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Una visione d'insieme



7. La proprietà privata

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Una folata di vento e variopinte foglie secche mulinano davanti all'ingresso principale della Deepskydiver. Fabian, mentre si accinge a varcarne la soglia, non può fare a meno di rammentare, con una stretta al cuore, come su Kepler 2b sia giunto un altro autunno in attesa della tanto agognata missione di soccorso. Si ferma un attimo. Non c'è nessuno. Un'improvvisata panchina si fa notare a poca distanza da lui. Si guarda intorno, in lontananza si vedono le montagne e i "suoi" Altopiani. Decide di aspettare un po'. Dopotutto, può fare con comodo, è arrivato alla base alquanto in anticipo rispetto all'orario di inizio della riunione cui è stato chiamato a partecipare. Voleva infatti prendersi ancora un po' di tempo per rivedere le carte che ha portato con sé, ma adesso non sente più tanto l'urgenza di studiarle ancora.

Inizia quindi a ripercorrere nei suoi pensieri quanto accaduto nelle ultime settimane nella piccola comunità kepleriana. Un episodio, di per sé poco rilevante, ha dato però il via a molte discussioni e polemiche che hanno innescato a loro volta ulteriori eventi. Un coltivatore che ha lavorato un discreto appezzamento nei pressi della base, ha deciso di vendere il "proprio" terreno. Non che ne abbia particolari necessità, tuttavia vorrebbe ricavarne qualcosa e dedicarsi ad altro. Gli sembra nondimeno che la proposta di vendita sia del tutto legittima e, se non si aspettava di ricevere chissà quante offerte, di certo non immaginava di suscitare tante reazioni. A molti infatti la cosa è apparsa decisamente fuori luogo, non comprendendo proprio come si possa mercificare qualcosa che rappresenta ai loro occhi un vero e proprio dono fatto all'intera comunità dalla saggia direzione del Mondo, anzi dei Mondi, e che come tale vada trattato. Ma le loro argomentazioni in effetti sono fondate piuttosto su un certo sentire che su una effettiva conoscenza giuridica.

Ad ogni modo, su Kepler 2b, in passato, nei pochi casi in cui si è reso necessario richiamarsi a norme del diritto, si sono utilizzate quelle dei Paesi da cui provengono le due navi spaziali che sono atterrate su di esso, in quanto ne sono a tutti gli effetti delle estensioni territoriali. O a tali norme comunque in qualche modo ci si è richiamati. Il coltivatore sostiene che il diritto di quei paesi ammette senz'altro la compravendita di terreni, per cui egli ha tutto il diritto di vendere l'appezzamento che ha lavorato fin da quando è arrivato sul pianeta. Dall'altra parte gli si è fatto rilevare che l'appezzamento in questione non è di certo parte integrante della nave, per cui non si possono applicare le norme del diritto internazionale che invoca, ed inoltre, proprio secondo quelle norme, il periodo di usucapione sarebbe troppo breve per consentirne l'alienazione. A complicare le cose è stato Blake, un tempo responsabile del gruppo dei boscaioli e poi passato a gestire la geniale trovata di Venturi per produrre facilmente combustibile a partire dal carburante della Deepskydiver. Non si è ben capito se si è trattato di una provocazione o altro, ma Blake ha deciso pure lui di "vendere" al miglior offerente la propria attività, per dedicarsi con il ricavato ad altra impresa.

A seguito di questo, sono state fatte molte riunioni per cercare di ricomporre le opposte visioni, ma sfortunatamente non si è arrivati ad alcun accordo. I vari punti di vista sono stati esposti con acume e con dovizia di documentazione, ma tutto è stato inutile: gli avvocati presenti nella comunità si sono anch'essi divisi tra fautori e avversari della compravendita delle terre. Alla fine tuttavia si è giunti ad un compromesso che sperabilmente porterà alla soluzione del caso contingente, e in pari tempo potrebbe rappresentare il preludio per una diversa gestione delle questioni giuridiche. Si è deciso di costituire una corte di giustizia in un modo alquanto atipico: gli avvocati professionisti disponibili su Kepler 2b hanno costituito una sorta di collegio di esperti di diritto, con il compito di consigliare e illustrare al meglio le proprie posizioni ad un giudice, che però non deve provenire dalla carriera forense. Tale giudice deve essere infatti un libero professionista, una persona dotata di una tale autorevolezza e statura morale da non lasciare dubbi a nessuno sul fatto che da una individualità simile non può che venir emessa una sentenza assolutamente giusta.

