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Bibliografia
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Articoli - Saggi
![]() Fabio Brescacin è presidente di Ecor Natura Sì.
IntroduzioneLa quasi totalità delle forme legali utilizzabili oggi dalle imprese sono il riflesso giuridico di una concezione che sostanzialmente equipara la proprietà di un’azienda a quella di un qualsiasi altro bene. La legge stabilisce per le aziende in modo preciso chi prende le decisioni e in base a quali interessi, definisce i diritti di voto e le modalità per condividere gli utili prodotti. Ma per il resto, un’impresa può essere ereditata, divenire oggetto di compravendita oppure fondersi con altre aziende mercificando del tutto sia i capitali intangibili di cui è espressione, sia i legami con la comunità da cui è sorta. Recentemente, dal 2016, c’è stata una evoluzione importante in ambito legale con l’introduzione nell’ordinamento giuridico italiano della Società Benefit. Il nostro Paese è stato così il primo paese al mondo a dare forma legale allo spirito che anima il movimento B-corp. La forma sociale della Società Benefit ha reso più sfumato il confine tra il mondo profit e quello no profit, proteggendo fino ad un certo grado la mission dell’azienda nel lungo periodo. Imprenditori illuminati, al riparo di questa garanzia legale, possono dedicarsi a sviluppare organizzazioni di senso, consci del fatto che la forma societaria non potrà venir alterata e fatta regredire verso modelli orientati unicamente al profitto. Questa eventualità tuttavia non è del tutto esclusa, si è solamente resa un po’ più complicata la sua attuazione. Il modello della SO in tal senso rappresenta una risposta efficace per preservare nel tempo la missione spirituale di una azienda. Non si tratta banalmente di una qualche forma di governance inclusiva o partecipativa. Si tratta invece di un cambio profondo di paradigma per il quale si consegna l'azienda ad un soggetto terzo. All'imprenditore si richiede di compiere un salto evolutivo importante in quanto deve spogliarsi di alcune sue caratteristiche tipiche: controllare, gestire, guidare ed estrarre beneficio economico. La SO nasce ad opera di Purpose, una fondazione tedesca, che rielaborando una ricca storia di imprese pioniere, ha stabilito due punti essenziali per un nuovo concetto di proprietàdell’impresa:
Questi due principi vengono scolpiti nella struttura di proprietà dell'impresa utilizzando strumenti giuridici come la fondazione, il trust o la divisione dei diritti di voto da quelli economici, a seconda della cornice legale del paese in cui l’azienda opera. Queste aziende appartengono a se stesse o meglio, al proprio scopo. La fondazione Purpose non si limita solo a studiare l’impatto positivo generato dal modello, a ricercare nuovi casi d’uso e ad accrescerne la diffusione. Cerca anche di individuare le strutture giuridiche per implementare la SO aiutando e accompagnando le aziende nel percorso realizzativo. Infine, ha creato due fondi d’investimento per raccogliere capitali con i quali acquistare piccole quote societarie delle aziende che desiderano abbracciare il modello per esercitare il diritto di veto qualora ci fosse un tentativo di acquisto, il cosiddetto golden share. Nel nostro Paese, il modello tipico di implementazione della Steward Ownership (da ora SO) prevede l’utilizzo di una fondazione che riceve il pacchetto azionario, il patrimonio, mentre lo scopo è definito dall'imprenditore. La fondazione nomina chi siederà nel Consiglio di Amministrazione per generare reddito e per perseguire altri scopi, per i quali la fondazione erogherà parte degli utili essendo il socio diriferimento dell'azienda. Lo scopo diventa lo scopo della fondazione. Un modello alternativo e più sofisticato rispetto al precedente, prevede l’utilizzo di due fondazioni per superare alcune limitazioni poste dall’attuale legislazione. La prima di queste prevede che non si possono avere in una società più del 50% delle azioni