Stoccarda, 22 aprile 1919 |
Come indicato nel programma dell'incontro di stasera, oggi vorrei soprattutto dire alcune cose a proposito dell'appello «Al popolo tedesco e al mondo civile»[1] che avete in mano. Dato che oggi mi trovo davanti ad un gruppo di persone che in linea di massima sono già a conoscenza del contenuto dell'appello, mi permetterete di parlare in modo piuttosto aforistico. Delle concezioni sociali che stanno alla base dell'appello e del mio libro sulle questioni sociali, che uscirà a giorni, parlerò poi lunedì prossimo. Al giorno d'oggi, veramente non sono idee di programma qualsiasi, idee alle quali ci si accosti per un interesse o per l'altro, a poter spingere alla stesura di un appello come quello che vi è stato presentato, no! L'impulso proviene invece dai fatti oggettivi, fatti che parlano a voce sonante, a voce forte e chiara, e che sono maturati durante la terribile catastrofe mondiale che abbiamo vissuto in questi ultimi anni. Osservando attentamente questi fatti con l'anima desta, prima di tutto se ne riceverà un'impressione ben precisa. Vorrei caratterizzare questa impressione come segue.
Spesso abbiamo sentito dire che nei terribili anni che abbiamo vissuto durante questa catastrofe mondiale che ha travolto l'umanità, è successo qualcosa che non ha precedenti nel corso dell'evoluzione umana così come la si osserva di solito in quanto tale. Sono davvero in moltissimi ad avere avuto la sensazione che una cosa simile non fosse mai successa prima in tutto quell'ampio arco di tempo che chiamiamo 'storia'. E ora, non si dovrebbe richiamare anche l'altro sentimento, che però mi sembra che finora non sia ancora stato pienamente richiamato, il sentimento, cioè, che adesso, anche per una riconfigurazione della situazione mondiale, siano necessarie delle cose che devono anch'esse essere tratte dagli impulsi dell'umanità, che siano radicalmente nuove, che rompano in modo radicale non solo con le vecchie istituzioni, ma anche soprattutto con le vecchie abitudini di pensiero? Di fronte a fatti oggettivi dalla voce così tonante, non dobbiamo, prima di tutto, dirci che su grandi porzioni del mondo civile si estendono vaste ombre che i nostri predecessori in realtà hanno caoticamente lasciato all'umanità attuale? Possiamo dire, davanti a tanto, che dal groviglio, dal caos, sono già risultate idee tali, pensieri tali, da essere all'altezza di questi fatti oggettivi? Non ci viene in mente, osservando il panorama di questi fatti in modo realistico, che dobbiamo dirci: “Le vecchie opinioni di partito ci sono, le vecchie concezioni sociali ci sono, certi pensieri su come dovrebbero andare le cose fra gli uomini ci sono, però tutto questo non basta per riconfigurare, in qualche modo, quello che il passato più recente ha lasciato al nostro presente”?
Il passato ha posto a questo presente grandi compiti di vasta portata. Riusciremo forse ad assolverli con maggiore facilità chiedendoci con la massima franchezza e onestà (perché la franchezza e l'onestà saranno l'unica cosa che potrà condurci al futuro) chiedendoci dunque con franchezza e onestà: “In realtà, come ci siamo arrivati, a questa situazione?” Dovendo indicare il fenomeno più significativo del tempo presente e volendomi chiedere: “Da che cosa è risultato, in realtà, l'attuale stato di cose?”, non posso dire che sia derivato soltanto dagli errori di una o dell'altra classe. Direi: in realtà, quello che sta succedendo oggi sale come una spuma da un abisso. E di che abisso si tratta? È un abisso che si è aperto nel corso degli ultimi tre o quattro secoli fra la classe che aveva guidato l'umanità fino ad allora e quelli che lottano per elevarsi al di sopra dell'essere guidati e che oggi avanzano le proprie richieste. In sostanza, di fatto, i disordini non provengono né da una parte, né dall'altra parte, i disordini provengono da quello che sta in mezzo. Non è un'osservazione pedante, è invece qualcosa che credo si possa motivare in modo molto profondo e che al tempo stesso getta luce su quanto in realtà deve succedere. Da una parte abbiamo le cerchie che finora hanno guidato l'umanità, che in sostanza (diciamocelo proprio con tutta franchezza e onestà) nel corso degli ultimi secoli e soprattutto dell'ultimo secolo si sono sviluppate in modo tale da dimostrare solo una scarsa propensione a guardare in un certo senso al futuro, ad avere un qualche barlume di che cosa possa realmente esserci in seno all'ordine sociale all'interno del quale si trovano. Volgendo lo sguardo a quanto è successo sotto l'influsso dei pensieri, dei sentimenti, dell'orientamento della volontà, dell'agire di questa classe che finora aveva guidato l'umanità, ci ricorderemo di qual era il livello di comprensione, il livello di forza d'urto del pensare, ora, diciamo, nella primavera del 1914.
È proprio necessario che oggi vengano dette queste cose. Nella primavera del 1914 potevamo sentirci raccontare che ad una riunione che doveva essere illuminata almeno per quanto riguarda le cose politiche, ad una riunione di quegli uomini ai quali allora era affidata la conduzione dell'umanità, l'allora ministro degli affari esteri poteva comunicare ai signori del governo tedesco che la distensione generale in Europa stava facendo grandi passi in avanti. Che i rapporti del Reich tedesco con la Russia erano i più soddisfacenti che si potessero pensare, in quanto il governo di San Pietroburgo non era affatto incline a dare ascolto alle sollecitazioni della stampa; i rapporti di buon vicinato fra il Reich tedesco e la Russia promettevano il meglio. Disse inoltre che erano state avviate delle trattative con l'Inghilterra, che non si erano ancora concluse, ma che promettevano che con l'Inghilterra si sarebbe stabilito il miglior rapporto possibile. Sì, proprio quando si vuole capire con franchezza e onestà quella che era la forza d'urto dei pensieri della cerchia dominante e delle eccellenze di queste cerchie dominanti in quel tempo tanto decisivo, bisogna proprio dirle, queste cose. Quanto accennato poteva essere detto nelle settimane immediatamente precedenti quel terribile periodo in cui in Europa, tenendoci bassi coi numeri, sono state ammazzate dai dieci ai dodici milioni di persone e tre volte tante sono rimaste mutilate! Bisogna vederle, queste cose, perché in questo momento è importante prender le distanze da quella che negli ultimi tempi è stata chiamata 'prassi di vita' e sviluppare fiducia per quanto ci consenta una reale comprensione delle cose. Se non ci decidiamo a guardare con coraggio e senza intralci a ciò a cui (ora, lasciatecelo dire) siamo stati condotti dalla spensieratezza nei confronti di quello che il presente porta in seno per il futuro, non riusciremo ad andare avanti. Questo è quello che oggi dobbiamo tener presente. Stasera veramente non voglio parlarvi di nulla di personale, ma forse almeno qualche accenno lo posso fare. Nello stesso periodo in cui le persone dirigenti pronunciavano le parole che vi ho appunto riferito a proposito della 'distensione generale' e altre cose del genere, dovetti riassumere in una piccola riunione a Vienna l'idea che, nei decenni, mi ero fatto sulle possibilità future della vita europea, o comunque della vita moderna in generale. Allora mi trovai a dover parlare davanti ad una piccola società – una più grande forse mi avrebbe deriso, perché tutti quelli che in quel momento tenevano in mano le redini dell'umanità tendevano a considerare queste cose delle fantasticherie. Quel che ebbi a dire quella volta lo espressi così, solo ripetendo cose che in una forma o nell'altra avevo già detto negli ultimi decenni: “Le tendenze predominanti nella vita nel tempo presente diventeranno sempre più forti, finché alla fine collasseranno in se stesse”. Chi osservi spiritualmente la vita sociale vede come dappertutto siano spuntate delle predisposizioni alla formazione di bubboni sociali. Questa è la grande preoccupazione culturale che sorge in chi capisce l'esistenza. Questa è la cosa spaventosa che ha un effetto tanto opprimente, e che, anche se si potesse nascondere tutto l'entusiasmo che altrimenti si ha nel riconoscere i processi della vita coi mezzi di una scienza che riconosce lo spirito, dovrebbe portare a parlare del rimedio, per così dire a urlare al mondo il rimedio a quanto sta già arrivando con forza e che diventerà sempre più forte e ancora più forte. Quello che in un campo, in una sfera, deve essere come la Natura che crea per mezzo dell'abbondanza in libera concorrenza – nella diffusione delle verità spirituali – diventa una formazione di cancro se subentra nella cultura sociale nel modo descritto.
Mi sembra che queste considerazioni colgano in modo più preciso quello che seguì alla primavera del 1914, quando vennero pronunciate queste parole, di tutte le parole che dissero quelli che allora si ritenevano uomini pratici della vita, e che credevano di attingere alle realtà, mentre invece stavano attingendo solo alle proprie illusioni politiche e alle proprie illusioni sulla vita. Se ora devo descrivere brevemente cos'è che ha portato a queste cose, ecco, è proprio la mancanza di una qualsivoglia lungimiranza, la mancanza della volontà di prevedere quello che il presente stava covando come seme evolutivo per il futuro. Non deve essere un'accusa, ma solo una caratterizzazione!
Se ci facciamo una visione d'insieme di quanto gradualmente è sorto negli ultimi secoli fra quei ceti dominanti che infine sono confluiti nella cosiddetta classe sociale borghese, dobbiamo dirci: si è proprio tentato di fare molto, di straordinariamente lodevole, molto di ciò che non si può caratterizzare altrimenti che dicendo: sono stati fatti possenti passi in avanti, nella cultura generale umana fino al presente. Però questi passi che cosa hanno reso necessario? Hanno reso necessario che ci si impigliasse in una spaventosa contraddizione della vita. Si aveva semplicemente bisogno, mentre nell'epoca moderna da un lato sorgeva la tecnica moderna col suo accessorio necessario del capitalismo moderno, e dall'altra parte sorgeva la moderna concezione del mondo, che va parallela allo sviluppo del capitalismo e della tecnica, si aveva necessariamente bisogno di una certa diffusione dell'educazione. Dovrò dire qualcosa di molto paradossale, solo che le verità che oggi sono necessarie, forse suonano ancora un po' paradossali per le abitudini di pensiero dei giorni nostri. Fra le persone più importanti che si sono pronunciate, ne conosco soltanto uno che, in realtà, si è espresso correttamente su come, in realtà, si dovrebbe trattare il mondo per farlo andare avanti come queste cerchie dominanti, alla guida dell'umanità, lo hanno fatto andare avanti finora; conosco un uomo che ha detto che cosa dovrebbero fare, in realtà, queste classi dominanti, se fossero coerenti. E quest'uomo, è proprio questo il paradosso, è il capo del santo sinodo, come lo si chiama in Russia, è l'Oberprokurator Pobjedonoszew.
