agire, il pensare, il sentire delle cerchie dominanti, al potere, in sostanza era improntato a ciò che essi potevano vivere grazie alle loro forme economiche, al loro ordinamento economico, grazie al quale erano in condizione di fondare la loro civiltà per se stessi come una specie di sovrastruttura sulla miseria, sull’oppressione di masse umane più grandi che dovevano lavorare per loro.

E così nel proletariato moderno emerse quella che riguardo alla realtà, riferendosi a questi pensieri più nuovi sull’evoluzione umana, era la verità. Il proletario moderno sentiva una verità riguardo a ciò su cui gli altri in un certo modo fantasticavano nella menzogna; parlavano di ordinamento cosmico morale, divino, che pone gli uomini sulla Terra in rapporti sociali reciproci. Questa, il proletario la sentiva come una profonda menzogna. E sentiva che in tutto ciò la verità è che le persone vivono come possono perché usano la vita economica per il proprio comodo, a proprio vantaggio. E così nacque (e adesso bisogna dire, come vera e propria eredità di quella che era scienza borghese) la concezione materialistica della storia, quella concezione che non ammetteva che le potenze realmente attive nel divenire storico dell’umanità fossero qualcosa di diverso dalle forze economiche. E da qui si passò poi a credere che tutto ciò che è religione umana, scienza umana, spiritualità umana si elevi come una specie di ‘sovrastruttura’ al di sopra delle forze economiche, e che al di sotto di essa, come unica verità, sulla quale al massimo retro-agisce la sovrastruttura, dominano le forze economiche. Su ciò che l’ordinamento borghese mondiale aveva fatto della vita sociale (una pura economia) aveva ragione il proletario moderno.

Nelle anime dei proletari una seconda cosa, che proveniva dalla forza del pensiero di Karl Marx e che veniva divulgata nelle assemblee dei proletari, ora non era la questione spirituale, che ho potuto caratterizzare appunto nella concezione materialistica della storia, ma la questione giuridica. Questa culmina in un’unica parola, che voi tutti conoscete, ma che galvanizzava il movimento proletario moderno e che, quando Marx e i suoi seguaci la portavano a queste anime proletarie, esse comprendevano nei loro sentimenti più intimi: è la parola ‘plusvalore’. E dietro ad alcune delle cose che si dissero su questa parola ‘plusvalore’, si cela la domanda, che in realtà il proletario moderno sente come la sua domanda umana più importante, più o meno cosciente o incosciente, solo sentita o posta anche con l’intelletto, ma comunque veniva profondamente sentita: “In realtà, dunque, che senso ha il mio lavoro nell’ordinamento sociale moderno?” E bisogna dire che è brillante, la diversa risposta di Karl Marx. Ma oggi viviamo in un’epoca in cui, proprio se si capisce Marx nel modo giusto, e non nel senso dei politici opportunisti, ma in un senso completamente diverso, come vedremo subito, bisogna andare oltre al punto al quale arrivò Marx.

Quando il proletario moderno sollevava la questione del senso del suo lavoro, che per lui diventava una domanda sulla sua posizione all’interno della società moderna, sulla sua dignità umana, continuava sempre ad avere davanti agli occhi il problema che, in un certo senso, il suo lavoro veniva risucchiato dal processo economico capitalistico. Egli viveva sulla propria pelle il fatto che il suo lavoro era diventato qualcosa che poteva essere solo in apparenza, e cioè merce. Il proletario moderno, che come unica ‘proprietà’ può riavere esclusivamente la propria forza lavoro, viveva il fatto di dover immettere la sua forza lavoro sul mercato, di dover lasciare che anche la sua forza lavoro venisse trattata secondo le regole della domanda e dell’offerta, come altrimenti vengono trattate sul mercato delle merci le merci fatte dall’uomo, oggettive.

Ora, una caratteristica della vita umana è che in essa possono presentarsi cose che sono reali, ma che tuttavia non sono delle verità: sono menzogne. E una di queste menzogne della vita è che la forza lavoro umana possa mai diventare merce. Perché la forza lavoro umana non può mai essere paragonata, paragonata secondo il prezzo, alla merce. È una cosa diversa dalle merci per principio. È dunque una menzogna della vita, che si renda merce ciò che non può mai diventare una merce. Anche se non lo si esprime con questa chiarezza, tuttavia è una cosa che viene sentita come, direi, il centro della questione proletaria dell’epoca moderna. Poiché la forza lavoro umana è diventata merce, un rapporto giuridico, come quello che dovrebbe instaurarsi fra l’imprenditore e l’operaio, è diventato un rapporto commerciale. E gli esperti di economia politica borghesi effettivamente parlano come se nella vita economica da una parte si potesse scambiare merce in cambio di merce, dall’altra parte merce in cambio di lavoro.

Il fatto che esista un cosiddetto contratto di lavoro nel senso moderno della parola non cambia le cose; perché sul rapporto fra l’imprenditore e l’operaio si può stipulare solo un contratto giuridico nel senso che vedremo dopo. La forza lavoro umana potrà essere liberata dal carattere di merce (e deve esserne liberata) solo se l’unico contratto possibile fra il lavoratore dipendente e il datore di lavoro non verrà stipulato sul lavoro svolto, ma su una distribuzione delle merci o delle prestazioni prodotte insieme che sia corretta e utile all’organismo sano. Questa è l’esigenza che si cela dietro la teoria marxista del plusvalore. Al tempo stesso questa è la via da percorrere per andare oltre al semplice pensiero marxista. E bisogna chiedersi: “Come cessa il rapporto salariale? Come subentra al posto del contratto di lavoro un contratto sulla distribuzione delle merci?”