Su Kepler 2b non si è dovuto cercare a lungo, nessuno ha avuto dubbi che questa persona sia proprio Fabian. A lui quindi toccherà il compito di esaminare la questione assieme al collegio di avvocati della sua corte, per decidere definitivamente sulla questione della compravendita della terra, dei mezzi di produzione e in generale quindi su come si debba considerare la proprietà privata.

La scelta non è caduta invano su Fabian. Pur non avendo potuto partecipare a quasi nessuna delle riunioni indette per dirimere la questione, egli è tuttavia a conoscenza delle varie argomentazioni e ha già iniziato ad elaborare un proprio punto di vista. Aveva già deciso di esporlo, quando gli è arrivata, inaspettata, la nomina a presiedere la giuria. Confrontarsi con il collegio degli avvocati della sua corte è estremamente utile, ma non aggiunge quasi nulla all'idea che è andato elaborando. L'argomento lo affascina. Ritiene infatti che entrambi i contendenti abbiano una parte di ragione. La possibilità di vedere nella terra sia un bene di rilevanza sociale che un oggetto di proprietà privata nel senso ordinario del termine, gli ricorda curiosamente la disputa del primo Novecento sulla doppia natura della luce. Una parte dei fisici d'allora erano convinti che essa fosse una radiazione elettromagnetica, un'onda, mentre gli altri la consideravano invece un flusso di particelle, i fotoni. Si è scoperto solo in seguito che la luce aveva entrambe le nature, ondulatoria e corpuscolare, ed esse sono quindi complementari l'una all'altra. Tutto dipende infatti dal modo in cui la si osservava. Allo stesso modo, si domanda Fabian, la proprietà privata può essere anch'essa "onda e particelle"?

Fabian è ora davanti all'assemblea che l'ha convocato. Le immagini avute fino ad ora nell'anima si sono dissolte, mentre inizia il suo discorso:

«Miei cari amici, mi avete chiesto di dirimere una questione che invero travalica di gran lunga l'ambito ristretto delle contingenze con cui si è presentata. Non si tratta infatti qui di stabilire se si possa o meno vendere quel tal appezzamento di terra che si trova qui vicino o una determinata attività, per quanto importante per noi essa sia. Si tratta di capire che tipo di rapporto dobbiamo avere nei confronti di quei pilastri sui quali il nostro organismo sociale si sorregge, ovvero terra, lavoro e capitale. Il tema del lavoro in verità l'abbiamo già in qualche modo trattato nel nostro recente passato. Abbiamo visto che, a differenza di quanto avviene normalmente, nella nostra comunità il lavoro di fatto non viene mai pagato, abbiamo infatti imparato che in realtà si possono pagare solo i frutti del lavoro, ovvero le merci. I lavoratori della nostra comunità ricevono per il sostentamento loro e delle loro famiglie una quota parte di quanto producono, secondo quanto stabilito da regole che abbiamo fissato tutti assieme, ovvero attraverso un elemento che vive nella sfera del diritto. Qui senz'altro ci siamo staccati dagli ordinamenti giuridici dei Paesi che conosciamo e abbiamo posto la retribuzione della prestazione lavorativa su basi del tutto nuove. Ma come stanno le cose per quanto riguarda la terra e il capitale? Proviamo a partire dalla terra, che probabilmente rappresenta il caso di più facile accesso per una nuova comprensione della medesima. È indubbio che la terra non sia una merce. Per quanto mi dia da fare,non la posso di certo aumentare d'estensione, né si può dire che essa sia un prodotto umano; infine non la si può trasportare come una qualsiasi altra merce. Che cos'è dunque la terra? Potremmo forse considerarla come un bene comune, come l'acqua che beviamo o l'aria che respiriamo, una sorta di bene dell'umanità. Una terra incolta tuttavia può venir trasformata attraverso le capacità e le attitudini umane in una coltivazione redditizia. Per poter condurre a termine questa trasformazione possono servire degli anni, e in questi anni è indispensabile che colui il quale lavora la terra lo possa fare in modo esclusivo: la terra deve rientrare nel dominio delle cose su cui il coltivatore deve avere piena libertà di azione. Verrebbe da dire che la terra deve essere "sua", e come tale debba poter essere venduta».

