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Le trasformazioni sociali dovute al rovesciamento dei punti di attenzione

Intervista di Corinna Gleide e Stephan Eisenhut ad Otto Scharmer

02/2016

Claus Otto Scharmer insegna al MIT (Massachusetts Institute of Technology), ha fondato il Presencing Institute ed è membro fondatore del MIT Green Hub. È consulente di aziende internazionali, organizzazioni e governi in America del Nord, Europa, Asia e Africa. Insieme ad altri collaboratori ha vinto premi per avere ideato programmi per la direzione del personale nell’ambito dell’economia di mercato e per la loro messa in pratica. Tra i suoi clienti si annoverano Daimler, PriceWaterhouseCoopers, Fujitsu e Google. Presta consulenza anche per la diffusione di programmi formulati per i dirigenti di tutti i settori di impresa, istituti governativi e organizzazioni civili per promuovere la capacità di coesione tra collaboratori per dare vita a riforme e trasformazioni. Scharmer ha conseguito il titolo di dottore di ricerca presso l’università di Witten-Herdecke. Nei suoi libri Theory U, Leading from the Future as It Emerges (2007) e Presence, An Exploration of Profound Change in People, Organizations, and Society (2005) insieme agli altri coautori Peter Senge, Joseph Jaworski e Betty Sue Flowers, presenta la teoria e la messa in pratica della tecnica del «Presencing».

Con Otto Scharmer ci eravamo dati appuntamento per il 18 marzo 2010 all’aeroporto di Francoforte. Era in transito da Berlino e abbiamo fatto due chiacchiere nel tempo che avevamo prima che partisse per Boston.


Corinna Gleide: Nello sviluppo della «Teoria U» di sicuro il tuo background personale ha rivestito una certa importanza e perciò vorremmo farti qualche domanda su di te. Quando è avvenuto il trasferimento dall’università di Witten/Herdecke al MIT (Massachusetts Institute of Technology), come hai detto tu, con un dottorato di ricerca ancora in cantiere?

Claus Otto Scharmer: È stato nel 1994.

Gleide: Al MIT non ti hai avuto subito un posto fisso e tuttavia hai pensato che quello fosse il luogo dove volevi stare. È un particolare interessante: ce ne puoi parlare? Cioè, hai preso una decisione senza avere nulla di certo, con davanti un futuro privo di sicurezze...

Scharmer: A Witten-Herdecke ho trascorso un periodo fantastico. Gli studenti erano liberi di dare forma e direzione alla propria vita e alla ricerca. E un bel giorno, un sabato mattina, quella che era la mia ragazza e ora mia moglie – anche lei studentessa a Herdecke – mi ha detto: devi partire. È stato un fulmine a ciel sereno. Stavamo bene, ma a suo dire lì non avevo più nulla da imparare e nell’istante esatto in cui ha pronunciato quelle parole, ho capito cosa volevo. Si è aperta una porta: volevo entrare nell’Istituto di Cambridge vicino a Boston, al MIT Learning Center. Ho fatto domanda senza ricevere risposta; ho chiamato e mi è stato detto che potevo andare. Andai per i colloqui e alla fine, durante l’ultimo, mi dissero che ero piaciuto molto. Va da sé che sono entrato nella squadra; ma mi dissero che al MIT c’era il blocco delle assunzioni e mi chiesero se sarei riuscito a mantenermi. La mia famiglia non poteva aiutarmi, le dovevo già molto per i miei studi ed era il momento di guadagnare qualche soldo per ripagarla.

Gleide: Non era quindi ragionevole fare quel passo e accettare un lavoro non pagato...

Scharmer: Esattamente. Ma avevo già detto sì senza neanche saperlo. Perché non c’erano altre risposte; se avessi risposto diversamente la porta si sarebbe richiusa. Mi chiesero se potevo iniziare subito a settembre, ma non avevo ancora finito il dottorato e ciononostante ancora una volta ho detto di sì. A una grossa azienda che voleva assumermi non ho nemmeno risposto, preferivo quel posto non pagato a Boston. Ovviamente dovevo fare qualcosa per le mie finanze prima di finire in bolletta. Adesso, con il senno di poi, mi viene da dire che più di tutto è stata proprio quella condizione di incertezza ad avermi aiutato e per due motivi. Il primo: che il progetto assegnatomi da McKinsey consisteva in una serie di colloqui con i 25 migliori ricercatori in ambito del Business development di tutto il mondo, cosa che mi ha permesso di costruire una rete interessante di collaboratori.