Ma così abbiamo accennato alla seconda delle cose che continuavano ad attraversare l’anima del proletariato moderno e che venivano scagliate come una violenta critica contro i gruppi al potere.

E la terza cosa era la convinzione che tutto ciò che avviene nella vita moderna e che ha portato alle condizioni in cui siamo adesso non è un’armonia, non è un lavorare che proceda da un senso comune, ma è una lotta fra gruppi di uomini, lotta nella quale inizialmente un gruppo è in vantaggio; è la lotta di classe del proletariato moderno contro le classi dominanti.

Veramente, questi tre punti: la concezione materialistica della storia, la teoria del plusvalore e della forza lavoro e la teoria della lotta di classe sono stati studiati con più forza epocale di tutto ciò che è stato scritto recentemente all’interno della società borghese. Infatti si è capito che ciò cui l’evoluzione umana è arrivata negli ultimi secoli non è che il risultato di forme economiche. In sostanza tutte le altre interpretazioni sono una grande menzogna.

E allora tutta la vita spirituale, che per la classe dominante era diventata una specie di lusso culturale, per il proletariato moderno divenne una ‘ideologia’, una parola che si sentiva dire davvero in continuazione. Divenne un semplice tessuto di pensieri, di emozioni e di sentimenti che si estrinsecano come un fumo che fuoriesce dalla vera realtà della vita economica. Ma, concependola soltanto così, la cosa non si capisce. La si capisce nel modo giusto solo sapendo che di fronte a questa ideologia atrofizzante, a questa ideologia che uccide l’anima e che in sostanza è un’eredità del pensiero della classe finora dominante, nell’anima del proletario moderno che aveva il tempo di riflettere sulla dignità umana e sul reale divenire dell’uomo messo alla macchina e incastrato nel processo economico capitalistico, si risvegliava la reale nostalgia di una vera vita spirituale, non di un lusso spirituale, non di una spiritualità superflua. Ancora oggi nelle cerchie borghesi spesso si sente dire che in realtà la questione proletaria moderna, da qualsiasi parte la si osservi, è una questione di pane. Certamente è una questione di pane; ma del fatto che sia una questione di pane veramente non serve parlare in un’assemblea in cui prevale l’intelletto proletario. Perché non si tratta di pensare come, per esempio, fa quel sociologo e pedagogo borghese che adesso viaggia molto in alcune regioni, e che fra l’altro recentemente ha detto: “Bisogna solo provare a conoscere veramente la povertà dei giorni nostri, per sentire il bisogno di un’umanizzazione della società umana.” Dietro queste parole, dette da persone come lui, non si nasconde altro, che la domanda: “Come si può protrarre fra le cerchie dominanti la follia della vita di prima e qual è il modo migliore per lasciare qualche briciola per quelli che non devono prender parte a questa vita delle classi dominanti? Come si può venire a capo del lavoro mantenendo l’ordinamento sociale che c’è stato fino adesso?” Non è una questione di pane, quella di cui si tratta. E se è una questione di pane, si tratta innanzitutto di come si lotta per il pane, per quali motivi dell’anima.

Questo è collegato a forze storiche molto più profonde di quanto sospettino quelli che spesso da quella parte parlano di storia. E oggi le tre domande che ho caratterizzato prima sono arrivate ad un nuovo stadio perché in esse c’è molto di cui non si è ancora in condizione di parlare chiaramente, ma che chi sa ascoltare le potenze che dominano la storia, i suoni che annunciano i grandi sconvolgimenti della storia mondiale, percepisce. Oggi il movimento proletario non è più una semplice critica, oggi ciò che le potenze della storia mondiale stessa chiedono è di passare all’azione, dunque di porre la grande domanda: “Che cosa deve succedere?” E qui ciò che vi ho caratterizzato prima mi sembra trasformarsi un po’, trasformarsi in modo che di fronte alla mera vita materiale come si è configurata fino adesso, se ne dovrebbe sviluppare un’altra, che consenta di dare anche alla parte oppressa dell’umanità un’esistenza veramente degna dell’essere umano anche dal punto di vista dell’anima. Questa è la prima: la domanda della vita spirituale: “Come si può trasformare l’ideologia di lusso, la vita spirituale superflua, in ciò che, per la sua natura più profonda, l’uomo deve veramente esperire per vivere un’esistenza degna dell’essere umano?

L’altra domanda che si è sviluppata, oltre a questa della spiritualità, riguarda l’ambito della vita giuridica, che appunto ha fatto della forza lavoro umana del proletario una merce. Questo è potuto succedere solo perché, nell’ordinamento sociale che si è sviluppato sotto il capitalismo e la tecnica moderna, per molti versi il diritto si è trasformato in privilegio. Al posto del privilegio, come può subentrare il diritto all’interno del cui ordinamento la forza lavoro umana del proletario venga spogliata del carattere di mera merce?

