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La legge sulle Società Benefit rende istituzionale la possibilità di stabilire e registrare presso le Camere di Commercio uno scopo sociale d’impresa che preveda il perseguimento congiunto e integrato di finalità di lucro e di beneficio sociale. “Influenzare positivamente il mondo”.“Generare cambiamenti tecnologici con impatto positivo”. “Compiere azioni che producano una trasformazione positiva su quante più persone possibile”. Sono alcune delle frasi che ricorrono nei gruppi di Facebook che si occupano di start-up, di innovazione, di sistemi informativi e di big data. I cosiddetti Millenials sentono la responsabilità di un compito impegnativo e dal risultato incerto, ma sono appassionati e motivati: desiderano vivere felici e per questo vogliono cambiare il mondo. Rapidamente. Il loro approccio ci suggerisce di ampliare i nostri orizzonti, di percorrere nuove strade; non si tratta di reinventare il capitalismo, ma di generare un nuovo modello di capitale sociale che si nutra di una partecipazione attiva per la creazione di un ecosistema giusto e benevolo, che permetta a tutti noi di vivere oltre la dicotomia tra profitto e beneficio per il sociale. Dalla recente indagine Nielsen del 2015 sulla Global Sustainability risulta che ben il 72% degli intervistati sotto i 20 anni – la cosiddetta generazione Z – è disponibile già fin d’ora a pagare di più prodotti di aziende con forte vocazione sociale, che integrino lo scopo del beneficio sociale e della sostenibilità delle loro attività nel proprio modello di business. Oltre la dicotomia tra profitto ed eticaDi fatto, si stanno confrontano due concezioni-base sullo sviluppo della nostra società occidentale: da un lato, quella della sopravvivenza del più forte e del successo sociale del più ricco, del più spietato, in cui prevale il modello individualista fondato sul dominio dell’interesse personale; dall’altro, quella della vita-piena (e non più la sopravvivenza) di chi si adopera per generare nuove possibilità per tutti e non più solo per se stesso, secondo un modello relazionale di azione generativa. Da un lato, il fallimento del modello di sviluppo fondato sulla dicotomia fattivalori è di fronte a tutti: guerre, deforestazioni, crisi bancarie e finanziarie, smog, sofferenza, distruzione fisica e intellettuale delle culture territoriali, migrazioni di massa, inquinamento locale e globale, terrorismo, solitudine e abbandono, conflitti generazionali. Dall’altro, le possibilità offerte dall’adozione di nuovi modelli di economia sociale proposta con crescente pressione da coloro che rivolgono fini e preoccupazioni a una elevazione sia materiale che sociale dei contesti in cui operano. Urge esplorare con l’altro, includendolo con le sue diversità e percorrendo insieme nuove strade per garantire a tutti una vita più degna di essere vissuta. Per chi altri agiamo?Già all’inizio degli anni ’50 Adriano Olivetti parlava di “ecosistema”; l’azienda e l’ambiente devono essere economicamente solidali in una sintesi che dia vita a un nuovo modo di intendere il mondo e le relazioni che lo compongono. Olivetti era consapevole dell’interdipendenza tra le persone, tra le persone e il loro ambiente. Ogni persona doveva essere responsabile per sé e per gli altri. Oggi attraverso i principi interpretativi dell’approccio complesso sono molto più chiare, evidenti, le proprietà di funzionamento delle dinamiche relazionali: reti sociali, sistemi che si integrano con altri sistemi, dinamiche non lineari degli eventi, emergenza di fenomeni non prevedibili. Abbracciare una interpretazione complessa della realtà fondata sulla interconnessione e interazione tra sistemi che evolvono vuol dire essere personalmente responsabili della trasformazione. Vuol dire andare oltre pratiche di adattamento; vuol dire adoperarsi con gli altri per generare nuove possibilità. Come? Partecipando con le proprie azioni al compimento di opere che abbiano un impatto positivo su quante più persone possibile, che migliorino il benessere collettivo.