Gleide: Se ho ben capito hanno assegnato il progetto McKinsey al MIT?

Scharmer: No, è me che hanno contattato. Il presidente del consiglio di amministrazione mi conosceva perché avevo vinto un concorso. Mi trovavo al posto giusto nel momento giusto: mi serviva un progetto ed è arrivata questa proposta, la migliore che potesse capitarmi e che mi ha portato a instaurare questi rapporti di lavoro nella ricerca, che continuano ad accompagnarmi e mi hanno permesso di migliorarmi. Il secondo motivo: il fatto di non avere denaro mi predisponeva a cercare progetti in cui mi mettevo concretamente al servizio degli altri; il fatto è che solo ciò che ha valore per la clientela viene pagato. Diciamo che ero un bravo intellettuale europeo, abituato a pensare a tante cose, a parlare e a fare poco. È stata una cura; i progetti basati su colloqui e quelli di Change management mi hanno avvicinato molto alla pratica.

Gleide: La ricerca-azione e i progetti basati sulla pratica connessi alla ricerca sono arrivati grazie al tuo background e necessità?

Scharmer: Certamente. E per le stesse ragioni si sono trasformati nel mio obbiettivo. Ho vissuto quel tipo di condizione dell’esordio in cui si intuisce un futuro e lo si segue, benché dal punto di vista razionale non abbia senso. Solo a posteriori ho capito di avere preso la strada giusta. Mentre lo fai non ne hai la certezza.

Gleide: Prendere certe decisioni senza sicurezze economiche presuppone anche coraggio. Con il pensiero economico dominante siamo arrivati al punto che i quasi ventenni di oggi sentono il bisogno di prendersi un anno sabbatico al termine degli studi scolastici prima di iniziare l’università. E già di per sé il coraggio di prendersi una tale libertà e porsi obbiettivi propri e seguirli, senza farsi guidare dal Dio denaro, ha molta importanza nel percorso personale di ognuno.

Scharmer: Nel mio caso parlerei piuttosto di fiducia: è quando si ha fiducia nelle proprie capacità che le cose giuste arrivano. Sapevo che da solo non ce l’avrei mai fatta, ma non mi sono mai sentito solo. Infatti devo molto alle persone che ho incontrato negli anni critici dell’adolescenza; persone che hanno speso loro stesse senza garanzie né remore. Anche ai miei è successa la stessa cosa: pionieri dell’agricoltura biodinamica, hanno lottato contro tutti per anni prima che le cose cominciassero a funzionare e a dare risultati visibili. Ma prima di quel momento è necessario avere dei punti fermi e seguirli. E in questo la scuola Waldorf è stata molto importante, perché in essa si impara a fidarsi delle proprie sensazioni e a lasciarsi coinvolgere nelle situazioni che fanno evolvere.

L’archetipo del commercio imprenditoriale

Stephan Eisenhut: Mi sembra che sia emerso l’aspetto biografico che hai elaborato nel tuo approccio chiamato «Presencing», ovvero la capacità di aprirsi a ciò che gli altri si aspettano da te. Si potrebbe definire anche come una predisposizione dell’anima all’attesa e all’attenzione rispetto a qualcosa che ancora non c’è, ma vuole essere. In altre parole, un atteggiamento di non chiusura di fronte al futuro.

Scharmer: Esattamente. Ma innanzitutto ero coinvolto personalmente e certe situazioni andavano affrontate senza rinchiudersi in una torre d’avorio. Durante i colloqui ho cercato di far emergere il modo in cui si lavora quando si ha per le mani qualcosa di nuovo. Qual è l’archetipo del commercio e dell’atto imprenditoriale? Il tutto c’entra parecchio con il non precludersi nulla rispetto al futuro. Uno di quelli che ho intervistato è Alan M. Webber; ha parlato dell’imparare e progredire come di una dedizione istintiva per qualcosa in cui si ripone fiducia estrema e che fa andare avanti. A suo dire, quando lo si fa, bisogna entrare in connessione costante con l’universo, partendo dal presupposto che esso vuole aiutarci. Il riscontro che si riceve non fa piacere, ma di base bisogna pensare che qualsiasi riscontro ci fa bene; questo è l’atteggiamento di base che bisogna assumere per affrontare in modo un po’ diverso le difficoltà e gli ostacoli che si incontrano sul proprio cammino.

