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Shaping Globalization Civil Society, Cultural Power and Threefolding



Capitolo ottavo
Cooptazione: il frutto ironico della battaglia di Seattle?

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La grande vittoria della società civile nella Battaglia di Seattle potrebbe far apparire la questione dell'identità come un dettaglio secondario. Ma questa vittoria sta già innescando un insidioso contraccolpo in grado di minacciare in maniera crescente le tante opportunità createsi conseguentemente ad essa. Il contraccolpo potrà essere adeguatamente incassato e incanalato a patto che lo sia anche la questione della natura e dell'identità della società civile. Per comprendere la sfida di cui sopra è necessario volgere lo sguardo alle modalità con cui la debacle di Seattle ha influito sui pensieri e sulle strategie dell'establishment di potere retrostante alla globalizzazione d'elite.

La figura 4 mostra un flow chart idealizzato degli sviluppi successivi alla Battaglia di Seattle. La parola "idealizzato" non la sto utilizzando a caso; mentre da un lato è possibile discernere le tendenze generali ed anche il rafforzarsi di alcune posizioni, dall'altro la realtà si dimostra essere più complessa. Risulta per esempio possibile per una istituzione muoversi verso due posizioni differenti quando non addirittura conflittuali, a seconda di tempo, spazio e argomento in questione. Tenendo ben presente tutto ciò gettiamo un primo sguardo su quanto sta accadendo nel campo del sopracitato establishment di potere.


tensioni fra le tre forse globali dopo Seattle
Figura 4. Tensioni tra le tre forze globali post-Seattle

Crepe nell'organizzazione di potere

La Battaglia di Seattle ha dimostrato ai detentori delle redini del potere che ora esiste una terza forza globale in grado di neutralizzare le loro ambizioni mondialiste, senza contare che a livello di base è in corso un dibattito che sta minando il consenso anche a livello di elite. Una parte asserisce: manteniamo lo status quo. Siamo membri ed ufficiali di governo eletti dal popolo. Abbiamo la legittimazione sociale per governare. E, ad ogni modo, chi sono queste persone che stanno dietro alla società civile? Non sono rappresentanti del popolo. Rivendicano legittimità e importanza ma stanno interferendo con il mandato che abbiamo ricevuto per aiutare i poveri. Dunque non vi è bisogno alcuno di cambiare il corso della globalizzazione (d'elite) né tantomeno di prendere su serio quanto la società civile va dicendo. Occupiamoci piuttosto di criticare aggressivamente la società civile per eroderne immagine pubblica e legittimazione. In questo modo potremo indebolire prima ed eliminare poi l'influenza della società civile sui nostri affari politici ed economici. Charles Krauthammer, firma dell'influente rivista Time, parla per conto dei fedelissimi propugnatori della globalizzazione d'elite e del suesposto punto di vista:

"62 anni fa George Orwell scrisse: « Le semplici parole socialismo e comunismo attrassero verso di sé con forza magnetica ogni sorta di bevitori di succhi di frutta, nudisti, sandalizzati, maniaci sessuali, ciarlatani, guaritori, pacifisti e femministe di tutta l'Inghilterra». Oggi sono invece gli spauracchi della globalizzazione e del commercio mondiale a far emergere la relativa eccentrica fauna. Erano a Seattle la scorsa settimana: Zapatisti, anti-Nike e difensori di farfalle. Si sono uniti agli operai, al Sierra Club, a Ralph Nader e Pat Buchanan in una enorme e rumurosa festa anti- world trade.
Il clima era di ecumenica confusione. C'erano i paranoici del "one-world", che passno le notti svegli ed agitati a causa del dominio mondiale esercitato da David Rockefeller, la Commissione Trilateral e la cabala di Wall Street sotto copertura di organizzazioni come la WTO. Poi c'erano i nostri baldi luddisti dell'antipolitica, con il loro rifiuto di accettare il fatto che crescita, prosperità ed elevati standard di vita implicano delocalizzazioni. Un secolo fa essi cercarono di distruggere le fabbriche sataniche dell'Europa in via di industrializzazione; oggi vogliono fermare la redistribuzione globale del lavoro, grazie alla quale i bifolchi del Terzo Mondo che prima pativano la fame cominciano ad avere dei lavori a basso salario, mentre i lavoratori del mondo sviluppato passano alla più asettica e professionale "information economy"
...ma i dimostranti di ieri si opposero all'intervento militare in posti come il Vietnam, El Salvador e Nicaragua sostenendo che il problema reale in tali aree non fosse il comunismo bensi la povertà e che la soluzione fosse da ricercarsi non con la guerra ma per mezzo di aiuti economici...Bene, risulta dunque che la cura migliore per la povertà tanto agognata dalla sinistra di allora è esattamente la stessa contro la quale sta protestando ora: commercio e capitalismo. In un intero paese, la Cina, commercio e capitalismo hanno liberato in una sola generazione dalla povertà più persone di quanto sia mai avvenuto prima in tutta la storia dell'umanità.
...Naturalmente guadagnare pochi dolalri al giorno facendo scarpe da corsa risulta poco desiderabile se comparato con la vita dei lavoratori occidentali, ma è molto meglio dell'agricoltura di sussistenza che questi lavoratori si sono lasciati alle spalle ed alla quale sarebbero costretti a fare ritorno qualora i loro presunti amici dovessero riuscire a fermare il commercio imponendo standard lavorativi ed ambientali di tipo occidentale che nessun produttore del Terzo Mondo sarebbe in grado di rispettare. ...dei veri geni".

