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Bibliografia
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Articoli - Saggi
1. IntroduzioneNel dar vita alla propria impresa, l’imprenditore sviluppa direttamente o indirettamente complesse e multiformi relazioni con i propri collaboratori, gli azionisti, i fornitori, i consumatori, etc.. L’entità sociale che di fatto deriva da questa attività, è oggi immersa in un ambiente straordinariamente mutevole e “liquido” a causa delle incessanti innovazioni tecnologiche, delle profonde e rapide trasformazioni sociali e, in generale, di un mondo sempre più interconnesso e globalizzato. Gli attuali contesti produttivi impongono quindi all’impresa uno straordinario dinamismo, frutto di collaboratori intraprendenti e proattivi, di fatto coinvolti in un continuo processo formativo ed operanti in un contesto di fiducia reciproca tra le funzioni aziendali che massimizzi motivazione e performance individuale. Queste esigenze tuttavia non sembrano aver stimolato alcun serio ripensamento del rapporto salariale così come ci si presenta oggi nella sua sostanza, ignorando di fatto ciò che esso implicitamente introduce tra imprenditore e collaboratori in relazione al valore da essi coprodotto e come questo si rifletta poi sulle performance dell’intera azienda. Profonde fratture permangono quindi tra imprenditori e dipendenti che invece di co-laborare per il bene sociale comune, nel cosiddetto “mercato del lavoro” trasformano in vertenza sindacale permanente ciò che dovrebbe essere equa compartecipazione. L’inconscia consapevolezza della strumentalizzazione che deriva dalla condizione salariale, è ciò che al lavoratore tenderà a manifestarsi come disagio, frustrazione e senso di vuoto interiore a fronte della percezione di essere considerato nulla più che un “meccanismo” - sebbene particolarmente complicato - all’interno degli ordinari processi produttivi. Tutto ciò può essere messo in relazione con i “corollari” della cosiddetta legge sociale fondamentale enunciata da Rudolf Steiner e delle sue implicazioni nei confronti della comunità in cui si è inseriti:
Ma, come ci ricorda Hans Georg Schweppenhäuser, la fabbrica e l’ambiente di lavoro in generale sono realmente la prima comunità in cui si è inseriti o potenzialmente si potrebbe essere inseriti in modo libero. In questo senso, diventa cruciale dare una risposta a questa domanda: all’interno di questo consesso sociale come fare a sviluppare l’interesse per l’altro mentre si svolge il proprio lavoro? La risposta è sintetizzata efficacemente da Schweppenhäuser stesso quando ci porta a consapevolezza la reale natura del capitale e la sua connessione e compito presso la sfera culturale:
Questo interesse può dunque destarsi qualora si percepisca come una parte del capitale prodotto dall’organizzazione alla quale si fornisce la propria prestazione alimenti una sfera culturale partecipante a pieno titolo al processo economico. Il dominio culturale infatti vi contribuisce attivamente facendo nascere, in coloro che animano la comunità, nuove competenze che si riverseranno nuovamente nel processo produttivo. Vedremo ora come questi temi siano stati affrontati in Elysia Commons. 2. Il modelloElysia Commons è il primo pilota di una entità economica costituita da un ecosistema di organizzazioni private profit e no-profit indipendenti ma interconnesse tra di loro in una sorta di simbiosi mutualistica. La mission di tale modello – denominato Civil Ecology Corporation (CEC) dal suo ideatore e fondatore Sebastian Parsons – consiste nel ricollegare la creazione di valore, da una parte, al benessere individuale dei collaboratori delle organizzazioni associate e, dall’altra, a quello della comunità in cui esse si trovano inserite. Il termine benessere va preso qui nella sua accezione più estesa (well-being), è da intendersi cioè come concetto olistico che, travalicata la mera sfera fisica, comprende anche aspetti sociali, emotivi, psichici e spirituali dell’essere umano; la sua misura rappresenta la qualità della vita di una persona. In questo senso, l’attività lavorativa, essendo un potente fattore generativo di relazioni individuali, è a tutti gli effetti una questione di benessere: un ambiente sociale in cui si sviluppano relazioni sane, costruttive e stimolanti evidentemente lo migliorano in modo