Eisenhut: Hai appena parlato dell’archetipo del commercio imprenditoriale. In Steiner troviamo l’archetipo della Scienza sociale. Lo conosci?

Scharmer: No, di cosa si tratta?

Eisenhut: Secondo Steiner nel vivere sociale esiste una polarità dovuta agli impulsi sociali e a quelli antisociali. Come uomini non siamo solo esseri sociali, ma anche antisociali ed entrambi gli aspetti sono necessari. Oggi viviamo in un’epoca in cui gli impulsi antisociali sono sempre più dominanti. Egli ha dimostrato che è possibile osservare questo fenomeno sul piano del pensiero, delle sensazioni e della volontà. A livello del pensiero, ad esempio, è visibile nella progressiva chiusura del Sé nell’immaginario individuale di ognuno. È un modo per affermarsi, ma dare valore una sola prospettiva rende prigionieri del proprio immaginario. Ne consegue l’incapacità di creare idee nuove e la replica costante di quelle vecchie. Nel tuo libro chiami «download» questo aspetto. Secondo Steiner l’ascolto degli altri presuppone l’abbandonarsi assopiti, cioè il lasciare il proprio pensiero dormiente e il successivo contrapporlo a ciò che si è ascoltato. Come un pendolo che oscilla per effetto di impulsi sociali e antisociali; solo con l’azione di entrambe viene a crearsi qualcosa di nuovo. Quando ho scoperto i livelli del tuo Presencing mi sono chiesto se avevi in mente questo[1].

Scharmer: Mi piacerebbe leggere qualcosa sull’argomento. No, non conosco questi passaggi.

Eisenhut: Nel tuo libro esponi un metodo per contrastare l’atteggiamento del download; per essere attivi socialmente dobbiamo vincerlo. Dobbiamo imparare ad aprire la mente che tende a chiudersi per effetto degli impulsi antisociali. Un gruppo di persone che cercano di osservare i fatti il più incondizionatamente possibile può essere un esempio. Ma ci si può spingere oltre e tentare di mettersi nei panni degli altri con tutto il proprio sentire. Tu parli di empatia, identificazione...

Scharmer: identificazione è meglio.

«Remembering the future»

Eisenhut: Parli anche dell’attenzione come una forma di apertura della volontà. Non parli di commistione e nemmeno di concentrazione mentale; si tratta di una tendenza opposta, preparatoria all’addentrarsi nella coscienza dell’altro. Usi anche il termine «formazione vascolare», ovvero della possibilità che si crei qualcosa che diversamente non si verrebbe a creare. Ma cos’è che si crea? Chi partecipa a questo tipo di iniziativa entra in contatto con qualcosa di nuovo e reale oppure nella coscienza si risveglia qualcosa di recondito legato alla sfera della volontà e non ancora emerso?

Scharmer: Domanda intelligente alla quale anch’io vorrei rispondere. Ma se ho ben capito per Steiner il piano della volontà è legato a quello del futuro. Che differenza c’è tra i due?

Gleide: La domanda è: ciò che del futuro è già presente nella volontà ha a che fare con gli avvenimenti esterni? Quelli che anche tu hai appena descritto, come il Progetto McKinsey, ad esempio. In questo senso deve esistere una correlazione tra interiorità ed esteriorità e non un dualismo e nemmeno l’esclusione di una cosa o di un’altra. Piuttosto si parla di completamento reciproco di qualcosa che scaturisce dalla volontà dell’uomo e si palesa subito o poco dopo all’esterno.

Scharmer: Entrare in processi simili significa avvicinarsi al concetto del «remembering the future». Succede qualcosa di nuovo che prima non c’era; malgrado ciò, non è del tutto sconosciuto e mi avvicina al mio Io più autentico e in evoluzione verso la dimensione superiore. La cartina al tornasole per capire se si è vissuta un’esperienza simile oppure no è se alla fine si è sempre gli stessi. Solo se ho fatto passi avanti e sono diventato qualcun altro, mi sono avvicinato di più a me stesso e al futuro.

Gleide: Facciamo un passo indietro: con questi presupposti, ci puoi descrivere il processo della Teoria U?

