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Da lungo tempo studioso dell'economia di Rudolf Steiner, Marc Desaules è coinvolto in molte imprese nella sua natia Svizzera dove è anche tesoriere e segretario generale della Società Antroposofica svizzera e membro fondatore del board del Coopera Pension Fund. L'essenza del suo approccio all'economia può essere trovato nel suo libro: A Human Response to Globalisation.

Il giusto prezzo al posto del reddito di base incondizionato

Marc Desaules

08/2013

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Viviamo in un'epoca di prezzi bassi. Tanto meno paghiamo per qualcosa, tanto meglio è – questa non è solamente una diffusa opinione popolare, ma anche uno scientifico dogma dell'economia contemporanea. L'enorme pressione al ribasso sui prezzi fa sì che rimanga poco denaro per pagare coloro che lavorano. Come conseguenza, la mancanza di entrate porta inevitabilmente a debiti, che crescono ovunque innescando un fenomeno che difficilmente può essere tenuto sotto controllo. Questa spirale negativa è avanzata fino al punto in cui i governi possono far andare avanti le cose solamente attraverso ulteriori iniezioni di liquidità. Non solo al denaro è stato dato un valore per se stesso, ma è diventato qualcosa di simile ad una sorgente artificiale di vita. Esso incatena un numero sempre crescente di individui al loro egoismo, costringendoli a sprofondare sempre più in una lotta per l'esistenza.

Vi è un urgente bisogno di agire. Ma in quale modo? Alcuni considerano come risposta a questa domanda l'idea di un reddito di base incondizionato per tutti, in quanto protezione contro una situazione devastante. Essi sostengono che la garanzia di un reddito di base potrebbe fungere da assicurazione sociale, mentre il fatto di essere incondizionato dovrebbe liberare l'individuo dalla necessità di lavoro [1]. Di primo acchito, queste due prospettive possono sembrare attraenti. Ma è davvero così?

Guardando le cose un po' più da vicino, vediamo emergere una realtà diversa: il reddito di base incondizionato non arriva alla radice del problema. L'economia rimane immodificata e continua come prima, in ossequio all'idea di una lotta per la sopravvivenza che mette tutti contro tutti. Inoltre, si peggiora la situazione avvelenando il nostro atteggiamento verso il lavoro, attaccando in tal modo un importante veicolo della dignità umana. Infine, come conseguenza di un reddito regolare per tutti, si instaurerebbe una totale dipendenza da esso, non diversamente dalla dipendenza che ha una mandria nei confronti del suo pastore.

Non abbiamo un problema di reddito

La domanda è: qual è l'alternativa al reddito di base incondizionato? Riformuliamola meglio: da dove possiamo iniziare a costruire una vita economica che assicuri ad ogni individuo un reddito degno di questo nome? Abbiamo bisogno di avvicinarci alle causa prima della questione. Allora potremo vedere, in primo luogo, che il problema fondamentale che abbiamo non è di reddito, ma di spesa, accresciuto da un problema altrettanto fondamentale che riguarda il denaro. In secondo luogo, che abbiamo bisogno di sviluppare un atteggiamento sano verso il lavoro. Sia il problema della spesa che la nostra attitudine al lavoro sono profondamente legate al nostro ordinario pensiero e comportamento economico – qualcosa che è scomodo da ammettere e a cui è difficile rinunciare.

Ciononostante, diamo uno sguardo più da vicino ad entrambi gli aspetti. Ovviamente il prezzo svolge un ruolo centrale per quanto riguarda lo spendere. Ognuno controlla il prezzo al momento dell'acquisto di una cosa e su questo non c'è granché da dire. Ma con quale stato d'animo? Lasciamo da parte per un momento le nostre abitudini convenzionali di pensiero e immaginiamo un mondo (tralasceremo per ora sesia possibile o meno) in cui il prezzo di ogni merce è tale che l'individuo che l'ha prodotta "riceve come controvalore per quello che ha prodotto quanto sufficiente per consentirgli di soddisfare tutti i suoi bisogni e quelli delle persone a suo carico, fino a quando non avrà di nuovo completato un prodotto simile [2]. Questo "giusto prezzo" non proviene dal lato del compratore, cioè dal consumatore, ma solo dalla parte del venditore, cioè dal produttore. E il fattore decisivo non sono i costi sostenuti per la produzione, ma le future esigenze del produttore.

Le implicazioni che derivano in questo modo dalla comprensione del giusto prezzo sono immense: nel soddisfare i propri bisogni, l'acquirente, attraverso ogni transazione, assicura che le esigenze di tutti coloro che sono stati coinvolti nella produzione sono soddisfatte - tutte le loro esigenze, non solo quelle di base. Questo non sarebbe un caso valido solamente a livello locale, ma si applicherebbe anche a livello mondiale, a tutti gli esseri umani, ovunque essi lavorino. Ogni volta e attraverso ciascuna transazione siffatta, il giusto prezzo avrebbe un effetto curativo che dinamizzerebbe l'intero organismo economico. Allo stesso tempo, sarebbe la base di una equità di entità mondiale. Questa comprensione del giusto prezzo si basa su intuizioni economiche ed è calcolabile; non dipende da una morale esteriore o da una attitudine etica o da una forzata "benevolenza". Gli individui possono crescere moralmente in seguito all'introduzione del giusto prezzo, ma questo non può mai essere un requisito necessario per la sua introduzione.

