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OO 330 - Nuova struttura dell'organismo sociale



I compiti delle scuole e dell'organismo sociale tripartito
Conferenza per la «Lega dei giovani maestri e delle giovani maestre»

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Stoccarda, 19 giugno 1919


Mi dà una grande soddisfazione, il fatto di poter parlare anche fra i membri del corpo insegnante. Infatti, anche se mi sento chiamato dal destino alle professioni più diverse, pur cercando di capire quel che vive nelle diverse professioni e nelle diverse classi proprio in quest'epoca caotica e di disordinata, è pur vero che mi sento particolarmente a casa, per così dire, con la professione di insegnante, che anch'io ho svolto per molti anni della mia vita, anche se privatamente, ma proprio per questo in condizioni non del tutto facili. È forse questo il motivo per cui, parlando di una nuova configurazione nell'ambito dell'evoluzione umana, mi sento proprio anche chiamato a parlare nello specifico in merito a questa professione. Si può dire che proprio quando si ha una visione d'insieme di quel che vive nella nostra epoca, di quel che vi vive in termini di esigenze, di vedute, di vedute più o meno chiare o confuse su quel che deve succedere, si può dire: “Se non si ascoltasse quel che l'insegnante ha da dire su quell'esigenza epocale che oggi risuona in tutto il mondo, in tutto il mondo civile, questa sarebbe proprio la perdita più grave che si possa immaginare per la riconfigurazione della nostra vita. E se potessimo pensare che il corpo insegnante non fosse interessato a partecipare a questa riconfigurazione dei rapporti umani, dovremmo avere l'assoluta certezza che, riconfigurando le istituzioni, si creerebbe qualcosa che presto, prestissimo, avrebbe bisogno di miglioramento e che, d'altra parte, non potrebbe affatto essere in alcun modo di giovamento per l'umanità.

Da quanto ora dirò forse penserete che io abbia qualcosa da obiettare perfino contro le attuali istituzioni scolastiche; ma vi prego veramente di non prenderla come se, al tempo stesso, io volessi volgere le mie obiezioni contro l'attuale corpo insegnanti stesso. Infatti riconosco appieno che al giorno d'oggi il corpo insegnanti (anche se nel fluire della vita non sempre arriva al punto di portarlo a piena coscienza) proprio nell'attuale situazione scolastica soffre profondamente, a volte perfino geme dal dolore. Ma è proprio per questo che, forse, nella cerchia del corpo insegnanti si potrà anche discutere nel modo più profondo e significativo di quella che oggi vien detta 'la questione sociale'. Se l'insegnante in realtà (anche se si tratta meno di questo) è anche personalmente massimamente interessato a quel che deve succedere attraverso l'appello alla socializzazione della società umana nel presente e nel prossimo futuro! Infatti si può avere parecchie cose contro i programmi di partito che oggi sibilano nel mondo in modo più o meno estremo, su questo oggi non vogliamo soffermarci troppo; ma da questi programmi di partito socialisti più o meno estremi viene anche fuori ogni genere di programmi sulla cosiddetta 'socializzazione della scuola'. Se anche la scuola venisse socializzata nel senso di questi programmi socialisti, non ne deriverebbe soltanto quella trasformazione delle condizioni umane nel senso del socialismo partitico che oggi moltissimi animi timorosi paventano, ma molto verosimilmente, anche se al giorno d'oggi non lo si capisce ancora bene, succederebbe che con la realizzazione dei programmi di partito socialisti per la scuola si attuerebbe la più pura follia pedagogica. Anche se detto così è a sua volta un po' estremo, vogliate perdonarmi, perché non ho alcuna propensione a sviluppare qualcosa che non sia un'idea obiettiva, un'idea obiettiva pratica, e non intendo assolutamente sviluppare qualcosa di partitico in una qualche direzione.

Con queste parole introduttive capirete bene che proprio riguardo alla nostra scuola attuale si pone la domanda: Come si presentano i frutti di questa scuola nella vita pratica, in quella vita pratica che oggi richiede dappertutto una trasformazione?

Se ci affezioniamo non solo teoricamente, ma col cuore e con i sensi alla scuola come al fattore più importante dell'evoluzione dell'umanità, dobbiamo dirci quanto segue. Vediamo che oggi, in modo talvolta proprio preoccupante, persone che non riescono affatto ad avere una visione d'insieme della vita e delle sue reali esigenze enunciano programmi di partito. Vediamo che si crede che a voler riformare o rivoluzionare la vita siano solo le persone che potrebbero riformarla o rivoluzionarla nel peggior modo possibile. D'altra parte dobbiamo chiederci: in sostanza, le anime di tutti coloro dei quali oggi così tanti hanno paura, queste anime non hanno frequentato le nostre scuole? Oggi guardiamo con paura al proletariato, e bisogna perfino ammettere che questa ansietà non è del tutto ingiustificata, non è affatto ingiustificata. Però questo proletariato ha frequentato le nostre scuole e dobbiamo dirci, se non siamo proprio di corte vedute, che sono state le nostre scuole ad educare questo proletariato. E in quel che il proletariato vuole, come anche laddove esso è in errore, dobbiamo comunque riconoscere qualcosa che si esprime nel detto: “Li riconoscerete dai frutti”. Questa non deve essere una superficiale frase sediziosa, dovrebbe solo richiamare l'attenzione sul problema storico-culturale del nostro attuale sistema educativo e scolastico. Allora deve esserci chiaro quanto segue.

Col proletario, negli ultimi tre-quattro secoli, ma specialmente nel diciannovesimo secolo, è stato tirato su un uomo nuovo, un uomo che nei secoli precedenti, con questa costituzione corporea e animica e spirituale non c'era mai stato prima. Ciò che identifica l'attuale proletario è che al contrario degli altri membri della società umana egli, in misura molto maggiore di prima e in un certo senso con tutta la sua esistenza umana, è appeso per aria. E deve interessarci specialmente dal punto di vista pedagogico, il fatto che il proletario attuale è quell'uomo che riguardo alla sua esistenza deve dirsi: “Se è spinto, o se gli altri lo spingono, ad abbandonare il suo lavoro, si trova di fronte al nulla”. Quindi, in un certo senso, egli non si sente più in connessione con ciò che tiene insieme la società umana. D'altra parte bisogna dire che in sostanza l'educazione da parte della scuola, proprio nel periodo in cui il proletariato si è sviluppato in questa maniera, è stata portata avanti in modo da non poter fare dell'uomo un uomo completo. Certamente non per colpa del corpo insegnanti, ma a causa della dipendenza della scuola dallo Stato e dai poteri economici! Nel periodo trascorso direttamente col bambino mentre cresceva ce ne si sarebbe potuti occupare in modo molto più adeguato basandosi sulla vera conoscenza del divenire umano – ma come insegnanti si era incastrati fra due poteri che sostanzialmente non hanno sempre agito nel senso di quello che l'insegnante doveva considerare il proprio compito riguardo all'educazione dell'uomo da parte della scuola.

Oggi, che appunto abbiamo una scuola che sicuramente è progredita, ma che tuttavia si è sviluppata da stadi precedenti, oggi l'insegnante è incastrato fra la famiglia e lo Stato. Ora, naturalmente, ci sono sempre delle eccezioni, e ovviamente una parola che vuole caratterizzare qualcosa non deve necessariamente essere applicabile a tutti i casi, ma nel complesso è così, anche se è detto in modo estremo: oggi l'insegnante deve accogliere a scuola i bambini viziati dai genitori, e quando li licenzia dalla scuola e li deve passare allo Stato, lo Stato a sua volta quanto prima succhia fuori dalle anime ciò che l'insegnante si è dato da fare per immettere in queste anime. Fra questi due estremi, che non agiscono affatto nel senso dell'educazione da parte della scuola, oggi l'insegnante è veramente incastrato. E se si rende pienamente consapevole della propria professione, allora in realtà geme dal dolore fra queste due diseducazioni del suo allievo, la diseducazione da parte della famiglia e la diseducazione da parte dello Stato. Come ho già detto, così è detto in modo estremo. Ma in fondo dalla famiglia riceviamo bambini diversi da quelli che inizialmente sono stati tirati su dai genitori stessi, che sono venuti su coi genitori in modo da venire a scuola con tutti i pregiudizi della coppia di genitori, in modo che in essi si è scolorito tutto quel che i genitori stessi portano in sé nei loro animi e nella loro costituzione animica – a partire dallo stato e dalla classe in cui si trovano? E dall'altra parte licenziamo i bambini dalla scuola, li lasciamo andare nella vita, dobbiamo mandarli nella società dello Stato. Che cosa ciò significhi proprio per l'epoca attuale, ce lo mostra tutta la tragica situazione in cui l'umanità si trova oggi.

Certamente, abbiamo vissuto una grande sciagura e vivremo ancora altra sciagura. Ma nella sciagura (e se solo fossimo riusciti a vederci più chiaro, avremmo potuto accorgercene anche nella fortuna) non ci siamo accorti che una caratteristica di fondo dell'uomo attuale consiste proprio nel fatto di non aver sviluppato nell'infanzia quella forza animica interiore che gli avrebbe consentito di inserirsi nella vita in modo che il destino non potesse piegare il suo pensare, il suo sentire e il suo volere? Più di quanto si creda, oggi in tutte le classi ci sono i caratteri piegati, le nature si sono piegate. Lo si vede nei pensieri e nelle rappresentazioni oscure, nebulose, che oggi le persone si fanno in tutto il mondo civile sui terribili eventi che sono sopraggiunti. In realtà, oggi si può capire come questo è successo? Si è ancora in grado di avere una visione d'insieme di qualcosa nella vita? Ci si sente ancora abbastanza forti anche per inserirsi attivamente nella vita? Nature umane piegate, più di quanto si creda, ecco che cosa sono in realtà i nostri contemporanei! E dobbiamo anche interrogarci sul motivo per cui la scuola non è riuscita a procurare quel che avrebbe costituito nell'uomo un sostegno sicuro per la vita, in modo che egli non potesse essere piegato dalla vita e dal suo destino.