E la terza domanda è: quella che si è sviluppata come lotta di classe come può svilupparsi ulteriormente in forme diverse? Il proletario sentiva molto bene che ciò che deve succedere nella vita può prender forma solo in questa lotta reciproca. Ma sente che la modalità delle lotte che sono avvenute nel corso della storia più recente deve essere superata. E così, ormai, all’attuale stadio evolutivo, la domanda sulla necessità che ci siano lotte di classe si trasformerà nella domanda: “Come superiamo le lotte di classe?” La domanda sul plusvalore, che nell’ordinamento sociale che si è costituito negli ultimi secoli è scivolato sotto il dominio del privilegio, questa domanda sul plusvalore fonda l’altra: “Nella società umana, come si trova, nel vero senso della parola, uno stato di diritto che soddisfi tutti gli esseri umani?”

Riguardo alla prima domanda, quella sull’aspetto spirituale della questione sociale, basta vedere quanto è profondo l’abisso fra le classi finora dominanti e coloro che, dall’altra parte, aspirano ad un nuovo ordinamento del mondo e sociale. E qui va detto che, essenzialmente, la vita spirituale che impregna il proletario moderno è stata presa in consegna, in eredità, dalla classe borghese che ha potuto portare avanti la scienza, l’arte e così via. - Ma questa vita spirituale ha agito diversamente nel proletariato, perché, rispetto a quanto ha preso in consegna come eredità scientifica e simili, il proletario era in una condizione diversa da quella in cui si trovavano quelle che erano le cerchie borghesi, dominanti, che avevano sviluppato tale vita spirituale moderna. Era perfino possibile seguire con grande convinzione la vita spirituale moderna, ci si poteva ritenere molto illuminati, ma se si faceva parte della classe dominante ci si trovava all’interno di un ordinamento sociale che non era assolutamente ordinato secondo questa vita spirituale moderna. Si poteva essere scienziati della natura come Vogt, divulgatori di scienze naturali come Büchner, si poteva credere di essere assolutamente illuminati: forse questo era bene per la testa, per le convinzioni intellettuali; ma non era adatto per capire la posizione dell’essere umano nella vita reale. Infatti il modo in cui queste persone si ponevano nella vita era giustificabile solo perché l’ordinamento sociale derivava da tutt’altre forze, da concezioni del mondo religiose e morali obsolete, in ogni caso da forze diverse da quelle che si erano presentate a queste classi dominanti come forze scientificamente accreditate. Perciò anche quello che è lo spirito scientifico moderno e al quale il proletario si avvicinava semplicemente perché spinto dalla cultura più recente aveva un effetto completamente diverso sull’anima del proletario.

Posso ricordare un episodio che può rendere particolarmente evidente questo diverso effetto della vita spirituale moderna sul proletario, che aveva bisogno di questa vita spirituale moderna non solo per la testa, ma per tutto il suo essere, per tutta la sua posizione all’interno dell’umanità.

Una volta, molti anni fa, a Spandau, mi trovai sullo stesso podio insieme a Rosa Luxemburg, adesso finita in modo così tragico. Allora ella parlò di ‘scienza e operai’, e io, come insegnante della scuola per la formazione degli operai, avevo qualcosa da aggiungere alle sue parole sullo stesso argomento. Questo argomento ‘La scienza e gli operai’ le diede l’occasione di parlare proprio di ciò che è così caratteristico della vita spirituale del proletariato moderno. Disse: “I sentimenti (nonostante il convincimento della testa), i sentimenti della classe dirigente moderna dell’umanità sono ancora radicati nella concezione secondo la quale l’uomo deriva da esseri angelici dalla bontà primigenia; e secondo il modo di sentire di queste classi dominanti questa sua origine giustifica le differenze di rango, le differenze di classe che si sono formate nel corso dell’evoluzione. Ma il proletario moderno è spinto, in un modo del tutto diverso, a prendere sul serio la scienza borghese. Quando gli viene insegnato che in origine l’uomo non era un essere angelico, ma si arrampicava sugli alberi come un animale e si comportava in modo massimamente indecente, egli deve prenderlo sul serio. Considerare questa origine degli uomini nel senso della concezione del mondo moderna non giustifica quelle differenze di vita, di stato e di classe, che gli altri ritengono giustificate, ma fonda un’idea completamente diversa riguardo all’uguaglianza di tutti gli uomini.”

Vedete, questa è la differenza! Quella che gli altri prendevano come una convinzione della testa e che, per quanto essi fossero illuminati, non andava molto in profondità, il proletario aveva la necessità di accoglierla con tutto se stesso, di prendere la cosa con la serietà di vita più grave. Ma così questa convinzione andò ad intessersi nell’anima in un modo completamente diverso. Bisogna semplicemente prestare attenzione a queste cose per riconoscere il senso in cui la questione sociale moderna è innanzitutto una questione della vita spirituale e persegue un’evoluzione della vita spirituale che soddisfi tutti gli uomini.

Allora, se ci si addentra nelle cause di tutto ciò che oggi, diciamo, ho potuto descrivere solo balbettando, perché, se lo si volesse descrivere in modo veramente esteso richiederebbe di andare troppo oltre, se dunque si studiano le cause e poi ci si chiede: “A quali sviluppi si deve puntare?” si può dire: oggi veramente non si tratta di chiedersi se la cultura materialistica sia il vero fondamento della vita spirituale, ma dobbiamo chiederci come si possa arrivare ad una vita spirituale che possa veramente soddisfare l’anima umana, l’anima di tutti gli uomini. Oggi l’importante non è più dare un’interpretazione critica di quello che è il plusvalore come elemento rappresentativo di quella che è la forza lavoro umana all’interno dell’ordinamento capitalistico. Oggi la domanda è: “Come si libera la forza lavoro umana dal carattere di merce e come si arriva a fare in modo che il ‘plusvalore’ non rimanga un privilegio, ma diventi un diritto? E se ci devono essere lotte all’interno dell’ordinamento sociale umano, possono essere lotte di classe, possono essere le stesse lotte che a poco a poco hanno preso forma nel corso degli ultimi secoli?”

