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Intervista a Francesco e Michele Mondora
di Aurelio Riccioli

05/2016

Francesco Mondora è co-CEO assieme al fratello Michele, di Mondora.com. Francesco e Michele hanno sempre innovato nel campo dell’Information Technology e hanno sempre condiviso l’azienda come un punto dove fare innovazione.

Introduzione

Mondora.com SrL SB è una società di software e di consulenza specializzata nella progettazione e sviluppo di soluzioni software innovative, governance tecnologica e formazione tecnica per organizzazioni di grandi dimensioni e di vario tipo. Dal 2002 Mondora, che ha sede legale a Milano e sede operativa a Morbegno in Valtellina, supporta i propri clienti con soluzioni di valore che utilizzano paradigmi tecnologici emergenti, come il cloud computing, le Metodologie Agili, e infine DevOps. Nel corso degli anni Mondora ha sviluppato una significativa esperienza di analisi ed evoluzione di architetture IT complesse, e nel favorire convergenza ed allineamento tra IT e business. Attualmente Mondora impiega 40 persone per un fatturato superiore ai 2,5 milioni di euro.

La società valtellinese è stata inserita come caso italiano di organizzazione Teal nella traduzione del libro "Reinventare le organizzazioni" di Frederic Laloux per "i riferimenti concettuali profondi che sono alla base della loro applicazione sulla cultura organizzativa, la visione del mondo completa di Rudolf Steiner e gli sviluppi più collegati al mondo aziendale e organizzativo di Bernard Lievegoed e Otto Scharmer, ma ci si possono intravedere sicuramente anche applicazioni delle teorie di Adriaan Bekman sulla leadership orizzontale [...]. Le caratteristiche di una azienda Teal ci sono tutte. Assenza di gerarchia in favore dell’auto-organizzazione; centralità dei team auto-gestiti; organizzazione intesa come comunità ed organismo vivente; visione olistica. Funzioni di staff inesistenti, job titles inesistenti. Leadership “partecipata”, le decisioni possono essere prese da chiunque e il potere è anch’esso distribuito. La metafora che la descrive è l’essere vivente. Le innovazioni principali sono: l’auto-organizzazione, il concetto di “wholeness” e di finalità organizzativa. La sola massimizzazione del profitto non è il proposito; l’organizzazione ha il compito di far collimare lo sviluppo individuale con lo scopo che l’azienda si è data, coltivando tutte le dimensioni dell’umano: emozionale, culturale e spirituale. L’organizzazione dei fratelli Mondora infatti sembra proprio incarnare il nuovo paradigma evolutivo Teal [...] un nuovo salto evolutivo nella coscienza umana, un germe del futuro nel contesto contemporaneo italiano."


L’intervista

AR: Francesco a tuo avviso cos’è che dovrebbe saltare di più agli occhi di un visitatore che entrasse per la prima volta nella vostra azienda? Che cosa noterebbe innanzitutto?

FM: Io credo che noterebbe innanzitutto i colori a velatura dei locali della nostra sede, dipinti da buona parte di noi stessi, la parete d’arrampicata, il divano per riposarsi e la cucina con il suo frigo in cui è possibile trovare sempre frutta, birra bio e altre cose da condividere. Noterebbe sicuramente gli spazi aperti e la mancanza di uffici individuali: da noi si decide sul momento dove sedersi, se capita anche accanto al CEO che non ha un suo ufficio neppure lui. Questo è ciò che credo risulterebbe immediatamente percepibile di una organizzazione complessivamente centrata sulla persona e sul ‘purpose’, caratterizzata da una struttura piatta senza manager e di team che si auto-organizzano.

AR: Come prendono le decisioni i team auto-organizzati?