Un aspetto decisivo del giusto prezzo è il suo orientamento verso il futuro, dal momento che è proprio questo che garantisce un reddito che provvede per le esigenze future. In nessun senso il reddito deve valere come 'ricompensa' per prestazioni appartenenti al passato, bensì deve coprire i costi vivi dei produttori che sono proiettati in avanti. C'è semplicemente reddito e lavoro. Ma essi non sono collegati. Né il reddito può essere misurato in termini di lavoro, perché la logica del tempo, de facto, li separa. Il reddito viene prima mentre il lavoro lo segue. Il giusto prezzo è quindi sia il punto di partenza che il percorso stesso per una separazione di reddito e lavoro, separazione che è autenticamente sociale quanto foriera di eventi positivi di destino. Inoltre, quando attraverso il giusto prezzo il reddito copre tutte le esigenze future, esso fornisce anche la base per lo sviluppo e la creatività di ogni individuo, attraverso le cui facoltà sono soddisfatte le esigenze dei suoi simili.

Vi è, tuttavia, una difficoltà: il denaro è inevitabilmente collegato ad ogni transazione, e a causa di questo fatto, sorge davanti a noi un problema nascosto e appena percettibile che dobbiamo trovare il coraggio di affrontare. Nel corso degli ultimi due secoli, il denaro si è separato in modo sempre più evidente dall'economia reale, ricevendo nel processo un valore in-e-per se stesso. Questa situazione si basa su tre pratiche sempre presenti: l'acquisto di terreni (in luogo del diritto al loro uso esclusivo), le garanzie richieste per ottenere finanziamenti (invece del 'credito personale'), e l'enfasi sul controllo dell'inflazione nel settore della politica monetaria (invece di promuovere il giusto prezzo). Queste tre pratiche sono economicamente devastanti e impattano ogni transazione in tutto il mondo. Lo spazio qui a disposizione non ci permette una riflessione approfondita su questo argomento, ma è sufficiente dire che queste tre pratiche sono di ostacolo per ogni passo nella direzione verso il miglioramento dei processi economici reali.

Il lavoro come custode della dignità umana

Il reddito di base incondizionato enfatizza i diritti dell'individuo, liberandolo da eventuali richieste provenienti dalla più ampia comunità - da cui egli, allo stesso tempo, si stacca. Ma pone anche il lavoro in una luce sbagliata. Il lavoro non ha nulla a che fare con una libertà di quel tipo; al contrario ha a che fare con il karma. Il lavoro sorge laddove l'impegno del singolo verso gli altri incontra il riconoscimento degli altri, ma implica un rapporto, un legame, un incontro tra un punto e la sua periferia. E lì dove si dispiega il proprio destino individuale attraverso il riconoscimento dei bisogni degli altri. Il proprio lavoro risponde alle esigenze degli altri; le proprie esigenze sono a loro volta oggetto del lavoro degli altri. “Ma non si può dividere il pensiero che tanta gente lavori per avere il minimo dalla vita, dall'altro pensiero che si deve rendere alla società, non con denaro ma con lavoro, quello che viene prodotto per noi. Soltanto se ci si sente obbligati a restituire la quantità di lavoro che viene fatto per noi con lavoro in altra forma, soltanto allora si ha interesse per il prossimo. Il fatto che si dia il proprio denaro al prossimo significa soltanto poter tenere il prossimo sotto la nostra influenza, renderlo schiavo, costringerlo a lavorare per noi [3]. Solo attraverso il lavoro possiamo imparare a restituire ciò che abbiamo ricevuto attraverso il lavoro degli altri. Anche qui, l'esperienza di appartenenza alla comunità diventa tangibile nel suo profondo senso sociale e umano. Attraverso il lavoro si entra nella sfera dei diritti - qualcosa che non può essere mai comperato con il denaro. I diritti provengono dall'appartenenza ad una comunità, come del resto gli obblighi. Il lavoro è un obbligo del genere. “[...] ovviamente ciascuno è costretto, attraverso la sua situazione sociale, a lavorare e abbiamo solo la scelta tra lavorare o morire di fame [4]. Questa formulazione è forte ma coerente. Uno dei più importanti misteri della incarnazione umana è collegato con il lavoro: l'uso della volontà. Naturalmente, la civiltà moderna fa molto per paralizzare la volontà, per indebolire o addirittura rompere il collegamento tra l'Io della persona umana e la sua volontà terrena. Ciò riguarda la dignità umana, nulla di meno. E da questo punto di vista il lavoro può essere visto come un custode. Da questo stesso punto di vista anche l'idea del reddito di essere incondizionato è sia grave che pericolosa e rischia di buttare via il bambino assieme con l'acqua sporca.