sensibile. Lo stesso si può dire per il riconoscimento e la valorizzazione dei propri talenti. Perfino l’impiego che l’impresa fa del valore creato grazie alla prestazione lavorativa o la modalità in cui questo è conseguito è una questione di benessere in quanto influisce sottilmente su motivazione e significato del proprio lavoro nel contesto sociale di appartenenza: in quale misura il mio lavoro è utile alla società? Che impatto ha sull’ambiente ciò che faccio? Esattamente a vantaggio di chi va la mia prestazione? Promuovere efficacemente il benessere individuale può essere un obiettivo particolarmente sfidante per una singola organizzazione e molto dipende dal tipo di prestazione erogata. Ad esempio, in un ente non profit, per un educatore o un terapeuta la relazione tra prestazione e suo significato è immediata ed evidente (significato esplicito). Per un lavoratore di una organizzazione profit invece, è molto più difficile portare a consapevolezza questa relazione (significato implicito) – soprattutto nel caso di occupazioni ripetitive e a scarso valore aggiunto. Ma ciò che è arduo per una singola organizzazione può risultare invece agevole per un ecosistema di organizzazioni, come la CEC, strutturato per dirigere parte del surplus prodotto a sostegno del terzo settore e di coloro che si occupano di salute, educazione, arte. Bilanciando e orchestrando le risorse prodotte, complessivamente è possibile trasformare il significato implicito (al livello della singola organizzazione) in esplicito (a livello di sistema) con effetti sul benessere non solo individuale ma anche collettivo, ovvero quello della comunità in cui i lavoratori sono inseriti rendendo di fatto più stretto il legame impresa-territorio e più resiliente la comunità che ne deriva. Già da questi primi accenni, la CEC dovrebbe apparire come qualcosa di peculiare nel variegato panorama delle imprese sociali. Per quanto riguarda sia la forma giuridica che le finalità, non è infatti né un semplice gruppo di imprese, né una cooperativa, né una impresa con un particolare e sofisticato modello di responsabilità sociale. Non è neppure una forma mutualistica o un modello di business sociale per il quale il surplus viene semplicemente redistribuito internamente ai lavoratori-proprietari dell’impresa[3]. Con una immagine, si può sintetizzare la CEC come una soluzione sistemica, un organismo economico che attraverso i suoi processi di “respirazione economica” (espirazione – profit, inspirazione non profit), compensando continuamente le unilateralità altrimenti nocive che si svilupperebbero nei propri organi interni, vive e muove in modo consapevole nel proprio ambiente per raggiungere la mission che si è data. Parti costitutive Essenzialmente nell’architettura di una CEC si possono distinguere le seguenti parti costitutive:
Rapporti interfunzionali tra le parti Suddivisione del profitto Lo schema in calce esemplifica i rapporti esistenti tra le varie parti della CEC in relazione ai flussi degli investimenti e alla suddivisione dei profitti, cui si è già fatto cenno nel paragrafo precedente. Tutto il dividendo ordinario di profitto viene gestito come segue:
Fig. 1. Architettura funzionale di Elysia Commons
Asset lock e purpose lock La CEC vincola a sé le varie organizzazioni membro attraverso meccanismi giuridici ed organizzativi. I primi sono essenzialmente dei vincoli sugli asset (asset lock) a salvaguardia del particolare modo in cui è interpretata la proprietà dell’impresa nel suo complesso e quindi la sua struttura societaria; i secondi sono invece vincoli sulle finalità (purpose lock) a salvaguardia dei suoi scopi etici. I vincoli sugli asset garantiscono che le imprese profit non divengano oggetti di compravendita: di fatto i proprietari ultimi della CEC sono i collaboratori stessi delle organizzazioni profit di cui essa è costituita ed è da essi gestita democraticamente attraverso il Consiglio. In esso ciascun lavoratore esprime un voto. I vincoli sulle finalità impediscono che nel futuro possano essere modificati i compiti per cui la CEC è stata creata[3]. Anche le regole derivanti dalla codifica di questi vincoli sono di pertinenza del Consiglio. A capo di esso viene eletto ogni sette anni un amministratore delegato il quale a sua volta può nominare un presidente il cui unico potere è quello di sciogliere il