diversificate (senza diritto di voto, parziali, attenuati o con diritti economici parziali). La seconda è che in Italia non è possibile per un privato disporre del golden share (quota del capitale sociale che attribuisce al detentore particolari privilegi). In questo modello, una fondazione è quella che abbiamo già incontrato, ossia collegata alla società, che estrae metà dei diritti economici. L’altra invece segue più da vicino il modello della SO. La SO rappresenta un’importante e significativa innovazione giuridica in grado di sottrarre le aziende alla mercificazione capitalista per riconnetterle, come organismi di senso, alle comunità sociali da cui sono nate. È un tassello di cui si sentiva la mancanza per ciò che riguarda la veste esterna dell’impresa. Sul lato interno infatti, già da qualche decennio sono comparsi numerosi paradigmi organizzativi che, pur nella loro diversità, considerano le aziende degli organismi viventi e ne promuovono lo sviluppo in modo coerente con questa visione. L’auto-organizzazione dei collaboratori, i rapporti paritetici in luogo di quelli gerarchici, il costante sviluppo individuale e una mission orientata a soddisfare i bisogni reali dei clienti sono solo alcuni elementi peculiari di questi paradigmi innovativi. Abbiamo intervistato Fabio Brescacin presidente di Ecor Natura Sì, azienda che può essere considerata un caso italiano di SO. L’intervistaAR: Innanzitutto Fabio, qualche dato per inquadrare EcorNaturaSi come azienda. FB: Lo scorso dicembre (2022) abbiamo chiuso l’esercizio a 400 mln di € di fatturato. Abbiamo 1550 dipendenti, la maggior parte in Italia ma anche due negozi in Spagna e una piccola società in Polonia, però la gran parte dell’azienda si trova in Italia. AR: Qual è l'assetto societario? FB: EcorNaturaSi è una SpA e la maggioranza delle azioni è in capo ad una holding che si chiama Ulirosa all’interno della quale ci sono due soci. Uno dei due, il socio di maggioranza, è una fondazione antroposofica che si chiama Libera Fondazione Rudolf Steiner. L’altro socio è una holding svizzera che si chiama Bio Development costituita 7 o 8 anni fa allo scopo di salvaguardare lo scopo delle aziende che avevano iniziato con il biologico 30 o 40 anni fa. Questo assetto è legato al fatto che i pionieri di queste aziende stavano iniziando a raggiungere i 60/70 anni di età. Si è posto quindi il problema della successione o purtroppo, in molti casi, quello della vendita. È stata costituita allora una holding (da parte del sottoscritto e di altre persone) che ha del denaro a disposizione per gestire i meccanismi di successione ed uscita. Invece di vendere ad una multinazionale - generalmente sono multinazionali le aziende che operano nell'agro-alimentare o nella grande distribuzione convenzionale -, la BioDevelopment può gestire questo tipo di operazioni. Questa holding ci ha affiancato nel momento in cui ne avevamo bisogno e successivamente ha portato avanti due operazioni analoghe, una in Svizzera e una in Germania. Questa è la maggioranza azionaria. Poi abbiamo i soci di minoranza, la famiglia Crespi-Pallavicini, che è il secondo socio, e poi soci più piccoli. Tuttavia abbiamo azioni con diritti di voto diversificati. Ad esempio in questo momento Ulirosa ha il 48% del capitale ma il 58% dei voti. Abbiamo quindi differenziato in modo da mantenere la governance con azioni con diritto di voto e azioni senza diritto di voto. In questo modo, anche con una quota di minoranza di fatto si può avere il controllo e la guida della società. È ovviamente importante avere la maggioranza dei diritti di voto in assemblea perché è questa che decide il consiglio di amministrazione, approva il bilancio, ecc. AR: Quindi è un modello conforme a quanto prevede la SO? FB: Sì, anche se di fatto l’ho scoperto dopo, perché ci siamo accorti solo successivamente che eravamo già un modello di SO. Per noi è stata una situazione abbastanza naturale perché quando abbiamo fondato l'azienda, ai fondatori era chiaro che la proprietà non era