Scharmer: Se parliamo di normale routine quotidiana, fatta dei preconcetti di ognuno, si parla di download. Se invece, nel gruppo, instauriamo un dialogo vero e non un semplice dibattito, diamo vita a un processo dialogico e un ascolto empatico in cui accadono molte cose. I singoli individui ampliano le proprie sfere sensoriali e di esperienza, danno spazio agli altri e ha inizio il processo di concatenazione; il tutto è molto complesso. Nella mia teoria lo chiamo dialogo. Corrisponde al «Seeing» e al «Sensing». A questo livello si formano altri modelli di comportamento e altri tipi e forme di discussione. Qualcosa di comune che va oltre il singolo. Nel «Presencing», ovvero lo spazio del silenzio in cui ci si avvicina davvero alla fonte del proprio essere si va ancora oltre, ci si apre ancora di più. Quello che accade nel «circle of seven» e nel «circle being». È il sentire intorno a sé uno spazio di percezione.

Spazi di consapevolezza comune

Gleide: Essenziale nella Teoria U è il fatto che i vari livelli sono sempre connessi a cambiamenti della propria coscienza. Più essa si amplia, più si creano spazi di consapevolezza comune. Si parte dall’atteggiamento antisociale di base del download e si arriva a un’apertura sempre maggiore fino al raggiungimento di questi spazi comuni.

Scharmer: Proprio così. La Teoria U è da un lato una tecnica sociale e dall’altro un quadro di riferimento. È una scienza sociale vista da una prospettiva di quattro livelli di coscienza diversi che vigono su tutto (individui, gruppi, istituzioni e sistema generale). Restando in ambito economico, resta un punto cieco: ci sono teorie che mirano solo all’interesse e prevedono che ognuno pensi a sé affinché il sistema generale si regoli. Ma la vera trasformazione a livello dirigenziale e pratico avviene quando si ha un cambiamento a livello di coscienza, a partire dall’ego, dal piccolo, per arrivare al sistema generale. Ma nelle teorie economiche la trasformazione delle coscienze non è presa in discussione.

Gleide: Stiamo parlando quindi di un processo nel quale il singolo si apre progressivamente alla comunità, nel gruppo accade qualcosa che va oltre ciò che il singolo può realizzare in quel momento. D’un tratto si intuisce il futuro perché qualcuno lo ha creato. A questo punto sorge spontanea una domanda: che ruolo hanno i membri del gruppo? Fino a che punto si crea una consapevolezza comune quando entra in gioco il futuro? Quando succede qualcosa di nuovo, spesso cominciano le difficoltà. Dopo averci dormito su, cominciano le riflessioni e i vari processi di download. Cosa si fa allora?

Scharmer: È molto facile capire se tutti quelli del gruppo hanno compreso tale esperienza. Lo si nota. Spesso quando si lavora bene, è compresa da tutti. Quando invece non è così, lo si percepisce. In secondo luogo, dei processi di trasformazione sappiamo che in quelli veri e profondi non accade di fare un’esperienza particolare che cambia tutto. Non è così che succede. Che si parli di gestione della trasformazione o dell’apprendimento, non importa: intraprendere un processo di trasformazione presuppone una struttura di sostegno, parallela a quella di apprendimento, altrimenti si viene risucchiati dal vecchio sistema. Non si fa leva tanto sul fallimento della trasformazione, ma sul significato che essa ha. Trasformazione significa essere pienamente coscienti del momento in cui si sta per tornare indietro e non tornarci. Bisogna dare rilievo a questi momenti di consapevolezza e rafforzare la capacità di autogovernarsi. Una pratica del Presencing fine a se stessa quindi non serve a nulla. Ma la questione fondamentale è: come faccio ad applicarla al mio vivere quotidiano? E qui entrano in gioco una serie di pratiche. Ma ho notato anche che quando il lavoro di gruppo è riuscito, è più facile mantenerlo nel tempo e integrare altre persone. Il gruppo sociale vive. Grazie all’identificazione e al dialogo, si arriva a uno spazio di pensiero comune che prima non esisteva. Le cose prendono il loro corso. Cosa succede con l’energia? A questo proposito mi torna sempre in mente il concetto di scultura calda di Beuys.

Gleide: Infatti, c’è un legame con il calore.

Scharmer: Da qualcosa di freddo e immobile nasce qualcosa di caldo che comincia a fluire.