Al cinismo di Krauthammer fanno eco gli editori di The Economist:

"Finito il poverone e dispersi i gas lacrimogeni, un nuovo gioco di società ha preso piede. La gente fa a gara per decidere chi ha perso e chi ha guadagnato dal fallimento del meeting WTO di Seattle lo scorso fine settimana. Hanno forse vinto i manifestanti, verdi, sindacati o anarchici che fossero? Bill Clinton, Mike Moore (direttore generale del WTO) e le grandi imprese hanno invece perso? Mentre il gioco è in corso di svolgimento...un gruppo, che rappresenta più di 5 miliardi sui 6 della popolazione mondiale siede attonito e stupito; più o meno ignorato, come a Seattle. Questi 5 miliardi vivono in paesi in via di sviluppo, ed includono i più poveri tra i poveri. Ecco i veri perdenti in tutta questa triste vicenda.
Quelli che vorrebbero proclamarsi vincitori ora affermano altresi che lo scorso fine settimana ha segnato il punto più alto della globalizzazione in generale, e del libero commercio in particolare. Da questo punto di vista la globalizzazione verrà ora quantomeno bloccata, ma preferibilmente anche indotta a fare retromarcia. Ora bisogna che abbia inizio la battaglia che impedisca che ciò possa avvenire. Ma mentre si da il via a tale battaglia deve anche essere messo in chiaro chi più di altri si troverà nel ruolo di perdente se davvero la globalizzazione dovesse ricevere un duro contraccolpo o se semplicemente si avrà il fallimento di ulteriori liberalizzazioni. Si tratta dei paesi in via di sviluppo. In altre parole, i poveri...
Il libero commercio, così come la libertà in generale, non è una panacea. Non è in grado di portare incrementi di benessere di per sé. Ma d'altro canto non finisce semplicemente per arricchire le multinazionali e distruggere il pianeta. Il commercio implica una maggiore competizione, che indebolisce il potere degli interessi intoccabili e acquisiti e porta maggiori opportunità per milioni di persone piuttosto che privilegi per pochi. Porta poi più paesi ad aggiungersi al gruppetto composto da Giappone, Corea del Sud, Singapore e pochi altri che nel corso dell'ultimo secolo hanno colmato il gap con l'occidente e trasformato le vite dei loro popoli. Dieci anni fa, quando la caduta del muro di Berlino segnò la fine del comunismo e di altre forme di pianificazione centralizzata e autarchica, sembrava come se una nuova opportunità di prender parte all'economia mondiale fosse giunta per cinque miliardi di poveri che avevano così modo di migliorare le proprie esistenze.
Quella chance è sempre valida. Ma si tratta ora di non gettarla via, fra le macerie di Seattle".

Un altra parte dell'establishment dice: non è possibile impedire ulteriormente alla società civile di esprimere il suo punto di vista riguardo alle questioni locali e globali più impellenti. Ciò è stato chiaramente dimostrato nella battaglia di Seattle e nel fallimento della nostra iniziativa "MAI". Inoltre la società civile globale pare stia incassando adesioni di tutto rispetto da parte di milioni di persone in tutto il mondo. Alcuni di questi sostenitori provengono addirittura dalle nostre stesse fila, disincantati dall'evidente fallimento della nostra visione del mondo. Sembrerebbe che il nostro approccio economico neo-liberale, sebbene forte sotto diversi aspetti, sia giunto ad una sorta di limite. Non si è rapportato con successo con questioni come la povertà nel mondo e la crisi ambientale; non è in grado di fermare la volatilità dei mercati finanziari che hanno distrutto economie di interi paesi in tutto il mondo. Sempre piu aree del pianeta sono interessate da forti tensioni sociali che le rendono insicure per gli investitori stranieri. Perciò dovremmo essere proattivi e permettere alla società civile di sedersi al tavolo per dialogare e discutere. In alcuni casi si potrebbero additrittura sviluppare partnership innovative con loro. Comunque dobbiamo capire che la società civile porterà una visione di sviluppo che sarà abbastanza differente dal progetto neo-liberale che abbiamo diffuso in giro per il mondo nel corso degli ultimi due decenni. Dobbiamo dunque essere preparati ad indirizzare le loro richieste e aspirazioni. Gli editori del Business Week fanno parte di questo influente gruppo. Hanno colto segni e ammonimenti dei tempi.

"In tempi di prosperità senza precedenti, perché assistiamo in America ad una crescente opposizione nei confronti della globalizzazione? I benefici del libero mercato potranno apparire ovvi agli occhi di dirigenti, politici ed esperti, ma negare la crescente onda di pubblica indignazione contro di esso potrebbe rivelarsi pericoloso. I partecipanti alle manifestazioni di Seattle e Washington D.C. riflettono un insieme disparato ma reale di istanze che semplicemente non sparirà. Il fatto che numeri sempre crescenti di persone in Europa stiano sposando la causa li rende ancora più potenti. I sostenitori del libero mercato devono iniziare a capire le ragioni che sottendono la protesta, e progettare soluzioni creative che mantengano vivo l'impulso della globalizzazione. Se non verranno presi urgenti provvedimenti, aprofittando della forte espansione dell'economia mondiale in corso, il contraccolpo sarà ancora peggiore allorquando il ciclo economico si avvierà verso una parabola discendente. Il negare non è una strategia efficace.
Un sondaggio del Business Week ha evidenziato lo scarso supporto da parte dell'opinione pubblica verso la globalizzazione negli U.S.A. ...il 47% delle persone dice che una espansione del commercio e dei mercati porta ad una decrescita occupazionale; il 68% pensa che il commercio con il Messico ed altri paesi dove vigono bassi salari porti ad un livellamento salariale verso il basso in America; il 37% si identifica come protezionista, mentre solo il 10% si dichiara favorevole al libero mercato. Inoltre il 79% sostiene che il Congresso dovrebbe accordare alla Cina il libero e permanente accesso ai mercati statunitensi solo dopo aver ottenuto il rispetto dei diritti umani e lavorativi. Si tratta di dati sorprendenti per coloro, editori del Business Week compresi, che sono convinti del fatto che il libero mercato generi incontrovertibilmente crescita, competitività, lavoro e benessere per tutti.
...come è possibile ricostruire un pubblico consenso riguardo alla globalizzazione? Il modo più semplice sarebbe di rendere pubblici e aperti i processi decisionali del FMI, WTO e della Banca Mondiale. Porre fine al segreto darebbe modo ai gruppi ambientalisti e lavorativi di partecipare al confronto politico globale. Aprirebbe le porte ad economisti asiatici, africani e latinoamericani che sono spesso portatori di una maggiore sensibilità riguardo alle conseguenze delle azioni del FMI. Si avrebbe inoltre l'apporto di una visione fresca che potrebbe evitare al claustrofobico FMI di compiere pesanti errori applicando vecchi modelli risolutivi a situazioni nuove.
La divisione fra pro-globalizzazione e contro-globalizzaione sta rapidamente divenendo la linea di separazione socio-politica del post-guerra fredda. Se i contraccolpi sono affontati con approcci negativi, si crea un serio rischio di veder rallentare, quando non scomparire, il libero flusso di idee, persone, capitali, merci e servizi. C'è da creare qualcosa di solido a beneficio della globalizzazione. Ora è il tempo di farlo, dando il via alle riforme necessarie".