C'è uno scritto di quest'uomo che, in una maniera straordinariamente persuasiva e ricca di spirito, condanna in modo estremo tutto il parlamentarismo dell'epoca moderna, condanna radicalmente la democrazia, ma più di tutto la stampa del mondo occidentale. Pobjedonoszew era abbastanza previdente da sapere che o si devono fare queste cose a partire dal mondo, il parlamentarismo, la stampa, la democrazia, oppure si deve giungere alla distruzione di quella che le classi dirigenti, le classi dominanti, credono essere la cosa giusta per il tempo moderno. Ovviamente, solo un presidente del santo sinodo del genere poteva avere il coraggio di parlare in un modo così estremo. Quella che viveva nelle anime degli uomini che pensavano nel modo più progredito, nelle classi dirigenti, dominanti, era una contraddizione interiore. In sostanza era già una contraddizione ai tempi della scoperta dell'arte tipografica. Era impossibile, con tutte le nuove strutture, portare le cerchie più vaste all'autogiudizio, ad un pensare ragionevole e allo stesso tempo continuare a gestire l'economia allo stesso modo di prima. Questo doveva necessariamente portare a ciò a cui appunto ha portato: all'autoannichilimento di questa cultura. Questo, da una parte. Se nelle cerchie più vaste fosse stata tratta la conseguenza dell'Oberprokurator Pobjedonoszew, ci si sarebbe detti, ci si sarebbe detti già da lungo tempo: è necessario qualcosa di diverso, di estremamente diverso da quello che abbiamo fatto venir fuori negli ultimi secoli. Da una parte bisogna dire così. Non lo dico come accusa, ma solo per caratterizzare le cose. Anche se per l'epoca più moderna le osservazioni dell'Oberprokurator erano ovviamente una follia, esse consentivano di capire che era necessaria una radicale inversione di rotta. Infatti, in realtà, ci si sarebbe solo potuti fermare, pensandola come lui. Da una parte, va quindi indicato proprio questo paradosso. Questo è quello che si trova da un lato dell'abisso. Poi viene l'abisso, e dall'altra parte stanno i proletari in marcia, quelli che da altri settori della vita sono stati chiamati, nel corso degli ultimi secoli, alla macchina, nelle fabbriche; sono stati chiamati in un modo tale per cui la loro vita è stata inserita nel capitalismo moderno, che ne prosciuga l'anima. Dalle loro anime si sollevano quelle esigenze che oggi in realtà non sono solo una richiesta di pane; sono anche questo (però oggi l'importante non è la questione del pane, perché in sostanza in Europa centrale questa è giustificata per tutti gli uomini), ma è, come presto vedremo, una vasta questione economica, giuridica e spirituale. Però, ora, andiamoci a guardare l'altra parte dell'abisso da un punto di vista come quello che ora voglio assumere in rapporto alla caratteristica proprio di questa parte. Guardiamo che cosa viene fuori nel mondo proletario. Era veramente molto importante fare esperienza di quanto vi si sviluppava. Mentre da una parte le sfere della borghesia costituivano il ceto superiore e davano forma ad una certa cultura che poteva svilupparsi solo sulle fondamenta del proletariato, mentre dunque il ceto superiore della borghesia sviluppava la sua propria cultura, si poteva vedere come, già da decenni, il breve tempo che avanzava al proletario dopo il lavoro gli veniva occupato dall'aspirazione ad una concezione sociale del mondo e della vita. Questa è sorta su un terreno del tutto diverso da quello della cultura borghese. Che cosa questo significhi lo si può capire solo imparando non solo a pensare sul proletariato, ma a pensare con il proletariato. Oggi è questo, che conta, per farsi un giudizio su questa parte. E che cosa vediamo, da questa parte?
Ora, oggi ci sono già delle regioni del mondo civile nelle quali il proletariato è chiamato a creare ordine dal caos. L'abbiamo vista svilupparsi, veramente con tutto l'acume che corrisponde all'intelletto fresco del proletariato, nel quale io credo – l'abbiamo vista, l'idea, l'idea dotata di enorme forza d'urto della concezione sociale del mondo proletario. L'abbiamo vista svilupparsi fino allo scoppio della catastrofe bellica. Sappiamo come, all'interno del proletariato, siano sorte concezioni di ampia portata su quanto deve succedere. Adesso moltissimi di coloro che si sono formati a loro modo queste idee, che credono di essersi avvicinati ad una concezione del mondo proletaria, adesso si trovano ad un punto per cui potrebbero realizzarla, questa concezione del mondo, adesso in grandi parti dell'Europa vengono date loro certe istituzioni. Vediamo che possano farlo? Vediamo che anche da questa parte i pensieri sono troppo corti per questi fatti oggettivi.
Vediamo che da una parte vive una concezione del mondo che va in declino, e che dall'altra parte una certa corrente mondiale dell'umanità non è riuscita a trovare, nel momento decisivo, quegli impulsi, quegli impulsi sociali, che possono portare ad un rinnovamento. Fra queste due c'è l'abisso, e da questo abisso schizza fuori quel che oggi ci sta già venendo incontro e che verrà incontro all'umanità con forza sempre maggiore, sia all'umanità borghese che a quella proletaria, se questa umanità non si sforza di capire quel che le esigenze della vita dell'evoluzione umana renderanno necessario per il presente e per il prossimo futuro. Possiamo guardare a queste esigenze della vita osservando proprio il movimento proletario al suo sorgere, osservando il modo in cui è andato gradualmente formandosi. Possiamo dire che quel che vive nell'anima proletaria si sviluppa in tre ambiti della vita, però si sviluppa anche quella che è l'esigenza del presente e del prossimo futuro e che deve essere necessariamente essere soddisfatta. In tre settori della vita. Coloro che hanno un po' di dimestichezza con la concezione proletaria del mondo e della vita degli ultimi decenni e che le persone intelligenti di questo movimento hanno ripetutamente riassunto dicendo: “Non si può andare avanti come si è fatto finora” hanno visto soprattutto quanto in profondità si sia conficcata negli animi proletari del nuovo tempo un'idea proveniente da quella guida dei proletari il cui nome da settant'anni vive nel proletariato europeo e americano e che nonostante tutti i suoi successori non è ancora stato superato, cioè da Karl Marx.
Basti sapere che negli animi moderni, che, esausti dal lavoro, la sera si riunivano per avere chiarezza su quanto debba succedere, si è conficcato tutto ciò che ha a che fare con la parola 'plusvalore'. Questo toccava i sentimenti più profondi del proletariato. Ma non toccava solo i sentimenti più profondi del proletariato, no, al tempo stesso toccava le esigenze più intense dell'evoluzione umana del tempo moderno. Ora, se si vogliono veramente capire queste cose, bisogna guardare più in profondità di quanto le persone dicono con la loro ragione, con la loro coscienza di testa. Nelle profondità dell'anima umana spesso giace ancora qualcosa di completamente, completamente diverso da ciò che gli uomini riescono a portare a chiara coscienza. Nell'anima proletaria si è messo in tumulto qualcosa di infinitamente importante, quando si è parlato di valore aggiunto. Si è messo in tumulto infinitamente tanto di ciò di cui il proletario non si fa una chiara rappresentazione cosciente, ma che vive in lui e che adesso scoppia con la violenza degli elementi e che deve essere capito, se si vuole trovare una qualche via d'uscita dai disordini. Per quello che intendo non è rilevante il fatto che poi, per il giudizio della scienza economica nazionale, il 'plusvalore' possa o meno combaciare col concetto di Karl Marx. Anche se questa idea poggiasse sull'errore, il suo effetto sociale, social-sedizioso, nella classe operaia dovrebbe essere concepito come fenomeno storico.
Infatti, in realtà, cos'è che viveva nei più intimi recessi dell'anima dei proletari, quando si parlava di plusvalore? Ora, le cerchie dominanti, che erano alla guida, parlavano dell'evoluzione dell'umanità, si sentivano inserite in questa evoluzione dell'umanità. Sì, se volevano indicare che cosa, in realtà, sia alla base di questa evoluzione dell'umanità, dicevano, a seconda di cosa loro serviva, parole come: governo divino del mondo, ordinamento cosmico morale, idee storiche o altro del genere. Al proletario, che col sorgere del tempo moderno, all'alba di questa nuova epoca, aveva ereditato questa concezione borghese del mondo, venivano offerti dei concetti che erano andati formandosi nel corso del tempo. Però, quando guardava alle cerchie dirigenti, non poteva affatto vederci una manifestazione di quella che queste cerchie dirigenti chiamavano 'conduzione divina del mondo', 'ordinamento morale del mondo' e 'idee storiche'. Perché non poteva scorgervi niente? Ora, egli non era inserito (le cose sono migliorate un po' solo negli ultimi tempi e davvero non per merito della classe dirigente) egli non era inserito in un ordinamento morale del mondo o in un ordinamento divino del mondo, bensì nel giogo del nuovo ordinamento economico. E guardava a quella che si sviluppava come vita spirituale presso le classi dirigenti. E che cosa sentiva? Sentiva di essere in rapporto con questa concezione culturale, con questo patrimonio culturale delle cerchie dirigenti, dominanti, nell'unico modo che gli era possibile (perché l'altro modo non era per lui). E che genere di rapporto era? Egli produceva, di quel che questo patrimonio culturale costava, produceva plusvalore per gli altri. Capiva solo questo. E quel che di questo patrimonio culturale gli si voleva dare con ogni genere di divertimento folcloristico, di rappresentazioni teatrali popolari, corsi popolari, rappresentazioni artistiche popolari di altro genere, tutto questo tuttavia era solo qualcosa con cui egli non riusciva a mettersi interiormente in rapporto. Infatti lo si può fare solo se si è socialmente inseriti nella vita spirituale corrispondente in modo vivace. Ma fra le due classi si era spalancato l'abisso, e in sostanza era una menzogna, quella che il proletariato sentiva in quei bocconi di patrimonio culturale che gli venivano gettati. E così venne fuori una cosa (oggi voglio caratterizzarla solo brevemente, lunedì ve ne parlerò un po' di più) venne fuori una cosa che si incise profondamente nel cuore di chi comprendeva la cultura, come per esempio di quello che vi sta parlando adesso, quando prese parte alla vita proletaria e alle aspirazioni proletarie. Venne fuori che all'interno del proletariato si era fissata quella concezione, sclerotizzante l'anima, secondo la quale tutta la vita spirituale, l'arte, la religione, la moralità, il diritto, tutta la scienza in sostanza non sono altro che l'immagine speculare della vita economica. Fra i proletari assennati che volevano caratterizzare tutta la vita spirituale, si poteva sempre sentir ripetere la stessa parola: la parola 'ideologia'. Quello che il proletario percepiva, guardando all'arte, alla scienza del nuovo tempo, alla religione, alla morale e al diritto, tutto questo per lui non era altro che qualcosa che saliva come un fumo dall'unica vita vera, quella economica: ideologia. E sorse la concezione, quella concezione che si incideva appunto profondamente nel cuore, la concezione secondo la quale tutta la vita spirituale, l'intero contenuto dello spirito umano, era ideologia. Dal punto di vista teorico, e i proletari moderni, anzi le loro guide, lo fecero, si può averla, questa concezione: tutta la vita spirituale in sostanza sgorga solo da pensieri umani irreali, che sorgono dalle condizioni della vita economica – questa concezione la si può anche rigorosamente dimostrare dal punto di vista scientifico. Oh, che cos'è che non si può dimostrare rigorosamente dal punto di vista scientifico! In epoca moderna abbiamo imparato molto, a questo proposito. Ovviamente questa concezione si lascia dimostrare anche scientificamente nel modo più rigoroso possibile, ma c'è una cosa che non lascia fare, questa concezione: non lascia che ci si conviva. E questa è la grande tragicità del destino dell'epoca moderna: il fatto cioè che il proletariato abbia dato un'ultima grande fiducia alla classe sociale borghese, acquisendo, in epoca moderna, quel che l'ordinamento sociale borghese ha prodotto nella vita spirituale. Quel che è venuto fuori da lì è stato accolto dal proletariato ed è stato percepito come un tessuto di pensieri vuoto, come fumo, si può dire, che sale dalle condizioni economiche. Ma con la vita spirituale si riesce a vivere solo se la si sperimenta come qualcosa che ci sostiene con vigore nelle profondità dell'anima. Altrimenti l'anima si dissecca, si svuota.