Gleide: Per tornare al freddo, il download come metodo non riguarda soltanto il sapere accumulato, ma anche le strategie che si mettono in pratica lavorando. E qui ci si pongono domande come: qual è il mio posto in azienda? E che tipo di riconoscimenti mi sono dati? Che tipo di aspettative e richieste? A quale categoria di retribuzione appartengo? Che tipo di riscontro hai avuto nelle aziende per cui lavori? È senz’altro difficile staccarsi dal download da cui dipendono tantissime persone. Come si arriva ad abbracciare un nuovo modo di pensare?

Scharmer: In gioco ci sono molte forze. Tutte le culture organizzative e le abitudini esistono perché hanno dato risultati ed è per questo che sono diventate forti. Una volta arrivati alla dimensione del silenzio, ovvero alla fine del processo U e le persone iniziano ad avere uno sguardo diverso sull’esterno, è chiaro che tutto ciò che accade quotidianamente nelle istituzioni, soprattutto in quelle grandi, a un occhio estraneo appaiono guidate da aspettative personali ed altrui. Siamo tutti dentro a strutture fatte di aspettative. Pensiamo ai miei studenti dell’università sui quali le loro famiglie hanno investito tantissimo: tutto è già programmato dall’inizio e condizionato. Da un lato quindi c’è questo; dall’altro bisogna dire che viviamo in un’epoca in cui tutta questa messa in scena non funziona più ed è scattato qualcosa. Ci siamo incagliati, in ogni dove e questo ci deve aiutare a darci una svegliata. Cioè dobbiamo scardinare i vecchi dogmi e nel prossimo decennio accadrà in maniera sempre più evidente. Altra cosa: il processo di spiritualizzazione che stiamo vivendo aiuta le persone ad aprire gli occhi e ad avvicinarsi all’altra parte del proprio Io. Questa capacità sta diventando sempre più forte. Quindi, è vero che le forze del passato dominano, ma è altrettanto vero che esistono nuove forze sempre più grandi. E noi lavoriamo con entrambe.

Eisenhut: Nel tuo libro (a pag. 395) fai l’esempio di un responsabile di produzione che ha messo in atto un processo di trasformazione e sviluppo nella sua azienda. Ma anche il consiglio di amministrazione doveva essere d’accordo e alcuni membri erano contro. Il responsabile, però, aveva sviluppato una capacità di cui parli anche tu: quella di ascoltare attentamente e guardare con gli occhi degli altri. In questo modo è riuscito a raggiungere il grado più alto del Presencing. La cosa sorprendente è stata che il consiglio di amministrazione nelle sedute successive ha avanzato proposte del tutto in linea con le richieste del responsabile. Era riuscito a raggiungere il suo scopo mettendo in luce le sue necessità nella dimensione di attenzione che si è creato da solo. Prima dicevi che nell’ambito dell’attenzione potrebbe essere presente «qualcosa d’altro». Nel termine «essere presente» è contenuto «essere». Possiamo anche parlare di un essere che compare in uno spazio predefinito.

Scharmer: Perciò parliamo di Presencing. L’alternativa sarebbe stata Presensing e cioè la capacità di prevedere il futuro. Ma non è questo che desta il mio interesse; interessante è il processo della trasformazione dell’essere, l’attualizzazione di un pricipio in divenire, di un’essenza.

Eisenhut: Per te quindi questo significa che se ci si riunisce tutti in uno stesso luogo da punti diversi e ci si collega alla stessa essenza, essa si manifesta e fa scattare impulsi individuali senza che nessuno debba dire all’altro cosa deve fare?

L’economia associativa come tecnica sociale

Scharmer: È proprio per questo che mi occupo di questioni più ampie. In teoria il passo successivo al capitalismo sarà l’ingresso in un nuovo meccanismo coordinatore, che non agirà dall’alto come il mercato, lo Stato o le associazioni che trattano tra di loro, ma esisterà per effetto di percezioni e volontà comuni. Esso consentirà di trasformare gli impulsi direttamente in realtà e di applicarli alla materia. Non esisterà più un mercato superiore o una mano invisibile che mi comanda a bacchetta. Nel nostro piccolo possiamo già farne esperienza e sono i primi sintomi di questo nuovo meccanismo. Ma lo sviluppo istituzionale del nostro sistema economico e sociale porterà grandi sofferenze perché dovremo sviluppare mezzi nuovi.