Consiglio qualora rilevasse gravi violazioni al mandato etico della CEC. Dopo lo scioglimento del Consiglio, il presidente è tenuto a sua volta a dimettersi e non può assumere lo stesso incarico nel nuovo consiglio. Ma l’adozione degli asset lock – che realizzano nell’ambito della economia associativa steineriana la cosiddetta neutralizzazione della proprietà – ha ulteriori e più profondi impatti sulla struttura societaria della CEC. Sappiamo che a capo di ciascuna organizzazione profit viene posto un direttore responsabile dotato di ampi poteri ed autonomia. Di fatto egli potrà disporre di essa in modo esclusivo, come se fosse la propria in senso ordinario, ma non avrà possibilità di venderla per quanto detto. La CEC detiene infatti la proprietà di tutte le organizzazioni attraverso azioni ordinarie di tipo “A”. I manager delle varie imprese invece posseggono azioni di tipo “B” che consente loro di esercitare un potere gestionale ma senza dividendi. Questi ultimi vengono prodotti solamente dalle azioni di tipo “A”. In questo modo si realizza il vincolo sugli asset: il possesso delle azioni di tipo “B” comporta sì l’accesso completo ed esclusivo al capitale ma non la possibilità di vendere l’organizzazione. Risulta infatti preclusa la possibilità di acquistare questi asset poiché gli azionisti di tipo “B”, i manager, possono essere nominati solamente dall’azionista di tipo “A”, la CEC. Diversamente le azioni “B” possono essere cedute dall’attuale manager ad altra persona che gli subentri nello stesso ruolo a fronte però di nessuna contropartita. Si tratta dunque di una cessione a valore nullo. L’obiettivo è di evitare la compravendita delle organizzazioni e assicurarsi che a capo di esse ci siano sempre le persone più qualificate e capaci. Solo qualora il manager attuale non avesse scelto nessun successore perché non ne ha avuto la possibilità oppure non ne ha trovato alcuno valido, la CEC può mettersi alla ricerca di un nuovo manager attraverso una sua funzione specifica. Il diritto a una quota dei profitti di qualsiasi organizzazione della CEC non può quindi essere acquistato. Questo è l'effetto diretto della cosiddetta neutralizzazione del capitale. Il capitale che si accumula attraverso le attività commerciali di tipo profit viene trattata al più in tre modi:
Il pagamento degli interessi su azioni privilegiate [letteralmente: preference shares] è diversa dalla condivisione di profitto attraverso azioni ordinarie. Si tratta in effetti di un prestito in cui i pagamenti sono parte del rischio dell'organizzazione che produce il profitto. Il principio fondamentale è che se l'organizzazione produce un profitto, allora il pagamento è in proporzione all'investimento e non al profitto. Il rispetto del mandato etico della CEC, rappresenta dunque per il manager un invito a comportarsi in modo conforme. Si tratta di un risultato che può emergere, secondo la conoscenza steineriana della triplice natura dell’essere umano, solo quando, con il pensiero, avremo compreso a fondo il nostro compito, con il sentire avremo acceso il fuoco della motivazione e con la volontà avremo iniziato ad dar seguito alla nostra azione. Un processo che non termina mai, che si trova in perenne svolgimento e deve essere sempre rinnovato attraverso una instancabile ricerca. Nella CEC ciò si traduce innanzitutto nel rendere operante questa “semplice” ipotesi lavorativa: si raggiungerà un sano ambiente di lavoro tanto più facilmente quanto più è presente una cultura di trasparenza e di sviluppo individuale. Per la sua promozione, la CEC agisce strutturalmente finanziando lo “sviluppo spirituale” dei suoi collaboratori intervenendo nelle seguenti aree:
Ci sono altri due poteri che gli azionisti di tipo ”A” dispongono nei confronti di ciascuna organizzazione e che li aiuta a gestire l’integrità etica della CEC. Il primo prevede che essi abbiano facoltà di rimuovere un direttore responsabile che si sia ammalato o che abbia commesso degli illeciti. Questo potere potrebbe colpire anche quegli amministratori che non forniscano le informazioni concordate agli azionisti in modo tempestivo, inesatto o fuorviante. Il principio è la protezione della trasparenza. Il secondo stabilisce che la remunerazione dei direttori responsabili delle varie organizzazioni debba essere concordata con il Consiglio. Questo aspetto verrà trattato