Che la comunità abbia raggiunto l'obiettivo minimo della sopravvivenza si deve anche al fatto che i responsabili di ciascun settore hanno dimensionato la produzione in base alle reali necessità dei suoi appartenenti. Ovvero la produzione è stata messa in relazione con i bisogni effettivi, risultando commisurata per genere e quantità a ciò di cui la comunità ha concretamente bisogno. Ma tale "pianificazione" ha avuto una genesi completamente diversa da quella meccanica e impersonale delle economie centralizzate socialiste.
Essa è nata infatti attraverso l'iniziale confronto all'interno della comunità su quelli che dovevano essere considerati come i suoi bisogni essenziali. Soltanto successivamente sono stati scelti i più capaci per guidare i vari gruppi di lavoro. E l'iniziale confronto non è stato ottenuto attraverso votazioni né è stato condizionato da scelte politiche o da lobby di potere. Ciascuno ha avuto modo di fare presenti le proprie necessità, e dalla consapevolezza comune della loro esistenza ed importanza sono derivati certi gruppi di lavoro piuttosto che altri. Anziché spingere verso una dettagliatissima ma rigida pianificazione, i responsabili dei vari gruppi di lavoro hanno optato per una organizzazione flessibile, snella, che agisse come un organo di percezione, assumendo il carattere del vivente per percepire il vivente - il mutevole mondo dell'economia - sull'intero settore produttivo affidato, segnalando immediatamente eventuali perturbazioni e anomalie.
Sono state cioè create delle associazioni economiche che in modo efficiente assolvono ad uno specifico compito produttivo, che reagiscono alle situazioni impreviste ricalibrando scelte, impiego di risorse e strategie. Ad esempio, si è visto all'inizio come a causa del verificarsi di una imprevedibile condizione ambientale si sia dovuto modificare celermente la composizione di un gruppo per far fronte alla nuova situazione. La ridistribuzione delle risorse disponibili nei vari comparti produttivi a causa di necessità contingenti o di mutate condizioni economiche, sociali ecc., grazie all'organizzazione economica associativa diventa particolarmente efficiente, in quanto il bisogno di un "aggiustamento" si manifesta per tempo.
Al contrario, le organizzazioni economiche terrestri, basate su logiche di profitto, crescono in modo abnorme avendo come unica giustificazione la prospettiva di una cospicua redditività, e non appena le condizioni di mercato cambiano, sempre ex-post, le migliaia di lavoratori di quel settore sono costrette a riconvertirsi a proprie spese o a spese della collettività. Con le associazioni economiche non si verificherebbe invece una crescita abnorme del settore, e secondariamente il processo di riconversione sarebbe più efficiente, poiché, presentandosi anticipatamente la sua necessità, riguarderebbe un numero ridotto di lavoratori. Non vale l'obiezione che il vero problema del ridimensionamento dei settori produttivi non dipende tanto dall'accorgersi per tempo delle mutate condizioni quanto dalla disponibilità di ammortizzatori sociali e/o di un mercato del lavoro realmente flessibile. Anche disponendo di tali strumenti e flessibilità, si tratterebbe pur sempre di curare anziché prevenire. Le associazioni sono dunque anche la miglior risposta per quel che riguarda la riduzione dei rischi economici e sociali indotti dalla divisione del lavoro.
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