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OO 330 - Nuova struttura dell'organismo sociale



Esigenze del proletariato e loro futura realizzazione pratica
Conferenza per i dipendenti della Waldorf-Astoria

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Stoccarda, 23 aprile 1919


Di questi tempi stiamo vivendo un'epoca molto importante, che si annuncia in una grande parte dell'Europa con fatti oggettivi dalla voce tonante, con fatti oggettivi che dilagheranno sempre più, e in quest'epoca tanto significativa è necessario, proprio in questi ambienti, pensare seriamente, molto seriamente, sui compiti che si possono avere in quanto uomini, in quanto uomini che lavorano; sui diritti che si devono avere; su quanto la vita, in sostanza, deve dare. Riflettere seriamente e soprattutto riflettere in un modo ben preciso – a questo proposito sarà necessario dire alcune parole introduttive. Vedete, la maggior parte di voi si sarà fatta delle opinioni, nel corso degli anni, su ciò che deve accadere per la cosiddetta soluzione della questione sociale, del movimento sociale. Alcune delle cose che sono andate a costituire queste opinioni dovranno essere riviste anche da parte degli operai. Su queste cose si dovrà, adesso che ci troviamo di fronte a cose tutte diverse da quelle di forse pochissimo tempo fa, su queste cose nel futuro immediato e già oggi si dovrà pensare in un modo diverso. Oggi vogliamo proprio parlare di come ci si deve impegnare a pensare. Ma ci dobbiamo mettere d'accordo sul fatto che al giorno d'oggi si tratta soprattutto di avere fiducia reciproca e su questa fiducia potremo veramente creare qualcosa. Questa fiducia ha potuto essere sempre meno presente nell'epoca che adesso è passata e che ha dimostrato la propria impossibilità proprio sfociando in quella terribile catastrofe che in Europa ha portato all'uccisione di dieci-dodici milioni di persone e ne ha mutilate tre volte tante. Ora, questa è la conseguenza ultima del modo storto di pensare e anche di volere, dal punto di vista sociale, di quelle che fino ad allora erano state le classi alla guida dell'umanità. È da una classe sociale del tutto diversa, che oggi emergono le esigenze, pienamente giustificate, dell'epoca: esse emergono dal proletariato. Ma proprio per questo al giorno d'oggi il proletariato si trova anche di fronte a compiti totalmente diversi da quelli che aveva avuto fino a pochissimo tempo fa. Per indicare questi compiti, voglio dire solo una cosa, e cioè che gli stessi social-democratici, poco prima che in Germania arrivasse la catastrofe di ottobre, la catastrofe di novembre, hanno detto: “Ecco, quando questa guerra sarà finita, il governo tedesco dovrà porsi in modo totalmente diverso da come ha fatto finora nei confronti del proletariato. Dovrà tener conto del proletariato in tutte le azione governative, in tutta la legislazione. Non potrà più continuare ad agire come prima”. Vedete, lo hanno detto i social-democratici che erano al comando relativamente poco tempo fa. Ma che cosa significa? Significa che questi social-democratici al comando poco prima della rivoluzione di novembre contavano ancora sul fatto che dopo la guerra il vecchio governo tedesco sarebbe ancora stato bene. Ora ci troviamo di fronte al dato di fatto che, come altrimenti in Europa, questi regimi sono stati spazzati via. In tal modo è già escluso in partenza, che essi possano tener conto delle esigenze sociali. Al giorno d'oggi, puramente a partire dai dati di fatto, bisogna appunto parlare di queste cose in modo totalmente diverso da come se ne è parlato fino a poco tempo fa perfino da parte dei social-democratici più intelligenti e che sapevano riflettere bene sulle cose. Infatti oggi il proletario stesso si trova di fronte alla necessità di creare qualcosa di ragionevole a partire dal caos, dai disordini attuali. Perciò oggi è necessario guardare ancora a qualcos'altro, a qualcosa di totalmente diverso da ciò a cui si è guardato fino a poco tempo fa.

Vedete, quando poco tempo fa qualcuno parlava, come faccio io adesso, stava attento a quello che diceva secondo il contenuto. Si verificava se le cose che venivano dette concordavano con le vecchie idee sociali o con gli ideali del proletariato, e la persona in questione veniva contestata, se non diceva esattamente proprio le stesse cose per molti versi, almeno per quanto riguarda le cose principali. Ormai questo deve cambiare, perché altrimenti non ne verremo fuori, anzi, sprofonderemo sempre di più nel caos, nei disordini. Oggi, direi, dobbiamo impiegare qualcosa di totalmente diverso, per suscitare la fiducia reciproca. Dobbiamo accuratamente mettere alla prova i punti di vista, dobbiamo mettere alla prova se ciò che sta alla base di quanto viene detto è inteso in modo schietto e sincero. Oggi in realtà deve poter avere la parola chiunque affronti in modo schietto e sincero le esigenze del mondo proletario, al di là del suo modo di descrivere quel che deve succedere. Il modo in cui adesso si debbano soddisfare le esigenze è una questione che passa in secondo piano. La prima questione è che chi oggi vuole parlare di riconfigurazione o di ricostruzione deve prendere sul serio le esigenze del proletariato di tutto il mondo; deve prenderle sul serio nel senso che deve essere convinto che le esigenze di per sé, quello che vuole il proletariato, è giustificato. Perché solo se si riconosce che queste esigenze sono giustificate, si può parlare su certe basi, e poi si potrà parlare di come si possano soddisfare queste esigenze, di come vi si possa adempiere.