Oggi ci troviamo ad uno stadio evolutivo in cui non è più determinante la critica da sola, ma è determinante la domanda: “Cosa si deve fare?” Ora però, per chi capisce i retroscena della vita, qui emerge una risposta, diciamo, molto estrema. Forse a qualcuno sembra meno estrema di quanto sia, ma risulta una risposta molto estrema. Dato che, per molti versi, il pensare proletario è solo un’eredità del pensare borghese, dato che le abitudini di pensiero proletarie sono un’eredità delle abitudini di pensiero borghesi, all’inizio si riflette sulle domande: “Come si può rimediare ai danni prodotti dal capitalismo? Come si può superare l’oppressione che ha attribuito alla forza lavoro umana il carattere di merce? Come si può superare la lotta di classe in un modo degno dell’essere umano?”

Al giorno d’oggi bisogna porre le domande da un punto di vista molto più profondo. E oggi i fatti storici stessi pongono grandi richieste alle abitudini di pensiero, ai pensieri del proletariato. Perché sta a lui essere adatto ai tempi e chiedersi: “Come superiamo le fondamenta malsane dell’attuale vita storica materiale? Come superiamo le devastazioni che il circolo della produzione del plusvalore ha provocato nella vita, nella vita giuridica? Come superiamo le devastazioni della moderna lotta di classe?” Le tre domande sociali moderne più importanti si trasformano dal negativo al positivo.

Cercando le cause delle condizioni di vita attuali, si trova che in realtà c’è di nuovo la tendenza a protrarre quel che ha fatto l’ordinamento mondiale borghese. Oggi molti si chiedono: “Come possiamo superare il capitalismo? Come possiamo superare la proprietà privata dei mezzi di produzione?” E poi arrivano all’antichissimo ordinamento delle istituzioni sociali umane, quello della cooperativa e cose simili, cioè, arrivano a considerare la proprietà comune dei mezzi di produzione come un ideale.

Questo è comprensibile, e in realtà qui non si dovrebbe parlare di queste cose secondo un qualche pregiudizio borghese, ma solo ed esclusivamente da questo punto di vista: è possibile conseguire quello che vuole il proletariato nella maniera in cui oggi crede di conseguirlo qualche pensatore socialista? Ricorrendo alla cornice del vecchio Stato e inserendo in questo vecchio Stato quello che è l’ordinamento economico, ma in un’altra forma, si riuscirà ad attuare una liberazione dall’oppressione creata dal passato?

Osserviamo lo Stato moderno. Esso è sorto perché nel periodo in cui si sono sviluppati anche la tecnica moderna e il capitalismo moderno (nel XVI, XVII secolo), i gruppi di potere, che poi dovettero sempre più chiamare il proletariato alla macchina, trovarono che i loro interessi venissero soddisfatti nel modo migliore nella cornice dello Stato. E così, nei settori in cui comodava loro, cominciarono a far fluire la vita economica nello Stato. E soprattutto quando sono state fatte le scoperte moderne, grandi parti della vita economica, come le poste e i telegrafi e le ferrovie, sono state rilevate dall’economia di Stato, di cui si erano da tempo impadroniti. A quei tempi si fece fluire nell’apparato dello Stato moderno anche la vita spirituale! E si arrivò sempre più a questa fusione di vita economica, vita statale giuridica e vita spirituale. Questa fusione non portò solo a tutti quegli stati innaturali che erano collegati all’oppressione dell’epoca moderna, ma infine portò anche alla devastazione della catastrofe bellica mondiale.

Oggi, chi pensa attenendosi ai fatti storici non chiederà: “Che cosa devono fare gli Stati?” ma al contrario, forse sarà spinto a chiedersi: “Che cosa dovrebbero non fare, gli Stati?” Perché ciò che essi fanno, e quindi ciò che provocano, lo abbiamo effettivamente visto nei dieci milioni di persone uccise e nei diciotto milioni di persone mutilate.

E così forse nell’anima si affaccia la domanda: “Che cosa devono non fare, gli Stati?” Adesso qui posso solo accennarvelo, ma questa, di fatto, è una domanda che si può già fare, basandosi profondamente su una vera scienza sociale. Per osservare come certi stati politico-sociali si sono, diciamo, sviluppati in modo tipico, ma in modo tipico sono anche giunti alla loro ben meritata fine, ci basta solo vedere come, per esempio, negli anni Sessanta in Austria la camera dei Lander austriaca si orientò ad una Costituzione comune. Ciò che si formò quella volta (ho passato trent’anni di vita in Austria, ho conosciuto a fondo la situazione, ho conosciuto quella che allora nello Stato austriaco si sviluppava come vita costituzionale), ciò che si formò quella volta si adattava all’eterogeneità della diverse nazioni veramente come un pugno nell’occhio. E a chi è veramente capace di seguire i fatti storici è chiaro che proprio in quel che allora venne fondato nella vita costituzionale austriaca, che diventò la politica dell’Austria già negli anni Sessanta, Settanta, c’era già la causa della fine alla quale questi ultimi anni ci hanno condotti.