più estesamente nel prosieguo. Avendo una politica chiara e coerente, e se necessario, limitando la retribuzione dei direttori responsabili, la CEC può dissuadere le persone per le quali la ricchezza è l’unica distorta motivazione per entrare a far parte di stessa. Non vi è alcun principio teorico nella CEC per il quale debba sussistere una generica penuria o livelli retributivi particolarmente bassi. La remunerazione dovrebbe essere proporzionata e competitiva. Poiché non c'è un incentivo finanziario derivante da plusvalenze che possa spingere le imprese a fondersi in una CEC, non si prevede che le sue organizzazioni possano raggiungere dimensioni particolarmente grandi. Agli azionisti di classe "A" tuttavia non viene concesso esplicitamente e volutamente il potere di assunzione e licenziamento dei manager delle sue organizzazioni perché, se così fosse, allora ciascuna di esse cesserebbe di essere veramente gestita dal suo proprietario/manager. Ogni azienda può fallire e ciò non può essere impedito neppure dalla CEC. I poteri per rimuovere i direttori responsabili si limitano alla capacità di questi a svolgere il proprio ruolo e al rispetto del patto con gli azionisti. In conclusione, il potere del Consiglio è alquanto limitato. Esso rappresenta in un certo qual modo la “sfera del diritto” dell’intero sistema in cui vengono stretti gli accordi, ma ha una capacità molto limitata di intervento diretto nella vita delle organizzazioni che la compongono. E’ prevedibile che ci sarà una quantità infinita di negoziazioni e stipula di accordi, ma con uno scopo chiaro e semplice e chiari principi fondanti a guidare il tutto, questa rete di imprese può essere vista a ragione come una sorta di ecosistema autoregolantesi e risulta quindi appropriata l’originale locuzione di Civil Ecology Corporation che le è stata attribuita dal suo fondatore.
![]() Fig. 2. Schema societario.
L’imprenditore La CEC riconosce che le capacità imprenditoriali rappresentano il motore primo dell’innovazione e dell’economia: fondare un'organizzazione e portarla all'esistenza dal nulla, è una attività assolutamente legata alla nostra essenza più profonda. In un organismo sociale sano un imprenditore capace deve poter sempre aver accesso alle risorse necessarie a far sì che la sua visione possa effettivamente prender corpo in una determinata realtà produttiva. Ma al tempo stesso questa visione non deve “incarnarsi eccessivamente” nell’organismo economico al punto da perdere la propria finalità ultima – soddisfare un bisogno umano – e finire per deformarsi sotto la pressione esercitata dalle forze agenti nella sfera economica normalmente orientate alla sola massimizzazione del profitto. La CEC favorisce questo processo di incarnazione ma al tempo stesso neutralizza i suoi possibili effetti collaterali agendo in due momenti distinti della vita dell’impresa. In un primo stadio (entrepreneurial phase), quello in cui l’organizzazione prende forma attraverso l’opera creativa dell’imprenditore, il vincolo sugli asset di cui si è già detto impedisce all’imprenditore di vendere la propria impresa. Superata la prima fase pionieristica, l’organizzazione entra nella seconda fase (corporate phase) in cui essa inizia a camminare con le proprie gambe ovvero inizia finalmente a divenire redditizia. Intorno a questo momento, la CEC consente a che l’imprenditore venga rimborsato del capitale profuso nell’attività e venga liquidato prima che l’organizzazione entri nella fase corporate. Così, quando arriva il momento giusto, il fondatore dovrebbe essere ripagato. Il denaro per questo potrà fluire da varie fonti:
In certi casi l’imprenditore/manager di una data organizzazione potrebbe anche non essere liquidato. Ad esempio potrebbe accadere qualora il fondatore non voglia esserlo oppure quando la liquidazione potrebbe mettere in crisi l’azienda. Ad ogni modo ciò che segna la fase corporate di una azienda è la produzione di profitto che per statuto deve ritornare nel grembo della CEC una volta appunto che sia stato ripagato lo sforzo imprenditoriale che ha portato alla sua creazione. L'obiettivo della CEC è infatti quello di crescere, di ampliare il numero di organizzazioni ad essa associate. In calce è visibile uno schema che riepiloga le relazioni descritte. La remunerazione Il denaro ricevuto come stipendio è una questione