Ora, vedete, per certi versi vedrete che questo appello, che ormai conoscete bene, si discosta dalle esigenze socialiste più vecchie. Tuttavia credo che proprio risvegliando una comprensione per ciò a cui si mira con questo appello e col libro che sarà pubblicato a giorni «I punti essenziali della questione sociale», si raggiungerà in un modo più consistente e più giusto quello che il movimento proletario più moderno in realtà vuole da più di mezzo secolo. Questa volontà, in un certo senso, era un'esigenza dell'epoca stessa. Non si poteva più continuare ad andare avanti nel modo impostato dalle classi dominanti. Però bisogna che, a partire dalla critica del comportamento delle classi dominanti, oggi si producano delle idee su come si debba fare – su che cosa ci sia veramente da fare. Adesso, in sostanza, proprio il proletariato ha fatto nel modo migliore possibile il lavoro preparatorio per una configurazione come quella che reclama questo appello. Perciò credo che, eliminando certi malintesi, sarà proprio il proletariato a sviluppare la comprensione più importante di questo appello, che oggi prende sul serio la situazione dell'umanità. Nevvero, quello che si è vissuto quando, come ho fatto io, non si è pensato sul proletariato, ma sempre con il proletariato, è che le condizioni dell'epoca moderna lo hanno totalmente intessuto nel circolo della vita economica, il proletariato! Non c'è nulla da stupirsi, se oggi il proletariato, a quelli che hanno occultato i frutti di questo processo economico nella cosiddetta “cultura superiore”, se il proletariato oggi a queste classi dominanti grida: “A partire dal processo economico vogliamo creare un ordinamento sociale totalmente nuovo”. Per secoli, e specialmente nel XIX secolo, le classi dominanti hanno intessuto l'operaio nella vita economica, lo hanno talmente impegnato con la vita economica, sono ricorsi così tanto al suo tempo nella vita economica, che l'operaio in sostanza non ha potuto vedere altro che questa vita economica. Ha visto che tutta la sua forza lavoro gli veniva estorta da questa vita economica, che lui, con la propria forza lavoro, creava plusvalore, con il quale poi le cosiddette “classi superiori” soddisfacevano la loro cosiddetta “cultura superiore”. Egli ha visto che con l'economia lui viveva male – gli altri bene, e alla fine si è detto: “Ah, certo, tutto è vita economica, perciò è dalla vita economica che si deve creare un ordinamento che in qualche modo porti a un risanamento per il futuro”. - Ovviamente doveva sorgere, questa concezione. Però non si tratta di giudicare l'ordinamento sociale basandosi sugli elementi nei quali si è cresciuti, ma di chiedersi: “Cos'è necessario, affinché l'organismo sociale inizi a vivere correttamente?” E vedete, pensare su quest'organismo sociale vivente, che renda possibile a ciascun uomo di rispondersi in un modo degno dell'essere umano a questa domanda: “Che cosa sono, io, in realtà, in quanto uomo?” pensarci in questo modo era il compito che era stato posto all'inizio, prima che le esperienze di vita che ormai hanno quasi la stessa età del movimento sociale più moderno, in questo periodo di prove per l'umanità, dessero all'umanità questo appello. Questo appello non è stato concepito da un pensiero superficiale qualsiasi, come vengono concepiti molti pensieri che propongono anche dei programmi sociali, ma è stato concepito dal vivere il movimento sociale tanto a lungo quanto, per esempio, ho potuto viverlo io. A quei tempi si poteva già vedere che un motivo fondamentale per cui noi, oggi, in merito alla soluzione delle questioni sociali più urgenti, siamo ancora tanto indietro è che appunto proprio le classi dominanti non sono state in grado, coi loro pensieri, di trovare qualcosa che potesse mettere in piedi in modo sano, sulle sue gambe, l'organismo sociale. Neanche questo, ovviamente, lo si può capire per mezzo di un qualche pensiero borghese. Lo si capisce soltanto se non si pensa né in modo borghese, né in modo proletario, ma solo in modo umano.

Potreste chiedere, carissimi convenuti, perché quelli che sostengono questo appello non si annettano ad un partito socialista. Vorrei rispondere in modo molto semplice:

Al giorno d'oggi, è più sicuro per voi, piuttosto che una simile annessione ad un qualche partito, i cui programmi devono essere tutti modificati, il fatto che chi all'inizio ha scritto questo appello comunque non ha mai fatto parte di un partito borghese o di un'associazione borghese, non ha mai potuto farne parte. Per prima cosa questo appello parla della vita spirituale. Per tale vita spirituale si pretende una riconfigurazione totale, perfino estrema. Non credo che oggi qualcuno, senz'altro, possa farsi un giudizio sano e naturale su questa riconfigurazione, senza aver dovuto praticare già da decenni la vita spirituale nel modo in cui essa deve essere praticata, semplicemente in modo sano, in futuro. Certo, quando si dicono cose del genere bisogna parlare in modo un po' estremo e qualcuno potrebbe dire: “Le cose non sono messe così male”. Io stesso per la pratica di una vita spirituale non ho mai vissuto in qualche modo alle dipendenze dello Stato o di altri enti. Per tutta la vita ho cercato di curare la vita spirituale solo a partire da me stesso. Proprio a questo si dovrà tendere per mezzo dell'appello come a qualcosa di generalmente umano. Infatti, chi ha dovuto curare la vita spirituale in questo modo, chi nel suo impegno spirituale non ha mai voluto dipendere da un qualche Stato o da qualcos'altro nelle vecchie istituzioni borghesi, sperimenta, proprio appunto in rapporto alla vita spirituale, qualcosa che gli porta comprensione per la vita proletaria del presente. Si sa quanto era difficile tirarsi fuori dalla pastoia della vita spirituale che ha fatto tanti danni (più di quanti voi possiate immaginare, adesso, col vostro modo di pensare socialista) proprio in termini di dilagare di crisi e di miseria per la vita fisica e animica del proletariato. Infatti, nei settori materiali, nei settori economici esteriori, oggi gli uomini si dividono in due classi: nella classe borghese, che è fusa con la nobiltà, e nella classe proletaria. Il proletario oggi sa, perché ha sviluppato coscienza di classe, sa che cosa deve pretendere. È un proletario. Non ha potuto scegliere. È stato gettato nel proletariato dal processo economico. Il lavoratore spirituale, nel vecchio ordinamento economico e nel vecchio ordinamento statale, non ha mai potuto scegliere se diventare un imprenditore spirituale o un proletario – lì non si poteva affatto diventare un proletario se non faceva pace con i poteri dominanti. In ambito spirituale ci si poteva svincolare solo attraversando difficoltà presenti nel vecchio ordinamento, oppure, se si faceva pace con il potere, se si collaborava come deve collaborare il proletario in ambito materiale, allora non si diventava proletario in ambito spirituale, ma Kuli (facchino). O si doveva, in quanto lavoratore spirituale, prendere su di sé tutto quello che ti tirava fuori dal vecchio ordinamento, oppure si diventava kuli, andava peggio che al proletario, se si entrava in quel che la struttura sociale del vecchio ordinamento aveva costruito. Stando così le cose (non voglio fare osservazioni personali, ma rimanere sul terreno dell'oggettività), proprio perché il facchinaggio spirituale è diventato a tal segno una manovalanza dei poteri economici e statali, proprio per questo siamo arrivati, da una parte, ad una tale miseria. L'operaio, a partire da se stesso, non può rendersi totalmente conto di tutto ciò, perché appunto, da quando è sorta la nuova tecnica insieme al capitalismo che prosciuga l'anima, è stato intessuto nel mero ordinamento economico. Chi, non proprio così, ma comunque è stato intessuto nella vita spirituale, sa che quel che deve succedere per un risanamento dell'evoluzione umana è appunto proprio che la vita spirituale venga emancipata. Egli sa che è impossibile che quelli che devono curare le facoltà, i talenti degli uomini, ciò che l'uomo porta al mondo con la sua nascita, poi, siano solo i servi di quanto, in epoca moderna, si è formato come ordinamento statale o economico. Liberare la vita spirituale è il primo compito. Alla liberazione di questa vita spirituale si oppongono oggi ancora molti pregiudizi anche da parte proletaria. La questione è che in epoca moderna questa vita spirituale è sorta contemporaneamente allo sviluppo della tecnica moderna, allo sviluppo del capitalismo che prosciuga l'anima. Vi è sorta anche una nuova vita spirituale, ma una vita spirituale tale per cui è solo una vita spirituale di classe. Su questo punto si è stati poco capiti e si è ancora capiti con molta difficoltà. Vorrei farvi un esempio. Una volta, una ventina d'anni fa, nella sede del sindacato di Berlino, in una conferenza per gli operai berlinesi alla quale erano presenti anche dei borghesi, ho affermato che è una cosa che so, il fatto che non solo tutto il resto di quello che esiste al mondo è un risultato dell'ordinamento economico capitalista, ma che prima di tutto è l'esercizio della scienza, ad essere un risultato dell'ordinamento economico capitalista. Quella volta non mi ha creduto nemmeno la gran parte dei proletari dirigenti. Dicevano: “La scienza però è qualcosa che si accerta da sé. Quello che è accertato scientificamente è appunto accertato; qui non si tratta del fatto che lo si sia pensato in modo borghese o in modo proletario”. Erano errori che la gente faceva al di là del fatto di essere proletaria o borghese; perché la concezione del mondo borghese era stata accolta dal proletariato. E oggi ci troviamo di fronte alla necessità di smettere di curare questo sapere preso a prestito dalla borghesia, e di deciderci in favore di un sapere libero, che si può sviluppare solo superando i pregiudizi. Per esempio si può dire: “Per fortuna siamo riusciti a volere la scuola unitaria; se ora la vita spirituale deve essere resa libera e i bambini non devono essere portati a scuola per obbligo da parte dello Stato, bensì ciascuno può mandare i suoi bambini, per propria spontanea volontà, nella scuola che ha scelto, sicuramente le persone altolocate fonderanno di sicuro le loro proprie scuole. Riemergerà la vecchia scuola legata allo status sociale”. Questa obiezione era ancora giustificata nel vecchio ordinamento, ma in brevissimo tempo non sarà più giustificata. Le vecchie posizioni non ci saranno più. E quello che in questo appello si pretende per la vita spirituale, l'emancipazione della vita spirituale a partire dalla scuola elementare fino su all'università, non viene pretesa come disposizione singola, ma con una riconfigurazione totale, che deve rendere possibile che, fino al momento in cui l'individuo non va più a scuola, esisterà qualcosa di diverso dalla scuola unitaria. Le obiezioni che vengono fatte a queste cose sono solo pregiudizi conservativi. Bisogna venirne fuori. Dobbiamo imparare a capire che la vita spirituale deve essere emancipata, che deve essere lasciata libera nella propria autonomia, in modo che non sia più asservita all'ordinamento statale ed economico, ma che sia a servizio di ciò che la coscienza generalmente umana può produrre in termini di vita spirituale; in questo modo la vita spirituale non esiste per una classe, ma per tutti gli uomini in modo uguale.