Joseph Stiglitz, ex chief-economist presso la Banca Mondiale, lancia un forte appello alle elite dell'establishment affinché si muovano senza segreti ed aprano i canali della comunicazione con la società civile globale.

"Gli incontri previsti la prossima settimana nell'ambito del FMI porteranno a Washington D.C. molti degli stessi dimostranti che hanno rovinato il WTO di Seattle lo scorso autunno. Diranno che il FMI è arrogante. Diranno che il FMI non da vero ascolto ai paesi in via di sviluppo che dovrebbe in teoria aiutare. Diranno che il FMI agisce nel segreto e senza sottoporsi ad alcun controllo democratico. Diranno che i "rimedi economici" del FMI spesso non fanno che peggiorare le cose, trasformando rallentamenti in recessioni e recessioni in depressioni.
E non avranno tutti i torti. Sono stato chief economist della Banca Mondiale dal 1996 fino allo scorso novembre (1999), durante la più pesante crisi economica mondiale degli ultimi cinquant'anni. Ho visto come il FMI, in tandem con il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, ha agito a riguardo. Sono rimasto sgomento.
Convincere quelli della Banca Mondiale in merito alle mie analisi è stato semplice; far cambiare idea nel FMI era virtualmente impossibile. ...Naturalmente tutti quelli del FMI mi assicurarono che sarebbero stati flessibili: se le loro politiche si fossero realmente dimostrate eccessivamente restrittive, forzando le economie asiatiche ad una recessione più profonda del necessario, allora avrebbero fatto marcia indietro. Tutto ciò mi fece venire i brividi alla spina dorsale. Una delle prime lezioni che gli economisti impartiscono ai propri studenti riguarda l'importanza degli intervalli: sono necessari da 12 a 18 mesi affinché un cambiamento di politica monetaria (innalzamento o abbassamento dei tassi di interesse) produca e mostri appieno i suoi effetti. Quando ho lavorato alla Casa Bianca come presidente del Council of Economic Advisers, abbiamo concentrato tutte le nostre energie sulla previsione di dove l'economia sarebbe andata in futuro, in modo da poter sapere quali politiche consigliare nel presente. Recuperare dopo è stato il colmo della follia. E questo era esattamente quello che i funzionari del FMI avevano proposto.
La cosa non avrebbe certo dovuto sorprendermi. Il FMI è solito occuparsi dei propri affari senza personaggi esterni che facciano troppe domande. Teoricamente il Fondo opera a sostegno delle istituzioni democratiche delle nazioni che assiste. Nella pratica mina le basi dei processi democratici imponendo le proprie politiche. Ufficialmente il FMI non "impone" nulla, ma piuttosto "negozia" le condizioni per erogare gli aiuti. Però tutto il potere negoziale è nelle mani di una sola parte - quella del FMI - ed il Fondo difficilmente accorda tempistiche sufficenti per prendere decisioni oculate e condivise piuttosto che tenere ampie consultazioni con i parlamenti o la società civile; talvolta il FMI ne fa a meno, fingendo lealtà e sincera apertura ma stringendo in realtà accordi segreti.
Quando il FMI decide di assistere un paese, invia una "missione" di economisti. Questi economisti sono spesso privi di una profonda conoscenza del paese; è come se avessero una conoscenza di prima mano dei suoi alberghi a cinque stelle piuttosto che dei villaggi delle zone rurali.
La politica economica è forse oggi la parte più importante dell'interazione statunitense con il resto del mondo. Ma ancora la cultura economica internazionale della più potente democrazia mondiale non è democratica.
Questo è ciò che i dimostranti che maniferanno fuori dal FMI la prossima settimana cercheranno di dire. Naturalmente la strada non è il posto migliore per discutere di questioni tanto complesse. Alcuni dei dimostranti non sono interessati al dibattito aperto più di quanto lo siano quelli del FMI. Inoltre non tutto quello che diranno i dimostranti sarà per forza giusto. Ma, se coloro che abbiamo incaricato di gestire l'economia globale - nel FMI e nel ministero del tesoro - non avvieranno un dialogo prendendo a cuore anche le ragioni di coloro che criticano, le cose continueranno a peggiorare e di molto. E' un qualcosa che ho già visto succedere".

Dunque la prima cesura nelle fila dell'establishment di potere nel campo della globalizzazione d'elite ha luogo tra coloro che vogliono mantenere lo status quo e quanti invece cercano di coinvolgere la società civile. Ma anche nell'ambito di quest'ultima parte sorge una divisione. Vi sono infatti alcuni appartenenti a questo gruppo di "engagers" che vedono un'opportunità unica nel dilemma che viene loro posto dalla società civile; quest'ultima verrà coinvolta nella misura in cui ciò risulterà positivo per i loro interessi. Si mostrano aperti a ridefinizioni e aggiustamenti del quadro economico neo-liberale, ma solo nella misura in cui ciò significherà un maggior controllo da parte loro dei processi sociali a livello mondiale. La loro intenzione è di diplomarsi e passare da un tipo di ingegneria economica che utilizza strumenti neo-liberali ad una ingegneria sociale globale e sistemica che utilizzi le intuizioni della società civile globale. Nel corso del processo fingeranno di accogliere gli aspetti di critica, appropriandosi in realtà delle informazioni a proprio esclusivo vantaggio. Le aspirazioni politiche, umane, culturali, sociali, ecologiche e spirituali verranno accomodate in maniera atta a servire gli interessi dell'economia globale, ma la facciata che verrà mostrata farà apparire il tutto come orientato ancora a questioni umane, sociali ed ecologiche. L'Economist, ancora una volta, coglie l'orientamento e la disposizione di questo gruppo di "engagers" che sono in definitiva più interessati a cooptare la società civile piuttosto che a coinvolgerla.