Perché? Ora, a quei tempi fu fondata una camera dei Lander austriaca. In questa camera dei Lander austriaca dapprima fu eletta la pura curia economica, la curia dei grandi proprietari terrieri, la curia dei mercati, delle città e delle zone industriali, la curia dei comuni rurali. Esse avevano i loro interessi economici da rappresentare nel Parlamento di Stato. E legiferarono in base alla loro vita economica. Vennero emanate soltanto leggi che erano una trasformazione degli interessi economici. Però nel diritto non si ha a che fare con la stessa cosa con cui si ha a che fare nell’ambito della vita economica. Nell’ambito della vita economica si ha a che fare con i bisogni umani, con la produzione delle merci, con la circolazione delle merci, col consumo delle merci. Nell’ambito della vita giuridica invece si ha a che fare con ciò che, a prescindere da tutti gli altri interessi, riguarda l’uomo nella misura in cui è puramente ed esclusivamente un uomo, nella misura in cui, in quanto uomo, è uguale a tutti gli altri uomini. Quando si chiede: “Che cos’è giusto?” bisogna giudicare su basi completamente diverse da quando si chiede: “Che cosa deve succedere, per immettere un prodotto nel circolo della vita economica?” Il collegamento innaturale fra la curia economica e la vita giuridica è come un cancro che divorava lo Stato austriaco.

Queste cose si potrebbero chiarire con molti esempi negli Stati moderni. Non si tratta soltanto di studiare queste cose, ma di trovare il punto di vista giusto per poter avere una visione della vera realtà, di ciò che vive e tesse, e non di quella che la gente immagina essere la cosa politicamente o economicamente giusta.

E ancora, guardate il Parlamento tedesco, buon’anima, questo Parlamento democratico con lo stesso diritto di voto, al cui centro poteva esserci al tempo stesso sia una rappresentanza di interessi come la Lega degli agricoltori, sia la rappresentanza di una pura comunità spirituale! Qui vediamo saldata, fusa alla vita puramente politica una cosa che appartiene solo alla vita spirituale. E questo a che situazione innaturale ha portato! E potremmo aggiungere ancora molti altri esempi simili. Volendo conoscere la vita dell’umanità moderna, bisogna essere in condizione di prenderla radicalmente da questo punto di vista. Bisogna veramente avere il coraggio di guardare in faccia queste cose, in modo da poter arrivare a qualcosa che gli uomini moderni non vogliono ancora ammettere, diciamo, che non vogliono ancora ammettere addirittura gli uomini di tutti i partiti. Ma il solo e unico impulso che può esserci per il risanamento del nostro organismo sociale è quello di riconoscere che da adesso in poi non ci deve più essere una saldatura, una fusione dei tre ambiti della vita: vita spirituale, vita giuridica e vita economica, ma che ognuno di questi ambiti ha le sue proprie leggi vitali, che perciò ognuno di questi ambiti deve anche strutturarsi socialmente da sé partendo dalle sue stesse sorgenti.

Nella vita economica possono dominare solo gli interessi della produzione delle merci, del consumo delle merci e della circolazione delle merci. Le leggi fondamentali di questa vita economica devono essere determinanti per la sua gestione e regolamentazione. Nell’ambito della vita giuridica deve dominare ciò che sgorga direttamente dalla coscienza giuridica dell’uomo, laddove tutti gli uomini sono veramente uguali in quanto uomini. Nell’ambito della vita spirituale deve dominare quella che può fluire dai talenti umani naturali come iniziativa pienamente libera. La socialdemocrazia moderna ha aperto la strada (direi, da un punto di vista completamente diverso, tuttavia qui oggi questo non ci riguarda) ad un solo ambito, inserendo fra i suoi principi che “La religione deve essere una cosa privata”. Questo principio deve essere esteso a tutti i rami della vita spirituale. Tutta la vita spirituale deve essere una faccenda privata rispetto allo Stato giuridico e rispetto al circolo della vira economica. Soltanto una vita spirituale che si basa sulle sue proprie forze, solo una vita spirituale che per impulso proprio rivela sempre la propria realtà, non sarà un lusso spirituale, non sarà un surplus spirituale, ma sarà una vita spirituale che tutti gli uomini desidereranno ugualmente. Osservando la vita spirituale medievale, per esempio il rapporto della scienza con la religione e la teologia, spesso si è detto: “La filosofia, la saggezza del mondo, regge lo strascico alla teologia.” Ebbene, adesso non sarebbe più così. Infatti non è più così, ma com’è? Le scienze profane si sono messe a servizio dei poteri profani, degli Stati, dei circoli economici. Il che non le ha affatto rese migliori. E perché non le ha rese migliori? Se si vede che in sostanza c’è una corrente unitaria, una forza unitaria, che va dai rami più alti della vita spirituale fino giù allo sfruttamento della facoltà umane individuali che esse vengono portate attraverso il capitale e il capitalismo, allora si viene a capo della domanda che qui si presenta. Se nell’ordinamento sociale moderno non si separano le funzioni, le azioni del capitale, dalla restante vita spirituale, non se ne viene a capo. Lavorare sulla base del capitale è possibile solo in una società in cui ci sia una sana vita spirituale emancipata, che possa far evolvere anche quelle facoltà che sono fondate sul capitale. Non è necessario che quel che è successo nell’epoca più recente si presenti sempre nello stesso modo grottesco in cui si presentò quando, una volta, uno scienziato moderno molto importante, un fisiologo, volle caratterizzare che cosa fosse in realtà l’Accademia delle Scienze di Berlino, cioè che cosa fossero gli eruditi signori di questa Accademia delle Scienze di Berlino: egli chiamò questi eruditi signori ‘la truppa coloniale del protettorato scientifico degli Hohenzollern’. Vedete, le cose erano un po’ cambiate. La scienza non era più a servizio della teologia; ma se proprio ora sia ascesa ad una maggiore dignità mettendosi a servizio scolastico dello Stato, è un’altra faccenda.