Se il compito di formare l'uomo in modo che egli potesse inserirsi nella vita grazie a quel che la scuola gli dava fosse stato lasciato già da molto tempo soltanto alla scuola, la situazione adesso sarebbe diversa. Ma non è andata così. La scuola poteva dare all'uomo qualcosa. Ma chi faceva parte delle cerchie privilegiate non poneva l'uomo nella vita attraverso la scuola, ma attraverso la famiglia, grazie alla parentela, grazie alla protezione e cose del genere. Si provvedeva a che il giovane ottenesse un posto o l'altro appunto attraverso i contesti dei quali si faceva parte nella vita. L'unica persona che fa eccezione, per la quale questo non vale, è il proletario. Perciò anche per la scuola egli è il vero e proprio 'uomo moderno'. Il figlio del proletario non può essere tanto viziato (ovviamente per altre cose, ma non dai genitori) perché i genitori non ne hanno il tempo. E il figlio del proletario, quando viene licenziato dalla scuola, non viene inserito nella società umana grazie a connessioni famigliari, attraverso protezioni e simili, bensì deve inserirsi nella vita per mezzo di quello che è in base alla sua costituzione animica interiore. Perciò il proletario, l'uomo che viene lasciato all'umanità, che può poggiare solo su se stesso, è in una situazione del tutto diversa da questo punto di vista rispetto alle persone delle classi dominanti. Questo è proprio quel che ha dato la segnatura alla nostra scuola, che le ha impresso il carattere; è ciò su cui adesso bisogna riflettere. Ed è anche ciò che pone le domande a partire dalle quali proprio il corpo insegnanti deve occuparsi dei grandi problemi sociali di quest'epoca.

“Come dobbiamo forgiare l'uomo per la vita? Come dobbiamo educare, con la scuola, in modo che l'uomo, nel periodo in cui frequenta la scuola, formi quelle forze che sono predisposte nella sua interiorità (le forze del pensare, del sentire, del volere, dell'agire) in modo che esse nel periodo successivo della vita siano presenti con una forza tale che il destino non riesca a piegarle?” questa domanda si pone in un modo del tutto nuovo. Questa domanda sorge insieme alle domande fondamentali del proletariato con una forza mai vista prima. “Come si deve educare, come si deve educare con la scuola?” oggi questa domanda ha un nuovo aspetto. E proprio per questo è necessario che soprattutto l'insegnante si faccia un giudizio su come debbano svilupparsi, a scuola, le persone che devono essere inserite nella vita. Quel che in realtà oggi si richiede, ma della cui forma nei diversi programmi di partito e opinioni di partito ci si fanno dei concetti veramente oscuri, e il modo in cui al giorno d'oggi si considerano queste domande, si evidenzia proprio nei programmi scolastici e nelle idee scolastiche socialiste che vengono divulgati. Basti guardare solo un paio di punti principali di queste idee scolastiche e programmi scolastici socialisti. Qui per esempio certe personalità socialiste sottolineano la scuola unitaria. Essa non deve essere uniformata; deve essere il più possibile differenziata, in modo da tener conto delle singole capacità e predisposizioni umane. I socialisti esprimono questa esigenza dicendo: noi pretendiamo la differenziazione del piano di studi per la scuola unitaria, ma pretendiamo l'unitarietà della 'organizzazione'. Cioè, la scuola unitaria deve essere organizzata in un modo uniforme. L'istituzione organizzativa non deve tener conto in un certo modo di come siano le individualità umane, ma questo va prima introdotto, certo: e in che modo?

È molto strano che un simile programma scolastico possa venir fuori dalla sfera socialista, per il semplice motivo che i socialisti, con la loro concezione materialistica della storia, sottolineano sempre che l'uomo è in tutto e per tutto il prodotto delle circostanze esterne, che non è affatto il prodotto di concezioni morali, giuridiche, estetiche, religiose. Tutto questo: il diritto, la moralità, le concezioni religiose, estetiche, anche la scienza, tutto questo il socialismo lo chiama, nel suo papato marxista, una semplice 'sovrastruttura ideologica'. Per il socialismo la realtà è il modo in cui sono organizzate le condizioni economiche. È questo, in realtà, che fa l'uomo, il resto esala tutto nell'anima umana come una sovrastruttura ideologica. E ora il socialismo imposta un programma che richiede un'uniformazione dell'organizzazione e una specializzazione del piano di studi. Il piano di studi porterebbe poi qualcosa che più o meno dovrebbe essere la sovrastruttura ideologica, e l'organizzazione offre le circostanze in cui il bambino dovrebbe essere inserito, attraverso le quali l'uomo dovrebbe essere formato e configurato. Se si richiede un'uniformazione dell'organizzazione, in realtà si richiede, secondo le idee fondamentali del socialismo, l'uniformazione di tutta la natura umana, perché la differenziazione del piano di studi non farà sì che l'oggetto di questa differenziazione non sia solo 'sovrastruttura ideologica'. Proprio in questo programma potete studiare quali contraddizioni pullulino venendo fuori dalle attuali esigenze dell'epoca e che cosa dovrà succedere, se ci si pensa che in qualche modo dalle attuali esigenze dell'epoca queste contraddizioni debbano diventare realtà!

Però le rivendicazioni stesse dell'epoca: possiamo fare qualcosa contro di esse? Contro le rivendicazioni del tempo in realtà non possiamo fare niente. Esse ci sono. Una buona volta, l'umanità al suo stadio evolutivo attuale ha raggiunto un certo livello di consapevolezza, una buona volta ha conseguito una certa costituzione animica che appunto si esprime proprio nelle rivendicazioni proletarie, che possono essere solo il segnale per una ricostruzione che avviene in senso del tutto diverso da come se le immagina il proletariato. Ma nell'umanità che continua ad evolversi un certo impulso interiore ha afferrato questa umanità, e questo impulso si esprime già da tempo in due parole (due parole che nel nostro tempo sono già molto fortemente diventate luogo comune e slogan): democrazia e socialismo. Queste due parole premono con forza sempre crescente dallo sfondo dell'evoluzione umana. E ai nostri tempi, anche se vengono dette molte stupidaggini sulla democrazia e anche sul socialismo, tuttavia va detto che nel nostro tempo entrambe risuonano con accresciuta forza da questi sfondi dell'umanità. Si richiede una maggiore misura di democratizzazione dell'apparato statale, e si richiede anche una maggiore misura di socializzazione della vita economica. Contro queste rivendicazioni non si può fare assolutamente niente, esse sono certamente rivendicazioni elementari dell'evoluzione umana. Ma di fronte ad esse il compito è quello di prendere posizione in loro favore in modo ragionevole. Che cosa significano proprio queste due rivendicazioni: democrazia e socialismo?

Esse in realtà significano che molto di più di quanto sia avvenuto finora, quel che avviene nella società statale ed economica viene rimesso alla volontà del singolo individuo. Nella democrazia il singolo individuo vuole partecipare in una misura maggiore di quanto abbia fatto finora alle istituzioni statali, fin dentro alle sottomesse cerchie proletarie. Nella socializzazione l'uomo vuole nuovamente avere un influsso individuale, personale, vasto sulla vita economica. Basti solo ricordarsi superficialmente com'era la situazione in epoca precedenti, e ci si dovrà dire che la comunità umana era molto più unita. Il singolo aveva molto di più la tendenza, per tradizioni, costumi, usanze, ad introdurre in sé quel che un superiore o da qualche altra autorità poneva su di lui. Con la democrazia e la socializzazione l'uomo vuole tirarsi fuori da questo sentimento per i superiori, da questo sentimento per l'autorità. E, volendo tener conto di queste rivendicazioni, soprattutto da parte socialista, che cosa si pretende, in realtà, per la scuola? Anche per la scuola si pretende la socializzazione. Si immagina che ciò che ora deve subentrare fra gli adulti nella vita statale ed economica, forse un pochino attenuato, tuttavia in un certo grado prenda posto anche nella scuola. In un programma steso da un pensatore socialista c'è anche scritto che in futuro si dovrà abolire – certo, oggi si vuole 'abolire' tutto –, questa è la più grande preoccupazione delle persone, di come lo si ricostruisce, si preoccupano di meno – che si deve abolire l'autorità del rettore, del direttore. Anche la stessa autorità dell'insegnante la si vuole limitare fino ad un certo grado, e si parla di scuole con una certa autogestione degli allievi, in cui l'insegnante dovrebbe inserirsi nella scuola in maniera cameratesca. E con l'estromissione del rettorato e della direzione poi dovrebbero crescere quelle persone che allora dovrebbero essere particolarmente adatte per la democrazia e il socialismo. Questo dunque significa che in realtà si vuole impostare già anche per i bambini quella che si affaccia come una esigenza evolutiva dell'umanità per le condizioni della società degli adulti. Però, così facendo, si dimentica una cosa. E il fatto che la si dimentichi ci dimostra quali cattivi psicologi, quali cattivi ricercatori dell'anima abbia la nostra epoca. Infatti buoni studiosi dell'anima non penserebbero mai: “Se fra gli adulti si allentano i vincoli, allora si allentino anche i vincoli fra i bambini in crescita”. Infatti buoni studiosi dell'anima direbbero l'esatto contrario. Direbbero proprio, ecco, se c'è già l'esigenza dell'epoca che fra gli adulti nella società umana si allentino i vincoli, in modo che ci siano più democrazia e socialismo, tanto più i bambini devono essere educati in modo da diventare, nell'epoca successiva della vita, capaci di democrazia e socialismo. Infatti, se già da bambini vengono educati in modo che fra loro nell'organizzazione della scuola regnino il più possibile democrazia e socialismo, allora con ogni certezza nel periodo successivo della vita non ci sarà più nulla di adatto alla democrazia e al socialismo.