delle singole persone. L’impresa infatti è stata fondata da un gruppo di persone sulla base di ideali e principi. Per cui ad un certo punto ci siamo detti: dobbiamo fare in modo che la proprietà non sia privata cioè non sia in capo a degli individui. Nel nostro caso abbiamo deciso che la proprietà andava attribuita ad una fondazione no profit. La fondazione, per l'ordinamento giuridico italiano, è in qualche modo la struttura giuridica che può garantire questo. Se tu crei una fondazione per la lotta ai tumori, quello è lo scopo. Noi siamo una fondazione di partecipazione e la fondazione per sua natura ha come centro lo scopo. I fondatori sono quindi al servizio dello scopo. Nel nostro caso era la biodinamica, il cibo sano, un modello di società triarticolata, ecc. Questo è il cuore della fondazione, i soci e il consiglio di amministrazione sono al servizio di questo scopo. All'inizio eravamo partiti con delle quote intestate individualmente, abbiamo fatto un atto di donazione e adesso noi soci fondatori non abbiamo nulla, cioè non abbiamo la proprietà delle quote ma queste sono state donate alla fondazione. L'abbiamo fatto per tre motivi: il primo l'ho già citato: fare in modo che la missione fosse salvaguardata anche dopo la nostra vita. La biografia individuale è breve, ha un limite fisiologico e quindi ci chiedevamo quale struttura garantisse la continuità della missione nel tempo. Il secondo motivo è liberarsi del diritto ereditario. Se tu sei proprietario di qualcosa nel momento in cui muori questo passa ai figli, agli eredi che tuttavia possono avere altre capacità, altri desideri, altre aspirazioni nella vita. Come sappiamo, le aziende sono fortemente a rischio nel momento in cui c'è il passaggio della proprietà dalfondatore agli eredi naturali. In alcuni casi, gli eredi naturali possono essere anche più bravi dei padri ma molto spesso non è così. Questo mette in difficoltà l'azienda che di fatto è un bene comune. L'azienda in verità è il risultato delle relazioni di molti stakeholder nel corso del tempo: dipendenti, collaboratori, fornitori, clienti, ecc. e quindi bisogna fare in modo che essa sia guidata da persone quanto più capaci possibile. Nel nostro caso, la fondazione ha il compito di scegliere la dirigenza, il consiglio di amministrazione, possibilmente tra le persone più brave però senza vincoli di ereditarietà. Il terzo motivo è che la proprietà ha diritto a dei dividendi in base alle quote possedute. Quindi, se ci sono utili e se ci possono essere dividendi, il capitale viene remunerato proporzionalmente alle quote. Nel nostro caso, la finalità dell'azienda, o la finalità che si è data la fondazione, è spirituale, se vogliamo dargli un’accezione forte. Abbiamo voluto quindi che il dividendo andasse a servizio della finalità spirituale e non delle singole persone, per bisogni individuali. In questi anni, sia con i dividendi, sia vendendo azioni quando abbiamo avuto necessità di farlo, pur mantenendo la governance e la proprietà, abbiamo potuto liberare del denaro e investirlo in attività che altrimenti né sarebbero nate né sarebbero state sostenute. Parliamo di una scuola, un edificio scolastico ed un'azienda biodinamica, che sono state realizzate grazie al denaro liberato dalla sfera economica verso quella spirituale. Devo ammettere che questo percorso a noi è sembrato abbastanza naturale, data l’anima dell'azienda. AR: In questo percorso, Purpose, la fondazione che ha formalizzato il concetto di SO, vi ha aiutato in qualche modo, oppure avete sviluppato tutto da soli? FB: Abbiamo sviluppato tutto per conto nostro. Purpose è comunque uno dei soci. Visto che avevamo questa struttura, nel 2020 Purpose ha deciso con un proprio fondo, Purpose Evergreen Capital, di entrare nell’azienda con il 2% delle quote. Purpose oggi è presente proprio per salvaguardare la SO. Hanno investito perché hanno riconosciuto che eravamo all'interno di questa galassia con un nostro sistema che non era quello standard. Per questo motivo non hanno