Stimatissimi convenuti, di questi tempi voi lavorate dal mattino fino a quanto il vostro lavoro basta, in fabbrica. Uscite dalla fabbrica e al massimo passate davanti agli istituti di istruzione che sono stati fatti per certe persone. In questi istituti di istruzione vengono fabbricate quelle che finora erano le classi dominanti, quelle che hanno diretto il governo, ecc. Vi chiedo: mano sul cuore, avete un'idea di quello che si impara là dentro? Sapete che cosa succede là dentro? Non ne sapete niente! Qui diventa direttamente evidente la separazione fra le classi. Questo è l'abisso. Quello che si cerca di fare con l'appello è che tutto ciò che viene coltivato in ambito spirituale riguardi tutti e che il lavoratore spirituale sia responsabile dell'intera umanità. Questo non lo potete ottenere, se non liberate la vita spirituale e non la rendete autonoma. Per questo le parole di Karl Marx hanno scosso così tanto l'animo dei proletari, le parole del plusvalore. Il proletario non lo sapeva, con la testa, ma nel cuore sentiva che era giusto, e queste esigenze del cuore adesso vengono ad espressione nelle esigenze della storia del mondo. Perché queste esigenze hanno sfondato così tanto? Perché? Perché Walther Rathenau si spaventa già per il plusvalore? Perché fino ad ora il lavoratore non sa altro, del plusvalore, se non che esso esiste. Esso viene impiegato in sfere che si separano nettamente dalle altre. Forse che il lavoratore oggi sa di lavorare per cose che semplicemente non c'è bisogno che ci siano, nel mondo, che sono lavoro sprecato, che vengono prodotte perché la vita borghese ha portato anche in ambito spirituale un lusso immenso? La gran parte delle persone oggi, essendo distratta, ancora non capisce, non sa farsi un'idea giusta sul rapporto fra il valore economico del lavoro e la vita spirituale, che tuttavia deve essere l'elemento guida, nell'umanità. Voglio farvi un esempio, che vi sembrerà strano. Immaginiamoci uno studente che debba finire l'università. Sapete che gli viene dato un compito, deve scrivere una tesi di laurea sulla parentesi in Omero. Il che significa che cioè non ci sono parentesi in Omero, ma egli deve elucubrarsene una. Per riuscirci, gli serve un anno e mezzo. Poi fa un lavoro eccellente sulle parentesi in Omero, secondo quanto gli richiedono la formazione e la scienza moderne. - Ma ora facciamoci qualche domanda su come questa tesi di laurea si colloca nel contesto economico. Questa tesi di laurea, quando è pronta, quando è stata stampata, viene messa in una biblioteca. Ancora una tesi di laurea; nessuno la va a guardare, talvolta nemmeno chi l'ha scritta. Ma dal punto di vista pratico, il giovane studente deve mangiare, deve vestirsi, deve avere dei soldi. I soldi però al giorno d'oggi significano: avere il lavoro di un certo numero di persone. Il proletario deve lavorare per questa tesi di laurea. Presta del lavoro per qualcosa a cui non può partecipare. Un esempio grottesco, strano, per innumerevoli cose, che non è solo centuplicabile, è moltiplicabile per migliaia di volte. Perciò la prima cosa che dovete chiedervi è: “Che aspetto hanno, quelli che dovrebbero guidarci dal punto di vista spirituale? Vengono dagli istituti d'istruzione ai quali noi stessi non possiamo partecipare”. Sarà diverso, se la vita spirituale verrà emancipata, se chi si occupa dello spirituale non avrà più il sostegno di un ente economico o di un ordinamento capitalistico, non il sostegno dello Stato, ma se deve sapere ogni giorno che quello che fa ha valore per le persone, perché le persone appunto hanno fiducia in questo. È sulla fiducia fra l'umanità e le guide spirituali, che deve essere posta la vita spirituale. Nessuno può obiettare: “Già oggi non sempre vengono riconosciute le persone di talento, ci sono talenti misconosciuti, perfino geni misconosciuti – cosa succederebbe dunque in futuro, se per riconoscerli ci si dovrà basare sulla fiducia?” perché di che cosa uno si occupa in privato è affar suo, noi stiamo parlando del modo in cui la vita spirituale si inserisce nell'organismo sociale. Qui essa deve inserirsi nel modo che ho descritto. Deve inserirvisi liberamente. Solo a causa del fatto che la vita spirituale negli ultimi secoli è andata a poco a poco sottoponendosi alla vita statale e alla vita economica, a causa di questo è diventata quella che è. Solo per questo è stato possibile che alla fine, da questa vita spirituale, siano venute fuori quelle persone che hanno parlato come ho detto ieri, le persone alle quali era affidata la guida dell'umanità. Guardiamo a quelli che erano al timone quando è scoppiata la guerra mondiale. Il ministro degli esteri disse agli illuminati signori del parlamento tedesco, che di certo avrebbero dovuto capire qualcosa della situazione mondiale: “La distensione politica generale negli ultimi tempi ha fatto dei progressi soddisfacenti. Con la Russia abbiamo il miglior rapporto possibile, il gabinetto di Pietroburgo non ascolta le orde della stampa. Le nostre amichevoli relazioni di buon vicinato con la Russia sono sulla miglior via possibile. Con l'Inghilterra sono stati fatti dei negoziati ricchi di speranza, che già nel prossimo futuro si concluderanno a favore della pace mondiale, e soprattutto entrambi i governi hanno assunto una posizione tale per cui i rapporti diventeranno sempre più stretti”. Ecco, quello che veniva detto nel maggio del 1914! A questa intelligenza, a questo livello di comprensione della situazione dovette portare la vita spirituale che negli ultimi secoli è stata tenuta con le dande in questo modo. Ci sono proprio scienziati di spicco, perché vengono addestrati bene, dal punto di vista scientifico. Però si tratta invece, proprio per mezzo della formazione spirituale, di risvegliare anche il cuore e il senso per la vita; che si impari a riconoscere la vita, che non si dica in maggio: «la pace mondiale è garantita» e in agosto poi possa subentrare qualcosa che ammazza da dieci a dodici milioni di persone e ne mutili tre volte tante. Questo deve entrare nella vita spirituale, e ci può entrare solo se la vita spirituale è libera e le persone non diventano solo sapienti e in grado di dare definizioni di qualsiasi cosa, ma che diventino intelligenti. Se diventano intelligenti, allora proprio da questa vita spirituale diventeranno quelli che potranno aiutare a condurre le aziende, a guidare l'economia nazionale. Allora l'operaio che si trova sotto questa guida non dirà più: “Devo combattere contro questa guida”, bensì: “è un bene, che noi abbiamo questa guida, ha qualcosa nella testa, qui il mio lavoro darà il miglior frutto. Se qui c'è una guida stupida, dovrò lavorare di più, se qui c'è una guida intelligente, il tempo di lavoro potrà diventare più breve, senza che questo impedisca il benessere economico”. Non si tratta di lavorare di meno, ma del fatto che, lavorando di meno, non si arrivi a non avere più niente perché i mezzi di sussistenza costano troppo e gli affitti sono troppo alti. È in tutto l'insieme, che si deve cominciare ad arrivare ad una ricostruzione, non in singoli punti. Per questo motivo sottolineo con tanta forza che prima di tutto deve essere capito nella vita spirituale, il fatto che essa deve essere posta su una sana base autonoma.