E non si possono affatto capire gli spaventosi danni arrecati alla nostra cultura se non si è capaci di volgere l'attenzione a questo subconscio, senza capire questo subconscio, senza sapere che proprio con questa concezione di vita dell'ideologia della vita spirituale, apparentemente tanto facile da dimostrare, l'anima dovette rinsecchirsi e quindi, proprio perché si era rinsecchita, arrivò appunto al punto di disperarsi per qualcos'altro, nella vita, che non per un mero miglioramento delle condizioni materiali esteriori. Questo è quanto sta alla base di quello che si deve designare come 'le vere e proprie esigenze spirituali del proletariato moderno'. L'unico modo per descrivere tutto questo è dire che l'ordinamento sociale borghese dell'epoca moderna ha trasmesso al proletariato un contenuto animico, un contenuto spirituale, che non può nobilitare l'anima e lo spirito dell'essere umano, e ora a quest'ordinamento sociale borghese torna indietro come contraccolpo quel che è scaturito dalle anime prosciugate, dalle anime lasciate vuote. Si è dovuto chiamarle a sé, queste anime, con la democrazia, che era necessario estendere alla partecipazione all'educazione. Non si poteva né si riusciva a tagliarli fuori e ovviamente non lo si voleva nemmeno. Ma li si è chiamati ad un sentimento sulla vita spirituale moderna, la cui conseguenza non era stata tratta, perché non si aveva bisogno di trarla. Appartenendo alla classe sociale borghese, si viveva ancora negli impulsi provenienti da antiche rappresentazioni religiose, da antiche concezioni morali o estetiche di tempi andati. Il proletario era stato messo davanti alla macchina, era stato stipato nella fabbrica, nel capitalismo. Da questo non gli era arrivato niente che potesse rispondere alla grande domanda: Che valore ho io, in realtà, in quanto uomo sulla Terra? Non poteva far altro che rivolgersi a quello che era l'orientamento scientifico moderno. La vita spirituale per lui divenne ideologia, divenne qualcosa che prosciuga l'anima. Il che suscitò le sue pretese, rimaste tuttavia fino ad ora ancora sempre indistinte. Solo la comprensione di questo dato di fatto può portarci sulla via di un futuro risanamento. Le cose sono molto più serie e si trovano in un ambito del tutto diverso da come oggi si è soliti credere. Ora il proletario, da parte sua, a poco a poco ha visto bene, come è sorta nel tempo moderno quella che era la vita spirituale (oggi non basterebbe il tempo per portare fino in fondo questi pensieri), dall'ordinamento economico delle cerchie borghesi. Come le persone erano collocate, come era la loro esistenza e quali le loro condizioni economiche, così era anche la loro vita spirituale. Raccontando queste cose, potrei forse accennare ad un'esperienza personale, perché ritengo che questa mia esperienza personale sia estremamente caratteristica.
Per lunghi anni sono stato insegnante delle materie più disparate alla scuola per gli operai fondata da Wilhelm Liebknecht. Lì ero anche insegnante di esercizio di lettura. Nel rapporto con gli allievi, che oggi sono entrati nella vita di partito, che qua e là hanno anche un certo ruolo, potei vedere molto di ciò che è andato crescendo proprio alla svolta fra il XIX e il XX secolo. A quei tempi, insegnando anche storia, mi impegnai in una cosa: mi impegnai a rendere chiaro ai miei allievi, che anche lo capivano, che cosa è stato a ridurre la vita spirituale a ideologia: è stata appunto la vita economica degli ultimi quattro secoli. E poiché il proletario e il proletario teorico in sostanza si limitano all'osservazione della vita degli ultimi quattro secoli, giungono a vedere l'intera vita spirituale come ideologia. Ma lo è diventata in realtà soltanto negli ultimi quattro secoli. La concezione del mondo proletaria, il fatto che essa interpreta un dato di fatto degli ultimi quattro secoli come un dato di fatto dell'intera evoluzione dell'umanità, è soggetta appunto a questo errore. L'ho ripetuto in continuazione: per gli ultimi quattro secoli questo è vero, ma adesso ci troviamo proprio di fronte all'esigenza del tempo di dover rimettere al posto dell'ideologia, una vita spirituale reale, che sostenga l'anima umana. Il risanamento non lo troviamo nella constatazione del fatto che la vita spirituale è ideologia, lo troviamo invece nel volere di nuovo creare una vita spirituale che non sia ideologia. Perché questa ideologia è proprio il patrimonio dell'ordinamento sociale borghese. Quella volta fui sbattuto fuori dalla scuola dai capi di partito, nonostante gli allievi fossero dalla mia parte e mi avessero anche capito.
Non si riusciva tanto facilmente a capire quelle idee che tuttavia devono essere le prime idee portanti di una riconfigurazione sociale, se si comincia a guardare alla questione sociale come ad una questione spirituale.
Il secondo ambito della vita in cui vediamo lo sviluppo di ciò che si manifesta nelle esigenze del proletariato è l'ambito giuridico, quel settore, cioè, che, come dice l'appello, dovrebbe essere il vero e proprio ambito statale. Infatti cos'è, in realtà, il diritto? Certo, mi sono realmente dato da fare, per decenni, per capire le diverse concezioni degli uomini proprio su queste idee di diritto. Devo ammettere che se ci si accosta in modo conforme alla vita, in modo conforme alla realtà, a quel che si intende per 'diritto', alla fine ci si dice: il diritto è qualcosa che viene da ogni petto umano sano come un qualcosa di originario, di elementare. Così come la capacità di vedere il blu o il rosso come colori proviene dall'occhio sano, e così come nessuno che abbia un occhio ammalato o cieco potrà mai farsi una rappresentazione del colore blu o rosso, così nessuno può produrre quello che in un certo ambito concreto è il diritto, se in lui non vive la coscienza del diritto, che è qualcosa di elementare, di originario, come è qualcosa di originario il vedere i colori o l'udire i suoni. Tale coscienza del diritto scaturisce, direi, da un cantuccio della vita dell'anima del tutto diverso da quelli dai quali origina tutta la restante vita spirituale dell'evoluzione dell'umanità. Tutto quello che viene creato altrimenti nella vita spirituale è interamente fondato sul talento. La coscienza del diritto in sostanza non ha nulla a che fare col talento. È qualcosa che si sviluppa in modo elementare dalla natura umana, ma solo essendo in rapporto con gli uomini, come anche il linguaggio lo si può imparare solo essendo in rapporto con gli uomini. Questa coscienza del diritto, sia che parli a voce alta e chiara, sia che sgorghi oscuramente dall'anima umana, è qualcosa che l'anima umana vuole sviluppare in sé. Quando il proletario, grazie alle moderne condizioni dell'istruzione, grazie alla democrazia, prese parte alla vita spirituale generale e alla vita del diritto, alla vita statale giuridica, in quel momento sorse anche per lui la questione del diritto. Però, quello che trovò facendo domande sul diritto... ecco cosa trovò? Se guardate fin dentro la sua anima, trovate la risposta a questa domanda. Quando si fece un giudizio sul diritto dal suo punto di vista, egli non trovò dei diritti, bensì dei privilegi, determinati dalle differenze fra le classi nelle quali l'umanità era divisa. Trovò che quello che si era fissato come diritto positivo, in realtà non proveniva che dai privilegi della classe privilegiata, come svantaggio giuridico per i ceti meno abbienti. Trovò, sul terreno del diritto, la lotta di classe anziché l'estrinsecazione del diritto. Questo lo rese anche pienamente consapevole del fatto che sarebbe stato in grado di spingersi in avanti solo se era un proletario che avesse una coscienza di classe, cercandosi il suo diritto a partire da questa classe. Questo lo porta al secondo settore della sua concezione del mondo: a voler superare le differenze di classe, in modo che sul terreno sul quale nel corso dell'evoluzione storica sono risultate queste differenze di classe, possa sorgere la struttura della vita statale giuridica.
Il terzo ambito nel quale sorsero quelle esigenze che sono al tempo stesso sia esigenze proletarie che esigenze necessarie nel tempo presente, è il settore economico. Questo settore economico, nel modo in cui è stato chiaramente creato dall'ordinamento mondiale capitalista e dalla tecnica moderna, come si poneva, di fronte al proletario? Come andava incontro al proletario, questo ordinamento economico, questo circuito economico? Ora, gli andava incontro in modo tale per cui egli si vedeva totalmente intessuto in questo circuito economico. Gli altri sì che avevano la vita spirituale, che egli considerava un'ideologia, partecipare alla quale in realtà per lui era una menzogna, in quanto egli non faceva parte del contesto sociale dal quale essa era sorta. Le cerchie borghesi, esse sì che avevano i loro privilegi speciali e il loro patrimonio culturale, e avevano in più anche una vita economica. Per loro, la vita era tripartita, anche se la unificavano nello Stato unitario. Ma lui, il proletario, lui si sentiva con tutta la sua personalità intessuto in questa vita economica. E come mai? Per rispondere a questa domanda, bisogna guardare ai sentimenti (dappertutto, se si vogliono capire queste cose, bisogna guardare alla vita reale) che si sono sviluppati con intensità sempre maggiore nell'anima del proletariato moderno nel corso degli ultimi sessanta, settant'anni.
Come al proletario è diventato chiaro che non ha proprio niente della vita spirituale, che non ha altro rapporto con essa, oltre al fatto di poter produrre per essa il plusvalore, così ovviamente dalla nuova vita economica ha avuto il sentimento che in tale vita economica c'è dentro qualcosa che non dovrebbe esserci, se lui, in quanto proletario, vuole ricevere una risposta degna dell'essere umano proprio a questa domanda: Che valore ha la vita umana nel contesto cosmico?