Dovrei parlare molto, se volessi esporvi la verità ben accertata, ben fondata in tutte le sue parti che la sola e unica cosa che può portare al risanamento del nostro ordinamento sociale è il ribaltamento della tendenza che è subentrata recentemente, e cioè la liberazione di tutti i rami della vita spirituale dalla vita statale. Perfino l’insegnante più basso si sentirà in modo ben diverso, se in tutto ciò che deve insegnare sa di dipendere solo dalla gestione e dalla normazione fondate sulla base della vita spirituale stessa, anziché dover esporre le massime e gli impulsi della vita politica! Una buona volta, il ceto docente dovrà evolversi. La condizione di servitù si è sviluppata proprio in questo ambito. E la classe di servi di quest’ambito corrisponde veramente anche a quella che si è sviluppata nell’ambito della vita economica. Ceto contadino, lo si chiamava nell’antichità. Il ceto operaio e il ceto sfruttatore si son sviluppati solo in epoca più recente. Ma le cose sono andate assolutamente in parallelo. L’una non è possibile senza l’altra.

Tutto ciò che si riferisce al rapporto personale fra una persona e un’altra (e questo rapporto personale fra uomo e uomo riguarda anche gli accordi fra il lavoratore dipendente e il datore di lavoro) tutto ciò può essere gestito soltanto da quel settore dell’organismo sociale che si organizza autonomamente sulla base della vita spirituale. Tutto ciò che è connesso al diritto, e al diritto è connesso innanzitutto il contratto di lavoro, deve rimanere dominio dello Stato politico, giuridico. Mentre invece ciò che è connesso alla produzione delle merci, alla circolazione delle merci e al consumo deve diventare un settore a sé stante dell’ordinamento sociale, in cui agiscono solo le leggi vitali di questo organismo.

Così, andando a fondo in queste cose, certamente si arriva alla visione estrema, che per qualcuno si dimostra scomoda, che per il risanamento delle nostre condizioni sociali devono svilupparsi l’una accanto all’altra tre organizzazioni autonome, che coopereranno nel giusto modo proprio perché non hanno una centralizzazione unitaria, ma sono centralizzate in se stesse: un parlamento che gestisce le faccende spirituali, un’amministrazione che serve solo per queste faccende spirituali; un parlamento e un’amministrazione dello Stato giuridico, dello Stato politico in senso stretto; un parlamento e un’amministrazione autonoma della circolazione economica a sé stante; in un certo senso come Stati sovrani uno accanto all’altro. Grazie al fatto di essere l’uno accanto all’altro, essi riusciranno a realizzare ciò che vuole l’anima proletaria, ma che con una mera statalizzazione centralistica dell’ordinamento sociale non si può raggiungere.

Prendete solo la vita economica. Al giorno d’oggi essa confina da una parte col fondamento di natura. Con le migliorie del terreno e cose del genere queste basi di natura possono anche essere migliorate, e in quel caso le condizioni lavorative possono diventare più favorevoli grazie al miglioramento delle basi del lavoro; ma qui ci si trova ad un confine che non si può valicare. Anche dall’altra parte ci si deve trovare ad un confine simile. Come la vita economica confina con la natura, che ne è al di fuori, così dall’altra parte deve esserci lo Stato giuridico. Questo Stato giuridico determina i diritti e le leggi separatamente dalla vita economica. Come il giudice deve giudicare separatamente dalle sue relazioni famigliari o umane, quando giudica secondo la legge, come quando fa il giudice mette in atto la sua volontà di uomo su basi diverse che nella vita quotidiana, così, anche se le persone sono sempre le stesse (perché in tutti e tre i settori dell’organizzazione sociale ci sono sempre le stesse persone), quando giudicano in base allo Stato giuridico moderno, certamente giudicheranno in base a principi del tutto diversi. Per fare soltanto un esempio, proprio per questo, da quello che l’uomo richiede alla vita risulterà quella che è la misura del lavoro che uno può svolgere, cioè per quanto tempo uno può lavorare. Tutto questo deve essere indipendente dalla formazione dei prezzi che domina nella vita economica. E come da una parte è la natura ad imporre alla vita economica la formazione dei prezzi, così dall’altra parte è sempre la libera umanità indipendente la prima a dover decidere sul lavoro in base alla coscienza giuridica. Ed è lo Stato politico, che è esterno alla vita economica, che deve inserire il lavoro nella vita economica. Così è il lavoro a formare i prezzi; così al lavoro non verrà impresso il carattere di merce; così il lavoro coopera alla formazione del prezzo, non dipende dalla formazione del prezzo della merce. Proprio come la natura agisce sulla vita economica dall’esterno, così deve agire dall’esterno anche il diritto, che è incorporato nella forza lavoro umana.