Ora, è stato chiesto a lungo tutto quello che dovrebbe fare lo Stato. Ecco, vedete, questo Stato nel corso degli ultimi tre o quattro secoli, per le classi dominanti, dirigenti, (e molti altri glielo hanno ripetuto) si è trasformato in una specie di Dio. Delle tante cose che sono state dette sullo Stato proprio durante questa terribile guerra, si ricordi del discorso che Faust ebbe con Margherita, che aveva sedici anni. Qui Faust dice di Dio: «Colui che tutto comprende, Colui che tutto preserva, non comprende e preserva te, me, se stesso?» Sì, qualche imprenditore oggi o poco tempo fa potrebbe avere insegnato così, sullo Stato, ai suoi dipendenti, dicendo: “Non mantiene me, te, se stesso?” E poi avrebbe anche pensato: “Ma soprattutto me!” Ecco, vedete, questo è quello che noi, in merito a questa, direi, divinizzazione dello Stato, dobbiamo imparare. Infatti la popolazione borghese, costretta dai fatti, si è in gran parte discostata molto velocemente da questa divinizzazione. E se lo Stato non sarà più il grande protettore delle imprese, allora questo entusiasmo per lo Stato in questa cerchia non ci sarà più. Ma anche il proletario deve capire che non si deve trattare lo Stato come un dio. Ovvio che non si parla dello Stato come di “Dio”, ma si mantiene molto, di questo. La vecchia cornice dello Stato la si usa per portarvi dentro la vita economica. Però la cosa sana è quando la vita economica non viene travasata nello Stato, ma quando si assegna allo Stato solo la vita politica, la vita puramente giuridica. Lì lo Stato è nel suo stesso ambito. Lì è al suo giusto posto. La vita economica invece deve essere posta sulle basi che le sono proprie, perché deve essere amministrata in modo totalmente diverso dalla vita giuridica dello Stato. Allora possiamo arrivare ad una base sana per l'organismo sociale, realizzando la tripartizione. Da una parte la vita spirituale, che deve farsi giustizia da sé, che non ha alcun diritto di esistere se chiunque faccia qualcosa di spirituale non lo dimostra all'umanità giorno dopo giorno. Nel mezzo sta la vita statale, che deve essere democratica, più democratica possibile. Qui non si può decidere nient'altro che quello che riguarda tutti gli uomini nello stesso modo. Qui si tratta di ciò che pone ogni uomo di fronte all'altro con gli stessi diritti. Perciò lo Stato va separato. Come dovremmo discutere del fatto che uno possa fare meglio questo o quello? Questo deve essere separato dallo Stato. Nello Stato la questione può riguardare solo ciò per cui tutti gli uomini sono uguali. Dov'è che gli uomini sono tutti uguali? Oggi solo due esempi, uno per la proprietà, l'altro per il lavoro. Partiamo dal lavoro. Qui la parola di Karl Marx 'lavoro come merce' ha colpito profondamente l'animo dei proletari. E perché? Perché il proletario, anche se non era in grado di definirlo con chiarezza quassù nella testa, tuttavia sentiva che cosa si intendeva. Si intendeva: “Il tuo lavoro è merce”. Così come si vendono le merci a seconda della domanda e dell'offerta sul mercato, allo stesso modo sul mercato del lavoro ti si compra il lavoro e ti si dà per questo un tanto, che risulta dalla congiuntura economica. Negli ultimi tempi la gente si è convinta che con le assicurazioni migliori tutto. Ma veramente questo non è dovuto alla borghesia. Questa, proprio nel tempo moderno, aveva vissuto in una spaventosa spensieratezza. Ora, comunque, non vogliamo essere ingiusti nei suoi confronti. Una cosa l'ha fatta: ha fatto le statistiche. Una statistica del genere, una simile enquìte, per esempio, è stata realizzata dal governo inglese negli anni Quaranta, dunque all'alba del movimento sociale. Cosa ha detto questa statistica? All'inizio si riferisce principalmente alle miniere inglesi. Qui è risultato che là sotto, nelle miniere, lavorano (è un po' migliorato, ma veramente non grazie a questa classe sociale), che lì sotto lavorano bambini, maschi e femmine, di nove, dieci, undici, tredici anni. È risultato che questi bambini, a parte la domenica, non vedevano mai la luce del sole, perché il loro tempo lavorativo era così lungo, che essi venivano condotti nella miniera prima dell'alba e ne venivano fuori solo dopo il tramonto. È risultato anche che là sotto nelle miniere spesso lavoravano anche donne mezze nude, spesso incinte, insieme a uomini nudi. Ma sopra, nelle stanze ben riscaldate a carbone, le persone si intrattenevano parlando dell'amore per il prossimo, della fratellanza, e di come gli uomini vogliono amarsi l'un l'altro.