In sostanza, nel circuito della vita economica si muove solo ciò che può essere designato come merce o produttività umana. Produzione di merci, circolazione di merci, consumo di merci, questa è in sostanza la vita economica. Anche per le classi dominanti, dirigenti, era così, però per il proletario era diverso. In questo circuito economico era cointessuta la sua forza lavoro. Allo stesso modo in cui si compravano le merci sul mercato delle merci, così dal proletario si comprava la forza lavoro umana. Come le merci avevano i loro prezzi, così la forza lavoro umana aveva il suo prezzo sul mercato del lavoro sotto forma di salario. Questa è di nuovo una cosa che toccava i sentimenti inconsci dell'anima proletaria, di nuovo qualcosa che non era affatto assolutamente necessario che giungesse a chiara coscienza, ma che proprio in modo elementare si estrinsecava nei grandi, significativi, dati di fatto la cui voce si fa ben sentire, di questi tempi. È quindi nei più reconditi meandri dell'anima proletaria, che Karl Marx faceva risuonare le parole «merce forza lavoro». In sostanza, il proletario si trovava a guardare all'interno dell'evoluzione storica comprendendo queste parole della merce forza lavoro a modo suo. Nell'antichità, la cultura economica usava gli schiavi. L'intero uomo veniva venduto come una merce o come un animale. Poi, in un altro ordinamento economico, si ebbe la proprietà del corpo. Si vendeva già meno, dell'uomo, ma ancora sempre tanto. Ora è arrivata l'epoca più moderna, la quale, per potersi configurare in senso capitalistico, ha dovuto richiamare la grande massa del proletariato ad una certa formazione scolastica, la quale doveva coltivare, in un certo senso, la democrazia. E non si è capito al momento giusto che si doveva vedere qual è, in seno al presente, il seme per il futuro. Non si è capito al momento giusto che è necessario strappare via dal circuito economico la compravendita della forza lavoro umana. Il proletario moderno percepiva fatto oggettivo che egli doveva vendere sul mercato del lavoro la sua forza lavoro secondo la domanda e l'offerta, come si comprano e si vendono le merci, come una continuazione dell'antica schiavitù Egli si sentiva cointessuto nel processo economico in questo modo, non si sentiva sporgere al di sopra di questo, come gli altri strati della popolazione. Egli si sentiva totalmente inserito in esso. Perché, se si è costretti a vendere la propria forza lavoro, si vende sicuramente l'intero uomo, perché bisogna portare l'intero uomo, là dove si vende la forza lavoro. Era arrivato il momento in cui si sarebbe dovuto capire che la forza lavoro umana doveva essere inserita nell'organismo sociale in modo tale da non essere merce, il momento in cui il vecchio rapporto salariale doveva smettere di esistere. È passato inosservato. Questa è la tragicità della concezione della vita borghese: il fatto che ovunque si è superato il momento giusto, che è stato tralasciato quel che era necessario nel corso dello sviluppo capitalistico e democratico moderno. Questo è ciò che infine, non da sotto, dal proletariato, verso l'alto, bensì dalla mancata comprensione dell'epoca, dal seno della borghesia, in sostanza ha suscitato il caos attuale. «Mea culpa, mea maxima culpa», dovrebbero sempre dirsi le classi dominanti, e allora da questo modo di sentire fluirebbe il chiaro sentimento di quello che deve realmente accadere. Abbiamo così caratterizzato quel che ha prodotto questo presente, quel che adesso schizza fuori dall'abisso come una triplice esigenza, come un'esigenza spirituale, un'esigenza giuridica, un'esigenza economica. E non si può continuare a costruire sull'errore in base al quale tutto il risanamento possa provenire dall'ordinamento economico. Infatti è proprio questo il male, ciò che fa danno, il fatto che il proletario moderno è stato del tutto schiavizzato nell'ordinamento economico. Egli deve venire fuori dall'ordinamento economico!
Ho solo potuto abbozzare quello che si è sviluppato storicamente. Chi segue queste cose col sano intelletto, capendo da che cosa sono risultate nel corso dell'epoca moderna, chi ha la buona volontà e l'interiore sincerità e franchezza di vedere la realtà al di sopra di tutti i giudizi economico-nazionali, storici e altro, la realtà di quel che così si è sviluppato nel tempo, giunge, esclusivamente osservando le circostanze e precisamente quelle degli ultimi tre o quattro decenni, alla necessità di questa triarticolazione della quale si parla nell'appello.
Riguardo alla vita spirituale, il proletario ha visto solo che essa dipende dalla vita economica. Egli ne ha ricavato l'idea che tutta la vita spirituale debba dipendere dalla vita economica. Non gli poteva passare inosservato il fatto che questa vita spirituale, a causa della sua debolezza interiore, a causa del fatto che non aveva più la forza d'urto delle antiche concezioni del mondo, si è condannata da sé ad essere un appendice della vita economica. Così è giunto alla sua concezione dell'ideologia. Il proletario aveva dato meno importanza a qualcos'altro, ma che per il motivo citato è rimasto inosservato anche da parte dei borghesi, cioè al fatto che la vita spirituale è diventata dipendente anche dalla vita statale. Io voglio considerare come una cosa necessaria perfino la giustificazione storica di questa dipendenza nell'epoca moderna. Ma è necessario anche questo: che si prenda in considerazione il momento giusto in cui questa vita spirituale debba essere emancipata non solo dalla vita economica, ma anche dalla vita dello Stato. Nel corso degli ultimi quattro secoli la vita spirituale del mondo civilizzato è diventata sempre più dipendente dalla vita dello Stato. Questo è stato proprio considerato come un progresso dell'epoca moderna. Certamente era necessario, per sollevare la vita spirituale dalle catene della Chiesa; però adesso non è più necessario. Lo si è visto come un progresso, il fatto di mettere la vita spirituale del tutto sotto le ali della vita dello Stato. Come si potrebbe mettere in ridicolo il Medioevo, al quale noi veramente non vogliamo ritornare, come si potrebbe mettere in ridicolo il fatto che a quei tempi la filosofia, che per il Medioevo significava di fatto la scienza, reggeva lo strascico alla teologia? Ora siamo arrivati a un punto in cui la scienza moderna almeno non regge dappertutto lo strascico alla teologia. Ma la scienza, la vita spirituale, è arrivata a qualcos'altro: alla dipendenza di questa vita dai bisogni della vita statale, che a poco a poco è stata organizzata – ce lo ha mostrato soprattutto la catastrofe della guerra mondiale – totalmente in base alle necessità della vita economica moderna, che non erano necessità generalmente umane. Proprio la catastrofe bellica ce lo ha veramente portato a coscienza qui in Germania, nei singoli fenomeni, direi in modo sintomatico.
Certamente, potrei centuplicare il sintomo, o moltiplicarlo per mille, ma mi capirete, quando accenno a quel che ha prodotto un certo tipo di eruditi proprio durante il periodo della guerra, che ha portato tutto all'estremo. Ma la cosa c'è sempre stata. Un ricercatore naturale di spicco di non molto tempo fa, e del quale io naturalmente ho il massimo rispetto in quanto ricercatore naturale, alludendo in modo assolutamente caratteristico alla dipendenza della scienza dallo Stato moderno, ha detto, in qualità di segretario generale dell'Accademia delle Scienze di Berlino, che questa Accademia delle Scienze era “Il corpo di guardia degli Hohenzollern”. Ora, non serve sempre arrivare a tanto. Nella matematica e nella chimica la stessa faccenda è ben celata, tuttavia è presente anche lì. Ma se si sale a quei campi che toccano la grande questione vitale della concezione del mondo, al campo della storia, ecco che nell'epoca più moderna la vita spirituale veramente non è diventata altro che il corpo di guardia dello Stato moderno. La vita spirituale però non è coltivabile nella sua più intima essenza grazie all'emanazione di leggi sulla libertà di istruzione, sulla scienza libera e sull'insegnamento libero. Le leggi non hanno il benché minimo influsso sulla vita spirituale, perché la vita spirituale poggia sui talenti umani elementari. E chi conosce la vita spirituale ufficiale dell'epoca più moderna sa, anche se suona paradossale (non lo dico mai volentieri, perché io me ne sono dovuto convincere a fatica e con una certa contrarietà), sa che questa vita spirituale ufficiale moderna ha sviluppato a poco a poco un certo odio per i talenti e una certa predilezione per la produzione della mediocrità della natura umana. Tutta la vita spirituale però deve poggiare sui talenti umani originari. Chi capisce il nesso fra i talenti umani individuali e l'ordinamento sociale umano sa che la vita spirituale, in realtà, può dar prova di sé, dovendo provare questa verità sulla base del suo stesso essere, solo se sta sulle sue stesse gambe a partire dalla scuola più bassa fino alle scuole superiori, a partire da quella che oggi è percepita addirittura come un'appendice dello Stato fino alla libera formazione dell'arte e così via. La socialdemocrazia finora ha trovato solo occasione, basandosi su dei sentimenti (che forse sono sbagliati, non dobbiamo valutarlo noi, qui), di formulare l'esigenza che la religione sia una faccenda privata. Allo stesso modo, però, tutta la vita spirituale deve diventare una faccenda privata, rispetto all'ordinamento sociale statale ed economico, se vuole continuare a dimostrare la sua stessa realtà. Tale realtà può essere dimostrata solo se questa vita spirituale poggia su se stessa. Questa vita spirituale, se viene resa autonoma, non protrarrà quelle sciocchezze che ha commesso annidandosi per esempio nell'ordinamento giuridico dello Stato. Si dovrà capire quanto è mostruoso il fatto che in un parlamento di Stato, come era il Reichstag tedesco, si sia insinuato un partito come il centro, basato solo su basi spirituali (si può pensare quello che si vuole, riguardo al contenuto), proprio là, dove invece dovevano essere formulati solo i diritti umani e altro del genere.
Nel momento in cui un partito del genere entra nella vita statale, questa vita statale viene necessariamente offuscata da una parte, dalla parte spirituale. Infatti nella vita statale può prosperare solo ciò che rende tutti gli uomini uguali, nello stesso modo in cui, entro certi limiti, tutti gli uomini sono uguali nel linguaggio. Nell'ambito della vita dello Stato può prosperare solo ciò che non si basa su talenti umani specifici, ma su quanto viene fatto da uomo a uomo sulla base dell'innata coscienza del diritto. L'esigenza di separare nettamente la vita spirituale in quanto organizzazione particolare e di renderla autonoma nasce sia dalla comprensione del mondo spirituale che dalla comprensione delle condizioni che si sono create in epoca moderna a causa della fusione della vita spirituale con lo Stato. Non serve aver paura di quel che temono soprattutto i socialisti, come per esempio del fatto che la scuola unica, che questa parte pretende, potrebbe essere messa a repentaglio dal fatto che già i livelli scolastici inferiori verrebbero posti sui fondamenti della vita spirituale che le sono propri, in una gestione spirituale autonoma. Le condizioni della vita sociale in futuro saranno tali per cui non potranno sorgere scuole differenziate a seconda del ceto e della classe. Proprio dal fatto che l'insegnante più basso non sia un servitore dello Stato, ma sia esclusivamente alle dipendenze di un'amministrazione spirituale, non potrà venirne fuori altro che la scuola unitaria. Infatti, come sono sorti i ceti? Proprio per il fatto che la vita spirituale si è fusa con la vita dello Stato.
Dall'altro lato, dalla vita statale deve essere svincolata la vita economica. Solo avanzando una pretesa di questo tipo, si è realmente e profondamente inseriti nella vita pratica. Infatti, in sostanza, si può dire che la vita economica, nel suo recente sviluppo, è qualcosa di talmente dispoticamente coercitivo, da essere passata oltre le obsolete rappresentazioni dello Stato, ecc. Su questo non è che le persone d'oggi si facciano ancora molti concetti, perché non vedono proprio quelle che sono le esigenze necessarie dell'epoca più moderna. Permettetemi di fare un esempio concreto, un esempio che però potrebbe essere centuplicato, e che mostra come la vita economica si sia emancipata di per sé dagli altri settori, dalla vita spirituale e dalla vita giuridica nell'evoluzione umana moderna. Voglio far riferimento all'estrazione di ferro grezzo necessaria all'inizio degli anni Sessanta del secolo XIX. A quell'epoca l'industria siderurgica tedesca richiedeva circa 799.000 tonnellate di ferro grezzo, che venivano estratte da poco più di 20.000 operai. Nel tempo relativamente breve che trascorse fino alla fine degli anni Ottanta, l'industria siderurgica tedesca passò dall'utilizzo di 799.000 tonnellate di ferro grezzo all'utilizzo di ben 4.500.000 tonnellate di ferro grezzo. Queste 4.500.000 tonnellate di ferro grezzo venivano estratte circa (c'è solo una differenza molto piccola) dallo stesso numero di operai: 20.000. Che cosa significa, questo? Significa che, a parte tutto il resto di quel che è successo prima nell'evoluzione umana, a parte quel che è avvenuto nell'evoluzione umana, con 20.000 persone, esclusivamente grazie al miglioramento tecnico, grazie all'elaborazione tecnica, alla fine degli anni Ottanta veniva estratto circa il quintuplo di acciaio che negli anni Sessanta. Ciò significa che quel che fa parte del settore tecnico-economico si è reso autonomo, si è emancipato elevandosi al di sopra della restante evoluzione umana. Ma non ci si è fatto caso, non ci si è affatto accorti (e questo esempio lo si potrebbe centuplicare) che la vita economica si è emancipata. Quel che gli uomini hanno fatto in ambito economico non ha mai uguagliato da nessuna parte il progresso che è avvenuto all'interno della vita economica per mezzo della tecnica. (Non si fraintenda il punto di vista che ho esposto. Questo punto di vista è che certamente la tecnica ha fatto progressi, ma che non non c'era nemmeno una sola singola idea per far sì che il progresso tecnico fosse accompagnato anche da un corrispondente progresso sociale). Chi è capace di osservare le cose sa che questa vita economica moderna si è emancipata e che se si pretende questa emancipazione dalla vita dello Stato, non si pretende altro se non che le persone ne prendano coscienza e che affrontino queste istituzioni così come esse si sono sviluppate di per sé. Così la necessità dell'emancipazione della vita economica risulta anche da esempi che non ho inventato io, né nessun altro, ma che si trovano nei fatti oggettivi. È questo, che i fatti esigono. Ma che cosa ne conseguirà?