E, allora, la domanda corretta da porsi per comprendere da che parte si sta in relazione alla dicotomia profitto-etica è la seguente: “Per chi agisci mentre svolgi le tue attività? Per chi lo fai?”. Quanto più è ampio lo spettro di persone per le quali si agisce e per le quali ci si impegna a creare un impatto positivo, tanto più la dicotomia tende ad affievolirsi. Ecco quello che dovrebbe chiedersi oggi un imprenditore quando decide di costituire un’impresa:
La convergenza tra profit e non profitNel rapporto 2014 sul ruolo del 4° settore nello sviluppo globale redatto per Accenture, Gib Bulloch e Louise James rilevano che nel mondo è in atto una convergenza sempre più accentuata tra i settori pubblico, privato e non profit favorita dalla difficoltà delle spese pubbliche nazionali nel fronteggiare in modo universalistico le esigenze di protezione sociale. Inoltre, sta accrescendo sempre più l’intervento – spesso sostitutivo – delle imprese no profit e delle attività filantropiche e di solidarietà svolte dalle imprese private direttamente o indirettamente attraverso la costituzione di apposite fondazioni. Il non profit tende a ibridarsi con il profit e il profit tende a integrarsi con il non profit; sta emergendo un ecosistema collaborativo di aziende che, nei limiti imposti dalle legislazioni nazionali, mutua i migliori aspetti e le migliori pratiche dei tre settori esprimendo delle iniziative miste profit-non profit, con la finalità di generare un impatto sociale e ambientale che possa essere profittevole, misurabile e scalabile. Le B-Corp nel mondoNell’ambito delle attività profit negli ultimi anni si è diffuso un nuovo modello d’impresa – l’azienda certificata B-Corp – che, oltre al perseguimento del profitto, punta alla trasformazione della società verso un maggiore benessere collettivo mediante il compimento di azioni a impatto positivo sull’ecosistema. La convergenza tra profit e non profit incide sulla qualità del processo di formazione del profitto che perde la sua esclusiva finalità di auto-riproduzione e assorbe movimenti economici e finanziari utili a sostenere la realizzazione di scopi di beneficio sociale. La dizione B-Corp è un’“etichetta di qualità Benefit” rilasciata a partire dal 2007 dall’ente internazionale non profit B Lab, che mediante un Impact Assessment misura e certifica l’impatto Benefit di un’azienda. Il B Lab rilascia un certificato con la qualifica di B-Corp a partire da un punteggio superiore a 80, in una scala di impatto Benefit che va da 0 a 200. Inoltre, già trenta stati americani si sono dotati di una specifica legislazione che ha introdotto la forma giuridica della Benefit Corporation in modo da coniugare la certificazione B-Corp con una tutela istituzionale al nuovo modello d’impresa, garantendo così la durata del duplice scopo di lucro e sociale stabilito dai soci. Le Società Benefit in ItaliaDal gennaio del 2016 l’Italia è il primo paese in Europa e il primo al mondo – dopo i trenta stati americani – a essersi dotato di una legge che prevede la possibilità per le aziende di operare come Società Benefit. Con i commi 376-384 della Legge di Stabilità sono state emanate le "Disposizioni per la diffusione di società che perseguono il duplice scopo di lucro e di beneficio comune". Il legislatore, con un dettato agile e moderatamente vincolante, attua una vera e propria rivoluzione paradigmatica rispetto agli attuali modelli imprenditoriali e di business. Nella relazione di presentazione del Disegno di Legge si dichiara che le Società con finalità di beneficio comune superando "l’approccio «classico » del fare impresa, introducono un salto di qualità nel modo di intendere l’impresa, tale da poter parlare di vero e proprio cambio di paradigma economico e imprenditoriale". In un recente dibattito, il primo firmatario del provvedimento, il Sen. Mauro Del Barba, ha parlato di “modifica genetica” delle società commerciali che aderiscono a questo tipo di visione, poiché la nuova normativa introduce un allargamento dell’oggetto sociale consentendo di realizzare sia benefici per gli azionisti attraverso la realizzazione del profitto a copertura dei propri investimenti, sia benefici comuni con azioni a impatto sociale, in un’ottica e-e di tipo complesso. La legge sulle Società Benefit rende istituzionale