Il reddito di base incondizionato e il giusto prezzo sono diametralmente opposti nella ricerca di un reddito garantito. Il primo cerca di coprire le necessità di base per mezzo di una regolare iniezione di liquidità, la seconda assicura che ai produttori vengano pagati prezzi che coprono tutte le loro esigenze. Dal punto di vista dell'egoismo, il primo si concentra sul proprio reddito, più precisamente sul denaro necessario per copre le esigenze di base di un singolo individuo, indipendentemente da dove provenga il reddito. Il secondo si concentra sugli altri esseri umani, sulla spesa - per la precisione, sulle necessità di tutti coloro che sono presenti invisibili dietro ad ogni prodotto. Inoltre, in questo modo si garantisce anche un sano funzionamento dell'organismo sociale, che è, in primo luogo, precondizione per il reddito.

Per quanto riguarda l'egoismo, c'è qualcosa che dobbiamo considerare in relazione a questo tema. E' noto che il mondo spirituale non può essere acceduto senza una adeguata preparazione. Oggi questo significa in primo luogo educare il proprio egoismo. Ogni passo oltre la soglia che sia motivato da interessi personali, da parte di un egoismo che non si è espanso per includere tutto il mondo e tutta l'umanità, impedisce un vero incontro con le realtà del mondo spirituale: essa porta solo a immagini illusorie, riflessi di desideri personali, che naturalmente appaiono belli e veri.

Con la vita economica moderna, anche noi entriamo in un altro mondo. Per molti aspetti, questo mondo sembra essere un riflesso del mondo spirituale. E in nessuno dei due mondi c'è un posto per l'egoismo: "l'economia deve estirpare di sana pianta ogni egoismo [5], perché falsifica i prezzi, dando loro una espressione illusoria. Ma anche l'interesse solo per se stessi genera "miseria, povertà e disagio [6] per tutta l'umanità.

L'unico modo possibile che vedo per prendere in carico il nostro futuro è attraverso il giusto prezzo. Il primo passo è quello di rendere questo concetto di base della teoria economica di Steiner – il giusto prezzo - accessibile e comprensibile a tutti, tutte le sue conseguenze incluse. Il secondo passo è quello di costruire delle reti associative - né troppo piccole né troppo grandi, e tutte collegate – con cui percepire e valutare i prezzi, e quindi passo dopo passo creare una consapevolezza per il giusto prezzo.

Il risultato sarebbe un fluttuante, differenziato paesaggio economico del giusto prezzo a livello mondiale. Come terzo passo sarebbe poi possibile mettere in atto fatti concreti, individuali e concertati, locali e generali, in modo che i prezzi di mercato, ora qui ora là, ma a poco a poco sempre più riflettano il giusto prezzo. In questo modo impareremo insieme a padroneggiare la vita economica, la vita economica dell'umanità...


Marc Desaules
Neuchatel, Svizzera
Estate 2013


Note:

[1] A causa dell'antagonismo di lunga data tra capitale e lavoro, dovuto al fatto che il lavoro viene normalmente trattato come una merce, la parola “lavoro” ha due distinti significati in economia. Il primo significato è più politico, per cui si riconnette al lavoro inteso appunto come merce, si connette ai salari, agli “operai”, e così via - come se chiunque non sia un “operaio” non possa essere considerato lavoratore in quanto tale. L'altro significato è una espressione economicamente più verace, vale a dire collegata ad attività umane di tutti i tipi, che vanno dal lavoro manuale al pensare, attività attraverso le quali l'essere umano esprime e sviluppa se stesso. Quando questo lavoro è adeguatamente remunerato, esso dà dignità all'esistenza umana non solo perché permette di soddisfare i propri bisogni in termini non di mera sussistenza, ma soprattutto perché l'individuo si sente interiormente riconosciuto. Nota di Christopher Hougthon Budd per la traduzione italiana del testo originale.

[2] Cfr. Rudolf Steiner, “I capisaldi dell'economia” conferenza del 29 luglio 1922, OO 340. Questa formula di Rudolf Steiner è tanto valida ed esaustiva tanto quanto il teorema di Pitagora.

[3] Rudolf Steiner, conferenza del 30 novembre 1918, OO 186, nella quale Rudolf Steiner descrive come solamente il lavoro possa essere scambiato con lavoro e come il denaro non possa essere mai un sostituto del lavoro.

[4] Rudolf Steiner, conferenza del 30 maggio 1919, OO 337a (non ancora tradotta). Estratto di una risposta di Rudolf Steiner alla domanda: “E' concepibile un lavoro obbligatorio?”

[5] “l'economia [per quanto riguarda produzione e scambio di merci] deve estirpare di sana pianta ogni egoismo...” 26.7.1922, OO 340.

[6] “...tutta la miseria umana è semplicemente una conseguenza dell'egoismo, e che in una comunità umana ... devono instaurarsi in un tempo qualsiasi miseria e dolore, se la comunità stessa si basa in qualche modo sull'egoismo” Antroposofia e questione sociale, OO 34.


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