Ora, un'esigenza fondamentale, un'esigenza di base della vita moderna può essere soddisfatta solo per mezzo della separazione della vita economica dalla vita statale. È nel senso opposto a quel che pensano alcuni pensatori socialisti del presente, che deve procedere l'evoluzione. Mentre qualche pensatore socialista pensa che la vita economica debba svilupparsi come in un grande consorzio, che debba includere anche la vita spirituale e la vita dello Stato, proprio la vita economica deve separarsi e fluire esclusivamente nel circuito della produzione delle merci, della circolazione delle merci, del consumo delle merci. Ma questa è l'unica cosa che può portare a soddisfare le esigenze necessarie per la vita del presente. Vedete, la vita economica confina da una parte con le condizioni naturali. Le condizioni naturali le possiamo controllare fino ad un certo grado. Che una regione sia fertile, o che il terreno contenga delle materie grezze per l'industria, o che ci siano annate improduttive, sono condizioni naturali che stanno alla base della vita economica. Questa vita economica si costruisce come su una base, da una parte. Dall'altra parte dovrà, in futuro, costruirsi su qualcos'altro, qualcosa che si può regolare tanto poco all'interno della vita economica, quanto la forza naturale del terreno. Alle condizioni naturali non si può certo comandare niente. Dall'altra parte, la vita economica deve confinare con la vita giuridica dello Stato. Dunque, come da una parte la vita economica confina con le condizioni naturali, così dall'altra parte deve confinare con la vita giuridica dello Stato. Di questa fanno parte anche i rapporti di proprietà, i rapporti di lavoro, il diritto del lavoro. Al giorno d'oggi le cose sono tali per cui il lavoratore, nonostante il contratto di lavoro, continua ancora ad essere cointessuto nel circuito della vita economica con la sua forza lavoro. Questa forza lavoro deve uscire dal circuito della vita economica, nonostante i timori di Walther Rathenau. E precisamente deve uscirne in modo tale per cui nell'ambito giuridico dello Stato, che è del tutto indipendente dalla vita economica, la misura, il tempo, il modo del lavoro vengano regolati sulla base di rapporti giuridici puramente democratici. Il lavoratore, allora, prima di fare ingresso nella vita economica, avrà egli stesso contribuito a determinare, sulla base dell'ordinamento statale democratico, misura, tempo e modalità del proprio lavoro. Il modo in cui questa misura, questa modalità, questo carattere della forza lavoro viene determinato starà alla base della vita economica da una parte, così come le condizioni naturali le stanno alla base dall'altra parte. Nulla nella vita economica potrà estendere il carattere fondamentale di tale vita economica alla forza lavoro umana. Il carattere fondamentale della vita economica è quello di produrre merci per consumare merci. Questa è l'unica cosa sana della vita economica. E l'essenza intrinseca della vita economica è proprio che quel che è intessuto nel suo circuito deve essere consumato fino all'ultima goccia. Se la forza lavoro viene intessuta nel processo economico, allora viene consumata. Ma la forza lavoro umana non deve essere consumata del tutto, perciò non deve nemmeno essere merce. Deve invece essere determinata nell'ambito della vita giuridica dello Stato indipendente dalla vita economica, come sotto, nel terreno, le forze naturali indipendenti dal circuito economico creano una base, appunto, per questa vita economica. Prima che il lavoratore inizi a lavorare, a partire dalla vita giuridica avrà determinato il modo e la misura e il tempo del proprio lavoro.
Conosco tutte le obiezioni che si possono fare a ciò che ho detto. Soprattutto una cosa, mi si potrà obiettare. Si potrà dire che una delle conseguenze necessarie di questa concezione sarà sicuramente proprio che quello che viene chiamato 'benessere nazionale' sarà soggetto a quello che è il diritto del lavoro. Ecco, succederà anche questo, però sarà un assoggettamento sano. Sarà un assoggettamento che non richiede di produrre, produrre e sempre ancora produrre, ma che chiede: come si mantiene in salute nel corpo e nell'anima colui che deve intervenire nel processo economico, nonostante il processo economico? Come gli si garantisce di avere a disposizione, oltre al consumo della forza lavoro, il tempo del riposo dal lavoro, in modo che possa partecipare alla vita culturale generale, che deve diventare una vita spirituale generalmente umana e non una vita spirituale classista? Per questo gli serve il tempo del riposo dal lavoro. E solo se si sviluppa così tanta coscienza sociale che il riposo dal lavoro soddisfi anche i bisogni puramente umani del proletariato, se si capirà che questo tempo di riposo fa parte del lavoro, della vita sociale, tanto quanto la forza lavoro, solo così usciremo dai disordini e dal caos del presente. È proprio necessario che quelli che ascoltandomi hanno avuto la stessa sensazione che si prova mordendo una mela acerba la mordano lo stesso. Altrimenti si renderanno conto in modo del tutto diverso di che cosa significhino le esigenze moderne, che non vengono fuori solo dalle anime umane o dalle teste umane, ma dallo stesso divenire storico dell'umanità. Poi, quando questa esigenza in termini di diritto del lavoro verrà soddisfatta, tutta la formazione dei prezzi dipenderà in modo sano dai diritti del lavoro, e non viceversa, come avviene ancora oggi nonostante qualche legislazione per la protezione del lavoratore; il salario, cioè il prezzo della forza lavoro umana, dipenderà dalle altre condizioni del circuito economico. L'uomo diventerà determinante per quel che può esserci nella vita economica. Tuttavia, in una determinata direzione, proprio come nei confronti della natura, della quale si viene a capo solo in misura ridotta grazie alla tecnica, si dovrà essere ragionevoli nella disposizione del diritto del lavoro e dei rapporti di proprietà. Ma nel complesso la vita economica deve essere tessuta fra la vita giuridica e le condizioni naturali. Questa vita economica stessa deve essere costruita su forze puramente economiche, sulle associazioni, che in parte si formeranno anche sulla base delle posizioni professionali, ma soprattutto sulla base di un rapporto armonico fra il consumo e la produzione. Oggi, per mancanza di tempo, non posso approfondire le cause delle gravi crisi economiche, soprattutto di come alla fine hanno condotto alla grande catastrofe, la linea ferroviaria per Bagdad, ecc., tuttavia è necessario osservare (e lo si può mostrare concretamente) che queste cose in realtà devono essere pensate.
Vedete, una vita economica sana può risultare soltanto considerando determinante la situazione del consumo, non quella della produzione. Ora posso forse parlare del tentativo che è stato fatto una volta e che non è riuscito solo perché appunto all'interno di tutto il vecchio ordinamento economico un singolo tentativo di quel genere deve fallire. Può avere successo solo se l'ordinamento economico si separa in modo radicale dal resto della vita. In una società che la gran parte di voi non amano molto, perché e stata molto calunniata, abbiamo cercato, prima che sopraggiungesse la catastrofe bellica, in un piccolo settore, nel settore della produzione di pane, di mettere in atto qualcosa di quello che deve essere l'ordinamento economico sviluppato, ovviamente immensamente sviluppato, del futuro. Noi eravamo una società, potevamo mettere a disposizione dei consumatori del pane. Prima c'erano i consumatori, e si trattava di produrre in base al bisogno dei consumatori. La cosa è fallita per diversi motivi, ma specialmente durante la catastrofe bellica, quando queste cose non erano possibili. Prendete però un altro esempio, che forse vi sembrerà strano, perché rispetto allo 'idealismo' dei giorni nostri, per molte persone (gli idealisti del materialismo sono proprio persone strane) la vita spirituale si mischia ingiustificatamente con la vita economica. In tale stessa società, che, come ho detto, molti di voi non ameranno, ho cercato sempre anche di porre l'elemento economico della produzione spirituale su una base sana. Provate solo a pensare su quale base malsana, pensando economicamente, si trovi spesso l'attuale produzione spirituale. In questo senso è veramente un esempio di quanto appunto anche nei settori più vasti della nostra vita economica non dovrebbe dominare. L'uno o l'altro (ecco, chi è che non scrive libri, di questi tempi?) scrive un libro, o dei libri. Questo libro viene stampato in un'edizione di mille copie. Ora, oggi ci sono veramente moltissimi libri che vengono stampati in una tiratura del genere, ma di cui vengono vendute circa cinquanta copie, le altre vengono mandate al macero. Cos'è successo, in realtà, quando sono stati buttati al macero 950 libri? Qui hanno lavorato un certo numero di compositori, un certo numero di rilegatori, in modo improduttivo. È stato prestato del lavoro del quale non c'era il benché minimo bisogno. Questo succede in ambito spirituale in rapporto alla vita economica, in rapporto alla materialità. Io credevo che la cosa sana fosse questa: che ovviamente bisogna prima creare i bisogni. E all'interno di questa società, che a ragione o a torto molti di voi non amano, si è presentata la necessità di aprire una libreria tale per cui un libro esce solo se si è sicuri che ci sia chi lo compra, dove vengono prodotti solo tanti esemplari quanti ne servono, in modo che non si disperda nel nulla il lavoro umano di compositori e rilegatori, ma che quel che si fa corrisponda ai bisogni delle persone, bisogni che io posso anche ritenere sbagliati. E questo è quello che deve succedere, cioè che la produzione corrisponda alle necessità. Però questo può succedere soltanto se si costruisce la vita economica nel modo descritto sulla base delle associazioni.
Dal XVIII secolo nella vita sociale moderna risuona il triplice motto: libertà, uguaglianza, fraternità. Chi sente queste tre parole risuonargli nel cuore sa che sono tre parole che dicono molto. Però nel corso del XIX secolo ci sono state delle persone intelligenti che hanno dimostrato che questi tre impulsi umani si contraddicono l'un l'altro. Si contraddicono anche per davvero. Tre preziosi motti umani si contraddicono. E perché? Perché sono sorti in un'epoca nella quale, per quanto riguarda questi motti, si sentivano impulsi umani giusti, ma nella quale si era ancora ipnotizzati dallo Stato unitario. Non si riusciva a capire che solo nella tripartizione in un organismo spirituale, un organismo economico, un organismo statale può essere il risanamento del futuro. E così si pensava di poter realizzare la libertà, la fratellanza e l'uguaglianza in uno Stato unitario. Qui esse si contraddicono. Se articolate l'organismo sociale sano nelle sue tre parti naturali, allora avete la soluzione per ciò che l'anima umana sta covando da più di un secolo: la libertà è l'impulso fondamentale della vita spirituale, nella quale bisogna costruire sulla libertà delle facoltà umane individuali. L'uguaglianza è l'impulso fondamentale della vita dello Stato e della Legge, in cui tutto deve procedere dalla consapevolezza dell'uguaglianza dei diritti umani. La fratellanza è quel che nel settore economico della vita deve dominare in grande stile; questa fratellanza si svilupperà a partire dalle associazioni. Queste tre parole ricevono improvvisamente un senso, un senso insospettato, se si lascia cadere il pregiudizio dello Stato unitario e ci si convince della necessità della tripartizione.