"Meno ovvia risulta la questione se gli attacchi alle ONG democraticizzeranno, o semplicemente disabiliteranno, le organizzazioni stesse. Ad un primo sguardo, Seattle suggerisce una conclusione pessimistica: gli apparati intergovenativi si paralizzeranno di fronte ad una opposizione concertata. La storia, comunque, suggerisce un risultato differente. Si prenda il caso della banca Mondiale. La campagna del 1994, "The Fifty Years is Enough" , fu un prototipo di Seattle (con tanto di attivisti a invadere le sale dove si tenevano i meeting). Ora le ONG se ne stanno sorprendentemente quiete riguardo alla Banca Mondiale. Il motivo di ciò è che la Banca ha compiuto grossi sforzi per cooptarle.
James Wolfensohn, il boss della Banca, ha fatto del "dialogo" con le ONG una componente centrale del lavoro dell'istituzione. Più di 70 specialisti delle ONG lavorano nei vari uffici e diramazioni della Banca. Oltre la metà dei progetti della Banca Mondiale avviati lo scorso anno coinvolgevano ONG. Il Sig. Wolfensohn ha stretto alleanze con chiunque, dai gruppi religiosi a quelli ambientalisti. I suoi sforzi hanno diluito la forza delle "reti di mobilitazione" e accresciuto il potere relativo delle ONG tecniche (dal momento che per lo più sono state queste a venire cooptate). Dalle politiche di impronta ambientalista a quelle per la cancellazione del debito, le ONG si trovano al centro delle politiche della Banca Mondiale. Spesso determinandole. La nuova Banca Mondiale è più trasparente, ma è anche più legata a tutta una nuova serie di interessi particolari.
La WTO non avrà una evoluzione di questo tipo. Essendo un forum nel quale i governi fissano le regole che obbligano tanto i paesi ricchi quanto quelli poveri, risulta di conseguenza più controverso. Inoltre non eroga fondi a sostegno di progetti, rendendo così dura la vita alle ONG cooptate. Ma potrebbe comunque cercare di indebolire l'estesa coalizione da cui fu attaccata a Seattle, tendendo la mano alle ONG più tecniche e mainstream. Ciò sarà salutato da molti come l'avvento di un'era nella quale le grandi istituzioni daranno ascolto anche alle voci della gente comune. Altri lamenteranno che avvocati autonominatisi hanno guadagnato fin troppa influenza. Quel che è certo è che un nuovo tipo di attore sta reclamando a gran voce un posto a tavola ".

C'è comunque anche un secondo gruppo, in quello più ampio degli "engagers". Tale gruppo consiste di individui e istituzioni che genuinamente vedono il bisogno di un approccio inclusivo allo sviluppo sostenibile, e si farà portatore della causa di una autentica partnership tri-settoriale piuttosto che di partnership orientate alla tripartizione tra società civile, governi ed imprese, per via del suo apprezzamento delle potenziali sinergie e del massimo beneficio che da tale approccio può derivare. L'autentico coinvolgimento e partecipazione della società civile assicurerà che gli imperativi economici e politici siano sensibilizzati e guidati da considerazioni culturali, etiche, umane, ecologiche e spirituali. Citerò Wolfensohn, presidente della Banca Mondiale, per illustrare i sentimenti di questo gruppo. Wolfenson potrebbe sembrare la persona sbagliata da prendere come esempio di serio "engager", dato quanto scritto dall'Economist riguardo ai tentativi della Banca Mondiale di cooptare la società civile. Cionondimeno, un incontro a quattr'occhi con Wolfenson avvenuto nel 1998 mi ha convinto della sua serietà riguardo all'"engagement" della società civile, per il disappunto di alcuni dei suoi dirigenti senior nonché probabilmente di una considerevole parte dello staff della Banca. E' peraltro vero che la stessa Banca Mondiale ha registri alquanto confusi in materia di autentico "engagement" della società civile globale, ed è pure vero che continua ad appoggiare e supportare progetti altamente discutibili. Ma questo dato di fatto può ben illustrare la divisione in esame; una divisione che esiste all'interno di istituzioni come la Banca Mondiale. Riporto qui di seguito una dichiarazione resa da Wolfendohn nel periodo in cui lo incontrai, due anni or sono. Se nel frattempo ha cambiato idea in peggio forse sarebbe per me l'ora giusta per fare una pausa di riflessione.

"I governanti dei paesi sviluppati e in via di sviluppo che si stanno preparando ad incontrarsi questa settimana a Washington per i meeting di primavera della Banca Mondiale e del FMI avranno come missione quella di sollecitare maggiori sforzi nell'affrontare la questione più pressante riguardante lo sviluppo odierno", scrive il Presidente della Banca Mondiale James D. Wolfensohn in un op-ed apparso su El Universal (Venezuela), El Tiempo (Colombia), Sowetan (Sudafrica), e Pioneer (India).
"Le questioni da dibattere sono la riduzione di povertà e disuguaglianze, la continua devastazione umana causata dall' AIDS/HIV ed altre malattie trasmissibili, la riduzione del divario digitale ed una maggiore equità del commercio internazionale. Sull'onda della vittoria di Seattle i dimostranti cercheranno di impedire gli incontri sul nascere. Noi rispettiamo il diritto di protestare dei dimostranti, ma a chi giova impedire il confronto riguardo ad alcuni dei problemi mondiali più urgenti?" si chiede Wolfensohn, il quale aggiunge:
"Abbiamo bisogno di quelle discussioni. Primo perché questi eventi stimolano un importante dibattito pubblico riguardo alle importanti questioni economiche, politiche e sociali che ci troviamo ad affrontare in un mondo che cambia freneticamente. Ma, e ciò è ancora più importante, soprattutto perché nonostante gli sforzi dei governi, delle istituzioni ufficiali e delle ONG, non ridurremo mai in maniera significativa il numero dei bambini affamati nel mondo a meno di istituire coalizioni dinamiche fra governi, società civile e settore privato onde costruire una economia globale che benefici tutti quanti ".