Questo è quello che, secondo la mia convinzione, dovrebbero dire i bravi psicologi che prendono sul serio il socialismo e la democrazia per l'umanità adulta. Dovrebbero dire: “Dunque, a maggior ragione dovrebbero essere posti nell'animo dei fanciulli dei semi che poi nello stadio adulto non possano essere sradicati dalla democrazia e dal socialismo!” Ma ecco che questo ci porta alla questione fondamentale della metodica scolastica, alle questioni fondamentali della pedagogia, perché questa pedagogia in futuro dovrà certamente avere un aspetto diverso da quello che aveva in passato. In futuro prima di tutto dovrà procedere da una profonda osservazione dell'essere umano, della natura umana stessa. Si dovrà studiare la natura stessa dell'uomo molto più a fondo di quanto lo si possa fare oggi, per poter agire fra i bambini come insegnante. La nostra scienza naturale ha festeggiato i suoi massimi trionfi negli ultimi quattro secoli. Chi conosce i metodi, la modalità della ricerca scientifico-naturale, sa anche quanto dobbiamo a questo orientamento scientifico-naturale e a questa mentalità scientifico-naturale per gli ultimi quattro secoli dell'umanità. Ma è impossibile, proprio quando la scienza naturale compie il suo ideale, riconoscere l'uomo per mezzo di tale scienza naturale. Non si riesce mai a conoscere l'uomo con la scienza naturale! Perché l'uomo, con tutti i concetti che può farsi osservando la natura, non può mai riconoscere in sé ciò che in lui va al di là di tutta la natura, ciò che in lui è animico-spirituale. Perciò è perfino comprensibile che nell'epoca in cui la scienza naturale ha raggiunto il suo apice massimo, la conoscenza dell'uomo proprio per la nostra civiltà occidentale (i Paesi orientali ce lo rinfacciano con sufficiente forza) è retrocessa sempre di più. Chi abbia acquisito la scienza naturale nel senso odierno sa come l'essere umano vero e proprio gli si sgretola fra le mani, proprio se si coltiva bene la scienza naturale. Però non è che soltanto alla scienza naturale si sgretoli fra le mani l'essere umano, anzi, quello che è diventato il modo di pensare scientifico-naturale, il modo di rappresentazione scientifico-naturale, ha preso possesso dell'intera coscienza dell'epoca. Questo vive in ogni editoriale di un periodico, e domina nelle cerchie più vaste che oggi prendono parte nel senso più moderno alle esigenze del tempo. E questo ci mostra un dilemma molto significativo.

Potrei citarvi molti esempi, che potrebbero dimostrarlo. Ne cito soltanto uno. Oggi c'è un ricercatore naturale molto importante, Oskar Hertwig, che nel suo settore, la biologia, è una persona di spicco, forse è uno dei più grandi, dei più importanti biologi dei nostri giorni. Alcuni anni fa scrisse un libro: "Il divenire degli organismi, una confutazione della teoria del caso di Darwin", un libro molto bello e significativo dal punto di vista scientifico-naturale. Ed ecco che arriva lo jettatore a dirgli che dovrebbe scrivere un libro sociale, un libro sulle questioni giuridiche sociali. E questo libro è la stoltezza più pura, è idiozia. Questo è un fenomeno caratteristico. Oggi si può pensare in modo penetrante dal punto di vista scientifico-naturale, si possono dominare scrupolosamente i metodi in senso scientifico-naturale, e si può non sapere assolutamente nulla riguardo a tutto l'aspetto sociale e giuridico e a ciò che porta l'uomo oltre la natura.

Proprio per il fatto che anche il nostro pensiero pedagogico è stato afferrato dal pensiero scientifico-naturale, ha smarrito il vero sguardo sull'uomo in divenire, in crescita. Però questo uomo in divenire, in crescita, sarà il più grande problema della pedagogia futura. So molto bene che su quel che dirò nelle frasi che seguono qualcuno dirà che io stia dicendo delle ovvietà. Però appunto al giorno d'oggi di questa ovvietà si tiene troppo poco conto. C'è un detto (ci sono molti detti che sono giusti, se correttamente applicati, e totalmente falsi se applicati scorrettamente), che dice: “La natura non fa salti”. Ecco, la natura fa salti proprio dappertutto. Quando passa dalla foglia verde al petalo colorato, fa un salto, e quando passa dal petalo colorato al pistillo fa un altro salto. La natura fa salti veri e propri. È così anche nella vita umana, se solo si osserva questa vita umana abbastanza profondamente.

Abbiamo tre periodi di vita nettamente distinti l'uno dall'altro nella giovane età. Il primo comprende l'età infantile fino alla seconda dentizione. Tale dentizione è accompagnata da un intervento nell'organismo umano molto, molto più intenso di quanto in un certo modo sospetti la psicologia moderna. L'intera essenza dell'uomo, come si sviluppa dalla nascita al cambio dei denti, dopo aver attraversato la dentizione diventa totalmente diversa a livello animico-spirituale e, fino ad un certo grado, anche a livello fisico. Il secondo periodo di vita è quello che va dalla seconda dentizione alla maturità sessuale. Il terzo inizia con la maturità sessuale e va fino alla fine del secondo e all'inizio del terzo decennio di vita, fino ai vent'anni. Nella futura antropologia uno studio più preciso, fondato sulle caratteristiche interiori dell'uomo, dell'uomo in divenire, deve diventare una reale pedagogia.

Nel primo periodo di vita per il bambino in crescita c'è un certo fattore della crescita che domina su tutto il resto: il bambino è un imitatore. Il bambino è predisposto in modo che fino ai gesti che compie, fino ai movimenti che esegue con le mani, fino ai talenti che sviluppa, assume in sé, in quanto essere imitativo, la natura delle persone che agiscono nel suo ambiente. Questo va molto più in là quanto si creda. Quel che agisce da uomo a uomo è oggettivamente molto più profondo di quanto si immagini di solito. Se siamo una persona buona nell'ambiente di un bambino, assieme ai nostri gesti esteriori nel bambino passa anche il nostro bene, la nostra capacità di amare, la nostra benevolenza. E in modo particolare solo quando cominciamo ad imparare la lingua dall'ambiente circostante c'è un travaso nel futuro uomo in divenire di quel che animicamente i genitori e l'ambiente circostante hanno comunque serbato nell'anima. Il bambino si adatta completamente al suo ambiente, diventa come l'ambiente, perché nella natura umana fino al momento della seconda dentizione domina il principio dell'imitazione. Lo si può osservare nei singoli casi.

Ecco che arrivano dei genitori e dicono: “Oh, ne abbiamo passata una proprio brutta, con nostro figlio, il bambino ci ha derubati!” allora bisogna dire: “Vedete, forse per il bambino quel che ha fatto non equivale affatto ad un furto, quanti anni ha il bambino?” “Cinque anni”. Si chiede ancora: “E dunque com'è accaduto il fatto?” “Ha aperto il cassetto, ha preso una banconota (sto raccontando un determinato caso concreto) e ha perfino spartito con gli altri bambini le leccornie che si è comprato” Allora si può dire ai genitori: “Certamente non è necessario lasciar passare una cosa del genere, però è successa solo e soltanto perché il bambino ogni giorno ha visto parecchie volte: la mamma va al cassetto, prende una banconota per comprare qualcosa. Il bambino imita, fa la stessa cosa, non lo fa come un torto, ma come qualcosa che deve succedere in maniera ovvia secondo il principio d'imitazione”. Perciò fino alla seconda dentizione i genitori devono pensare meno ad agire sul bambino con ogni specie di predica e buoni insegnamenti, il che non ha nessuna importanza, perché in questo periodo per il bambino gli insegnamenti sono solo un suono che raggiunge l'orecchio infantile, invece i genitori devono pensare ad essere in un modo che il bambino possa imitare tutto. Questo, in questo periodo, sarebbe il miglior principio educativo.

Se si riflette un po' sulla situazione attuale, non sembrerà più tanto un'esagerazione, che si dica che molto spesso la scuola riceve bambini poco ben educati. Infatti questo principio, di non fare nulla, di non dire nulla, perfino di non pensare nulla che potrebbe corrompere il bambino con l'imitazione, questo principio è veramente ancora poco diffuso. Ma che cosa c'è in questo principio dell'imitazione? Ecco, se nei primi anni infantili si tiene conto di questo principio dell'imitazione, se nelle forze dell'anima si rafforza soprattutto quel che può essere rafforzato per mezzo del principio di imitazione osservato correttamente, allora nel bambino sorge qualcosa che in seguito (perché spesso nella vita i fiori di ciò che è stato seme sbocciano veramente tardi), che in seguito lo rende capace di essere un uomo veramente libero. Chi non ha mai avuto nell'ambiente che lo circondava persone tali da potervisi abbandonare a tal punto da poterle imitare, da poter accogliere in se stesso ciò che esse fanno, non sarà preparato per una vita democratica, non sarà mai capace del godimento della libertà nella vita. È questo, che bisogna considerare il contesto della vita. Bisogna solo avere chiarezza, come ho già detto, su fatto che i fiori e il frutto di quel che è stato seminato nella vita dell'uomo a volte sbocciano appunto molto più tardi di quanto si pensa. Quel che viene seminato nei primi sette anni di vita per mezzo di un giusto principio di imitazione allora si imprime profondamente nell'anima del bambino e sboccia solo a vent'anni e per tutto il resto della vita. Com'è per tutto, nella vita, è così: nessuno che nella sua infanzia non sia stato educato con le mani a pregare sviluppa nel periodo successivo della vita la capacità di benedire con le mani. Ciò a cui si viene educati nell'infanzia spesso nella vita si trasforma proprio nel contrario, il pregare si trasforma in benedire e altro del genere.