Di una breve pausa di Fabian nel suo discorso approfitta un signore, che dal fondo della sala interviene: «Senza il lavoro del fattore, la terra di cui parli non sarebbe mai passata da terreno incolto a coltivazione redditizia, quindi è legittimo che egli possa venderla». «Si, è così\AD che di norma si pensa sulla terra!» risponde Fabian.
Prima che possa proseguire, interviene un altro signore, che risponde al primo:
«Come si è detto poco fa, la terra non è una merce, è un bene della collettività, e la proprietà della terra dovrebbe essere di tutti!».

Cessati i mormorii, Fabian riprende a parlare: «Entrambi gli aspetti che abbiamo descritto possono essere considerati "veri": la terra non è una merce e il lavoro umano trasforma un campo incolto in una coltura redditizia attraverso l'utilizzo esclusivo di esso. Questi due aspetti sono davvero inconciliabili o possiamo considerarli almeno complementari? Supponiamo di avere davanti a noi un campo ben coltivato e ricco di messi. Possiamo forse dire che per l'uso esclusivo che ne ha fatto il coltivatore ne è derivato un danno per l'organismo sociale? Al contrario! La società potrà solo che beneficiare di questo fatto! Ciò che è in verità dannoso non è di per sé l'uso esclusivo del pezzo di terra, ma il fatto che il coltivatore possa cederlo come una merce qualsiasi, non appena egli cessa di lavorarlo, attraverso una vendita o anche tramite un'eredità».
«Passi per l'eredità, ma in questo modo chi ripaga il coltivatore del costo della terra che egli ha dovuto sostenere?» chiede un signore in prima fila.
«Non dimentichiamoci che ci troviamo qui, in questa particolare comunità e in una situazione ben determinata. Quale "costo della terra" ha dovuto sostenere la persona che oggi vuole vendere il suo appezzamento? - risponde Fabian. - Non c'è nessun danno difatti e nessun "rimborso" è quindi dovuto».
«Ma la terra da incolta è diventata un campo redditizio! Per questo aumento di valore, perché il coltivatore non deve avere il suo giusto compenso?» insiste ancora il signore in prima fila.
«In verità - risponde Fabian - egli ha potuto coltivare la terra proprio perché la società gliene ha conferito l'uso esclusivo, in modo che egli potesse farla rendere a beneficio dell'intera comunità. Per questo egli viene gratificato due volte: la prima perché la comunità ha riconosciuto solo a lui le particolari attitudini e capacità necessarie per avere il diritto di coltivarla. La seconda perché dai ricavi che avrà ottenuto avrà potuto certamente dedurre quanto legittimo per il proprio operato, come peraltro già avviene in tutte le altre realtà produttive della nostra comunità». Dopo una pausa, Fabian prosegue: «Se dunque dobbiamo porre su basi sane la gestione della terra, dobbiamo immaginarla come una risorsa comune che, a fronte di adeguate e riconosciute capacità, possa essere ceduta a singoli individui affinché la facciano fruttare a vantaggio della comunità. L'utilizzo che ne faranno questi individui sarà assolutamente esclusivo e insindacabile - come se fosse una proprietà privata nel senso ordinario - ma altrettanto insindacabile sarà la revoca della proprietà nel caso di una eventuale manifesta incapacità di gestione. Ad un uso esclusivo in un tempo limitato deve corrispondere una piena responsabilità personale».
«Poco fa si è detto in sostanza che l'eredità è qualcosa che non sarà ammesso nel nostro ordinamento. Non essendo dunque possibile nemmeno la vendita, come trapassano allora queste "proprietà" da un conduttore all'altro?» chiede il signore dell'ultima fila.
«Se il "proprietario" attuale decide di cessare la propria attività, deve individuare un'altra persona che possa succedergli con capacità ed attitudini comparabili alle sue. In caso di nessuna scelta, o di scomparsa improvvisa, la proprietà passerà nella disponibilità della comunità che, attraverso i suoi organi opportuni, sentiti i pareri dei più esperti, provvederà a nominare il successore. In via di principio, nulla vieta che un genitore possa trasmettere ai propri figli la conduzione dell'attività da lui avviata, purché i figli dimostrino di aver ereditato anche le qualità spirituali del genitore. Da una eredità di sangue bisogna passare ad una eredità delle facoltà spirituali» risponde Fabian.
«E nel caso di una impresa?» chiede il signore in prima fila.
«Il caso non è diverso - chiarisce Fabian - a monte di una impresa c'è comunque del capitale e pure esso non è una merce. Può essere concesso solo a chi, ancora una volta ha le necessarie e riconosciute attitudini e capacità. Egli le userà a vantaggio della società per poi cedere l'impresa non appena ritiene opportuno ritirarsi e avendo nominato un valido successore. Di fatto i mezzi di produzione non sono vendibili, al più sono acquistabili fino a quando non sono stati realizzati e impiantati. Dopodiché devono venir considerati alla stregua di un bene comune non alienabile».
«Ma questa è la collettivizzazione dei mezzi di produzione!» sbotta il signore in prima fila.
«Tutt'altro - replica Fabian - La collettività non avrà mai la gestione dei mezzi di produzione e tanto meno il diritto esclusivo di utilizzarli; tale diritto può essere esercitato dall'imprenditore a cui la comunità ha riconosciuto le necessarie doti individuali. L'imprenditore ha di fatto il pieno diritto di utilizzare i mezzi di produzione secondo le modalità che ritiene più opportune. I mezzi di produzione sono di fatto "suoi"».
«Mica tanto, non li può vendere!» continua il signore in prima fila.
«Il denaro per acquistare i mezzi di produzione deriva dal capitale che gli è stato fornito dalla comunità affinché potesse avviare la produzione di un bene necessario alla comunità stessa - precisa Fabian. - Che titolo ha ora di avere un ricavo anche dai mezzi di produzione? Egli ha già avuto la sua giusta remunerazione per aver prodotto e venduto le sue merci. Il caso è qui simile a quello del coltivatore di poc'anzi».
«Ne emerge un concetto di proprietà privata alquanto singolare...» osserva un altro signore in prima fila.
«Assolutamente! - conferma Fabian. - Se necessario, dobbiamo imparare a prendere certi concetti, a svuotarli completamente dei contenuti ordinari per riempirli con qualcosa del tutto nuovo, se vogliamo porre definitivamente il nostro organismo sociale su basi sane. Da qualsiasi punto di vista si osservi il concetto della proprietà privata che ho esposto, si vedrà che esso non nuoce mai all'organismo sociale né d'altra parte rappresenta un limite alle attitudini e alle capacità individuali. Anzi, nel futuro sempre più le istituzioni sociali saranno tali da agevolare al massimo l'accesso alle risorse comuni - terra e capitale - da parte di quegli individui dotati delle necessarie capacità. Essi useranno a titolo esclusivo tali risorse, saranno di "loro proprietà" in modo da generare il massimo vantaggio sociale; infine le restituiranno alla collettività in modo che possano essere nuovamente riassegnate. E con questo, avrei terminato. Ringrazio i signori della corte e voi tutti» conclude Fabian.