chiesto alcun diritto, mentre di solito, quando Purpose entra chiede dei diritti di salvaguardia della proprietà. Nel nostro caso non serviva, perché di fatto la proprietà è in mano alla fondazione. AR: La SO è una forma di proprietà inusuale in grado di coniugare capacità individuali da un lato e beneficio comune dall’altro attraverso la protezione nel lungo periodo dello scopo dell’azienda. Quindi per certi aspetti non è né privata né pubblica, è qualcosa del tutto nuovo per lo meno nell'ambito del diritto. Ma di tutto questo i vostri collaboratori quanto sono informati? Che cosa rappresenta per loro secondo te? FB: Tutto questo è ben noto, assolutamente conosciuto dai nostri dipendenti. Una loro grande preoccupazione è che questa struttura rimanga così com'è. Il che non è scontato perché è una struttura un po' debole da un punto di vista finanziario. Nel momento in cui l'azienda ha bisogno di finanziarsi deve ricorrere ad un finanziatore esterno che dovrebbe entrare con un diritto di voto limitato, cosa non semplice, perché essa deve aderire a dei principi. Tornando alla tua domanda, i dipendenti sono assolutamente coscienti ed io lo comunico sempre. C’è tanta consapevolezza in merito. Ad esempio, su 350 negozi 2/3 sono in franchising e loro stessi dicono: noi vogliamo che nel nostro contratto venga inserita una clausola per la quale se la proprietà non è più della fondazione, i negozi siano liberi di recedere dal contratto di affiliazione. Quindi, la questione all'interno del nostro circuito è assolutamente nota ed è un elemento motivazionale. Tu sai che Fabio Brescacin come presidente non ha lo yacht e non si porta a casa i dividendi. Sanno benissimo che la scuola è stata costruita con i proventi dell’azienda. Insomma tutti lo sanno e tutti sanno dove finiscono i soldi e per chi lavorano.Non lo fanno per un imprenditore che pur essendo assolutamente una persona stimata, amata, rispettata ed illuminata com’è giusto che sia è pur sempre un individuo, ma lavorano per un ideale. Quello che non si sa, ovvero dove non si sa, secondo me è all'esterno dell’azienda. Questo è un valore che dovrebbe essere più veicolato all'esterno e più condiviso con e dai consumatori, dal pubblico. Non tanto per un fatto di orgoglio ma per una questione di condivisione di ideali. Tanti hanno le fondazioni, ma le creano a latere dell'attività di business e una briciola, piccola o grande che sia, viene messa nella fondazione per fare charity, filantropia, etc. Nel nostro caso è la sostanza stessa dell'azienda che è filantropica. Ha destato molto scalpore il caso di Patagonia ma noi siamo così da sempre, fin dall'origine ma non lo diciamo perché non siamo bravi a comunicare. AR: Era la prossima domanda in effetti :-) FB: È un lavoro da fare e non siamo abbastanza bravi. I nostri consumatori non sanno cos'è NaturaSi e cosa c'è dietro. Pensano che sia un buon prodotto, che siamo gentili, però non conosco questo modello societario. AR: Voi siete pionieri in questo campo in Italia, avete notizia di altre aziende che stanno iniziando questo percorso? FB: In Italia no. Ci sono delle realtà all'estero e in tal senso si possono leggere i diversi casi presenti nel libro “Steward- ownership. Ripensando la proprietà per il ventunesimo secolo”. Un esempio molto bello è quello di Aubier, che si è dotata di azioni con grandi differenze nel diritto di voto: i fondatori hanno il 10% del capitale ma il 90% dei diritti di voto. Quando frazioni molto riesci a raccogliere capitali che non hanno interesse nella gestione ma sostengono l'ideale. A portare avanti lo scopo è operativamente un gruppo ristretto di persone. Nel nostro caso la fondazione ha le competenze, l'esperienza, il know how e la saggezza per mantenere e trovare le personegiuste, quelle adatte per continuare la mission. Poi ci sono coloro che sono semplicemente sostenitori finanziari ma che non generano interferenze nella governance. Per approfondimenti sul tema:
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