Sono tutte cose alle quali posso solo accennare, e posso capirlo, che oggi molti dicano: “Non riesco a capire queste cose”. Mi sono sempre impegnato a cercare nell'appello il motivo di questa mancata comprensione. E ce n'erano molti, fra quelli che dicevano di trovarlo incomprensibile, dei quali io per esempio non riesco a capire bene come allora volevano difendere tutto quello che hanno capito, quando è stato loro comandato di capire negli ultimi quattro anni e mezzo. Qui le persone hanno capito qualcosa che io veramente non ho capito. Ma con questo appello si accosta all'anima umana qualcosa che essa dovrebbe capire a partire dalla sua più libera e più intima risoluzione. Tuttavia per questo è necessaria la forza interiore dell'anima. Però questa forza interiore dell'anima sarà necessaria, se vogliamo venire fuori dal caos e dai disordini di quest'epoca.
L'appello è stato tentato per la prima volta durante la terribile epoca che abbiamo vissuto, perché all'inizio era stato pensato (ora siamo entrati in un altra fase) come fondamento per una politica esterna tale per cui io potevo pensare che, riprendendo le idee di questo appello, nonostante esse apparissero solo come idee riguardanti la politica interna, sarebbe stato possibile farle risuonare nei rombi dei cannoni negli ultimi anni. Allora dall'Europa centrale sarebbe fluito qualcosa di cui si sarebbe potuto credere che sarebbe risuonato nel mondo in modo tale da essere all'altezza dei cosiddetti quattordici punti di Woodrow Wilson. A questi quattordici punti, che sono stati veramente concepiti per un vantaggio che non è affatto il vantaggio dell'Europa centrale, si sarebbe dovuto contrapporre il vantaggio dell'Europa centrale. Allora ci sarebbe stata una possibilità di parlare di intesa, mentre tutte le altre chiacchiere sull'intesa erano vane. Questo è quanto si è tentato di fare laddove sarebbe stato efficace. Ma si predicava a orecchie sorde. Alle persone che a quell'epoca avevano ancora influenza, che erano i successori di coloro che avevano parlato dei 'progressi della distensione generale' prima dell'omicidio di dieci-dodici milioni di persone, a loro fu detto: “Potete scegliere fra diventare ragionevoli oppure aspettarvi qualcosa di deleterio. Quello che si trova in questo appello, così dissi nel 1917 in un momento decisivo, non è l'idea di una persona, ma proviene dall'osservazione spassionata delle necessità evolutive dell'Europa centrale e orientale. Potete scegliere fra porre ragionevolmente di fronte all'umanità ciò che vuole realizzarsi, in modo che questa umanità dell'Europa centrale abbia di nuovo uno scopo e ne possa parlare come gli occidentali, oppure di trovarvi di fronte ai più terribili cataclismi e alle più tremende rivoluzioni”. A quei tempi si prestava ascolto a queste cose, le si capiva anche; ma non si aveva la volontà, o per meglio dire non si trovava il ponte dalla comprensione dell'intelletto all'estrinsecazione della volontà. Oggi i fatti dicono chiaramente che devono essere gettati questi ponti dal capire al volere. Questo è quanto va detto all'umanità con questo appello. Questo appello deve essere capito a partire dalla libera risoluzione interiore. Deve essere capito a partire dalla volontà di pensiero.
Il contributo che posso dare in questo senso con il libro uscito in questi giorni «I punti chiave della questione sociale nelle necessità del presente e del futuro»[2], lo darò. Ma l'umanità dovrà essere disponibile a capire che sono necessarie abitudini di pensiero totalmente diverse, per la ricostruzione, che è necessario qualcosa che non è stato pensato né a sinistra né a destra in questo modo. Non bisogna prendere le cose alla leggera. L'umanità dovrà degnarsi di capirlo. Costretta esternamente dai fatti, si degni di capire che è passato il tempo in cui si dà a bere all'umanità: “Potete essere felici, soddisfatti, capaci di vivere socialmente, soltanto se il trono e l'altare sono a posto”. Dall'Europa dell'est ci giunge un'altra melodia: «Trono e altare» devono essere sostituiti da «Ufficio commerciale e stabilimento». In seno a quello che sorge come ufficio commerciale e stabilimento c'è qualcosa di molto simile a quello che è sorto sotto l'influsso di trono e altare. Solo ed esclusivamente se ci degniamo di non guardare né a sinistra né a destra, ma soltanto alle grandi necessità evolutive storiche, troveremo la via per giungere a ciò di cui abbiamo bisogno, soprattutto a niente di extra-umano, né presso il trono e l'altare, né presso lo stabilimento e la fabbrica, ma presso l'uomo liberato. Infatti, tripartendo l'organismo sociale, fate partecipare l'uomo a tutti e tre i settori. Egli sta nella vita economica, sta nello Stato democratico, sta nella vita spirituale o vi ha un certo rapporto. Non viene disperso, anzi: sarà il membro che allaccia i tre settori. Non si tratta di rafforzare le vecchie differenze di rango, ma proprio di superare le vecchie differenze di rango, di una piena estrinsecazione dell'uomo libero, dovuto al fatto che l'organismo sociale stesso articola in modo salutare la vita esteriore dell'uomo. È questo l'importante per il futuro. Possiamo liberare l'uomo, possiamo renderlo autonomo, solo se lo poniamo nel mondo in modo tale che, senza che la sua umanità venga dispersa, egli stia dentro tutti e tre i settori.
Tuttavia si può proprio vedere come al giorno d'oggi queste cose vengano ancora capite con difficoltà, date le circostanze. Ho da poco tenuto una conferenza su queste cose anche in una città Svizzera. Un partecipante al dibattito si è alzato in piedi dicendo di non capire bene la tripartizione, perché la giustizia si svilupperebbe allora solo sul terreno dello Stato, dovrebbe tuttavia compenetrare anche la vita spirituale, la vita economica, e quindi in tutti e tre i settori dovrebbe essere sviluppata la giustizia. Gli ho risposto con un paragone, per chiarire la cosa. Ho detto: “Supponiamo che ci sia una comunità famigliare di campagna, consistente nel padrone di casa, sua moglie, i bambini, le bambine, i servi e tre mucche. Tutta la famiglia usa il latte, per vivere, tuttavia di sicuro non è necessario che tutta la famiglia produca latte: se le tre mucche producono latte, il latte lo avrà tutta la famiglia”. Così, la giustizia dominerà in tutti e tre i settori dell'organismo sociale, se sul terreno del diritto, sul terreno dello Stato emancipato si produce giustizia. Si tratta di ritornare dai pensieri e dalle idee intelligenti ai pensieri sulla realtà e alle idee sulla realtà semplici. Io sono convinto che questo appello non viene capito perché le persone non lo prendono in modo sufficientemente semplice. Quelli che lo prendono in modo semplice vedranno bene che attraverso questo appello parla la nostalgia di ritornare a poco a poco dal disordine del presente, dal caos del presente, dalle prove del presente, ad una vita in cui, proprio attraverso la tripartizione dell'organismo sociale, possa svilupparsi l'uomo unitario sano, l'uomo animicamente, fisicamente e spiritualmente sano. Concluderò dopo il dibattito.
Qualcuno chiede al dottor Steiner dove attualmente, nella nostra vita tedesca, nella forma in cui è l'attuale governo, si presenta la miglior possibilità di trasporre in realtà le idee espresse. Si spera che con un sovvertimento ci sia da aspettarsi di più per questi pensieri, che stasera sono stati presentati qui, oppure per lo sviluppo di queste idee è meglio che continui a restare l'attuale governo socialista di maggioranza?
Rudolf Steiner: Chi cerca di capire più in profondità il reale significato di questo appello non credo che possa avere difficoltà a trovare il senso in cui sono state poste le questioni più importanti, dal difficile contenuto, dello stimato signore che è intervenuto. Vorrei dire un paio di parole sul fenomeno storico che l'egregio signore ha toccato. - Vedete, nella conferenza ho detto solo in due punti, credo, che l'attuale vita pubblica, per chi cerchi realmente di capirla, e che osa, che crede di essere capace di osare di avere voce in capitolo, che questa vita pubblica, dunque, in un certo modo debba già aver gettato le sue contro-immagini nell'esperienza personale. - Solo in due punti ho detto qualcosa di personale, solo che forse posso proprio dire, allacciandomi a questa domanda, che io stesso in realtà provengo da queste cerchie proletarie e mi ricordo ancora di quando, da piccolo, guardai fuori dalla finestra, quando i primi socialdemocratici austriaci passavano in grandi capannelli di democratici per tenere la prima riunione austriaca nel vicino bosco aperto. Erano in gran parte minatori. Da allora in poi, in realtà, potei sperimentare tutto quel che avvenne all'interno del movimento socialista nel modo in cui l'ho caratterizzato nella conferenza e come risulta quando il destino ci costringe non solo a pensare sul proletariato, ma insieme al proletariato, pur riuscendo sempre a conservare uno sguardo libero sulla vita e tutti i singoli settori della vita. Forse ne ho reso proprio testimonianza nel 1892, quando ho scritto la mia «Filosofia della libertà»[3], che ha veramente difeso proprio quella struttura della vita sociale umana che oggi considero necessaria proprio per lo sviluppo del talento umano. Ora, vedete, negli anni Ottanta del secolo scorso, si poteva partecipare a molti dibattiti e cose del genere all'interno del movimento sociale, nei quali si rispecchiavano quelle che venivano fuori come idee socialiste. Direi che in tutto questo c'era un tono fondamentale.
Naturalmente ci porterebbe troppo lontano, parlare di queste cose, perché la storia del socialismo moderno è molto grande; porterebbe troppo lontano se io volessi parlare in modo esaustivo di questo capitolo, perciò quello che dico sarà già soggetto al destino di dover essere, in un certo senso, caratterizzato superficialmente. In tutto quel che viveva propriamente nella concezione del mondo socialista-proletaria, c'era una cosa che definirei 'critica sociale'. Era qualcosa che con grandissima forza, con la forza dell'umana esperienza di sé, poteva richiamare l'attenzione sull'intero processo della vita moderna degli ultimi quattro secoli. Si sperimentavano le impossibilità del presente. Solo che anche quando si parlava di queste cose in piccoli gruppi, i più competenti, i più capaci, (prendo come esempio Viktor Adler ed E. Pernerstorjer, morti da poco), i più competenti terminavano la discussione in un preciso momento, cioè quando si sarebbero dovute sviluppare delle rappresentazioni su quello che deve succedere quando per quella consequenzialità intrinseca di cui si parlava, l'intrinseca consequenzialità dell'ordinamento economico moderno, avrebbe portato alla propria distruzione, quello che si chiamava «l'Expropriation dell'Expropriateure». Che cosa sarebbe dovuto succedere, dopo? Osservando il niente che allora costituiva la risposta a questa domanda, ci si poteva già sentire abbastanza preoccupati, si aveva una una certa preoccupazione culturale, perché a quei tempi era già possibile vedere quel futuro che adesso si è appunto realizzato. Quel futuro nel quale coloro che pensavano nel modo in cui pensavano quella volta vengono chiamati a creare in senso positivo. Ora, coloro che sono partiti da queste concezioni che creavano preoccupazioni culturali (veramente non è necessario essere un borghese fanatico, per avere questa preoccupazione culturale in una discussione con i social-democratici, basta pensare e volere umanamente in modo onesto), i successori di queste persone sono appunto gli attuali socialisti di maggioranza, e la preoccupazione culturale oggi la suscitano i fatti. Questo da un lato.