Poi inizia il periodo che è più importante per la scuola, il periodo che va dalla seconda dentizione alla maturità sessuale. Questo periodo ha a sua volta un principio caratteristico di base nell'uomo in crescita. Questo è (se si studia realmente l'uomo, lo si vede) il sentimento d'autorità. Non c'è alcuna possibilità di sviluppare certe forze del pensare, del sentire e del volere nell'uomo in crescita fra il sesto, settimo anno e il quattordicesimo, quindicesimo anno, che poi devono essere sviluppate, se si vuole educare il bambino in questi anni senza il sentimento d'autorità. In questi anni ci si deve volgere ad un altro o a più altre persone in modo da potersi dire (anche se da bambini non lo si dice), ma che con sentimento interiore ci si possa dire: “Quel che dice questa persona è vero”. Non si impara mai a cercare la verità nella vita se non la si è prima cercata in una persona che per noi era autorevole. Non c'è alcuna possibilità di formare certe facoltà nella natura umana se, grazie a quel che noi siamo in quanto insegnante ed educatore, non mettiamo il bambino in condizione da ritenere che noi, per lui, siamo l'autorità assoluta. In questo senso nella scuola deve regnare una specie di sacro sentimento d'autorità. E se si crederà che qualcosa di diverso da questo sacro sentimento d'autorità educherà alla democrazia e al socialismo, se si crederà che una comunità scolastica democratico-socialista educherà in questo senso, ci si sbaglia veramente di grosso. Se per le persone adulte si vuole un interiore essere all'altezza, se si può dire così, della vita democratica e socialista, allora i bambini devono aver imparato a sollevare lo sguardo verso gli insegnanti come a delle autorità. È soprattutto questo, che dobbiamo introdurre nella scuola come un'atmosfera, se vogliamo educare proprio nel modo giusto per le esigenze della nostra epoca. Solo se un uomo fra il suo settimo e il suo quattordicesimo anno di vita cresce in modo da avviticchiarsi in un certo senso verso l'alto su un'altra persona che per lui sia un'autorità, si sviluppa l'uomo compiuto che si deve sviluppare. E questo uomo compiuto può svilupparsi solo se noi in questo periodo trattiamo pedagogicamente alcune cose in modo veramente fondamentale. Qui bisogna dire che proprio per questo periodo, in connessione al sentimento dell'autorità, è specialmente caratteristica soprattutto una cosa. Conoscete tutti quel che ha detto Jean Paul, cioè che in realtà nei primi tre anni dell'infanzia impariamo dalla nostra balia, per la vita, di più di quanto impariamo in seguito in tre anni di accademia. Era ancora così quando viveva Jean Paul. Questo detto è assolutamente giusto, non c'è niente da obiettare. Però sapete che si richiede qualcosa alla fisiologia del bambino. Il bambino non ha bisogno di essere maltrattato riguardo alla sua memoria. Esso tiene a mente, conserva nella memoria tanto quanto gli serve conservare in questa fascia d'età fino alla seconda dentizione. Con la seconda dentizione però comincia la necessità di prendere in considerazione attentamente la memoria del bambino. Qui si tratta prima di tutto del fatto che in questo periodo non si sovraccarichi la memoria, cioè che non si pigi nella memoria qualcosa che poi a sua volta cada fuori da sé. Non si crede affatto, e il fatto di non saperlo è a sua volta una conseguenza della cattiva psicologia odierna, quanto sia male per una persona che in questo periodo la sua forza mnemonica venga così maltrattata che egli debba incorporare nella memoria cose che debbano poi di nuovo uscirne da sé. Perciò bisogna provvedere ad agire il più possibile per mezzo di ripetizioni e cose simili (le ripetizioni devono costituire il fondamento per il periodo fra il settimo e il quattordicesimo, quindicesimo anno), che le cose che prima sono state spiegate in modo esaustivo vengano riassunte il più possibile in brevi frasi preparate così per la memoria, che si abbiano veramente certe cose in sé, in modo da conservare in sé da questi anni di vita almeno fino ad un certo grado certe cose come il Cristo il suo Padrenostro (anche se in un grado inferiore), in modo che questo ritorni a galla sempre di nuovo, che costituisca una componente della vita interiore dell'anima. Proprio per questo periodo non dobbiamo dimenticare di tener conto soprattutto dello sviluppo delle forze dell'anima. In questo senso però abbiamo peccato molto. Infatti di questi tempi si tiene maggiormente conto delle materie di insegnamento che vengono richieste dalla vita e dallo Stato, piuttosto che della persona in crescita stessa. Attualmente è proprio così: tutto ciò che è così convenzionale per la vita come il leggere, lo scrivere, non è qualcosa di interiormente fondato come per esempio la geometria o l'aritmetica. Il fatto che noi abbiamo proprio questa lingua è appunto una cosa che si connette in modo meno elementare con il mondo esterno, anche con il mondo in generale. Il fatto che noi abbiamo queste lettere è meno collegato al mondo in generale rispetto al fatto che, per esempio, un triangolo ha tre lati o che la somma dei suoi angoli è di 180 gradi o cose del genere. Tutto ciò che è tanto convenzionale come il leggere e lo scrivere, possiamo applicarlo di preferenza per la formazione dell'intellettualità, forma soprattutto l'intelletto. Porterebbe troppo lontano se adesso volessi spiegare questa frase di una vera psicologia in modo più esteso, ma chi osserva la vita da tutti i lati troverà che è proprio così. Per contro, tutto ciò che ha maggiormente a che fare con le circostanze generali del mondo o che si rivolge alla memoria dell'uomo, come la lezione di storia o di geografia, si riallaccia a sua volta di più, anche se può apparentemente suonare paradossale, alle forze del sentimento, forma il sentimento. E tutto ciò che di artistico offriamo al bambino piccolo forma la vita volitiva, e in realtà noi dovremmo organizzare le singole materie di insegnamento in modo da tenere sott'occhio l'uomo che si sta sviluppando e da sapere sempre: con questo formiamo il pensare, con questo formiamo il sentire, con quello formiamo il volere. Si tratta dell'uomo che si va sviluppando, non di una data somma di sapere. Se abbiamo questi principi fondamentali, i bambini imparano qualcosa che oggi si impara molto poco. Oggi si impara moltissimo, geografia, aritmetica, disegno, ecc. Non voglio parlare di questo. Però dovrebbe essere insegnato come ho detto adesso; ma si insegna poco ad imparare. La vita stesso però è la grande scuola della vita, e si esce nel modo giusto dalla scuola solo se ci si porta dietro dalla scuola la capacità di imparare tutta la propria vita dalla vita. Ma non ci si riesce, se in questi anni si viene stipati di sapere. Ci si riesce soltanto se la scuola viene utilizzata per formare nell'anima dell'uomo queste forze del pensare, del sentire e del volere. Allora si impara ad imparare dalla vita. Se vogliamo la democrazia e il socialismo, non dobbiamo avere la superbia di poter decidere tutto e di poter già sapere tutto.

Dobbiamo abbandonare la mania di grandezza che basti essere una persona ragionevole maggiorenne di ventun anni per essere eletto in tutti i parlamenti nazionali, per parlare come parlano quelle persone che hanno esperienza di vita. Bisogna invece essere educati alla più profonda modestia umana, che non siamo uomini assolutamente perfetti per un istante, ma uomini che ci evolviamo dalla nascita alla morte. Che ogni giorno di vita ha un valore, e che noi non arriviamo per niente ai trent'anni, dopo aver passato i vent'anni, ma che ogni nuovo giorno e ogni nuovo anno ci portano sempre nuove rivelazioni. Ma questo deve essere predisposto come un reale impulso di vita per mezzo di cose, a scuola, come quelle che ho detto appunto adesso. Nell'epoca scientifico-naturale queste cose non hanno sempre potuto avere giustizia. Nell'epoca scientifico-naturale, per esempio, si è insinuato nella scuola un principio che, osservato da una parte, è straordinariamente giusto, ma che visto dall'altra parte è massimamente preoccupante, si tratta dell'evidenza. Mi terrorizza sempre un pochino, quando entro in un'aula scolastica e vi vedo il pallottoliere col quale i bambini dovrebbero imparare a contare e a fare addizioni in modo 'evidente'. Nell'aritmetica funziona ancora. Ma se si estende in modo estremo il principio dell'evidenza, va detto, per contro, che sicuramente nella pedagogia il principio dell'evidenza è giustificato soltanto se nel mondo tutto è veramente evidente. Ma credete che nel mondo sia tutto realmente evidente? Ci sono appunto moltissime cose che nel mondo non possono essere evidenti, e precisamente tutto ciò che ha valenza di sentimento, di volontà, la simpatia, l'antipatia ecc. Questi non possono affatto essere portati all'evidenza, devono proprio passare attraverso fluidi indeterminati, se mi consentite di usare questa espressione, dall'insegnante agli scolari proprio attraverso il principio d'autorità. Questo ha una grandissima importanza storico-culturale. Vediamo come oggi le persone siano eccessivamente formate formalmente intellettualmente, proprio nella nostra civiltà occidentale, e come tutte le richieste che fanno alla vita si trasmettono sempre in principi razionali. Ora, la cosa più più razionale di tutte, quella che è tutta solo razionalità, è il programma marxista. Questa è proprio la caratteristica fondamentale del programma marxista, il fatto cioè di essere stato strutturato esclusivamente dalla razionalità. In realtà quel che si trova nel programma marxista lo si capisce nel modo giusto solo se si sa che tutto ciò che contiene è dettato esclusivamente dalla razionalità, da una razionalità molto acuta, da una razionalità iperacuta, spesso geniale – ma solo dalla razionalità. Nella natura umana, nell'anima umana, le singole forze animiche stanno in rapporto di scambio reciproco. Quando una forza viene formata troppo fortemente, le altre restano indietro, alcune forze si formano di più, altre restano indietro. Se le forze della ragione vengono formate con troppa forza, le emozioni rimangono indietro ad un livello inferiore. Diventano certamente forti, ma diventano elementari, diventano selvagge. E così vediamo che nella nostra epoca dell'intelligenza le emozioni più selvagge, gli istinti più terribili vengono fuori come 'esigenze storiche'. Perché è questo, che viene dall'Europa dell'est, quello che inizia a inondare l'Europa centrale: le esigenze istintive elementari che sono il polo opposto dell'intellettualità. Si vorrebbe che a questo proposito una buona volta le persone cominciassero a riflettere sui nessi veri e propri.