Eisenhut: Se ho ben compreso Steiner, la sua idea di una vita economica di tipo associativo mirava proprio a questo tipo di meccanismo coordinatore. Riguardo alla mentalità, però, i problemi sono enormi perché è difficile da cambiare. Perché se cercare di cambiare la mentalità significa proprio dare ordini dall’alto e creare un’organizzazione dall’esterno, per farlo ci si oppone ad altre forme organizzative. La coordinazione non deve venire dall’esterno, ma dal centro.

Scharmer: In realtà, però, non diciamo che ci serve un’economia associativa o qualcosa di simile, ma una tecnica sociale. La questione è come farla. Accade lo stesso con le Istituzioni, è tutto un work in progress. Ed è questo che cerco di fare con il processo U. Come faccio ai vari piani di consapevolezza? Dov’è la svolta? Quali sono le pratiche e gli strumenti da usare? Queste sono le domande.

Eisenhut: Anche senza aver compreso Steiner, pensare alla creazione di un’economia associativa significa immaginarla e quindi concentrarsi. Steiner fa un passo indietro e mette in correlazione gli impulsi sociali e quelli antisociali.

Scharmer: Come li descrive? In che senso fa un passo indietro?

Eisenhut: Secondo lui alla base della creazione di un nuovo organismo sociale deve esserci il rinnovamento della vita spirituale. Quest’ultima è l’ambito della vita sociale in cui le persone si rapportano le une alle altre per evolversi. Non riuscirci significa farsi dominare degli impulsi antisociali e di conseguenza non si diventa capaci di alcuna evoluzione. E anche nella vita economica non si progredisce. Ciò di cui parli con il tuo Presencing punta alla creazione di un vivere spirituale di questo tipo e mira pertanto a problematiche concrete della vita. Il vivere spirituale interviene direttamente in quello economico; a livello spirituale si creano spazi in cui è possibile raggiungere scopi e le persone si uniscono e creano associazioni perché è più giusto e conveniente. Le associazioni in un certo senso si formano a partire dalla periferia al centro e non viceversa.

Il cambiamento: il confine si fa soglia

Scharmer: Dal punto di vista sociale oggi viviamo tre crisi; per usare le parole di Beuys, siamo dentro a un processo di rovesciamento. Siamo in presenza della crisi dello Stato che ha praticamente perso le redini e deve stravolgere se stesso e passare a essere uno strumento di aiuto più che di tutela. Poi abbiamo il capitale, dove accade la stessa cosa. Il terzo processo di rovesciamento riguarda la società civile che non è messa meglio. Tutto questo ci paralizza. Stiamo assistendo a un blocco delle vecchie strutture e all’immobilismo. E dovremmo agire diversamente. Dovremmo creare spazi dove possano accadere cose. In un certo senso stiamo parlando di punti critici e non solo a livello delle organizzazioni, bensì oltre. Si tratta di un punto cruciale. L’altro è la tecnica sociale: mettere a confronto le associazioni con i responsabili porta a fare sempre gli stessi discorsi e non a evolversi.

Gleide: L’approccio è importante; infatti non bisogna mettere a confronto le associazioni con i rappresentanti, bensì le persone direttamente coinvolte, come ad esempio i medici con i pazienti, come dici nel tuo libro quando parli dei forum che li riguardano. Nel momento in cui il singolo prende coscienza di sé in un gruppo e si esprime con franchezza, senza mettere in atto il download e osserva quello che lo circonda, mentre i suoi pensieri e i sentimenti vengono esternati, in quel momento nello spazio accade qualcosa. E a livello strutturale si crea qualcosa di nuovo perché si agisce sulle categorie, al di là degli egoismi dell’azienda.

Scharmer: E i confini cadono...

Gleide: Ogni volta che il singolo si pone domande sull’esistenza, senza mettere in atto solo un download astratto, inizia il cambiamento e si crea un fenomeno collettivo in cui si incontrano persone con origine, obiettivi e professioni di vario tipo.

Scharmer: Mettere a fuoco i legami, questo è il confine. Tutti noi apparteniamo a mondi diversi, ma cos’è che ci accomuna? Ci scontriamo con tutti questi confini imposti dalle istituzioni, organizzazioni e competenze, dove i vecchi schemi non funzionano più. Vivere una cosa simile all’interno di un’impresa è certamente diverso dal viverlo nell’ambiente, ma è l’unico modo in cui possiamo intenderci.