Vedete, quella volta questo è stato inserito nelle statistiche, però veramente non è diventato un insegnamento. Non ha portato a rifletterci sopra.

Non è necessario accusare il singolo, ma ciò di cui la classe sociale borghese, se così si può dire, si è indebitata, il fatto che essa dappertutto ha mancato di intervenire nel momento giusto nel modo giusto! Nell'animo del proletariato è sorto il pensiero: “Nell'antichità c'erano gli schiavi, si vendeva l'uomo intero. Egli diventava proprietà del proprietario, diventava di sua proprietà come una vacca. Poi è venuta la servitù della gleba. Qui si vendeva un po' meno, ma sempre ancora abbastanza dell'uomo. In epoca moderna si vende la forza lavoro”. Però, quando l'operaio deve vendere la sua forza lavoro, deve andare con la sua forza lavoro là dove la vende. Deve andare nella fabbrica. Quindi vende se stesso, là, insieme alla sua forza lavoro. Non può inviare la sua forza lavoro in fabbrica. Perciò dietro il contratto di lavoro non c'è un granché. L'unico modo per potersi aspettare un miglioramento è che la messa a disposizione della forza lavoro venga totalmente estratta dall'elemento economico, che si giunga su basi democratiche ad una decisione sulla quantità, su tutto il modo in cui si deve lavorare, a partire dallo Stato. Prima ancora che l'operaio entri in fabbrica o nelle officine, lo Stato ha già deciso in modo democratico, con la sua voce, sul suo lavoro. Che cosa si ottiene, in questo modo?

Vedete, la vita economica da un lato dipende dalle forze naturali. Queste possiamo dominarle solo fino ad un certo livello. Esse si innestano nelle condizioni umane. Per esempio, quanto grano cresca in una certa terra, quanta materia prima ci sia nel sottosuolo, questo è dato a priori, ci si deve regolare di conseguenza. Non si può dire che il prezzo di una cosa o dell'altra debba essere così o colà, se questo contraddice la quantità di materia prima. Questo è un limite. Un altro limite deve diventare l'impiego della forza lavoro umana. Come le forze naturali per il grano sono sottoterra e l'uomo non può farci nulla nella vita economica, così alla vita economica deve essere fornita forza lavoro da fuori. Se viene fornita da dentro, lo stipendio dipenderà sempre dalla congiuntura economica. Solo se al di fuori della vita economica, in modo del tutto indipendente, su una base puramente democratica, statale, si determinerà di che specie sarà il lavoro, per quanto tempo potrà durare, solo così l'operaio andrà al lavoro col suo diritto del lavoro. Allora il diritto del lavoro sarà come una forza di natura. Allora l'elemento economico va ad incastrarsi fra la natura e lo Stato giuridico. Allora l'operaio non trova più nello Stato quello che vi ha trovato negli ultimi tre, quattro secoli. Non ci trova più la lotta di classe, il privilegio di classe, ma i diritti umani.

Solo in questo modo, solo separando lo Stato dagli altri due settori come un prodotto sociale particolare, giungiamo ad un progresso sociale proficuo, giungiamo ad un risanamento, come lo si può trovare in sostanza per tutti gli uomini sulla Terra. Da questo pregiudizio che lo Stato debba essere regolato dalla vita economica e non la vita economica dallo Stato da essa indipendente, da questo pregiudizio dobbiamo venire fuori, altrimenti pensiamo sempre in modo sbagliato al futuro.