Poco dopo esser uscito, Fabian viene raggiunto da Enrico nei pressi dell'ingresso della base. Danno entrambi uno sguardo al campo di ortaggi che poco distante da lì\AD mostra il cartello "in vendita". Enrico si ferma e scuote la testa, Fabian sorride, poi si incamminano insieme verso gli Altopiani.
«Giornata straordinaria, Fabian, ora abbiamo pure l'ultimo tassello mancante per completare il quadro!».
«Caro Enrico non nego che siamo riusciti in ogni direzione - lavoro, terra, capitale - a porre per lo meno le basi per una società a misura d'uomo. Certo, abbiamo usufruito di condizioni eccezionali potendo partire praticamente da un ground zero sociale, ma non direi proprio che questo sia l'ultimo tassello, anzi!» risponde Fabian.
«Hai ragione, c'è ancora tantissimo da fare ovviamente, e...» riprende Enrico.
Ma Fabian lo interrompe quasi subito: « importantissimo consolidare quanto abbiamo realizzato su Kepler 2b per farne qualcosa che non possa essere considerato un esperimento felice proprio perché limitato... Ma Kepler 2b non è l'ultimo tassello: è il primo di molti altri, solo che questi non si svolgeranno qui! Intendo dire che i prossimi passi li dovremo fare sulla Terra! È probabile che la missione di soccorso sia già partita, ma quando arriveranno qui si tratterà di capire chi è il salvatore e chi il salvato. La civiltà umana contemporanea ha estremo bisogno di ritrovare il filo di Arianna che la deve condurre dal caos attuale alla soluzione del problema sociale. E noi porteremo la nostra testimonianza di libertà, uguaglianza e fraternità, porteremo una esperienza concreta e funzionante della Tripartizione sociale!».


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6.3 Un ponte tra produzione e consumo (II parte) 
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