Qui per esempio ci sono due filosofi, veramente due bravi borghesi. Il primo è più uno scienziato naturale nel mondo del diciannovesimo secolo, è Avenarius, l'altro è Mach. L'uno è a Zurigo, dove ha anche insegnato, l'altro a Vienna. Entrambi, Avenarius e Mach, avevano formato alla massima potenza lo spirito scientifico-naturale. Avevano fatto di questo spirito un edificio dottrinale filosofico. Perché? Perché il principio di far valere soltanto l'evidenza della scienza naturale per la scienza umana per loro era tutto. Queste persone erano veramente dei borghesi molto bravi e buoni, posso assicurarvelo. E ora la filosofia di Avenarius e la filosofia di Mach sono diventate la filosofia di Stato in Russia! Questo nesso potrebbe sembrare inspiegabile. Esteriormente forse lo si potrebbe voler spiegare col fatto che molti bolscevichi hanno studiato a Zurigo. Ma questo non ha importanza, perché a uno non piace un filosofo col quale non è interiormente affine. Invece il nesso interiore consiste nel fatto che, di fatto, ciò che è venuto ad espressione in questo pensiero scientifico-naturale-evidente è così unilaterale che dall'altra parte, grazie al mistero della natura umana, suscita quelle emozioni, quegli istinti elementari, che poi si estrinsecano nel bolscevismo. Non è un caso, c'è dietro una regolarità interiore. E nessuno più del corpo insegnante deve riflettere su queste cose, perché queste cose fanno parte nel modo più intenso della pedagogia culturale.

Dobbiamo semplicemente chiederci: come dobbiamo educare il bambino? Nella nostra epoca non possiamo darci soltanto alla metodica, alla pedagogia e alla didattica formale, dove tutto è sottosopra, dobbiamo portare la storia della cultura proprio alla costruzione di una pedagogia sana. Perciò dobbiamo di nuovo contrapporre al principio dell'evidenza qualcosa che formi la volontà. Nella nostra cerchia abbiamo cercato (si può avere qualcosa in contrario, ma è nella direzione che ho appena spiegato) abbiamo cercato di porre al posto della ginnastica esclusivamente fisiologica, dove in realtà si prendono in considerazione soltanto i movimenti delle membra in relazione alla fisiologia, l'euritmia, che in realtà è l'arte del movimento animica dell'uomo, e dalla quale si porrà già in risalto che tanto quanto essa è arte, dall'altra parte è ginnastica resa animica, e che proprio per questo può fare qualcosa di importante per l'educazione al volere. E così bisogna trasformare molto di ciò in cui oggi si crede fermamente, se si vuole veramente fare i conti con un'educazione dell'uomo con la quale l'uomo possa crescere nel modo giusto in democrazia e socialismo. Altrimenti democrazia e socialismo diventeranno le piaghe più terribili per l'umanità civile del futuro. Quel che appunto bisogna prendere in considerazione più di tutto è che in un'epoca in cui le persone vogliono partecipare prima di tutto alla vita statale, poi alla vita economica con tutti i tipi di 'consiglierie', dove perfino quel che è stato fatto dal capitale deve essere sostituito dalla ragionevolezza dei consigli aziendali, dei consigli di commercio, dei consigli economici, - che in questo periodo le persone devono fare, proprio riguardo alla loro educazione, ciò che le rende capaci di esercitare quel che la democrazia e il socialismo richiedono. Perché la democrazia e il socialismo non devono essere soltanto esigenze umane, devono anche rappresentare un sistema di doveri e di obblighi umani.

Oggi bisogna prendere le cose molto sul serio, e si deve introdurre nella pedagogia e nell'educazione soprattutto ciò che risiede nelle esigenze di democrazia e socialismo dell'epoca. E se l'uomo vuole sviluppare una reale comprensione dei bisogni e delle capacità delle altre persone, se dunque si deve socializzare, l'uomo deve aver educato in sé attraverso il principio dell'imitazione, attraverso il principio dell'autorità, quella capacità di amare che lo porta alla vera fratellanza nella vita. Perché il socialismo senza persone che abbiano tendenze alla fratellanza è un ferro di legno! Perciò si può anche dire: sarebbe un male, se non si volesse prima di tutto chiedere agli insegnanti, quando si tratta di occuparsi delle trasformazioni del futuro della nostra società, perché solo da parte loro può soffiare quel vento che agisce in modo veramente risanante per quanto riguarda le esigenze caratteristiche dell'epoca.

Posso facilmente credere che oggi e anche per il periodo di transizione proprio il corpo insegnanti potrebbe sollevare davvero seri dubbi su quel che deve succedere solo per rendere possibile una scuola e un'educazione come quelle che abbiamo caratterizzato qui con gli sforzi della «Lega per la tripartizione dell'organismo sociale». Questa Lega per la tripartizione vede nella dipendenza della scuola dallo Stato, nella compenetrazione della scuola col principio statale quel che renderà impossibile, nella scuola, di prendersi cura di ciò di cui oggi abbiamo parlato per il futuro. I socialisti potrebbero rifletterci un po' sopra. Essi vogliono statalizzare o associare tutto in un certo modo. La classe umana che li ha preceduti ha statalizzato la scuola. La scuola è assolutamente del tutto statalizzata, e osservandola si può imparare che cosa sia la statalizzazione. E oggi, sotto l'appello alla socializzazione, chi prende le cose sul serio, chi è in grado di avere una visione d'insieme delle cose dal punto di vista della storia della cultura, deve dirsi: l'importante è la de-statalizzazione della scuola. Perciò la «Lega per la tripartizione dell'organismo sociale» ha il principio di porre la scuola interamente su se stessa, di dare alla scuola l'autogestione, in modo che allo Stato non ne rimanga mai la sorveglianza, e che invece quel che nella scuola opera con l'autogestione provenga esclusivamente dai bisogni stessi della vita spirituale. Qui verrà fuori qualcosa. Voglio farvi soltanto un esempio, perché forse con un esempio possiamo capirci più facilmente su questa vasta tematica.

Oggi distinguiamo fra scuole elementari, medie e superiori. Alle superiori si insegna anche pedagogia. Oggi nelle scuole superiori a questa pedagogia si vuole dare una posizione un pochino migliore, ma in realtà la si insegna sempre come una 'materia secondaria'. Finora è stato così: un qualche filosofo veniva incaricato di leggere filosofia e poi gli si attribuiva come materia secondaria anche la pedagogia. In linea di massima questo per lui era anche un peso, non lo faceva affatto volentieri. In futuro dovrà essere diverso. Infatti in futuro tutta quella che è vita spirituale dovrà essere connessa alla vita umana in generale. In futuro, se veramente si può realizzare un ideale come quello che vi ho illustrato oggi, in futuro l'insegnante sarà assolutamente psicologo. Dovrà educare la persona in crescita a partire dalla sua profonda conoscenza dell'uomo, e allora saprà benissimo che cos'è la verità pedagogica. Allora l'insegnante che per il resto insegna ai bambini verrà incaricato di insegnare pedagogia all'università. E dopo averlo fatto per un certo periodo, ritornerà alla scuola, insegnerà nuovamente ai bambini, raccoglierà nuove esperienze e poi ritornerà di nuovo ad insegnare pedagogia. Questa diventerà una vera 'repubblica di studiosi', come Klopstock ha già sognato. Non c'è un altro modo per andare avanti, se non quello di prendere le cose così scrupolosamente e così profondamente. L'epoca attuale è destinata a comunicare queste cose alla vita esterna. Ma per realizzare tutto questo, tutto quello che è l'ambito spirituale deve essere un regno a sé.

Potrebbe suscitare molti dubbi: Se lo Stato, con le sue misure di potere, non introduce più nella borsa dell'insegnante quel che deve anche esserci dentro, le cose andranno molto male per il ruolo dell'insegnante. Ora, l'insegnante farà parte di una corporazione economica, nello stesso modo in cui ci sono altre corporazioni economiche. Oltre al fatto di essere un insegnante, egli si troverà davanti alla terza parte dell'organismo sociale tripartito, quella economica, e riceverà da questo corpo economico autonomo il suo stipendio. Infatti l'organismo sociale tripartito avrà un corpo economico autonomo, così come ha un corpo statale autonomo, dove si deve curare il diritto su una base democratica, e come avrà un proprio ambito spirituale libero. E quel che oggi arriva nella borsa dell'insegnante indirettamente per mezzo delle tasse allora vi arriverà direttamente dalla vita economica, e inoltre è soltanto attraverso la vita spirituale posta su se stessa, che verrà creata l'atmosfera giusta per la scuola e per l'insegnamento.