Riassumendo, nell'ambito dell'establishment di potere retrostante alla globalizazione d'elite si possono individuare tre distinte tendenze. Innanzitutto ci sono i difensori dello status quo. Essi vogliono proseguire sulla linea del progetto neo-liberale che caratterizza la globalizzazione d'elite. E non vogliono ostacoli sulla loro strada. Continueranno quindi a resistere contro le intrusioni della società civile globale in ciò che considerano loro esclusivo dominio, diffondendo al contempo maldicenze volte ad infangare la reputazione della società civile per diminuirne l'influenza e l'efficacia. In secondo luogo ci sono coloro che utilizzano processi di "engagement" per cercare di cooptare la società civile per scopi di ingegneria sociale globale e sistemica. Infine abbiamo il terzo gruppo che vuole dar forma ad una autentica partnership tri-settoriale. Elementi illuminati e progressisti della società civile assieme ai governi e alle imprese perseguiranno uno sviluppo comprensivo e sostenibile che accolga e indirizzi le sfide della globalizzazione d'elite. Ultimamente, in realtà, ci sono solo due gruppi. Uno contrasta la presenza e l'iniziativa della società civile globale; una parte di esso si impegnerà in una opposizione diretta mentre l'altra parte cercherà di cooptare. Il secondo gruppo è invece ben disposto ad accogliere i contributi della società civile e a lavorare nel senso di una differente tipologia di globalizzazione.

Divisioni nella società civile globale

La società civile globale sta sperimentando dibattiti e divisioni similari (si veda la fig. 4). Ancora una volta ci tengo a sottolineare che le tendenze a cui faccio riferimento sono idealizzate. Nella realtà alcune persone o istituzioni potrebbero evidenziare una o più delle tendenze che ho descritto, a seconda di bisogni o situazioni particolari, mentre altre possono tendere maggiormente verso un approccio più unilaterale. Una determinata parte della società civile (che indicheremo come "rejectionists") non intende, per questioni di principio, impegnarsi a fianco di governi o imprese. Essi sono convinti che molte delle istituzioni appartenenti all'elite non siano degne di fiducia in quanto troppo potenti e troppo ancorate a determinate modalità operative per poter veramente trasformare se stesse in entità più responsabili. Il milgior approccio sarebbe pertanto quello di eliminare tali istituzioni. Chi è invece aperto al diaolgo e/o a partnership con le istituzioni della globalizzazione d'elite è visto come naïve o come venduto al nemico. Questo gruppo continua a perseguire il cambiamento sociale tramite critica, protesta e manifestazioni e tende ad essere attivo in occasione di conferenze e/o manifestazioni a livello globale, regionale e nazionale. Il gruppo che invece è aperto ad accettare o avviare dialogo e/o partnership con le istituzioni e le persone che stanno dietro alla globalizzazione d'elite può essere indicato come "engagers".

Gli engagers apprezzano la validità del rifiuto tanto quella dell'atteggiamento critico; però vedono anche che uno degli intenti del criticismo è quello di mostrare ai decision-maker i problemi presenti nei loro programmi e progetti. E quando i decision-maker si mostrano aperti ad ascoltare le critiche e agire di conseguenza il passo successivo più logico può consistere nell'accettare eventuali inviti a dibattiti, al dialogo o addirittura ad agire in partnership. Gli engagers solitamente non credono che la società civile dovrebbe assumere prerogative e poteri tipici di uno stato o sostituirsi alle corporation. Sono piuttosto orientate verso la messa a punto delle pre-condizioni e dei contesti idonei a mettere l'esercizio dei poteri statali o delle corporate nelle condizioni di poter aiutare i poveri, rispettare i diritti umani, proteggere l'ambiente ed ampliare gli spazi per una reale iniziativa democratica; in altre parole: servire natura e società piuttosto che perseguire solamente i propri interessi. Gli engagers considerano il dialogo e/o le partnership in grado di assicurare la presa in considerazione di differenti prospettive e capacità, nonché il loro movimento verso un compito o un ideale condiviso. Visti da fuori, tutti gli engagers della società civile potrebbero apparire simili, ma in realtà non lo sono. Seppur con le migliori intenzioni alcuni di loro entrano nei processi di dialogo e/o partnership con diversi punti di vulnerabilità.

Una questione chiave a riguardo è costituita dalla mancanza di comprensione delle costrizioni struttutali di grandi istituzioni quali sono i governi o le multinazionali. Per esempio coloro che si impegnano con grandi corporation e Società per Azioni devono trovare il modo più efficace di rapportarsi con l'agenda e gli sviluppi societari nonché con la realtà dei movimenti speculativi sui mercati azionari, che spesso presentano caratteristiche di irrazionalità. Gli sforzi sociali dei gruppi dirigenti stessi potrebbero essere buoni e genuini, ma azionisti speculativi non soddisfatti potrebbero dismettere le loro azioni con il rischio di provocare emorragie di risorse finanziarie societarie. Un altro punto di vulnerabilità si presenta allorché si entra in un rapporto di dialogo, negoziazione e/o partnership per conseguire l'accesso a risorse finanziarie. Si tratta di una questione molto delicata per le organizzazioni della società civile globale, la maggiorparte delle quali fa affidamento ad entità esterne per finanziare le proprie attività. La natura diffusa di questa vulnerabilità ha portato l' Economist, un membro prominente dello zoccolo duro nell'ambito dei gruppi d'elite, a prendere a pernacchie in faccia la società civile globale. L'articolo dell'Economist citato nel Capitolo 3 ci ricorda che il disdegno pubblico, accompagnato da recriminazioni private, investe coloro che vendono la propria anima per una manciata d'oro.