Può darsi (perché questa può essere un’obiezione) che in un certo senso il benessere di un organismo sociale dipenderà da quanto il lavoro faccia valere innanzitutto il suo diritto; ma questa è una dipendenza sana, e porterà comunque ad un miglioramento sano, come è sano, per esempio, il miglioramento del terreno fatto con mezzi tecnici, se è necessario o conveniente o si evidenzia come possibile. Ma in questo modo la forza lavoro non potrà mai formare i prezzi come deve, corrispondentemente alla dignità umana, se si pone la vita economica come in una grande cooperativa nella cornice dello Stato moderno. La vita economica ne deve essere tirata fuori, deve essere posta su se stessa. La vita giuridica, la vita politica, la vita della sicurezza, deve essere tirata fuori e posta su se stessa. Qui le persone devono parlare su base democratica di ciò che riguarda tutti gli uomini. Allora questo retro-agirà nel modo giusto sulla vita economica e su ciò che così ne deve venire. Questo non potrà mai succedere da parte di una cooperativa come le solite o da parte di un’istituzione statale della cooperativa stessa. Si vedrà che, se resta così, come da altre basi storiche si sono sviluppati gli attuali oppressori, così si svilupperanno anche gli oppressori nuovi, se non vengono create reali basi democratiche al di fuori della vita economica.

Come la vita giuridica statale deve stare al di fuori della vita economica, così deve starne al di fuori anche tutta la vita spirituale dalla scuola più bassa fino all’università. Allora ciò che si sviluppa a partire da questa vita spirituale potrà essere una reale amministrazione degli altri due settori della vita in modo corrispondente allo spirito. Allora sarà possibile che il profitto che si forma nella vita economica venga veramente apportato alla collettività dalla quale è stato tratto. Allora sarà possibile che per i beni materiali avvenga qualcosa di simile a ciò che oggi avviene solo per i meschini beni spirituali. Infatti in realtà i beni spirituali della società moderna sono della meschinità più totale. È così: per questo patrimonio spirituale la regola è che ciò che viene prodotto, a trent’anni dalla morte viene ceduto alla collettività, diventa un bene in franchigia, chiunque lo può amministrare. In merito ai beni materiali oggi la gente non si fa piacere ciò.

Nella vita sociale la proprietà non è ciò che tanto spesso sognano in uno strano modo questo o quell’economista sociale; per la vita sociale la si può concepire solo così: la proprietà è la facoltà di disporre di una cosa; la proprietà in senso produttivo, nel senso del terreno, è un diritto. E questo diritto può essere reso un diritto che corrisponda alla coscienza giuridica di tutti gli uomini anziché un privilegio, soltanto se su un terreno sul quale viene determinato soltanto il diritto, si formi il giudizio se diventi possibile che lo Stato giuridico possa mettere a disposizione dell’organizzazione spirituale il profitto che ne è risultato, in modo che l’organizzazione spirituale debba trovare le giuste facoltà individuali per ciò che non viene più applicato per la produzione, cioè a servizio dell’uomo, ma per il puro profitto[1]. Così diventerà possibile apportare sempre nuove facoltà individuali all’umanità.

Ma affinché ci sia veramente un potere che porti ciò che una parte deve prendere come proprietà nel modo giusto, e non nel burocratismo, ma nella libera amministrazione delle facoltà spirituali individuali degli uomini, affinché questo avvenga, è necessario che lo Stato giuridico sorvegli la proprietà, cioè il diritto di possesso, e che non diventi esso stesso da parte sua un proprietario, ma che possa cedere la libera proprietà al gruppo spirituale che sia in grado di amministrarla nel modo migliore.

Da questo vedete che oggi partendo da queste basi sicuramente si arriva a visioni estreme, che meraviglieranno perfino voi; ma da parte mia io sono convinto che oggi i fatti della storia mondiale richiedano agli uomini queste cose. Sono convinto che ciò che vuole il proletario moderno non si possa raggiungere altrimenti che mettendo mano alla separazione dei poteri. Questa è la sola e unica ‘politica estera’ possibile oggi. E stranamente può farlo ogni singolo territorio per conto suo. Se oggi la Germania per conto suo accogliesse, come recentemente ho detto in un ‘Appello ai Tedeschi e al mondo della cultura’ sottoscritto da molte persone, se oggi i Tedeschi accogliessero questa triarticolazione, certamente potrebbero trattare con gli altri in un modo diverso da come possono farlo oggi, che esistono come Stato unitario completamente sorpassato, completamente sorpassato proprio a causa della sua precedente centralizzazione, e in sostanza non possono fare assolutamente nulla.