Di un organismo sociale sano fa anche parte una giusta valutazione dei diversi beni e delle prestazioni dell'intero uomo completo nella vita. Questa valutazione dei beni e delle prestazioni deve esserci. Ma in un organismo sociale sano di quel che, in realtà, l'insegnante fa per la generazione in crescita, non si deve affatto essere dell'opinione che debba essere 'pagato'. È un dono, che l'insegnante trasmetterà agli uomini dal mondo spirituale! Questo stato d'animo deve afferrare l'organismo sociale sano: che l'insegnante è il mezzo attraverso il quale si traggono, dalle loro buie profondità, le capacità della persona, le caratteristiche individuali della persona, così come sono predisposte nella natura umana. È solo la megalomania della grettezza, quando si crede che quel che in realtà si può fare in ambito scolastico debba essere pagato.

Quel che il corpo economico del sano organismo sociale tripartito dovrà fare sarà: offrire all'insegnante la possibilità di vivere nello stesso modo in cui vivono tutti gli altri. Si dovrà separare del tutto nella coscienza questa offerta della possibilità di vita dalla valutazione[1] della lezione, questo sarà il sano impulso senza il quale non sarà possibile, a sua volta, che ci sia una democrazia. Perché quella democrazia che livella tutto, che non è più affatto in grado di valutare le cose, si limiterà a distruggere le cose, e quel socialismo che crede di poter pagare tutto ucciderà anch'esso la vita. E non solo l'insegnante stesso deve essere quel fattore che viene ascoltato, se si vuole seguire l'appello alla democrazia e alla socializzazione, ma la valutazione dell'attività dell'insegnante deve essa stessa a sua volta sgorgare dalla costituzione dell'organismo sociale sano. Il fatto che ciascuno dei tre settori della vita giunga alla propria autonomia è appunto ciò a cui mira la Lega per la tripartizione dell'organismo sociale. Perciò essa vuole porre sui suoi tre sani fondamenti quel che finora è stato mischiato in un'unità non organica, caotica (la vita economica, la vita spirituale e la vita statale): una vita spirituale autonoma, una vita statale o giuridica democratica autonoma ed una vita economica sociale autonoma. E l'uomo forma l'unità superiore a partire dai tre. L'uomo parteciperà a tutti e tre i settori. Non bisogna temere che l'unità vada perduta. Chi crede che noi, con l'idea della tripartizione, aneliamo a sezionare il ronzino in tre parti ha una cattiva rappresentazione di ciò di cui si tratta. Non vogliamo tagliare il ronzino in tre parti, solo che non vogliamo che si affermi che il ronzino sia un ronzino ben fatto solo se si regge in piedi su una zampa sola. L'organismo sociale sano sta sulle sue tre zampe sane. Queste sono: primo una vita spirituale autonoma, della quale fanno parte l'educazione e la scuola, secondo una vita giuridica autonoma, della quale fa parte lo Stato democratico, e terzo una vita economica autonoma, che è l'unica che possa essere socializzata. Se si vogliono co-socializzare anche la vita giuridica e la vita spirituale, allora non viene fuori né un socialismo della vita spirituale, né della vita giuridica, né della vita economica; non viene fuori altro che ciò che pigia tutto nell'uniformità della vita economica, per vestire le persone e per nutrirle, e che poco a poco inaridisce tutto ciò che può svilupparsi solo autonomamente: la vita statale o giuridica e la vita spirituale. È una questione seria, anche proprio come questione di pedagogia elementare, come pedagogia culturale, che è la questione fondamentale della nostra epoca nel senso più ampio possibile.

Esponendovi queste considerazioni, peraltro già lunghe, ho cercato di rendere comprensibile ciò che in realtà l'impulso dell'organismo sociale tripartito vuole, e che vuole soprattutto per la liberazione e la redenzione della vita spirituale e dell'ente scolastico ed educativo da alcuni lacci nei quali essi sono impigliati. Mi darebbe una soddisfazione tutta speciale, che proprio i maestri, gli insegnanti e gli educatori fossero interessati a quel che si vuole partendo da questi presupposti, che lo prendessero in considerazione.

Conclusione dopo il dibattito

Nel vivace dibattito conclusivo si è obiettato: che i figli dei proletari sono viziati dal cattivo esempio e non sono inclini a diventare 'uomini nuovi'. - Che sarebbe meglio sostituire l'autorità con la guida e la fedeltà, come cercano di fare le scuole. - Che l'educazione viene comunque decisa dalla personalità dell'insegnante, e che è indifferente il contesto politico in cui ciò avviene. - Che prima bisogna che l'insegnante venga educato ad essere autonomo con una nuova formazione, che adesso l'insegnante ha ancora bisogno dell'autorità dello Stato. - Che lo Stato ha solo dato autorità all'insegnante e non lo ha più disturbato oltre, che non se ne deve fare a meno.

Dottor Steiner: Vorrei cominciare affrontando le singole domande che mi sono state poste. Per prima la domanda del presidente riguardo ai figli dei proletari. Quando ho detto, o quando è stato avvertito nelle mie parole, che ho definito il proletario come il 'tipo di uomo nuovo', vi prego di non intenderlo come se per 'uomo nuovo' si dovesse intendere una specie di angelo. È un errore che si fa spesso, quando si parla di una cosa nuova, soprattutto riguardante il progresso dell'umanità, quello di credere che il nuovo sia sempre anche il meglio. Questo dipende da un errore colossale dei partiti che seguono degli schemi. Per loro il nuovo è sempre il meglio. In questo senso non ho voluto designare il proletario come 'il tipo di uomo migliore', ma ho solo voluto dire che egli è quel tipo di uomo che si è formato negli ultimi tempi, negli ultimi tre o quattro secoli, specialmente nel diciannovesimo secolo. Quando poi ho detto che il bambino borghese viene viziato dai suoi genitori, ho anche detto che anche il bambino proletario viene viziato (vi prego di ricordare bene che ho aggiunto questa frase), ma non viene viziato dai genitori, che non ne hanno il tempo. La cosa è così: il bambino proletario oggi è, in linea di massima, più monello del bambino borghese. Si può essere molto d'accordo con questo. E quel che l'egregio presidente, che è maestro di figli dei proletari, può sperimentare in questo senso, io me lo immagino forse altrettanto tremendo quanto lo vive lui. Potrei pensare che dunque, già proprio per il fatto che il proletario è il tipo dell'uomo nuovo, il figlio del proletario sia proprio il monello peggiore. Però lo è in modo nuovo. Non lo è perché imita i suoi genitori, che sono in una certa situazione, cioè non lo è perché imita le caratteristiche della classe, ma perché (detto in modo estremo) viene educato sulla strada e lasciato da solo, quindi imita tutto il possibile. In generale è peggiore in questo. È cresciuto dalla gente, dalla quale oggi appunto non si può imitare nulla di particolarmente buono. È più cresciuto da una collettività umana, cosicché, in questo senso, si trova ad essere inserito nella vita nello stesso modo in cui vi è inserito anche il proletario in età maggiore. Viene più tirato su dalla vita. Il figlio del borghese invece è più inserito in una certa serra. Questa è la differenza. Non c'è dubbio, che il bambino proletario imiti ogni genere di cose e arrivi a scuola coi frutti di questa imitazione, con cose che sono davvero poco auspicabili. Ma per me è importante mostrare che di fronte al bambino proletario nascono compiti nuovi, in primo luogo perché esso viene dai genitori con certe specifiche caratteristiche di classe e poi perché non viene mandato nella vita in modo che il padre, la madre, il fratello, la sorella, lo zio, le zie e altri che lo proteggono collaborino, ma perché per lui è necessario contare soltanto su ciò che è stato educato nella sua anima, in tutta la sua persona. È stata spesso ripetuta un'espressione di un uomo che non si è proprio distinto in senso positivo nel suo posto, la parola «via libera ai migliori». Ma adesso appunto le cose sono diventate frase fatta. Perché è facile dire “via libera ai migliori”, quando con questo si intende solo il proprio nipote o il proprio cugino. Queste dunque sono cose che, per la loro essenza, non devono essere prese in modo letterale. Noi appunto viviamo con così tanta forza nella frase fatta perché possiamo prendere tanto poco le cose secondo la loro essenza. Vi invito a tener conto di questo fatto. Dunque, questo per quanto riguarda l'imitazione.

Per quanto riguarda l'autorità, il fatto è, naturalmente, che in date circostanze i bambini proletari ne hanno veramente poco, di senso dell'autorità. Ma in questo senso è veramente essenziale, quando si formano le forze pedagogiche, puntare innanzitutto a formare, proprio nei bambini proletari, questo sentimento di autorità.

Poi si è parlato del fatto che non sia importante se la personalità provveda alla formazione del pensare, del sentire e del volere all'interno o all'esterno dello Stato. Anche se la domanda è stata posta due volte, non sono riuscito a capirla, in realtà. Si tratta del fatto che la personalità non venga privata delle proprie forze essendo schiacciata dai regolamenti statali. Si deve appunto solo tener conto di che cosa significa, che attraverso la testa non passi quel che proviene dalla libera personalità dell'insegnante stesso, ma solo quello che dipende da quello che deve insegnare, attraverso i regolamenti, attraverso i piani di studi e attraverso gli obiettivi dello Stato; che gli uomini non debbano essere formati in modo da diventare uomini pieni, ma uomini che poi, una volta collocati in un qualche posto statale, debbano servire correttamente alle disposizioni di questo Stato.