"Dunque, la ragione principale per il recente boom delle ONG è che i governi occidentali le finanziano. Non si tratta di una questione di carità, ma di privatizzazione: molti "gruppi non governativi" stanno diventando "appaltatori" governativi. I governi preferiscono infatti fornire aiuti attraverso le ONG perché è economicamente piu conveniente, efficente e più "a portata di mano" rispetto ad aiuti ufficiali e diretti.
... Forse il più importante segnale della vicinanza fra ONG e governi, a parte I legami finanziari, è l'interscambio di risorse umane. ... Nel mondo sviluppato ...un numero sempre crescente di ufficiali pubblici dedica il proprio tempo libero lavorando per qualche ONG, e viceversa: troviamo ex membri dello staff di Oxfam non solo nelle file del governo inglese, ma anche nel ministero delle finanze dell'Uganda.
Questa relazione simbiotica con i governi (che è valsa ad alcuni gruppi l'appellativo di GRINGO) potrebbe rendere migliore il lavoro dei governi dei paesi in via di sviluppo, nonché aiutare i vari gruppi a svolgere il loro lavoro in maniera piu efficace. Ma difficilmente riflette la loro indipendenza.
Le ONG possono anche trovarsi a contatto troppo stretto con il mondo delle grandi imprese. Alcune, chiamate dai critici 'business NGOs' [BINGOS], scelgono in maniera deliberata di organizzarsi come le grandi imprese, quando non di dipendere in gran parte da qualcuna di esse. L'obbiettivo di tali ONG può facilmente passare dalla ricerca di soluzioni e soggetti bisognosi di aiuto al compiacimento dei propri mecenati piuttosto che all'ottenimento di copertura da parte dei mass media (sottoforma di aiuto nella raccolta fondi).
Ogni netta separazione tra il mondo delle grandi imprese e quello delle ONG è scomparsa da tempo. Molte ONG operano oramai in un regime di concorrenza volto alla ricerca di contratti sul mercato degli aiuti umanitari, alla raccolta fondi tramite ben congegnate campagne sui mass media nonché alla messa in atto di strategie di lobbying a livello governativo; il tutto con lo stesso sforzo e impegno di tutte le altre imprese e aziende. I governi e le varie emanazioni delle Nazioni Unite potrebbero ora teoricamente chiedere ai dirigenti di imprese private ed ONG di dare attuazione pratica ai loro programmi. Sembra che sia solo una questione di tempo prima che ciò avvenga. Se le ONG saranno a buon mercato e brave nel consegnare cibo e medicinali in aree difficili, dovrebbero facilmente aggiudicarsi i contratti.
Si potrebbe obiettare che anche se le ONG stessero perdendo la loro indipendenza per diventare solo un altro braccio governativo piuttosto che una delle tante imprese dedite al business ciò non avrebbe poi una grande importanza. Gringos e Bingos potrebbero dopotutto rivelarsi più efficienti rispetto a vecchie forme di aiuto solidale.
Ad ogni modo, le ONG possono diventare organizzazioni auto-perpetuanti. Allorquando la problematica che ne aveva giustificato la creazione venga a risolversi parte la ricerca di nuove cause e nuovi finanziamenti. Il vecchio movimento anti-apartheid, una volta terminato il lavoro, non si è sciolto; è invece diventato un altro gruppo lobbystico sudafricano. Stante il progressivo accrescimento del potere delle ONG sulla scena mondiale il miglior antidoto alla superbia ed alla istituzionalizzazione sarebbe il seguente: lo scioglimento a lavoro concluso. Il principale obiettivo delle ONG dovrebbe essere la loro stessa abolizione ".

Vi è poi un ulteriore punto di vulnerabilità, comune sebbene solitamente in ombra: una segreta e fatale attrazione verso i privilegi connessi all'esercizio del potere politico ed economico. Tale attrazione ha in parte a che fare con quella malattia animica a cui abbiamo già dato il nome di RUST. Un attivista della società civile affetto da RUST si impegnerà nel dialogo, nei negoziati e/o nelle partnership portando dei paraocchi che gli renderanno difficile avvedersi della cooptazione che lentamente e subdolamente avvolge strisciando la vittima ignara. Esempi di ciò sono già stati fatti nel precedente capitolo. Esistono anche altri punti vulnerabili, ma quelli fin quì esemplificati bastano a mostrare che tali vulnerabilità esistono e possono avere un profondo impatto sulla efficacia e sul destino delle organizzazioni della società civile. Riassumendo: esistono due tipologie di "engagers" : engagers naïve e engagers critici.