MM: Ci sono due momenti: il primo è una specie di advice process informale che serve per condividere i pareri di ciascuno su un dato tema. Per favorire in concreto la collaborazione tra le persone, utilizziamo degli strumenti software che implementano forum virtuali (Loomio,Discourse) ovvero semplici chat su canali tematici (Slack). Chiunque può proporre un tema e tutti ne discutono secondo interesse e disponibilità di tempo. Se una discussione non ha seguito vuol dire che la tematica proposta non è rilevante. Il secondo momento è costituito da un meeting decisionale che in 20-30 minuti consegna la decisione. Ci si consulta molto, anche più volte al giorno su temi particolari ma, terminate le consultazioni, chi prende la decisione se ne assume poi anche la responsabilità.

AR: Michele sembrerebbe che le funzioni cross o centralizzate siano state sostituite da strumenti informatici, è così?

MM: Sì, oltre ai già citati Slack e Loomio, utilizziamo i soliti noti Skype, Hangouts, Whatsapp e marginalmente la mail. Su Slack abbiamo, per esempio, un canale sul quale tutti possono scrivere se lo vogliono e con la massima trasparenza, risposte a domande inviate automaticamente ogni giorno riguardo alle attività in programma e alle difficoltà che si incontrano. Su loomio cerchiamo di attuare processi di co-creazione. Tutte le opinioni raccolte sono pubbliche ed io le monitoro per aiutare poi le persone a risolvere i problemi che emergono dalle discussioni.

AR: Su quali ambiti i team auto-organizzati possono decidere?

FM: I team si aggregano spontaneamente intorno ad un progetto, sia che si tratti di un lavoro per un cliente che di decidere delle finalità o delle strategie dell’azienda. Quando abbiamo dovuto cambiare lo statuto della società per trasformarla in società benefit, abbiamo coinvolto tutti i collaboratori con non poca sorpresa dell’avvocato che ci seguiva; normalmente infatti questi cambiamenti vedono coinvolti solo i soci fondatori. Altro esempio: è il team che decide in autonomia quali acquisti intende effettuare presso quali fornitori.

AR: Come viene allora assegnato il budget ai team?

FM: Non viene assegnato, in via di principio tutti possono spendere tutto poiché non abbiamo middle managers con delega di spesa. Siamo un’azienda di persone adulte, ciascuno ha accesso alle informazioni finanziarie - il bilancio è pubblicato regolarmente sul forum interno -, e le risorse vengono spese in modo responsabile come se fossero le proprie. Diciamo che il budget è unico mentre la sua gestione è partecipata.

AR: Se non ci sono middle managers, chi si interfaccia con le risorse umane ad esempio per le assunzioni?

MM: Non abbiamo un dipartimento HR: i team che si auto-organizzano sono autonomi nel decidere l’assunzione di un nuovo collega. Non c’è alcun processo di approvazione per la scelta operata dal team, l’unica regola che si segue è che il neo-assunto per qualche aspetto deve essere più bravo di chi lo assume. Siccome non c’è HR e non abbiamo funzioni dedicate, al nuovo arrivato è richiesto di attivarsi per trovare in autonomia il punto più opportuno dell’organizzazione in cui inserirsi. Tutto ciò che bisogna sapere in merito al funzionamento dell’azienda - dal ‘purpose’ alle policy su lavoro da remoto, ferie, auto-organizzazione, orario di lavoro, etc. -, il neo arrivato lo trova nel nostro handbook[1] pubblicato in open source.

AR: Le ferie e la flessibilità come vengono gestite?

FM: Le ferie a disposizione di ciascuno possono essere di più rispetto a quanto previsto dal contratto, in via di principio sono illimitate, ma vanno discusse all’interno del team. Di fatto è quest’ultimo che si prende l’onere finanziario delle ferie in sovrappiù di uno dei componenti per cui è giusto che vengano condivise. Del resto non c’è un orario di lavoro ed è possibile lavorare da casa, qualcuno lavora perfino dall’estero. Solo ai neoassunti è consigliato di venire in ufficio per ragioni ‘didattiche‘ - è molto più facile apprendere lavorando con colleghi senior. La flessibilità direi è ampia: a partire dallo scorso inverno, ogni giovedì, se il meteo ce lo consente, ci prendiamo e andiamo in montagna in un rifugio dotato di wifi per cui alterniamo il lavoro con delle belle sciate.