Con questo non voglio affatto prendere partito, ma solo dire che ciò che faccio può diventare proprio il fondamento non solo di tutta la politica interna, ma anche di una vera politica estera, perché ogni singolo Paese, ogni singolo popolo può attuarla per se stesso da solo. Oggi, se si ascolta la voce potente dei fatti, si arriva a convincersi che non si tratta più di darsi da fare solo per cambiare alcune cose di queste condizioni secondo i vecchi pensieri, ma che è necessario basarsi su pensieri nuovi, su cose nuove. Spessissimo negli ultimi anni si è sentito dire: “Tragedie tanto violente come negli ultimi quattro anni e mezzo non ci sono mai state prima in tutta la storia dell’uomo.” Oggi lo si sente dire spesso. Ma quello che doveva essere l’eco a questa affermazione, oggi non lo si sente dire ugualmente spesso, cioè: finora, per gli uomini, cambiare pensiero, cambiare modo di pensare non è mai stato tanto necessario quanto lo è oggi, quando la questione sociale ci indica che quello che bisogna cambiare più di tutto è il modo di pensare, ci indica ciò su cui più di tutto si è omesso di parlare e a cui più di tutto si è omesso di pensare.

È evidente che oggi sono gli uomini, a dover agire. Qui non si può arrivare con programmi pronti! Quello che io ho sviluppato qui non è un programma, non è una teoria sociale. Quella che ho sviluppato qui è una teoria dell’umanità corrispondente alla realtà. Non mi immagino di poter redigere un programma su tutte le condizioni che dovrebbero verificarsi; il singolo non può farlo da sé. Perché come il singolo non può formare il linguaggio, che è un fenomeno sociale, ma come il linguaggio si forma nella convivenza umana, così tutta la vita sociale deve svilupparsi nella convivenza umana.

Ma per questo gli uomini devono prima trovarsi in un giusto rapporto reciproco. [. . .] La stessa persona può essere allo stesso tempo nel parlamento economico, nel parlamento democratico, nel parlamento spirituale; dovrà solo stare attento al fatto che deve trovare il suo giudizio dalle diverse sorgenti in base alle circostanze oggettive.

Una volta che i rapporti reciproci fra gli uomini siamo corretti, il modo in cui gli uomini amministreranno la vita giuridica, quella economica e quella spirituale, ciò che gli uomini avranno da dire sul sociale, lo si vedrà poi; non bisogna stabilire un programma astratto, teorico, su ciò che è giusto in tutti i casi! La necessità di portare gli uomini a rapportarsi in modo tale per cui essi agiscano reciprocamente nel modo giusto, dovrebbe capirla (si potrebbe credere) soprattutto il proletariato moderno, e questo per il semplice fatto che il proletariato moderno ha visto l’azione reciproca fra i diversi interessi: gli interessi giuridici, economici e spirituali, agiscono reciprocamente. È così che li si porta ad agire reciprocamente in modo che essi, per forza propria, diano a ciascuno un’esistenza degna dell’essere umano, a al tutto un organismo capace di vita. Anche se è estremo, credo che bastino solo buona volontà e comprensione per introdurre questo programma sociale nella vita, questo programma sociale che non è un programma nel senso corrente del termine (bisogna chiamarlo così perché al momento non ci sono altre parole). In tal modo sicuramente la questione sociale apparirà per quella che è veramente. Certi credono che risolveremo la questione sociale che si è creata, facendo una cosa o l’altra [. . .] no, la questione sociale è nata perché gli uomini hanno raggiunto un determinato livello evolutivo. E adesso c’è e ci sarà sempre e dovrà sempre essere risolta ex novo. E se gli uomini non si presteranno a trovare soluzioni sempre nuove, alla fine le forze in gioco arriveranno a disarmonie tali, che ci saranno necessariamente sempre più sconvolgimenti rivoluzionari degli ordinamenti sociali. Le rivoluzioni vanno vinte in piccolo un passo alla volta; allora non si presenteranno in grande. Ma se non si vince ciò che si presenta nella vita giorno dopo giorno sotto forma di giustificate forze rivoluzionarie, allora, ecco allora non c’è nemmeno da meravigliarsi se ciò cui non si vuole prestare attenzione si scarica in grandi sconvolgimenti. Anzi, in un certo senso questi saranno comprensibili.

Così, credo che sarà proprio il proletariato a riuscire a sviluppare comprensione per una visione veramente estesa della questione sociale come risulta in questa triarticolazione dell’organismo sociale. E sono convinto che solo se si sviluppa una qualche comprensione, il proletario capirà di essere, nel vero senso della parola, il vero uomo moderno. Il proletario, che è stato strappato al vecchio ordine, è stato messo alla macchina, è stato inserito in un processo economico senz’anima, accanto a questo elemento che uccide l’uomo, a questo elemento che distrugge l’uomo, ha la possibilità di riflettere sulla dignità umana, su ciò che rende la vita umana veramente degna dell’uomo; ha la possibilità di riflettere fin dalle fondamenta, su tutto ciò e di considerare l’uomo soltanto in quanto uomo. Perciò si può anche credere che, se la moderna coscienza di classe proletaria sviluppa ciò che in essa è celato, ciò che vi sta dietro, cioè la coscienza della dignità umana («un’esistenza degna dell’uomo deve essere possibile per tutti gli uomini»), allora risolvendo la questione proletaria, liberando il proletariato, si risolverà una grande questione umana della storia mondiale. Allora il proletario non salverà soltanto se stesso, allora il proletario diventerà il redentore umano dell’intera umanità. Allora con la liberazione proletaria al tempo stesso potrà essere liberata tutta l’umanità, tutto ciò che in questa umanità merita di essere liberato.


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Note:

[1] Frase dal significato poco chiaro, probabile lacuna nel testo stenografato. N.d.C.

Trad. 08/2021