personale del collaboratore e viene fissato ad un livello equo in co-decisione (accordo) tra impresa e collaboratore. In linea di principio, ogni sua singola impresa deve essere libera di pagare il livello di stipendio che la persona con le competenze necessarie si aspetta di ricevere. La CEC è un ambiente sociale di imprese il cui l'obiettivo è costituito da attività che hanno finalità sociali rilevanti e significative, tuttavia ciò non richiede un particolare sacrificio nel livello di retribuzione dei collaboratori. La remunerazione è una questione di equilibrio, equità e ricompensa per il successo co-creato, e in quanto tale, questa ricchezza personale, guadagnata in base ad equi accordi, è considerata una questione privata. Pertanto, spetta ai manager delle singole imprese negoziare la retribuzione dei loro collaboratori, ma è tra i manager e la CEC che la remunerazione del manager viene concordata. Ciascuna impresa e relativi collaboratori sono liberi nel rendere pubbliche le loro retribuzioni, ma, per politica della CEC, la retribuzione concordata con i direttori responsabili è sempre resa pubblica. L'effetto del controllo esercitato dai soci di tipo "A" sulla retribuzione degli amministratori è che ogni singola impresa non "gonfierà" le sue spese del personale per evitare di pagare un dividendo e condividere il suo profitto. L'unico modo con il quale i direttori responsabili potranno aumentare i loro guadagni è dichiarando un dividendo utile ordinario da versare alla CEC. 3. L’implementazioneElysia Commons è la prima implementazione esistente del modello della CEC che abbiamo appena descritto. ![]()
Fig. 3. Struttura di Elysia Commons
Elysia Commons è costituita attualmente dalle seguenti attività for profit: E dalle seguenti attività non profit: Le proprietà immobili e i terreni vengono invece gestiti dalla società Stockwood Community Benefit Society Ltd. una mutually owned organization, ovvero una società mutualistica[4]. Piuttosto diffuse nel mondo anglosassone, queste organizzazioni consentono agli investitori di finanziare la proprietà di un bene venendone remunerati con il reddito da locazione. Si tratta quindi di un investimento a basso rischio, coperto da un bene reale, che fornisce un reddito certo, il che fa sì che molte persone lo utilizzino per condividere fiduciosamente i loro risparmi. Ciò comporta che Elysia Commons si occupi di formare adeguatamente il personale delle mutue per garantire che essi sappiano come gestire gli immobili, trovare gli affittuari e garantire che gli investimenti ricevuti siano adeguatamente protetti. E’ bene notare qui come la soluzione delle mutuals rappresenti un compromesso rispetto ai principi della tripartizione poiché esse consentono di fatto una rendita anche a chi non risulta essere l’unico fruitore della proprietà che può quindi essere ancora venduta in determinate circostanze. In questo senso la cosiddetta neutralizzazione della proprietà non sarebbe completa. La scelta di utilizzare questo tipo di società è tuttavia stata presa consapevolmente dal fondatore di Elysia Commons considerando pragmaticamente da un lato l’impossibilità di operare altrimenti nelle attuali condizioni di mercato e dall’altro osservando l’effetto esercitato sulla natura umana di una proprietà data in affitto rispetto ad una elargita a titolo gratuito. Nel primo caso la proprietà viene infatti maggiormente tenuta da conto e gestita conseguentemente. In Elysia Commons si è inoltre ritenuto opportuno inserire una rappresentanza del Consiglio sia nella fondazione ECF che nel fondo di sviluppo economico EDF. Questo un tanto per garantire il rispetto delle finalità etiche di Elysia pur lasciando piena autonomia ad entrambe le organizzazioni. In Elysia Commons la struttura della sua amministrazione risulta alquanto articolata in ragione delle numerose funzioni che essa è chiamata a svolgere e comprende un discreto numero di uffici o servizi. Non ci si riferisce qui tanto a funzioni amministrative “ordinarie” che possono essere trovate in un qualunque gruppo di imprese, quanto funzioni specifiche legate alla natura di Civil Ecology Corporation di Elysia; il loro numero potrebbe variare quindi nel tempo o a seconda delle condizioni culturali ed economiche presenti nel luogo in cui la CEC sorge. Tra essi troviamo:
![]() Fig. 4. Schema amministrazione.