La stessa cosa che avviene col diritto del lavoro avviene col diritto sulla proprietà. Vedete, in fin dei conti, in realtà, le fondamenta di tutta la proprietà attuale si rifanno ad antiche conquiste, ad antiche imprese di guerra; ma questo si è trasformato. Dal punto di vista economico, il concetto di proprietà non ha proprio alcun senso. È una pura illusione. Esiste solo per tranquillizzare certi animi borghesi. Dal punto di vista economico: che cosa indica il concetto di proprietà? Indica soltanto un diritto, precisamente il diritto di disporre di determinate cose, del terreno, dei mezzi di produzione. Il diritto di disporre di qualcosa dev'essere predisposto dallo Stato tanto quanto il diritto del lavoro. Il che vi diventa possibile solo tirando via dallo Stato tutti i poteri economici e spirituali. Vi è possibile solo conducendo la vita economica da una parte, in modo indipendente, e dall'altra parte, in modo altrettanto indipendente, la vita spirituale, in modo che allo Stato rimanga solo la democrazia. All'inizio sarà difficile, far propri questi pensieri, ma sono convinto che il proletario sentirà che questi pensieri racchiudono in sé il futuro. All'interno della vita economica non devono muoversi altro che merci. Oggi ci si muove anche la proprietà, che in realtà è un diritto. Al giorno d'oggi si possono anche semplicemente comprare dei diritti. Insieme alla forza lavoro si ha il diritto di avere a disposizione anche la persona. Con la proprietà dei mezzi di produzione, del terreno, si compra il diritto di averlo a disposizione. Si comprano dei diritti. In futuro i diritti non si compreranno più; essi devono essere amministrati dallo Stato, che non ha nulla a che vedere con la compravendita, in modo che ogni uomo compartecipi dell'amministrazione. Nel circolo della vita economica non circolerà altro che quello che si può presentare come produzione di merci, circolazione di merci, consumo di merci. Questo passa sempre attraverso il consumo, e perciò tutta l'economia in futuro dovrà essere costruita su base associativa, dovrà essere costruita sulle coalizioni, le quali risultano dalle posizioni professionali, ma soprattutto dal presentarsi del necessario bisogno di consumo. Oggi, proprio per il fatto che produciamo senza tenerne conto, cioè per il fatto che partiamo dalla produzione della ricchezza, veniamo portati a continue crisi, che sono provocate dalla miseria sociale delle masse. Partendo dal consumo, la vita economica sarà posta su una base sana. Ieri ho fatto un esempio di come, sebbene ancora in modo manchevole, si possa fare il tentativo di procedere nella produzione spirituale in modo da non aspettarsi del lavoro inutile. Ora vorrei raccontarvelo. Vedete, adesso forse la nostra società a molti sembra ancora un obbrobrio. Però questa società, nell'ambito della produzione spirituale, ha subito tentato di fare qualcosa che deve diffondersi in tutti gli altri settori. Circa vent'anni fa, ho iniziato a scrivere libri. Ma per procedere ho fatto in modo diverso da molti dei miei contemporanei. Sapete che vengono scritti molti libri, e ne vengono letti pochi. Del resto, chi ce l'ha il tempo di leggere tutto quello che viene scritto al giorno d'oggi? Però, proprio in questo settore, questa è una scempiaggine economica. Immaginatevi un libro (succede così in migliaia di casi), viene scritto un libro. L'autore del libro deve mangiare. Un certo numero di compositori tipografici devono comporlo per la stampa. Deve essere fabbricata della carta, devono lavorare un certo numero di rilegatori. Poi il libro esce, diciamo, in mille copie. Forse ne vengono vendute cinquanta, le altre novecentocinquanta copie devono essere portate al macero. Che cosa è successo, qui, in realtà? Bisogna sempre guardare alla realtà. Qui un certo numero di persone, che hanno dovuto lavorare con le mani, hanno lavorato inutilmente per colui che ha scritto il libro. Vedete, dal lavoro improduttivo, inutile, gettato al vento, deriva molta dell'odierna miseria. Perciò che cosa abbiamo fatto nella nostra società? Con l'usuale commercio librario, che è totalmente inserito nell'attuale ordinamento economico, non si può far nulla. Perciò abbiamo fondato noi stessi un commercio di libri. Ma non è mai stato stampato un libro prima che ci fosse un certo numero di persone, in modo che tutte le copie potessero essere vendute, cioè prima che ce ne fosse il bisogno. Ovviamente ci si può arrivare solo lavorando. Bisognava avvertire le persone – ovviamente non con un cartellone come quello dei «buoni dadi da brodo di Maggie». Si può fare anche pubblicità, in modo che le persone sappiano che la merce c'è. Però bisogna partire dai bisogni, dal consumo. Ma questo può succedere solo se vengono fondati consorzi di consumatori, in sostanza se i consorzi si inseriscono nel settore economico. Non è necessario inserire tutto questo in ambito politico, se si ha la democrazia.