Dall'altro lato, tutte le persone che parlavano così dicevano: “Lasciateci solo arrivare al timone, e il resto succederà da sé”. Tuttavia, se uno non riusciva a credere che il resto sarebbe 'successo da sé', poteva già profetizzare che sarebbe successo più o meno quello che infatti è successo adesso. Adesso ci troviamo davanti allo sgomento che i successori di queste persone provano di fronte ai fatti. A quei tempi si veniva ancora presi per fanatici, se si diceva che sarebbe successo quello che adesso è successo. Veramente io ammiro Karl Marx per la sua acutezza di pensiero, per la sua ampia visuale storica, per il suo grandioso e ampio sentimento per gli impulsi proletari del tempo moderno, per la sua potente comprensione critica del processo di auto-dissolvimento del capitalismo moderno e per le sue molte caratteristiche geniali. Però chi lo conosce sa che Karl Marx fondamentalmente era appunto il grande critico sociale che però ci lascia sempre nelle peste quando c'è da dire che cosa deve succedere. Già qui si origina quello che oggi vediamo nei fatti, per meglio dire l'incapacità di pervenire ad una costruzione positiva. Ora, oggi non vediamo solo le conseguenze dei dati di fatto, ma anche le conseguenze delle opinioni. Vedete, recentemente ho tenuto una conferenza anche in un altro posto, a Basilea, però davanti a un pubblico diverso da questo, e un partecipante al dibattito ha osservato che, se si vuole che le cose migliorino, prima di tutto sarebbe necessario che Lenin diventasse il capo del mondo. Le altre questioni sarebbero nazionali. Internazionale sarebbe che Lenin diventasse il capo del mondo. Ora, davanti ad un'osservazione del genere, mi sono dovuto permettere di dire quanto segue: quale che sia il nostro concetto di socializzazione, magari uno per convinzione, un altro per preferenza o perché i fatti ve lo costringono, cerchiamo di essere consequenziali anche in queste cose. Se si vuole socializzare, credo, la prima cosa che si deve socializzare sono i rapporti di dominio. Chi esige un capo del mondo può socializzare in qualche ambito, ma di certo non socializza nel campo dei rapporti di dominio. La socializzazione del dominio è veramente la primissima esigenza fondamentale. Così, vedete, oggi si può essere radicali e assolutamente conservatori, persino terribilmente reazionari. Così sono spesso quelli che sono venuti fuori da quello che ho caratterizzato.
Al giorno d'oggi in molte cose si deve pensare per paradossi, perché la verità contraddice così tanto le abitudini di pensiero, che oggi le persone preferiscono avere delle contraddizioni piuttosto che delle semplici verità. Però ci serve anche la conseguenza delle opinioni. Osserviamo una buona volta l'opinione di un pensatore consequenziale (ci si ponga nei suoi confronti come si vuole) come Lenin. Perché Lenin è consequenziale, anche in relazione ad un certo modo di agire, è consequenziale. Osservando la sua concezione, la prima cosa da dire è che dal suo punto di vista egli è assolutamente saldo, più di tutti gli altri, soprattutto più dei socialisti di maggioranza, in quello che è il marxismo. E in uno dei suoi libri, e questo è molto interessante, fa un'interessantissima osservazione proprio a partire dal marxismo. Questa osservazione è tanto più interessante, almeno in senso formale, in quanto non viene fatta da uno che scrive a proposito dei partiti socialisti fra quattro mura, o da uno che magari è ministro o altro in un ufficio pubblico, ma da un uomo onnipotente. Egli parla di quelle concezioni del marxismo nelle quali si mostra come il vecchio Stato borghese debba trapassare nello Stato proletario, ma come questo Stato proletario abbia il solo e unico compito di suicidarsi a poco a poco. Dunque, la fondazione di uno Stato che faccia leggi tali che alla fine lo uccidano. In questo Stato ci sarà un ordinamento sociale attraverso il quale tutti gli uomini saranno uguali non solo di fronte alla legge, ma anche per quanto riguarda le faccende economiche e spirituali. Oh, i lavoratori spirituali non avranno un centesimo in più dei lavoratori fisici. Ma allo stesso tempo Lenin è assolutamente convinto che questa sia solo una fase di passaggio. Infatti (e anche questo lo spiega in base al marxismo), dopo che lo Stato proletario sarà stato ucciso, dunque dopo che sarà stato ucciso tutto ciò a cui adesso anela, dovrebbe venire l'altro, il grande ideale vero e proprio, che si estrinsecherà nel fatto che ci sarà un ordinamento sociale in cui ciascuno non avrà più lo stesso di tutti gli altri, ma ciascuno avrà a seconda dei suoi talenti e dei suoi bisogni. Però (ora riflettete su questo grande 'però') però, dice Lenin, questa fase non la si può raggiungere con gli uomini del presente, prima deve venire una nuova specie di uomini. Vedete, per certi versi questo è un modo di pensare giusto, solo che è giusto in un modo speciale. Qui avete da una parte il negativo e dall'altra parte il negativo che oggi ha portato alla conseguenza attuale dei fatti, dove le persone si trovano davanti a dei compiti che non possono risolvere con le vecchie teorie, coi vecchi dogmi. Hanno la conseguenza dell'opinione. Bisogna introdurre qualcosa, però per delle persone che non ci sono.
Ora, stimatissimi convenuti, di fronte a tanto, il nostro appello cerca qualcosa per le persone che ci sono. Ed è proprio questo, che distingue il nostro appello da tutto il resto, che fa sì che il nostro appello sia estremamente diverso, in sostanza, da tutto il resto che adesso si presenta in questo ambito. Che cosa si presenta, altrimenti? Programmi! Ora, al giorno d'oggi i programmi sono tanto a buon mercato, quanto le bombe al bromo. Si fonda una società, un partito, si fa un programma, questo è molto facile. Ma non è questo, l'importante. Questo appello non si fonda sulle teorie, sui dogmi, ma sulla realtà, su un terreno veramente pratico. Perciò non si dedica ai programmi, ma agli uomini. Spessissimo si è detto che se l'uomo dalla nascita in poi viene posto tutto da solo su un'isola non imparerà mai a parlare, impara a parlare solo in una società di uomini. Allo stesso modo gli impulsi sociali non possono mai svilupparsi nelle singole persone, ma solo nella vita comune con le altre persone. Essi si sviluppano nel singolo uomo in un modo particolare. Diamone un esempio. Oggi, fra i bolscevichi, conoscete Lenin, Trotzki ecc. Voglio citarvi un altro bolscevico, al quale forse non avete ancora pensato e del quale sarete molto stupiti, che io dica che è un bolscevico. Questo bolscevico è Johann Gottlieb Fichte! Nessuno può avere nei confronti di Johann Gottlieb Fichte più stima di quello che ho io, ma leggete il suo «Lo Stato commerciale chiuso», leggete l'ordinamento sociale che egli vi delinea. È stato veramente realizzato in Russia. Che cosa vi sta alla base in realtà?
Fichte era un grande filosofo, era un grande pensatore, si può dire che tutte le vie spirituali che ha percorso le si percorrono a ragione se si dispiega quanto è predisposto nell'interiorità dell'essere umano, quanto fluisce dai talenti dell'essere umano. Ma l'epoca più moderna ha portato l'uomo proprio all'apice della personalità individuale. È vero che da un lato al giorno d'oggi dobbiamo formarla, questa personalità, però essa produce un ordinamento sociale tanto poco, quanto un singolo individuo produce una lingua crescendo assolutamente da solo. Idee sociali, impulsi sociali, istituzioni sociali possono svilupparsi solo nella società stessa. Perciò non si dovrebbero fare dei programmi, ma solo trovare: Come devono essere organizzati socialmente gli uomini, come devono convivere, in modo che in questa vita insieme trovino i giusti impulsi sociali? Questo è quello che si cerca di fare in questo appello. È questo, l'importante: il modo in cui gli uomini devono essere inseriti nell'organismo sociale, in modo che possano trovare gli impulsi sociali nel contesto che poi risulta dalla corretta strutturazione. Questo appello non è convinto, come invece spessissimo accade ai pensatori sociali, di essere più intelligente di tutti gli altri. Non è così che si ritiene colui che ha scritto questo appello; crede invece di avere additato, con questo appello, un punto scottante della realtà. Parlando ad un gruppo più ristretto, ho spesso ripetuto: “Posso ben immaginare che di quanto sta alla base di questo appello non resterà una pietra sull'altra, che tutto diventerà diverso da come è stato pensato all'inizio, ma non è questo, l'importante. L'importante è che si capisca la realtà nel modo in cui lo si fa qui, e allora le persone che capiscono la realtà in questo modo troveranno qualcosa che sarà anche conforme alla realtà. Non mi interessa un programma, non mi interessano i dettagli. Mi interessa che le persone collaborino in un modo tale per cui grazie a questa collaborazione si trovino gli impulsi sociali. Questo è quello che al giorno d'oggi deve essere alla base di un pensare conforme alla realtà: mettere gli uomini in giusto rapporto. Se un uomo vuole sviluppare un qualche programma socialista a partire da se stesso, come hanno fatto Lenin, Trotzki, e anche Fichte, non ne viene fuori un bel niente, perché il volere socialista può svilupparsi soltanto nel contesto sociale”.
Perciò bisogna andare a cercare la struttura giusta, la giusta configurazione dell'organismo sociale. Quella che oggi è la teoria socialista ricorda un'antica superstizione che Goethe ha trattato nel suo Faust. Ricorda di come nel Medioevo si voleva mettere insieme, a partire da mere idee razionali, certe sostanze del mondo per produrre un homunculus. Al giorno d'oggi sicuramente e a ragione una cosa del genere viene considerata una superstizione medievale. Ma sembra che nell'evoluzione umana la superstizione scappi da un settore all'altro. Gli homuncoli non si cercano più nella storta, però si tenta di comporre un'immagine ideale di ordinamento sociale con ogni specie di ingrediente di pensiero. Questa è formazione di homuncoli sociali, alchimia sociale. Di questa superstizione oggi il mondo soffre. Questa superstizione deve sparire. Bisogna che diventi chiaro che si deve affrontare la realtà, che si deve dire come gli uomini debbano stare nell'organismo sociale. Perciò ho detto: alla fine non mi interessa come si chiamino quelli che prenderanno parte qua e là alla ricostruzione. Non si tratta di quali saranno le classi e le cerchie sociali precedenti che prenderanno parte a questa ricostruzione. Non si tratta di come esse chiamino ciò che è necessario, se sarà dittatura di qualche singolo nel periodo di transizione, o se sarà già diffusa democrazia, in fin dei conti queste sono questioni secondarie. L'importante è che si pensi il giusto, si senta il giusto, si voglia il giusto. Vorrei sottolineare sempre di nuovo: si possono avere tutti i tipi di bei pensieri sulle istituzioni sociali, al giorno d'oggi ovunque possibile bisogna dedicarsi alla riconfigurazione delle istituzioni sociali, questo è assolutamente giusto. Ma chi crede di capire più a fondo la situazione deve anche accettare che da questa situazione gli si fa incontro quanto segue.