la possibilità di stabilire e registrare presso le Camere di Commercio uno scopo sociale d’impresa che preveda il perseguimento congiunto e integrato di finalità di lucro e di beneficio sociale. Una scelta di grande impattoScegliere di assumere la veste giuridica di Società Benefit è cosa diversa dall’essere azienda certificata B-Corp; si tratta di due percorsi diversi, uno soft e uno hard, che tendono e tenderanno sempre più a convergere. La certificazione rilasciata da B Lab non ha risvolti istituzionali, è temporanea (rinnovabile ogni due anni) e può essere facilmente abbandonata; diversamente, l’adesione dell’azienda certificata al regime di Società Benefit implica l’assunzione di un impegno istituzionale con responsabilità degli amministratori: “L’inosservanza degli obblighi (...) può costituire inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge e dallo statuto”. La scelta della Società Benefit richiede l’adesione convinta e durevole dei soci che si impegnano a perseguire formalmente il duplice scopo di lucro e di beneficio comune e, quindi, a generare un adeguato ritorno economico per se stessi e un adeguato beneficio per l’ambiente interno ed esterno all’azienda. Il beneficio sociale come scopo ordinario d’impresaLa finalità sociale diviene scopo ordinario d’impresa rendendo attiva una dinamica circolare tra l’ecosistema aziendale (interno) e l’ecosistema ambientale (esterno). Le azioni a impatto di beneficio comune diventano anch’esse strategiche e implicano l’assunzione di nuovi modelli e metodi sia di business che di governance. L’assenza di vantaggi di natura fiscale rende manifesto l’intento del legislatore di non creare un regime di favore. È certamente da approfondire ulteriormente se la definizione stessa del duplice scopo di lucro e di beneficio comune possa rendere – come dovrebbe essere – i costi sostenuti per lo svolgimento delle azioni benefit integralmente iscrivibili tra i componenti negativi di reddito. Non si tratterebbe più di detrarre taluni costi in percentuale nella determinazione ultima del reddito imponibile o di accedere a una percentuale di detrazione d’imposta, quanto di considerare come investimenti e costi ordinari di gestione tutte le voci di spesa sostenute per dare piena attuazione all’oggetto sociale. La ricerca delle migliori coordinazioni economiche, finanziarie e patrimoniali è affidata alle buone pratiche di management; si richiedono adeguati processi decisionali per il continuo bilanciamento delle attività d’impresa in modo da perseguire sia un’adeguata remunerazione dei soci sia un soddisfacente impatto di beneficio sociale. Ben oltre la CsrNel suo ultimo libro “Connect”, l’executive chairman di L1 Energy, John Browne, afferma che è necessario andare oltre la Corporate Social Responsibility (Csr). Browne rileva come sia ormai necessario lavorare per creare sinergie e alleanze tra il mondo degli affari e la società e che per fare in modo che questa sinergia si realizzi e sia effettiva è necessario avere una specifica attitudine. La reputazione di una impresa non è qualcosa che può essere costruita a tavolino o artificiosamente indotta. Non è più il prodotto o il servizio che garantiscono la credibilità delle politiche di sostenibilità, ma la effettiva messa in “opera” di obiettivi di trasformazione positiva della società mediante attività di co-generazione e di co-evoluzione azienda-società. Scegliere di darsi uno scopo di beneficio sociale implica l’assunzione da parte di soci e amministratori di una responsabilità giuridica addizionale in relazione all’impatto che le proprie azioni hanno sull’ambiente interno ed esterno all’azienda. Ed è per questo che anche il legislatore italiano nella parte finale del provvedimento detta alcune importanti linee guida sia per quel che riguarda le caratteristiche dell’ente esterno di certificazione che per quanto attiene le aree di potenziale impatto da sottoporre a misurazione e valutazione. I Kpi non potranno più riguardare esclusivamente le tradizionali performance quantitative, ma anche le performance qualitative. Note:[1] Per approfondimenti cfr. R. Honeyman, Il Manuale delle B Corp. Usare il Business come Forza Positiva, Ed. Italiana bookabook. Per approfondimenti sul tema:
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