Gli engagers naïve entrano nell'arena di dialogo e partnership condizionati da una o più delle vulnerabilità summenzionate. Gli esperti addetti alla manipolazione delle debolezze altrui possono rendere gli engagers naïve un utile strumento di facciata volto a garantire una maggior presentabilità di governi e imprese. Come evidenziato nell'articolo dell'Economist, gli engagers naïve potrebbero finire per fungere da "sistema di consegna" per programmi politici o aziendali mascherati da serie operazioni riguardo a povertà, ambiente e diritti umani. Gli engagers critici, d'altro canto, tenderanno a entrare nell'arena con occhi e mente aperti, ben consapevoli di stare entrando in un terreno pieno di opportunità ma anche di trappole e pericoli. Faranno affidamento alla loro profonda conoscenza delle dinamiche istituzionali e saranno protettivi ed orgogliosi della loro indipendenza. Possono contare su fonti di finanziamento meno vulnerabili a supporto delle loro attività nonché su di un più ampio concetto di potere, inclusa una migliore comprensione del potere culturale. Sono inoltre consci del fatto che gli individui che operano all'interno di istituzioni potenti non sono tutti accomunati dalle medesime convinzioni e motivazioni: alcuni sono propensi a condividere la propria visione del mondo e i propri valori. Vi sarà dunque la tendenza a cercare tali individualità con cui dar vita ad alleanze strategiche che possano portare autentici cambiamenti. Questi talenti finiscono per avere effetti benefici anche su engagers di diversa tipologia, purché ragionevoli e mentalmente aperti. Dunque i critical engagers della società civile possono avviare dialoghi autenticamente tri-settoriali ed orientati alla tripartizione con personalità similmente propense alla trasformazione attive in qualità di decision-maker in ambiti governativi e imprenditoriali, con l'obiettivo di portare innanzi un vasto ed inclusivo approccio allo sviluppo sostenibile. Un quarto gruppo incentra la propria attività su azioni dimostrative a sostegno di soluzioni alternative. Queste organizzazioni della società civile, operanti in particolar modo in ambiti comunitari, tendono ad impegnarsi in dimostrazioni a livello locale di approcci alternativi allo sviluppo. Il lavoro di questi gruppi è illustrato dalle linee punteggiate nella figura 4. All'atto pratico risulta difficoltoso distinguere questo quarto gruppo, per via delle sue complesse interrelazioni con gli altri gruppi e tendenze. Per esempio, I primi tre gruppi tendono anche ad appoggiare reciproche politiche alternative e/o a dare supporto ad altre ONG impegnate nella messa in pratica di alternative differenti; quindi le loro proposte alternative traggono spesso origine da quanto intrapreso dal quarto gruppo nell'ambito delle comunità locali. Inoltre i gruppi che hanno presentato con successo delle alternative possono portare la loro esperienza nell'arena politica in modo da creare un ambiente politico che sostenga maggiormente i loro sforzi sul campo. Riassumendo, quattro raggruppamenti possono essere evidenziati nella società civile globale:

  1. Coloro che si focalizzano su critica e protesta;
  2. Coloro che si "compromettono" impegnandosi sulla scena, con il rischio di venire cooptati;
  3. Coloro che si impegnano a portare avanti iniziative di sviluppo sostenibile ed inclusive per mezzo di dialoghi e/o partnership autenticamente orientati verso la tripartizione;
  4. Coloro che trasformano le alternative in azioni concrete.

Di nuovo, individui e istituzioni possono mutare prospettive e orientamenti a seconda delle realtà concrete con cui si trovano ad operare. Nella figura 4, le linee continue che vanno da un raggruppamento o tendenza della società civile ad un altro indicano tale flessibilità e possibilità di cambi di orientamento. Alcuni individui o istituzioni possono perseguire strategie di attività svolta su tutti i fronti in contemporanea, come la APSUD nel caso APEC, discusso nei capitoli precedenti. Le organizzazioni della società civile nell'APSUD consideravano validi tutti gli approcci e le prospettive, a seconda della questione da affrontare ed alla modalità di approccio ad essa da parte dell'elite.

Trauma in arrivo per la società civile globale

Ora che abbiamo evidenziato tendenze e vulnerabilità connaturate tanto alla struttura di potere elitaria quanto alla società civile globale è possibile vedere con più facilità il trauma in arrivo per la società civile globale. I postumi della battaglia di Seattle porteranno le entità tiranti le fila della globalizzazione d'elite a cercare di estendere i loro tentacoli per mezzo di singoli appartenenti e potenti istituzioni propugnanti l'"engagement". La chiamata all'engagement si presenterà sotto diverse forme, ma la piu potente sarà quella dei "dialoghi tri-settoriali" (DTS) e delle "partnership tri-settoriali" (PTS). (Vedasi i capitoli 15 e 16 per una disanima approfondita delle PTS). Questi tentacoli stanno ora cominciando a far aumentare le tensioni interne alla società civile fra portatori di approcci e visioni differenti alla trasformazione sociale globale. Si tratterà sempre e nuovamente del dibattito APSUD/APEC, ma molto più ampio e profondo. Inoltre, a dispetto dell'elemento di verità presente in tutte queste posizioni, è probabile che le forze della società civile globale verranno divise e minate attraverso la mancanza di mutuo supporto o, ancora peggio, il reciproco indebolimento e le reciproche critiche rivolte alle differenti prospettive ed approcci nell'affrontare la questione della globalizzazione d'elite. Parte del trauma arriverà dalle divisioni interne alle elite della struttura di potere stessa. Tali divisioni interne, che da un certo punto d'osservazione potrebbero anche essere considerate un evento da celebrare, sono probabilmente una sorta di preludio ad una sfida ancora più virulenta per la società civile globale. Fintanto che le elite e relative organizzazioni sostenevano una globalizzazione unidirezionale e neo-liberale, costituivano un bersaglio facile per le sempre più potenti e sofisticate critiche della società civile globale. Ma adesso che l'establishment sta imparando il linguaggio della società civile globale può dissimulare le sue reali intenzioni, utilizzando le parole che la società civile vuole sentirsi dire. La società civile dovrà imparare ad ascoltare facendo attenzione a significati e motivazioni nascosti dietro le parole per vedere se c'è una genuina possibilità di evolvere verso qualcosa di nuovo. Per di più, le genuine differenze interne all'elite non possono che far da aggiunta alla confusione interna alla società civile. Assieme ai segnali volti alla cooperazione genuina ne arriveranno altri, più insidiosi, orientati alla cooptazione. La società civile dovrà sviluppare a riguardo la capacità di distinguere. Naturalmente le crepe interne alla struttura di potere elitaria possono tornare utili alla causa della società civile, ma ancora una volta essa dovrà essere abile a distinguere fra coloro che, nei governi e nelle imprese, sono pronti per il cambiamento e coloro che del cambiamento vorrebbero solo cooptare le forze. Sviluppare il necessario discernimento riguardo a tali questioni è intimamente connesso allo sviluppo di una conoscenza di ciò che la società civile è. Ma ciò richiede una crescente flessibilità interiore ed autoconoscenza, la strada verso le quali è sempre dolorosa. Vi è poi un'ulteriore aspetto della questione. I poteri che stanno dietro alla globalizzazione d'elite sono ora più coscienti delle proprie divisioni nonché delle potenziali debolezze e vulnerabilità della società civile globale. Stanno dunque sistematicamente riorganizzando le loro risorse per rispondere in una maniera più programmatica alle sfide portate dalla società civile globale. Da una analisi degli atti e delle pubblicazioni ascrivibili all'ambito della società civile globale editi all'indomani della battaglia di Seattle, risulta che non esiste praticamente nessuna valutazione strategica delle nuove sfide che essa si troverà a dover affrontare. Si stanno presentando spazi di cooptazione e trappole sottoforma di modalità non autentiche di dialoghi e partnership tri-settoriali, ma ancora molti nella società civile continuano il loro lavoro dimentichi del "mostro dell'engagement" che sta essendo lentamente sguinzagliato per addomesticarli.