Però oggi il proletario non se ne accorge, non ne ha ancora una visione d'insieme. E siccome voglio essere sincero, posso accennare anche all'ultima domanda, per mostrare come il proletario sperimenti col suo stesso destino quei terribili effetti della fusione della vita economica con la vita dello Stato. Infatti, che cosa sperimentano innumerevoli proletari come unica salvezza nelle crisi economiche, dato che lo Stato non è ancora posto su una base sana, cioè sulla base della democrazia, che è indipendente dalle necessità della vita economica? Per esempio si può dire che deve esserci un periodo di astensione dal lavoro, in modo che il proletario possa partecipare alla libera vita spirituale generalmente umana. Lo Stato deve trovarsi nel mezzo, fra la vita economica e la vita spirituale, deve essere posto su una sua propria base democratica. Al giorno d'oggi le cose si sono complicate a causa degli interessi borghesi degli ultimi secoli, e si sono complicate ancora di più nei primi due decenni del XX secolo. Qual è, spesso, lo scopo ultimo di numerosissimi proletari (lo vediamo, al giorno d'oggi, quando i fatti parlano così forte), cosa vogliono, quando lottano per le loro giuste rivendicazioni? Basta che io dica una parola, qui tocco qualcosa a cui pensano numerosissimi proletari, ma contemporaneamente anche qualcosa di cui oggi non riescono ancora ad avere un giusto sentimento, perché manca loro una visione d'insieme di tutte le conseguenze economiche – basta che io pronunci la parola 'sciopero'. Io so, stimatissimi convenuti, che se al proletario venisse data la possibilità di cavarsela senza scioperi, rifiuterebbe qualsiasi sciopero. Almeno, io non riesco a immaginarmi nessun proletario ragionevole che voglia lo sciopero per amore dello sciopero. Perché al giorno d'oggi egli ha una tendenza così forte a scioperare? Per il fatto che la nostra vita economica va di pari passo con la vita statale. Lo sciopero è una cosa puramente economica e ha anche soltanto un effetto economico. Però spesso dovrebbe essere ottenuto anche un effetto statale, un effetto politico. Questo può succedere solo in un organismo sociale malsano, nel quale non è ancora subentrata la separazione fra Stato e vita economica. Chi capisce la vita economica sa che l'unica cosa sana è che la produzione non venga mai interrotta. Ogni volta che scioperate interrompete la produzione. Chi crede di dover scioperare agisce per necessità che sono venute in essere a causa della fusione della vita dello Stato con la vita economica. Questa è la grande disgrazia, il fatto che noi oggi siamo costretti a distruggere la vita a causa di questa fusione funesta di quanto invece dovrebbe essere tripartito. Non c'è nessun altro modo per evitare definitivamente gli scioperi nel modo giusto, oltre a quello di mettere la democrazia dello Stato nel suo proprio ambito e rendere impossibile di ottenere dei diritti combattendo in ambito economico. Se lo si capisse, lo so, la gente direbbe: “Ora, se le persone infine mettono giudizio, se solo ci dicessero che si interessano di qualcosa che deve soddisfare le esigenze sociali, allora noi non sciopereremmo, perché sappiamo anche che non si può ottenere tutto dall'oggi al domani; noi vogliamo aspettare, però vogliamo avere delle garanzie”. Durante la guerra, per uscire da quella terribile miseria, parlai dell'appello con qualche cosiddetta 'autorità', sottoposi loro l'appello. Importantissime autorità alla guida del Paese hanno l'appello da lungo tempo. Dissi loro: “Quello che vi è enunciato non è sorto dalla testa delle persone. Io non sono più intelligente di altri, ma ho osservato la vita ed essa mi ha mostrato che nei prossimi vent'anni si dovrà lavorare esclusivamente per realizzare questa tripartizione, non come programma, ma come esigenza dell'umanità. O scegliete di mettere giudizio adesso e contrapporre questo, come programma dell'Europa centrale, ai quattordici punti di Wilson (se non ci aiutiamo da noi stessi, non ci potrà aiutare neanche Wilson), dunque: o presentate nella politica internazionale l'appello e dite che cosa deve succedere se viene la pace, cioè scegliete di mettere giudizio, o altrimenti vi troverete di fronte a rivoluzioni e a catastrofi”.

Le persone non hanno messo giudizio. L'ultima cosa è successa o no? Oggi bisogna chiederselo. È veramente preoccupante, al giorno d'oggi, che la spensieratezza di un tempo in sostanza sia ancora qui, che non sia stata rimpiazzata da idee pratiche, fruttuose, adeguate alla realtà. La tripartizione è vera pratica di vita. Perciò io sono convinto che succederà (e noi lo vedremo) anche se, in certo qual modo, adesso è solo una possibilità, che il proletariato capirà che bisogna riuscire, in questo modo, a fare dei progressi sociali. Allora cesseranno gli sforzi sociali improduttivi. Si lavorerà con la ragione, con la ragione da parte dell'animo del proletariato, dopo che gli altri non hanno lavorato con la ragione. Questo è l'importante. Avrei anche potuto tacere, avrei potuto evitare, di parlare dello sciopero, ma volevo mostrarvi che io tutto ciò di cui sono convinto lo dico sempre. Questo forse è quello che mi dà il diritto di avere una pretesa e di dire: “Potete anche prendere alcune delle cose che ho detto come se contraddicessero le vostre idee; ma non dubitate della sincerità dello sforzo di raggiungere veramente quello che il proletariato vuole e deve ottenere”.

Da oltre un secolo nell'umanità circola il motto: “libertà, uguaglianza, fratellanza”. Molti, che erano intelligenti, nel XIX secolo hanno scritto che queste tre parole si contraddicono. Avevano ragione. Perché? Perché queste parole erano state proposte ancora sotto l'ipnosi dello Stato unitario. Solo se queste tre parole, questi tre impulsi, vengono proposti in modo che la libertà appartenga alla vita spirituale, l'uguaglianza allo Stato democratico, la fratellanza all'associazione della vita economica, ottengono il loro vero significato. Nel XX secolo si deve ancora portare a compimento quanto alla fine del XVIII secolo pulsava ancora incompreso nell'umanità come tripartizione. Vogliamo fare quella che è vera uguaglianza, fratellanza, libertà, ma prima dobbiamo capire che è necessario suddividere nelle sue tre parti quello che è l'organismo sociale. Infatti, se si vede che è necessario e se si ha speranza che all'interno del proletariato debba essere risvegliata la comprensione di questa tripartizione, allora si può anche esprimere fiducia, si può dire: “Una volta tanto io credo che sia un'idea sana, buona, gioiosa per il futuro, quella che in modo più o meno inconsapevole giace nel nuovo movimento proletario. Il proletario moderno adesso ha una coscienza di classe. Lì dietro si cela la consapevolezza dell'umanità, la consapevolezza che si deve raggiungere la dignità umana. Nella sua stessa vita il proletario vuole potersi rispondere in un modo umanamente degno alla domanda: “Che cosa sono, io, in quanto uomo? Sono inserito nella società umana in modo degno dell'essere umano?” Deve ottenere un ordinamento sociale che gli faccia rispondere “Sì” a questa domanda. Allora le esigenze attuali verranno soddisfatte dall'organismo sociale sano. In questo modo gli operai otterranno quello che vogliono ottenere: la liberazione del proletariato dalla crisi fisica e animica. Ma raggiungeranno anche la liberazione dell'intera umanità, cioè la liberazione di tutto quell'umano nell'uomo, che è veramente degno di essere liberato.


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Trad. 01/2017