AR: Che tipo di integrazioni, incentivi e bonus sono previsti rispetto allo stipendio base?

MM: In via di principio la retribuzione è lo stipendio stesso che viene fissato dal team ovvero non c’è dell’altro. Ovviamente non si scende sotto una soglia minima che nel nostro caso prende come riferimento gli standard del mercato di Milano e per chi sta in Valtellina si tratta di un buon trattamento. Il problema con integrazioni, incentivi e bonus è che portano nella direzione opposta rispetto a quella dove vogliamo andare. Da noi le valutazioni e i feedback non sono rivolti al singolo ma all’attività del team. Abbiamo comunque una specie di variabile che viene assegnato al team assieme ad una data di scadenza. Se entro quella data il variabile non viene distribuito, ritorna all’azienda e non viene più assegnato. Ci sono anche altre forme di bonus, - cene al ristorante, week end alle terme, etc. - riconosciute in modo che non si creino aspettative o automatismi puntando più sul benessere dei collaboratori che non come MBO.

AR: Quindi non ci sono nemmeno obiettivi aziendali e KPI?

FM: Siamo una società benefit per cui i target aziendali non sono meramente di tipo finanziario. Al posto dei KPI abbiamo invece degli OKR - Objectives and Key Results - che tuttavia non misurano la performance finanziaria - sebbene questa sia di tutto rispetto se guardiamo ai nostri EBITDA[2]. Uno degli obiettivi ad esempio è totalizzare almeno 200 km di spostamenti mensili in bicicletta pro-capite per ottenere un rimborso chilometrico di 0,20 cents e promuovere salute e movimento fisico.

AR: Queste pratiche non portano all’insorgere di conflitti interpersonali?

MM: Occasionalmente dei conflitti possono sorgere durante la cosiddetta retrospettiva di team, un meeting che ogni gruppo tiene ogni due settimane per discutere degli errori commessi. L’idea non è quella di punire ma di apprendere dai propri errori celebrando anzi gli insuccessi proprio per evitare di creare un clima da caccia alle streghe. Tuttavia a volte possono emergere degli attriti interpersonali che il team cerca di gestire con una terza parte neutrale rispetto alle parti coinvolte, smorzando i toni e facendo capire alle parti le rispettive posizioni. Infine si cerca di raggiungere una soluzione di comune accordo.

AR: Ci sono delle ‘tecniche sociali’ per ottimizzare la gestione dei team?

FM: Utilizziamo un test e molto dialogo per individuare il temperamento prevalente delle persone - collerico, sanguinico, flemmatico e melanconico. Un team composto senza tener conto di questi fattori può comportare dei problemi: se in un team che si occupa di innovazione metti 4 flemmatici non vai da nessuna parte.

AR: Quali altre pratiche vengono impiegate per consentire a Mondora di essere sempre una ‘azienda di adulti’?