Gleide: E il confine, come ho letto anche nel tuo libro, è come una soglia; ha qualcosa in comune con la soglia del Mondo spirituale di cui parla Steiner. Affrontare questi limiti è un aspetto assolutamente concreto che si trova nella quotidianità di tutti i giorni. Dopodiché si tratta di superarli e andare oltre quella soglia. Steiner dice che l’umanità è già andata oltre. Questi confini e l’esperienza di essi, in questo senso, sono quindi esperienze della soglia. Perciò non siamo in presenza di un qualcosa di astratto che accade una volta sola e chissà quando, ma è un fatto che determina la quotidianità. Superare il limite, ammettere che esiste e che non è possibile andare sempre nella stessa direzione, e riconoscere la necessità del cambiamento sono cose importanti. La domanda sul come fare a rinnovare la propria vita o le istituzioni riguarda il superamento della soglia, ho capito bene?

La trasformazione dell’asse centrale

Scharmer: Assolutamente sì. Ed è proprio questo il punto in cui bisogna arrivare a collaborare, superando i vari ambiti. C’è chi arriva dalla scuola, chi dall’impresa e chi da organizzazioni politiche e istituzioni pubbliche; tutti vivono realtà diverse, ma hanno lo stesso problema del come affrontare il futuro e superare i limiti. Vivono la disfunzionalità del sistema esistente ed è un problema di tutti. Abbandonare questi concetti e sviluppare nuovi ambiti di consapevolezza e volontà comuni, è un cambiamento non da poco. Sempre più abbiamo a che fare con problemi all’interno di organizzazioni dove io, come singolo, non posso nulla. I problemi personali che posso avere all’interno dell’azienda iniziano già a scuola. Si cerca di fare qualcosa con una formazione continua, ma se il danno è stato fatto da bambini, è troppo tardi. E se si cerca di riformare il sistema sanitario limitandosi al solo ospedale, non si hanno che briciole. Domande come «da dove vengono le malattie» e «c’è un qualche legame tra esse e il modo di organizzare il lavoro» non sono oggetto di discussione.
Perciò c’è bisogno di riflessione, consapevolezza e rinnovamento generale. Ma sono processi lenti. Ci si potrebbe chiedere da dove traggono origine il cambiamento, il miglioramento, la guarigione e la salute e la risposta è: nella trasformazione dell’asse centrale. E di cosa di tratta? È la relazione tra il cittadino-paziente e il dottore o il personale medico. In questo modo partiamo dalla relazione, da un nuovo ambito, che diventa un organismo di apprendimento che si rinnova.

Eisenhut: per te la relazione individuale è il fulcro di tutto, mentre non consideri una relazione esterna tra oggetti, ovvero quella in cui il medico funge da prestatore d’opera dell’ambito medico e l’infermiera offre un servizio assistenziale.

Scharmer: In tal caso parliamo del primissimo livello, quello del download. La cosa importante è capire quali sono i Kernachsen e cioè, comprendere il succo della questione, che al contrario è messo sempre in secondo piano quando si cerca di migliorare solo il sistema e le cure.

Gleide: Oggi si fa ancora troppo poco, e tu stesso ci stai lavorando, per il libero vivere spirituale; mi riferisco soprattutto a temi di rilevanza sociale e professionale e relativi all’assistenza a vari livelli. Il vivere spirituale deve avere un’importanza in ambito sociale e creativo e pertanto occorre occorrono spazi di discussione per parlarne. In questo senso si pensa anche a cosa si intende per società civile o settore terziario secondo il pensiero del libero vivere spirituale.

Scharmer: Quando si parla di questioni sociali, entrano sempre in gioco le rivendicazioni di singoli gruppi e dei relativi rappresentanti e lobbisti. Ciò che manca invece è il fatto che le persone giuste sono irraggiungibili tra di loro. Molte risentono della mancanza di attenzione rispetto a certe questioni e vagano sole. Bisogna creare spazi per questi scopi, a questo servono i nostri forum. La forte risonanza che ne deriva dimostra la presenza in molte città e paesi di un grande potenziale che ancora non viene sviluppato.

Gleide: L’idea di un’autorità statale è ancora molto forte, almeno qui in Germania. La nostra tendenza è di relegare importanti decisioni sociali a partiti, organizzazioni o associazioni. Il tuo ambito di lavoro riguarda il momento in cui le persone iniziano ad assumersi responsabilità e a sentirsi responsabili di ciò che accade nei processi lavorativi. In questo senso siamo in presenza di una trasformazione della coscienza...