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Fig. 5. Funzionamento di Elysia Commons
Un’altra rappresentazione di Elysia Commons che mette in evidenza anche i flussi finanziari esistenti tra i suoi organi principali è visibile in fig.5. Come si è visto, una parte del surplus viene utilizzato per sviluppare le abilità individuali dei collaboratori attraverso organizzazioni non profit residenti e programmi di sviluppo ed autoformazione. L’effetto generato da questo flusso di “denaro di dono” (frecce blu) si riverbera sia sugli individui aumentando il loro benessere personale, sia sul business migliorando le performance globali. Il flusso generato invece dal “denaro di investimento” (frecce rosse), alimentando le riserve della banca d’investimento comunitaria (EDF), consente a nuove organizzazioni profit di entrare nel perimetro di Elysia. Il ciclo della remunerazione (in verde) invece è destinato alle necessità materiali dei collaboratori di Elysia – in quanto “denaro di acquisto” – mentre ciò che rimane sostiene il mantenimento dell’elemento portante della comunità, la sua amministrazione intesa in senso ampio. 4. ConclusioniA distanza di quasi un secolo dal sfortunato tentativo del Kommende Tag, ci si potrebbe domandare per quale motivo un modello d’impresa come quello di Elysia Commons possa essere ancora considerato adeguato nel contesto attuale nonostante tutte le innovazioni apportate al modello a cui in qualche modo è riconducibile. Ad esempio, è da vedere se portando all’interno dell’impresa il no-profit si possa realizzare un surplus superiore a quello che si avrebbe se lo si sostenesse lasciandolo più semplicemente all’esterno. La sostenibilità finanziaria di lungo termine potrebbe allora dipendere molto dal tipo di business delle organizzazioni profit sottostanti, ma bassi costi di gestione ed alta resa, paradossalmente, risultano tipici proprio delle speculazioni borsistica e delle rendite immobiliari piuttosto che dell’agricoltura biodinamica. E Rudolf Steiner, agli industriali che chiedevano indicazioni pratiche per realizzare i primi passi verso la Tripartizione, rispondeva di gettare da subito le basi di un associazionismo su larga scala mettendo via via a fattor comune settori produttivi affini coinvolgendo i relativi addetti alla distribuzione e i consumatori. A quel tempo una iniziativa come quella del Kommende Tag gli dovette apparire come l’unico compromesso realizzabile. Le difficoltà di allora tuttavia sono purtroppo ancora quelle di oggi e i primi passi verso la Tripartizione probabilmente possono essere ancora affidati a piante pioniere come Elysia Commons. Almeno, rispetto alle molte iniziative di business sociale che risultano in costante aumento, Elysia Commons è ben consapevole di dove essa si trovi e dove vorrebbe andare. Si tratta di una iniziativa coraggiosa e generosa ed una sua sperabile diffusione potrebbe costituire un efficace fattore di rinnovamento sociale poiché rende manifesta nel suo microcosmo l’articolazione che la sfera economica, giuridica e culturale devono avere per fare dell’organismo sociale un organismo in sé sano. Note:[1] Da "Scienza dello spirito e problema sociale" pag. 231 In appendice a “I punti essenziali della questione sociale”]. [2] Hans Georg Schweppenhäuser, "La proprietà dei mezzi di produzione" estratto dal terzo capitolo, I quattro vizi di fondo della moderna condizione sociale. [3] In questo ambito un esempio interessante è costituto dalla John Lewis Partnership. [4] Per società mutualistica (mutual organization) si intende “un'organizzazione basata sul principio della mutualità. Diversamente da una vera e propria cooperativa i suoi membri normalmente non contribuiscono al capitale dell'impresa con un investimento diretto, ma maturano il loro diritto ai profitti e al voto in quanto clienti. (...) Essa esiste allo scopo di raccogliere fondi dai suoi membri o clienti (denominati collettivamente 'membri') che possono poi essere utilizzati per fornire servizi comuni a tutti i membri.” Fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/Mutual_organization Per approfondimenti sul tema:
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