Minimizzare il trauma

Fortunatamente esistono dei modi con i quali la società civile globale può efficacemente affrontare queste sfide.

Primo: onde evitare l'estendersi di divisioni esistenti e potenziali occorre che vi sia rispetto per differenti approcci tattici e strategici. Criticismo, rifiuto e engagement "critico" possono essere tutti elementi utili per porre quantomeno un freno alla globalizzazione d'elite. Per esempio, la collaborazione (per quanto critica) risulta fuori luogo in un contesto politico dittatoriale, mentre un approccio oppositivo è chiaramente inappropriato laddove vi sia un desiderio genuino di cambiamento da parte dei decision makers. L'agenda della società civile presso l'O.N.U., per esempio, ha beneficiato di significativi progressi grazie alla presenza di negoziatori dai sani principi e facenti parte di governi volenterosi di sviluppare connessioni strategiche con gli attivisti della società civile.

Gli attivisti della società civile potrebbero anche arrivare a riconoscere che esiste un opinione pubblica globale contraria alla globalizzazione d'elite, nonchè una profondamente radicata resistenza ad essa. Tale opinione pubblica si estende anche al rispetto per la diversità culturale e per una società pluralista, ed include approcci che potrebbero apparire esteriormente alquanto alieni, quando proprio non opposti, alle radicate certezze di alcuni. Un resoconto relativo a un meeting internazionale di 600 Organizzazioni della Società Civile tenutosi a Ginevra dal 22 al 24 giugno del 2000, evidenzia l'importanza di un etica improntata al rispetto.

"Nessun tipo di consenso definito risulta invece essere emerso riguardo al come rafforzare la cooperazione internazionale nella lotta al neo-liberismo. Il dibattito tenutosi nella giornata conclusiva ha evidenziato che diverse situazioni geografiche e politiche danno luogo a differenti percezioni in merito alle varie possibilità di azione. Quindi il gruppo dei partecipanti europei ha deciso di costituire una rete aperta di movimenti europei che dovrebbero riunirsi quattro volte all'anno, mentre i partecipanti asiatici hanno convenuto che una tale collaborazione su basi regolari sarebbe molto difficile nella loro regione".

Secondo: questo rispetto può essere rafforzato e reso piu potente rendendo queste apparenti differenze di approccio una risorsa centrale attorno alla quale costruire fiducia e strategie nell'ambito della società civile. Personalità provenienti da imprese ed agenzie governative d'elite hanno mostrato una rimarchevole capacità di sedersi assieme attorno allo stesso tavolo e sviluppare strategie comuni. Gli attivisti della società civile globale possono anch'essi trovare forme di dialogo trasversale fra gruppi affini piuttosto che attraverso incontri personali o sul web.

Terzo: gli attivisti possono anche andare oltre la tolleranza passiva, verso un'attivo apprezzamento dell'importanza e della forza dei differenti approcci per affrontare la sfida portata dalla globalizzazione d'elite. Gli engagers "critici" possono essere riconoscenti verso i loro colleghi piu radicali che sono più attenti riguardo alle tendenze co-optative verso le quali altri dimostrano invece cecità.

Questi possono essere grati a loro volta ai primi, i quali aprono la strada con le loro iniziali vittorie ottenute attraverso manifestazioni e proteste a sostegno di genuine trasformazioni sociali. Tale mutuo apprezzamento e comprensione può essere un potente mezzo per neutralizzare i tentativi di dividere e cooptare la società civile. Tutti questi approcci, comunque, sono fortemente connessi a due elementi base: il primo è relativo al fatto che la società civile globale abbia le idee chiare in merito alla propria "identità", alla propria natura, le proprie fonti di potere e così via; Assenti che siano tali elementi, le possibili maniere atte a neutralizzare la cooptazione si riveleranno deboli ed inefficaci in ultima istanza. Il secondo riguarda invece la piena autoconsapevolezza che gli attivisti della società civile devono avere riguardo alle reali motivazioni del loro impegno e coinvolgimento. Sono vittime del RUST? Sono in grado di distinguere le proiezioni della psiche dalle critiche oggettive ad una istituzione? Sanno riconoscere l'autenticità interiore nell'altro, anche se si tratta di un "avversario" o di un alleato portatore di un'opinione diversa? Possono discernere fra l'avere veramente ragione riguardo a qualcosa dall'essere caparbiamente ed egoisticamente attaccati alle personali opinioni? Il "mostro dell'engagement" costituirà una sfida molto potente per la società civile globale. Se non maneggiato in maniera adeguata, può dividere e neutralizzare la società civile. Se indirizato in maniera efficace può rappresentare l'inizio di una nuova era di civilizzazione. Ancora una volta, le questioni chiave a questo punto di svolta della storia sono queste. La società civile diverrà cosciente della propria identità svegliandosi di conseguenza di fronte a quelli che sono i suoi compiti? E gli attivisti avranno la volontà ti attraversare la soglia delle loro inclinazioni e motivazioni interiori, divenendo flessibili quanto basta per seguire la via indicata dalla loro logica interiore? Il prossimo capitolo si occuperà di queste tematiche, in particolar modo della prima.


(traduzione di Daniel)


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5. Capitolo I7. Capitolo XVI
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