Per quanto buone siano le istituzione che fate, se lasciate che le abitudini di pensiero delle persone restino tali e quali, da queste istituzioni fra dieci anni non avrete ancora niente. Oggi non abbiamo bisogno solo di un cambiamento delle istituzioni. Per quanto sembri paradossale, ciò di cui abbiamo bisogno è che ci siano teste diverse sulle nostre spalle! Teste che contengano pensieri diversi! Perché le vecchie idee sono quelle che ci hanno trascinati nel caos. Bisogna capirlo! Perciò al giorno d'oggi si tratta di diffondere nelle cerchie più vaste delle spiegazioni su quali siano le condizioni affinché l'organismo sociale possa essere sano. L'importante oggi è cominciare con la vita spirituale libera, è cominciare a diffondere dappertutto ciò che rende possibile alle persone di capire le condizioni sane dell'organismo sociale. Abbiamo bisogno prima di tutto di uomini che non pratichino alchimia sociale, homuncolismo sociale, ma di uomini che creino a partire dalla realtà sociale. Perciò, anche se al sovvertimento già passato seguisse un altro sovvertimento, e poi ancora un altro e un altro ancora, senza che si impari a cambiare radicalmente il modo di pensare, non credo che un sovvertimento porti qualcosa di risanante. Solo quando diventerà un ideale, quello di capire la sana organizzazione della vita spirituale, la diffusione di idee sane, la stimolazione di sentimenti sani, soltanto allora ci saranno gli uomini (indifferentemente da come si facciano valere, sia nel governo dei soviet sia in qualcos'altro) che saranno in grado di portare al risanamento dell'organismo sociale. Ritengo che questa sia la cosa più importante. La cosa più importante è la rivoluzione del mondo di pensieri, sentimenti e volontà dell'uomo. Solo su questa base potrà accadere ciò che desidera il signore che è intervenuto. Non credo che senza questi presupposti, grazie a qualcos'altro, si possa giungere ad un risanamento. Dato che ho preso la cosa molto seriamente, mi sono spinto nell'ambito che ha trovato espressione in questo appello. Solo se si trovano sempre più uomini che hanno vera volontà e vero coraggio in primo luogo di capire a fondo questa tripartizione e poi di metterla in atto (va messa in atto ovunque oggi si sia inseriti nella vita pratica), se abbastanza uomini con nuovi pensieri si scrolleranno di dosso i pensieri vecchi, sterili, allora in qualche modo succederà quello che deve succedere per il risanamento degli uomini e per la loro liberazione.
Un oratore comunista dubita che la socializzazione nella forma della conferenza possa essere attuata con gli uomini del giorno d'oggi.
Rudolf Steiner: In sostanza non c'è davvero molto da dire su quanto l'egregio signore ha detto, e precisamente per il fatto che in ultima analisi si è dichiarato in favore della tripartizione e in realtà è solo tormentato da un certo pessimismo, precisamente dal pessimismo che gli uomini d'oggi siano immaturi per questa tripartizione e che debbano prima attraversare un comunismo nel senso di Lenin e Trotzki. È stato detto come se qui se ne fosse parlato in un modo che non tenesse conto delle loro ragioni. Ho solo detto: “Se ne può pensare quel che si vuole”, è l'unica cosa che ho detto a proposito del contenuto. Ho caratterizzato solo la forma. Mi pare che in realtà l'egregio signore che è intervenuto non creda che l'umanità spiritualmente possa realmente essere portata a cambiare le teste sulle spalle. Ora, vedete, abbiamo tutti anche assistito al fatto che cinque mesi fa le persone volevano ancora la guerra mondiale ecc. Però, stimatissimi convenuti, credo che di fronte a tutto quel che oggi gli uomini possano dire, ci sia proprio un gigantesco maestro: è il mondo stesso dei fatti. È la catastrofe bellica stessa. Tuttavia non credo che per tutti sia già passato abbastanza tempo per cambiare modo di pensare, da quando la catastrofe della guerra mondiale è entrata in una nuova fase. Ma innanzitutto per un ben determinato motivo non posso essere d'accordo col pessimismo del signore che è intervenuto, almeno non in quella forma. Precisamente per questo motivo. Vedete, se la faccenda fosse così semplice, che non si potesse giungere alla tripartizione per nessun'altra via che quella che passa per il comunismo (credetemi, io veramente non soffro di una qualche forma di meschinità o di mancanza di coraggio per quanto è necessario) allora si potrebbe anche essere d'accordo. Se fosse possibile solo ciò che ha descritto il signore che è intervenuto, cioè che per giungere alla tripartizione fosse necessario attraversare il comunismo, penserei immediatamente che si debba appunto percorrere quella via. Ma non è senza ragione, ma a seguito delle esperienze di decenni di vita, che ho parlato della questione del trono e dell'altare da una parte e dell'ufficio commerciale e dello stabilimento dall'altra parte. Vedete, sono forse due volte e mezza più vecchio dell'oratore precedente. Ora, sicuramente oggi anche a quell'età si è dell'opinione, ora voglio toccare l'argomento solo con un paio di parole, che moltissimo di ciò che deve essere fatto possa essere fatto solo dalla gioventù. Io sono dell'opinione che si può avere quasi sessant'anni e avere un'anima giovane come quella del signore che ha parlato. Forse è egoistico. Ma io ho riflettuto molto bene, su ciò che ho detto sul trono e l'altare da una parte e sull'ufficio commerciale e lo stabilimento dall'altra. Vedete, la questione è semplicemente questa: se si crea una qualche struttura sociale, non si crea qualcosa che rimanga stabile per tutta l'eternità o anche solo per periodi lunghi, ma si crea qualcosa che è in divenire, qualcosa che cresce. E per chi abbia acquisito le esperienze di vita necessarie, la faccenda è tale per cui egli sa molto bene che quando uno è un bambino e cresce avrà una figura tutta diversa quando sarà adulto. Così, quando ci si occupa delle condizioni di vita dell'organismo sociale, si ha anche la precisa rappresentazione di come questo diventi e cresca. Qui vedo dall'altra parte qualcosa che è diventato vecchio, che proviene da comunità più vecchie: l'amministrazione economica privata dell'epoca moderna, il capitalismo dell'epoca moderna con la sua spaventosa nocività. Questo lo abbiamo sperimentato come disgregazione sotto trono e altare. Adesso recentemente ricominciamo di nuovo con il comunismo, solo con una forma un po' diversa: non col motto «trono e altare», ma con il motto «ufficio commerciale e stabilimento». Bene, ricominciamo daccapo. Fra un po' di tempo, non si sarà con la tripartizione, ma con un'altra forma, con una forma spaventosamente burocratizzata, col motto «ufficio commerciale e fabbrica», con quello che si prepara adesso nel comunismo. Non ci sarà, lì, quello che oggi il nullatenente sperimenta a causa del possidente. Che voi ora lo vogliate credere o no, ci sarà una caccia alle cariche, per ottenere con la caccia a determinati posti, quel che oggi si preda col profitto capitalistico. Al posto dei danni di oggi, ci sarà un gigantesco spionaggio. Su tutto questo non riflettono quelli che oggi, partendo da pensieri così miopi, vogliono impostare un ordine sociale passato, per ricominciare di nuovo, e poi riescono a pensare che, ricominciando con quello che è già stato provato fino in fondo, alla cui senilità siamo già arrivati, arriveremo ad altre condizioni. Certo, di fronte a quello che abbiamo visto, di fronte alla grande quantità di persone che hanno creduto a ciò che è stato loro comandato, mentre hanno difficoltà ad avvicinarsi a una cosa come l'appello, sì, che si può diventare pessimisti. Il pessimismo come fenomeno del tempo lo capisco bene. E in un certo senso ho anche sentito, parlando ora da mesi di queste cose, quella che si manifesta come una tragicità del nostro tempo, per il fatto che si può discutere così poco con personaggi della borghesia. L'ho ritenuto un fenomeno molto importante. È una cosa che suscita molto, molto pessimismo. Succedono cose del genere. Per esempio, recentemente, in una città del sud, ho visto che in una discussione in un giornale un privato ha detto che ora sì, egli aveva fatto proprio delle buone osservazioni nella prima parte della sua conferenza sulla vita spirituale, ma che si era sperato che arrivasse un oratore che considerasse il capitalismo economico privato come una cosa sua personale e che lo difendesse, perché è sicuramente difendibile. Che è triste, che non ne sia venuto uno, di questi oratori. Che tuttavia si vorrebbe credere che l'ordinamento capitalistico sia giunto alla propria fine. - Un groviglio di contraddizioni. Per prima cosa, bisogna accettare che l'amministrazione capitalistica privata, l'ordinamento economico capitalista privato debba essere difeso, che quindi lo si debba proprio presentare come qualcosa di difendibile. Ma la seconda cosa è che lo scrittore stesso ne dubita, perché non si era trovato nessun oratore che lo difendesse. La terza cosa, se che ha fatto queste considerazioni era lì, perché non ha parlato lui stesso?
È come se le persone cancellassero se stesse, dimostrando così quanto siano sprofondate nel nulla. Tutto questo lo posso anche capire, ciononostante, per chi non pensa in modo pessimistico, c'è solo questo: come riusciamo a trovare il maggior numero possibile di uomini che capiscano questa tripartizione? Allora di fatto potremo realizzarla in tempi molto brevi. Non ho mai detto che sia da realizzare in dieci anni. No, già oggi questa tripartizione si può realizzare da qualsiasi parte. E proprio perché entri nelle teste, proprio per questo, vogliamo tutti prenderla in modo sufficientemente profondo e lavorare in questo senso. Ma se si vuole cooperare per il risanamento dell'umanità non si deve essere pessimisti, ma credere nel proprio lavoro. Bisogna avere il coraggio di pensare veramente che si è anche in grado di realizzare quello che si ritiene sia giusto. Ritengo che sia in auto-annichilimento, che uno dica: “Abbiamo delle idee che si possono realizzare, ma io non ci credo”. Non ritengo che questa domanda sia una domanda sulla realtà, lo è invece quest'altra: “Che cosa dobbiamo fare, affinché un'idea conforme alla realtà si realizzi il più presto possibile?” Non pensiamo a come sono le teste di oggi, ma a come debbano diventare. Facciamoci coraggio, e non avremo bisogno di aspettare una nuova specie di uomini, ma troveremo ben gli uomini che sono stati schiacciati dalla violenza degli ultimi anni e che porteranno le nuove teste sulle spalle in un modo diverso da come lo fanno gli altri, coi loro pensieri. Quindi non dobbiamo essere pessimisti, ma lavorare e darci da fare, e allora vedremo se le idee si imporranno o se avremo motivo di essere pessimisti. Se ne avessimo motivo, allora credo tuttavia che i dieci anni di transizione non porterebbero alla tripartizione, ma a qualcos'altro. Abbiamo distrutto molto e distruggeremmo ancora di più, e prima che siano passati dieci anni ci troveremmo al punto da non avere più alcuna possibilità di distruggere, perché sarà già stato tutto distrutto. Perciò è meglio lavorare, piuttosto che sprofondare nello scoraggiamento.
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