MM: Innanzitutto non ci sono titoli e mansionari, sono controproducenti. Alcuni ruoli tuttavia emergano spontaneamente nei team come ad esempio il capo progetto o lo scrum master, colui che batte i tempi durante ciascun sprint e si fa garante degli impegni presi con il cliente. Ma siamo tutti sviluppatori e questi ruoli non sono fissi. Esistono poi delle pratiche di coaching reciproco distribuito tra collaboratori senior e junior ma non solo. Abbiamo anche dei mentori, persone che aiutano a diffondere nell’organizzazione una idea di leadership orizzontale in cui il leader è al servizio delle sue persone e non banalmente il loro capo. Un’altra pratica che aiuta a costruire il senso di comunità e si affianca alla già ricordata retrospettiva di team, è la retrospettiva aziendale che si tiene ogni 6 mesi e si svolge al di fuori del luogo di lavoro in un contesto giocoso ed informale. Durante questo momento cerchiamo di ritrovarci noi stessi. Un altro elemento importante da non sottovalutare per supportare la cultura sono gli strumenti come ad esempio Loomio e Officevibe. Si tratta di uno strumento per raccogliere in modo anonimo feedback da un gruppo di persone. Il servizio è su un cloud esterno proprietario di Officevibe i cui archivi non sono accessibili. Io mi sono registrato come destinatario dei feedback per cui posso ricevere i feedback di tutti e posso rispondere alle persone che li hanno postati ma io non so chi li ha inviati, io li vedo come anonimi. E’ uno strumento che si è rivelato utile per misurare il mood dell’azienda e i risultati sono davvero incoraggianti a partire dalla percentuale degli utilizzatori: il 97%! E la cosa che Officevibe ci segnala come più apprezzata è proprio la possibilità di auto-organizzarsi.

AR: Un’organizzazione fondata sulla trasparenza e sulla fiducia dunque.

FM: Sì. Non abbiamo documenti riservati, tutto è liberamente consultabile in internet sebbene alcuni documenti chiaramente non possano essere modificati. Tutti i collaboratori possono all’esterno parlare come portavoce dell’organizzazione, chiunque può anche occuparsi di vendita poiché non abbiamo venditori né una rete commerciale e lo può fare in autonomia.

AR: Anche nella negoziazione del prezzo finale del prodotto presso il cliente?

MM: Abbiamo anche qui delle pratiche. Innanzitutto ci allineiamo ai prezzi dei migliori concorrenti che come noi sono focalizzati sui bisogni dell’utente finale quindi, dal momento che siamo una società benefit, ci preoccupiamo di generare benessere ovvero offriamo prezzi diversi in base a quanto benessere riusciamo a portare al cliente o all’ecosistema. Tradotto, offriamo uno sconto del 30% sullo sviluppo software a seconda che l’azienda che ci commissiona il lavoro: 1. può documentare per iscritto il benessere che crea; 2. è a sua volta una società benefit; 3. il software prodotto viene poi rilasciato in modalità open source per liberare il lavoro dalla proprietà intellettuale.

AR: Mondora.com oltre che società benefit è anche una B-corp. Come siete arrivati a questo punto e perchè?

FM: Organizzativamente abbiamo mantenuto a lungo la fase pionieristica degli inizi in cui non c’erano ruoli definiti e ancor meno un organigramma. Le B-corp ci hanno consentito di ‘certificare’ la nostra peculiarità organizzativa rispetto ad approcci più tradizionali e di dare spazio alla nostra intenzione di creare benessere all’interno del territorio in cui operiamo. Attraverso anche fasi di grave crisi abbiamo capito che per essere altruisti all’esterno è necessario essere prima profondamente egoisti.

AR: Perché anche la trasformazione in società benefit?

MM: Fino a quando non è stata varata la legge sulle società benefit in Italia, ‘esisteva’ solo il profit o il non profit. Questi due mondi erano separati e l’unico modo per travasare risorse dal primo al secondo erano al più le donazioni o altre forme similari. Le società benefit portano in sé un concetto completamente nuovo che risolve l’antitesi profit-non profit incorporandolo fin nella struttura fisica dell’azienda - il suo statuto. Il concetto è profit sì ma per creare cosa? Noi vogliamo utilizzare il business come forza motrice del Bene e la forma legale incorpora esattamente questo nella struttura di una SB. Se sei una B-corp e l’anno successivo non ottieni nuovamente la certificazione da B-lab non succede nulla. Se sei una SB e non ottemperi a quanto dichiarato nello statuto come impegno etico o sociale o ambientale stai violando la legge al pari di un falso in bilancio. Essere SB è molto più impegnativo - non ci sono nemmeno sgravi fiscali ed è giusto che sia così - e credo sia importante anche per i consumatori poter distinguere chiaramente chi stia facendo cosa e in quale modo. Essere una SB ci ha inoltre consentito di mantenere le nostre specificità sebbene dall’inizio del 2016 siamo stati acquisiti da TeamSystem, un grosso player dei software gestionali in Europa. Nonostante l’acquisizione infatti abbiamo mantenuto il nostro statuto e la forma legale SB.