Poi è stato obiettato (è una cosa che mi viene chiesta sempre, quando si parla di questa questione) che l'interesse alla formazione e il bisogno di formazione attualmente non sono tanto grandi, che la gran parte dei genitori sarebbero contenti se non dovessero mandare i propri figli a scuola. - È stato perfino detto: “Nessuno manderebbe più i figli a scuola”. Ma quello che ho detto non riguardava affatto questa questione esteriore del mandare i bambini a scuola o no. Nel mio libro “I punti essenziali della questione sociale” parlo di un diritto all'educazione, che il bambino ha, e per il quale perfino nello Stato del futuro bisognerà che la vita economica dia un corrispondente contributo per l'educazione. Quindi non parlo del fatto che lo 'obbligo scolastico' venga sentito come fastidioso dai genitori che non vogliono mandare i figli a scuola e che piuttosto li manderebbero nei campi, ma parlo del fatto che nell'organismo sociale sano il bambino ha il diritto all'educazione. Ora si potrebbe dire: se ha questo diritto, lo Stato (il motivo per cui oggi si debba battere sullo Stato, come ha detto un oratore, io non lo conosco) continuerà sempre ad esistere come istituzione giuridica, ma oggi dovevo parlare solo dell'istituzione spirituale. E qui si poteva obiettare: se viene fatto valere questo diritto all'educazione del bambino, allora i genitori dovranno mandare i bambini a scuola, allora secondo me si può anche lasciar cadere l'obbligo di andare a scuola. Ma questo non ha nulla a che fare con il rendere autonoma la vita spirituale, non ha niente a che fare con quel che viene fatto nelle scuole, con l'amministrazione della scuola. Una volta, poco tempo fa, ho risposto a questa domanda come segue: Se non c'è obbligo di andare scuola, essendoci il diritto all'educazione, si può perfino minacciare di inviare, da quei genitori che non vogliono mandare i bambini a scuola, un tutore educativo per il bambino, che rappresenti presso i genitori il diritto del bambino all'educazione; allora quei genitori manderanno volentieri i bambini a scuola. A tutte queste domande secondarie si può rispondere, se solo si ha la buona volontà di capire veramente la questione principale: che tutto dipende dal fatto che la vita spirituale venga posta liberamente su se stessa.

Poi si è accennato al dilemma: se in futuro lo Stato, o in qualche modo la vita, non tollererà ciò che l'insegnante in quanto autorità ha impiantato nei bambini. Ma è proprio dalla conoscenza di questo dilemma che nasce l'esigenza della separazione della scuola dallo Stato. Proprio per rendere impossibile che un qualche Stato in futuro non tolleri ciò che nella scuola è stato posto nell'anima del bambino dall'autorità, proprio per questo la scuola e l'educazione devono essere poste sulle proprie gambe. Se poi, quando lo Stato non è contemporaneamente anche un'autorità per l'insegnante, se poi l'uomo nella vita è costretto a fare qualcos'altro, allora non ripenserà al suo insegnante come se questi, adesso, fosse diventato senza valore per lui, se lo Stato dice qualcos'altro, ma rifletterà sul fatto che per lui è pesante, un destino che non gli consente di fare quello che l'insegnante, in quanto autorità, ha immesso nella sua anima. Se ci pensate nei dettagli, vedrete che la soluzione a questo dilemma è già ben risolta. Ma proprio perché questo dilemma si cela da molto tempo nell'anima, l'osservazione della vita richiede che la vita spirituale e specialmente la vita scolastica vengano rese autonome. Tutte le cose simili (e sono molte le cose simili a questo dilemma, che è stato molto felicemente esposto) sono possibili proprio solo se la scuola viene posta in ciò che si fonda su una base democratica, se viene posta nella vita giuridica dello Stato.

Quel che ha detto la signora B sull'autorità mi è parso così astratto e teorico che non credo che queste cose possano avere un significato per la vita, la vita pratica. Da quel che ho detto nessuno potrebbe dedurre che io preveda che il bambino possa farsi un 'giudizio' sul fatto che l'insegnante sia una autorità. Queste sono cose che risultano del tutto da sé nell'atmosfera della vita.

Riguardo alla questione dell'insegnante, da tutti i presupposti risulterà che in futuro sarà importante che si faccia una selezione, una scelta per il ruolo di insegnante e che non si attribuisca un posto da insegnante solo basandosi sugli esami, su una certa somma di sapere. Il sapere lo si può acquisire più tardi in poche ore, in certe circostanze, lo si può trovare nei manuali più svariati. Si tratta di tutta la personalità, dei talenti più intimi dell'insegnante. Naturalmente non voglio dire che se prima non si ha avuto questa conoscenza, in seguito la si possa acquisire facilmente in un paio d'ore. Ma proprio quando se ne ha bisogno (ovviamente bisogna essersene occupati già prima), poi, qualora necessario, sarà anche facile ri-acquisirla. Si tratta di creare una certa garanzia per ciò che consentirà ad un insegnante di essere un insegnante, una garanzia che l'insegnante, con tutta la sua personalità, sia così ben inserito nella cultura dell'umanità, che da lui possa passare allo studente qualcosa che in seguito possa agire con autorevolezza. Queste sono cose che devono essere osservate molto più a fondo e molto più profondamente di come spesso si cerca di fare oggi, che si parla di cose tanto astratte come di 'guide' e di 'seguaci' o di 'società scolastiche'. Vi prego ancora di tener conto del fatto che io ho parlato di 'comunità scolastiche'. Si tratta di prendere le cose come vengono dette e non di tradurle in un programma astratto che ci si è fatti da soli.

Poi ci sarebbe molto da dire sulla questione della separazione della Chiesa dallo Stato. Il fatto è che storicamente, per lunghi periodi, semplicemente non poteva essere altrimenti che la scuola, in un certo modo, fosse un'appendice della Chiesa. Lo Stato, in epoca moderna, ha avuto il suo buon da fare per separare la scuola dalla Chiesa e per trasferirla nel proprio grembo. Ma adesso è di nuovo necessario migliorare quel che riguarda la scuola, che è dipendente dallo Stato, ponendola nell'ambito che le è proprio. Oggi non bisogna misconoscere che è molto facile ritenere unilateralmente 'sediziose' queste cose. Quando sento parlare di questo argomento, oggi, sento dire molte cose che non sono del tutto obiettive. Ma bisogna anche che ci sia chiaro che non possiamo giungere ad una uniformazione della vita dell'anima con alcun tipo di pedagogia del futuro o condizione di scuola del futuro.

Non dobbiamo considerare che una cosa sia l'unica concezione valida per quanto riguarda l'animico-spirituale e pretendere che essa debba essere data ai bambini. Dobbiamo riuscire a trasporci anche nelle anime di persone che sentono e pensano in modo diverso dal nostro. Non dobbiamo assolutamente aver paura, quando per esempio dei genitori cattolici chiedono che i loro figli abbiano anche lezione di religione cattolica. Non serve aver paura, se si è saldi in se stessi. Proprio come non serve aver paura davanti ad un'altra concezione del mondo, quando si ha entusiasmo e forza per la propria concezione del mondo. Nella libera competizione spirituale si devono poter formare queste cose, ma in ogni caso non per mezzo di legislazioni statali. Tanto è nocivo che con una legge statale si faccia diventare statale una chiesa che in tal modo partecipi dei privilegi dello Stato, altrettanto nocivo è anche quando una chiesa viene perseguitata. Nessun tipo di costituzione animica dovrebbe in nessun modo essere perseguitato o protetto dalle leggi dello Stato. E chi parte da questo pensiero e lo pensa bene e con sufficiente forza troverà già che è oggettivamente necessario porre la vita spirituale e specialmente la scuola e l'istruzione nel loro proprio ambito.

Quel che è stato detto a proposito del fatto che l'autorità esercitata dall'insegnante non debba rimanere inalterata per tutta la vita, ma che il giovane dovrà sbarazzarsene, questa o è un'ovvietà, oppure si è frainteso qualcosa. Perché naturalmente è del tutto ovvio, che non si può soggiacere per tutta la vita sotto l'autorità di un maestro. Questi dovrà lavorare affinché ci si possa dire: “Come sarebbe, se io fossi un insegnante?” Allora, con quel che l'autorità dell'insegnante ha posto nell'anima di una persona, questa stessa potrebbe diventare un'autorità. Ma bisogna concepire le cose in modo molto più accurato e profondo, perché l'autorità di un insegnante può oggettivamente rimanere inalterata per tutta la vita. Ho già detto che quel che l'insegnante dà a lezione non può realmente essere 'pagato'. Il pagamento qui ha un significato del tutto diverso. Ma quel che si può fare per mezzo dell'educazione è che il rapporto reciproco fra l'insegnante e gli allievi si configuri in modo tale che per una persona il maestro possa rimanere un'autorità per tutta la vita. E vorrei chiedere una buona volta se ci sia qualcosa di più bello di quando, in seguito, quando si è diventati sessantenni e si può guardare indietro alla propria giovinezza, ci si ricorda di un insegnante e ci si dice: “Quell'insegnante per me era un'autorità, ancora oggi gli sono assolutamente grato, sono diventato quello che sono grazie a lui!” Questa autorità può ben restare e può continuare a vivere grazie alla gratitudine per l'insegnante per tutta la vita. Queste sono cose con le quali una psicologia che sia all'altezza dei compiti attuali deve fare i conti.

Quando poi è stato detto che lo Stato sia comunque necessario, o che possa essere sostituito da un senato spirituale o altro del genere, su questo punto è già stato detto: Chi non ha sentito la coercizione statale, appunto non l'ha vista. E vedete, però la cosa è proprio così, essere un insegnante statale è veramente diventata una seconda natura per le persone. E se per loro questa è diventata la loro seconda natura, allora essi non sanno più che in realtà non è la loro libera personalità che insegna a partire dalle sorgenti della vita spirituale, ma che essi si sono abituati allo Stato, si sono abituati a portare avanti nelle lezioni ciò che offre loro lo Stato. Essi si sentono 'liberi'. Ma il sentirsi liberi, specialmente nella costituzione spirituale dell'umanità moderna, non è affatto una dimostrazione che si sia anche liberi veramente. Vorrei richiamare la vostra attenzione sul fatto che un uomo che per un gran numero di persone è un 'grande maestro del mondo', Woodrow Wilson, nel suo scritto «Sulla libertà» dà una definizione così strana di quel che intende per 'libertà', che si potrebbe arrampicarsi sui muri. Egli più o meno dice: “Si può chiamare libero un meccanismo che non abbia impedimenti e che funzioni come lo mettono in azione i diversi dispositivi; oppure si può definire 'libera' una barca che, secondo lo stesso principio, continua a muoversi in un certo modo”. Ma questa libertà meccanica non è la vera libertà che noi sentiamo: questa bisogna sentirla.

Poi si è anche parlato di qualcosa che ora veramente non ho affatto detto. Soprattutto il signore che ha difeso lo Stato, ha detto ogni tipo di cose del genere. Non ho affatto picchiato sullo Stato attuale, oggi, ma chi mi ha capito giustamente saprà che ho detto: “Con ciò cui anelano gli attuali socialisti, c'è il pericolo che succeda quello che appunto non deve succedere, perciò le cose devono essere fatte così e cosà”. - Ora, egregi convenuti, veramente non posso interessarmi di cose che vengono dedotte da quello che dico e contro le quali poi si fa polemica. Ma di una cosa vorrei occuparmi: Che anche per l'insegnante sia a sua volta necessaria un'autorità. Non ho detto nulla sull'autorità che sarà necessaria per l'insegnante, ho parlato del fatto che l'insegnante dev'essere un'autorità per il bambino! Se per l'insegnante sia necessaria un'autorità, è una questione del tutto diversa, alla quale si risponde dicendo che infine la vita stessa vi provvederà. Osservate solo la vita, come è, oggi la si osserva troppo poco. Osservatela solo secondo la vita e secondo la realtà, e vi direte: “Certo, le persone sono così diverse le une dalle altre, che alla fine qualcuno che può essere un'autorità nella maniera più diversa, troverà comunque sempre un'autorità sopra di lui”. A questo si provvederà col fatto che uno può sempre trovarsela, un'autorità. Ora, nevvero, non è necessario che questo arrivi al colmo. Uno può essere un'autorità semplicemente perché è superiore a un altro in altre cose.

Il fatto che io abbia parlato della “Repubblica degli studiosi” di Klopstock non significa che ognuno possa fare quello che vuole: invece non farà semplicemente tutto quello che vuole, ma, basandosi sui bisogni della vita spirituale, al fine di configurarla nel modo più fecondo possibile farà volontariamente sua la propensione per coloro che dovrebbero essere autorevoli. Una 'costituzione', ma che non poggi su rigide leggi, su prescrizioni calcificate, statali, una costituzione è anche pensabile nella libera vita spirituale; solo che si riferirà ai rapporti reali, viventi, fra le persone che prendono parte alla vita spirituale. In questo ambito, però, prima la 'legge' deve essere sostituita dai liberi rapporti umani, che sono individuali e che possono sempre modificarsi da una settimana all'altra, e che non possono essere vincolati da leggi rigide e immortalati in una qualche forma. L'importante è dunque che alla vita spirituale venga data la possibilità di vivere in quella forma che le è possibile a partire dalle sue stesse forze, in modo che l'insegnante della scuola non dipenda in qualche modo da un funzionario statale, ma che dipenda in modo umano, in modo oggettivo, obiettivo, (come risulta dalla vita spirituale) da un altro che, ora, sia anch'egli direttamente inserito nella vita spirituale e che operi con lui all'interno della stessa vita spirituale. È questo, l'importante. Ci si avvede del fatto che oggi è ancora presente una certa paura della vita spirituale, che molti si sentono bene sotto la protezione dello Stato. Ma è appunto questo, il fatto: che così tante persone si sentano bene in questa protezione da parte dello Stato. A questa protezione dello Stato anela ancor più ciò che ora deve seguire. L'evoluzione degli ultimi secoli è stata certamente questa: lo Stato aveva potere grazie a precedenti conquiste o cose del genere, e in seguito le singole persone a poco a poco vollero avvicinarsi per farsi proteggere da questo potere.

Per un certo periodo questo potere fu la Chiesa. Per la Chiesa era meglio che sulle persone non agisse solo la Parola vivente che fluisce dallo spirito, e li convincesse, ma che la polizia aiutasse un pochino. Poi arrivarono altri, arrivò tutta la 'scuola'. Per la scuola era meglio che sul bambino non agisse ciò che sgorga dallo spirito, ma che dietro ci fosse la coercizione statale. Poi infine sono arrivate anche le diverse classi economiche e le corporazioni economiche, fino che, alla fine, abbiamo avuto quella corporazione economica (in Germania la gran parte delle industrie e le industrie pesanti hanno agito in questo senso) che voleva anch'essa avere qualcosa del potere dello Stato. E poi ancora più dietro c'erano anche i socialdemocratici, che a loro volta volevano prendersi lo Stato. Così il potere dello Stato è stato il serbatoio per tutti. Ciò cui il futuro deve tendere è che il potere dello Stato non sia un serbatoio per tutto ciò che vuole trovare riparo sotto questo potere, ma che esso venga formato in modo democratico. L'importante è che in questo ambito statale si realizzi quello che ogni persona adulta deve concordare insieme ad ogni altra persona adulta; qui abbiamo a che fare con quello che è il mero Stato giuridico. È strano che oggi ancora non lo si voglia capire, anche se mancava pochissimo a capire questo Stato giuridico quando uno che un tempo era stato ministro della cultura prussiano riuscì a concepire correttamente questi rapporti. Nello scritto di HumboldtSui limiti dell'attività dello Stato” trovate dei begli accenni a quello che in realtà dovrebbe essere lo Stato. Ma se questo deve essere 'democratico', in esso deve dominare solo ciò per cui ogni persona maggiorenne ha a che fare con ogni altra persona diventata maggiorenne. Allora quel che va stabilito nella vita spirituale deve essere estratto dalla vita dello Stato vera e propria, e poi nello Stato non può starci nemmeno la vita economica, dove si tratta di esperienza economica, del credito che si ha, ecc. Cioè: se qualcuno vuole seriamente la democrazia, non può volere avere nello Stato e nella vita spirituale il socialismo, ma deve dirsi: Se si vuole realizzare la democrazia, l'unica cosa sana è porre la vita spirituale da una parte e il circolo economico dall'altra, in ambito libero. Il fatto che non lo si capisca (in Russia non lo si è capito!) ha come conseguenza che oggi la vita economica aneli a qualcosa di massimamente non democratico, anzi, di antidemocratico: la cosiddetta dittatura del proletariato. L'ho incontrata nella forma più estrema qualche mese fa a Basilea, quando, dopo una conferenza, uno si alzò in piedi, evidentemente un comunista, e disse: “Se deve esserci un risanamento per il futuro, Lenin deve diventare il re del mondo!” Fra queste persone si grida alla 'socializzazione' e non si capisce assolutamente nulla nemmeno dei primi rudimenti della socializzazione, cioè che la prima cosa da socializzare sono i rapporti di potere; che la socializzazione non consiste nel monarchizzare i rapporti di potere e nell'imperializzare il socialismo. Si pensa di voler socializzare, ma non si vuole una buona volta iniziare con la socializzazione dei rapporti di potere, piuttosto si piazza lì un 'papa economico' su tutto il mondo. Si pensa così. Queste sono contraddizioni che oggi saltano fuori. Perciò si vorrebbe che nascesse il sentimento che le cose che vengono portate ad espressione nell'organismo sociale tripartito poggiano su una base più profonda. Non siamo giunti all'idea della tripartizione perché, partendo da un qualsivoglia principio astratto e dalle abitudini di vita, si potesse dire: “Credo, oppure non credo, a queste cose”. Certo molte cose vanno seriamente messe nel loro ambito. Ma l'impulso alla tripartizione dell'organismo sociale parte da un'osservazione della vita veramente forte e da una sentita serietà nei confronti dei grandi compiti culturali del presente. Se si vogliono sul serio il socialismo e la democrazia, non si può semplicemente volere quella che molti connettono insieme nella parola 'socialdemocrazia'; perché così non si tiene conto nel modo giusto della vita spirituale. Invece, chi vuole seriamente la democrazia e il socialismo, ha bisogno innanzitutto di una vita spirituale veramente libera, che non può essere una vita spirituale arbitraria. L'impulso della tripartizione è nato dalla conoscenza della realtà e dalla sentita serietà della situazione attuale. In questi giorni noi, in Europa centrale, dobbiamo sentire molto bene la serietà dell'epoca. In questo periodo, in cui dobbiamo dire: “Si tratta di essere o non essere!” dovremmo sentire che bisogna cambiare modo di pensare su alcune vecchie cose e che per il futuro non può trattarsi di piccole modifiche di alcune istituzioni, ma di una vera trasformazione del pensare, del sentire, e di concepire tutto l'uomo. Solo così capiremo la nostra epoca e solo così potremo andare avanti!


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Note:

[1] Si intende valutazione economica. N.d.T.

Trad. 09/2017