Eisenhut: Ovviamente ci sono ambiti in cui è possibile avere trasformazioni in grande stile quando avvengono nelle posizioni chiave. Lavorando con molte imprese in tutto il mondo, sarai entrato in contatto con posizioni del genere.

Scharmer: Sì, infatti. Se ripenso alle ultime settimane e mesi e alle aziende e alle persone che operano a livello governativo o in organizzazioni multilaterali, come la Banca mondiale o le Nazioni Unite, ma anche nelle Ong, il problema è ovunque lo stesso: ci si batte perché i vecchi modelli non reggono più; ma non si è ancora capito come mettere in atto il nuovo e chi è in grado di farlo. Lentamente, però, sta prendendo piede un nuovo modo di comunicare in grado di superare tutti i limiti. È una novità a tutti gli effetti. Ed essa va di pari passo con l’idea che il vecchio – dove imperavano gli interessi di pochi – non ci porterà da nessuna parte. Si dà spazio alla possibilità, in modo che nel prossimo decennio si possa arrivare a una certa apertura. Per la nostra generazione che ha visto la caduta del muro, la fine dell’Apartheid, Obama, ecc. e quindi ha assistito a molti cambiamenti storici veri e propri, il punto è cosa significhi tutto questo a livello di trasformazione economica e sociale.

Gleide: La mentalità sta cambiando? Qual è la tua percezione a livello sociale?

Scharmer: il 60-70 % dei nostri problemi economici sono da ricondurre alla struttura neoliberale. Per quanto eclatanti siano stati i nostri tentativi di abbattere il muro, a livello mentale la struttura regge ancora. È ancora lì, non d’appertutto, forse qui in Germania meno; ma a Washington è ancora viva. Se anche nella pratica si lotta per il contrario, il pensiero non è ancora stato soppiantato del tutto. In questo senso è la soglia attuale a funzionare. La novità adesso non sta nelle parole «il libero mercato non funziona più», ma nel pensare che una parola diversa non porta all’esclusione. È già tanto. È a questo punto che siamo. Il grande problema ruota attorno al come appaiono altre strutture e altri quadri di riferimento che portano gli interventi a livello di organizzazione e di discussione pubblica in un’altra direzione. Questa è la domanda interessante dei prossimi anni con la quale dovremo riuscire a fare passi avanti, se metteremo insieme pensiero, prove in loco e agire sperimentale, allo scopo di dare vita ad esempi concreti utili che tocchino tutti i punti cruciali dell’organismo sociale, affinché sia possibile vedere e mettere in atto ambiti sociali di nuovo tipo.


Annotazione di Corinna Gleide: Riflettendo sul dialogo e sulle domande di cui sopra a Claus Otto Scharmer, si può sintetizzare il tutto nei seguenti punti. La prima questione verteva sul gruppo del Presencing. Nell’intervista Scharmer ha descritto il processo di quel gruppo. Il risultato, a mio parere rilevante, è che le intuizioni che ne scaturiscono sono per lo più individuali; in alcuni casi molte persone hanno diverse intuizioni e sanno cosa vogliono, in altri, come ad esempio nel caso dei responsabili di produzione o dei consigli aziendali, hanno una medesima intuizione, che però si sviluppa su un piano prettamente individuale. Il secondo punto riguarda la strumentalizzazione dei risultati del processo per scopi egoistici. Questo rischio è evidente, perché a livello aziendale oggi lo spirito egoistico è preponderante. Sia dal dialogo che dall’opera di Scharmer, che in questa sede non possiamo approfondire, è evidente la sua visione chiara sull’ambito in cui lavora. Infatti il suo scopo non è solo creare una base metodica per la Teoria U, ma anche creare un nuovo approccio strutturale che agevoli la collaborazione associativa. E lo fa affrontando la questione con i diretti interessati, operando quindi sul cosiddetto asse centrale. Questo concetto nuovo può essere d’aiuto nell’affrontare le problematiche della condizione patrimoniale e dell’egoismo all’interno delle aziende.

Note:

[1] Cfr. Rudolf Steiner: Impulsi sociali e antisociali nell'uomo. Conferenze di Dornach e Berna del 6 e 12 dicembre 1918, in: Rudolf Steiner, Esigenze sociali dei tempi nuovi, dodici conferenze tenute a Dornach e a Berna dal 29 novembre al 21 dicembre 1918, Editrice Antroposofica, Milano 1971.