AR: Nel vostro statuto si parla di “produrre benessere nel contesto agricolo valtellinese, per favorire l’evoluzione del settore primario a vantaggio della collettività”. In concreto cosa fate? Sostenete con donazioni i produttori locali?

FM: No, nessuna beneficenza. Una iniziativa che abbiamo introdotto da qualche tempo prevede, all’arrivo di un nuovo collega, di acquistare una forma di Bitto, un formaggio valtellinese molto particolare ottenuto dalla lavorazione ancora nell’alpeggio del latte di mucca e di capra appena munto. Una forma di Bitto Storico DOP può arrivare a costare 1.500 € e conservarsi anche per 10 anni. Noi lo acquistiamo e durante la cerimonia di accoglimento del neo arrivato dipingiamo la forma con dei colori naturali al mirtillo. La forma rimane presso la casera che l’ha prodotta e mentre vi rimane acquista di valore. Di fatto il proprietario della forma non è né l’azienda né il neo-assunto ma la comunità che l’ha prodotta. Dopo 3 anni la mettiamo all’asta e con il ricavato il possessore reinveste ancora nel settore primario sostenendo altri progetti locali. Poi in azienda abbiamo assunto un collega che lavora la terra e produce la frutta e la verdura per tutto il resto.

AR: Cosa significa essere il CEO di una azienda di persone adulte? Che cosa cambia?

MM: Per la precisione non sono CEO ma co-CEO di Mondora assieme a mio fratello Francesco. Abbiamo deciso così per evitare di avere una sorta di “monarchia” al vertice e poterci confrontare sempre. Certamente la cosa che più impegna interiormente è avere la capacità di abbandonare i meccanismi di comando e controllo. Ciò che diventa importante in una organizzazione come la nostra, non è far fluire decisioni, ma creare l’ambiente adatto attraverso il quale queste possano emergere e diffondersi. Bisogna divenire consapevoli dell’ecosistema che l’organizzazione è di fatto, far giungere le energie laddove sono necessarie, creare le condizioni propizie. Da questo approccio derivano pratiche come quella che abbiamo denominato "mai i my 2 cents", ovvero evitiamo di dover dire sempre e comunque la nostra opinione, soprattutto se nell’economia complessiva del tema o della decisione in cui siamo coinvolti il contributo risulterebbe marginale. Molto più costruttivo non essere d’accordo al 100% che raffreddare gli entusiasmi con continui dinieghi.

AR: Esiste la tentazione/pericolo di una regressione verso forme di pianificazione e controllo?

FM: Non direi. L’approccio top down è ben poco presente e in pratica non si pianifica nulla. Di fatto si cerca di prototipare molto e di iterare le prove, sensing & experimenting potrebbe essere il nostro motto.

AR: Che tipi di difficoltà possono emergere in una organizzazione che si auto-organizza?

MM: Diciamo che è opportuno evitare eccessive specializzazioni e concentrazioni di competenze. Quest’ultime vanno infatti condivise e più che super-esperti servono persone pronte ad assumersi delle responsabilità. Una polarità interessante che effettivamente emerge dalle pratiche di auto-organizzazione, vede l’individuo in tensione tra la manifestazione della propria libertà individuale e la partecipazione all’intelligenza collettiva del team, tra il you e il you as a team. Entrambe sono importanti e necessarie ma serve molto sviluppo individuale per trovare continuamente l’equilibrio tra questi opposti.

Note:

[1] https://github.com/mondora/handbook

[2] https://it.wikipedia.org/wiki/EBITA


Per approfondimenti sul tema: