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Crisi bancarie: la verità non detta

di Ugo Antonio Abate

02/2018



Il 2017 appena trascorso passerà alle cronache della recente storia italiana come l’anno dell’aspro dibattito sulla crisi del sistema bancario e sul modo di affrontare il difficile problema dell’enorme sua mole di crediti in sofferenza. A dire il vero, più che di un dibattito si è trattato di uno scontro tra le Istituzioni del Paese, una vera e propria guerra per bande, da un lato, coloro che volevano umiliare e distruggere una sottosegretaria di governo, accusata di voler proteggere suo padre coinvolto nello scandalo di una banca fallita ma dando l’impressione di volerla umiliare oltreché come personaggio politico anche per la bella donna che è, e dall’altro, coloro che, difendendola, spostavano le loro attenzioni aggressive sul governatore della Banca Centrale, accusandolo di non aver sufficientemente vigilato su banchieri rivelatisi disonesti per le loro truffe in danno dei risparmiatori. Insomma, un problema squisitamente tecnico di natura bancaria, sia pur degenerato in comportamenti a dir poco delittuosi, si è ben presto trasformato in strumento di lotta politica e personale. Nessuno però, da quanto si è detto e scritto, ha pensato di andare alle origini, alle vere motivazioni di questo generale disastro del mancati rimborsi dei finanziamenti concessi dalle banche ai loro clienti-imprese.

In questo articolo vorrei tentare di ricostruire, sia pure per grandi linee, le cause che hanno portato a questa profonda crisi sistemica.

A mio avviso bisognerebbe andare molto indietro nel tempo, almeno di un centinaio d’anni e cioè all’inizio del secolo scorso quando, anche per finanziare la corsa agli armamenti in previsione della imminente prima guerra mondiale, il governo italiano di allora sollecitò il sistema bancario il quale, obbediente, concesse mutui a Stato e imprese con piani di rimborso a lungo termine, ma con denaro prelevato dai conti correnti e dai depositi a breve, che per loro natura hanno invece la caratteristica di dover essere immediatamente disponibili a richiesta della clientela. Ne conseguì il fatto scellerato che le banche si ritrovarono illiquide nel momento in cui il cliente si presentava agli sportelli per prelevare il proprio denaro. Le banche persero ben presto di affidabilità, con il paradosso che l’Italia vinse si la guerra ma il sistema bancario crollò. Seguì un periodo di grandi incertezze sul mercato finanziario italiano, conseguenza anche della crisi di quello internazionale, culminata con il disastro borsistico americano del 1929. Per ridare credibilità al sistema bancario il governo fascista ne mise allora in atto una riforma salutare, affidandola a una personalità del mondo accademico, molto ascoltata anche in campo politico e finanziario. Si chiamava Alberto Beneduce: massone, dopo la laurea in matematica aveva insegnato Statistica economica alla Sapienza di Roma e aveva collaborato con il primo sindaco della capitale, anch’egli massone, Ernesto Nathan. Amico personale del Duce, con il quale aveva condiviso da giovane gli ideali socialisti, era figura poliedrica. Si era sposato a vent’anni ed aveva avuto cinque figli, quattro femmine e un maschio; alle prime tre aveva dato nomi di chiaro richiamo ideologico: Nuova Idea Socialista (meglio conosciuta poi come Donna Idea quando sposò colui che sarebbe diventato il guru della finanza italiana, Enrico Cuccia), Vittoria Proletaria e Italia Libera. Così fantasioso nel privato, gli erano riconosciuti nel pubblico, rigore, competenza e un alto senso dello Stato; ragion per cui era stato chiamato a ricoprire prestigiosi incarichi in varie Amministrazioni Pubbliche: Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, Amministratore delegato dell’INA (Istituto Nazionale delle Assicurazioni), Presidente della Bastogi (Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali), e poi dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), dell’ICIPU (Istituto di Credito per le Imprese di Pubblica Utilità) e del CREDIOP (Istituto per il Credito alle Opere Pubbliche), promotore e fautore di importanti Enti pubblici quali l’IMI (Istituto Mobiliare Italiano), l’Istituto nazionale dei Cambi, ecc.). Nel 1936, insieme al governatore della Banca d’Italia di allora Bonaldo Stringher, promosse la citata riforma del sistema bancario, separando il credito commerciale da quello di investimento: gli Istituti bancari cioè vennero divisi in tre fasce, le Banche di credito a breve (quelle che hanno gli sportelli aperti al pubblico), le quali potevano finanziare la clientela-imprese con credito di durata massima di 5 anni facendo provvista dai depositi a breve (conti correnti o vincolati fino a 5 anni); gli Istituti di Credito Speciale che finanziavano le imprese industriali con mutui ipotecari di durata dai 5 ai 20 anni con denaro proveniente dalla vendita delle proprie Obbligazioni di pari durata, e infine gli Istituti di Credito Fondiario e gli Istituti di Credito Agricolo che potevano erogare mutui di durata fino a cinquant’anni facendo cassa con le famose Cartelle di Credito di uguale scadenza dei mutui. Veniva cioè impostato in ambito bancario un sistema virtuoso, dove i flussi di denaro si mantenevano omogenei in entrata e in uscita, e ciò per evitare il ripetersi di quanto avvenuto negli anni della prima guerra mondiale, quando con denaro a breve termine venivano erogati finanziamenti di lunga durata, innescando quelle disastrose situazioni di illiquidità che avevano causato all’epoca numerosi fallimenti bancari.

Con la riforma del 1936 il sistema bancario recuperò affidabilità, tale da produrre il secondo paradosso: l’Italia uscì sconfitta dalla seconda guerra mondiale ma il sistema bancario tenne. Non solo, il rispetto delle competenze nell’ambito delle rispettive fasce di credito per quanto riguarda le dinamiche dei flussi di denaro consentì al Paese nel dopoguerra un’ordinata ricostruzione industriale, sfociata nel famoso boom economico degli anni ‘60 e ‘70. Tale assetto bancario, vero gioiello di architettura finanziaria, si è protratto fino al 1992, quando il governo Amato, con il patrocinio dell’allora Presidente della Repubblica Ciampi, ex governatore della Banca Centrale, decise la sostanziale abolizione della riforma del 1936, chiudendo tutti gli Istituti di credito industriale, fondiario e agricolo e facendone assorbire le funzioni alle Banche di credito a breve. Ed è qui che iniziano i problemi attuali del credito: Istituti che per loro natura sono Enti di servizio alle imprese vennero caricati di competenze per le quali non erano culturalmente preparati. Le Banche di credito a breve, infatti, possiedono l’ottica dell’affidamento, quel servizio che la Banca offre all’impresa sostenendola nella sua gestione, cioè anticipandone i costi (anticipo di fatture, anticipo sugli effetti, anticipi di liquidità). Diversa è invece l’ottica del finanziamento, che mira a sostenere l’impresa nei suoi investimenti in strutture, impianti e macchinari, e con il quale in sostanza la banca ne anticipa i ricavi (che l’impresa conseguirà proprio attraverso l’utilizzo degli investimenti finanziati). Si tratta, a ben vedere, di due ottiche completamente differenti, la prima guarda al presente dell’azienda, alla sua gestione quotidiana, la seconda sbircia invece nel suo futuro, quantomeno al periodo di rimborso del finanziamento concesso. È questa controriforma del 1992, a sommesso avviso dello scrivente, la vera causa dell’enorme mole di crediti insoluti che oggi gonfia pesantemente i bilanci delle banche, le quali all’epoca furono colte in contropiede da un carico di lavoro quanto mai distante dalla loro natura, una sorta di palude culturale che il sistema bancario non sembra ancora aver superato (ne è riprova il fatto che oggi i Direttori delle filiali non possono concedere neppure piccoli finanziamenti senza l’autorizzazione degli organi centrali della Banca). C’è anche da ritenere che, con questa controriforma, molte regole siano saltate, consentendo forse anche l’impossibilità di vigilare rigorosamente sui comportamenti disinvolti di banchieri disonesti. A dirla in breve, siamo tornati indietro di cent’anni, quando non si faceva differenza tra credito a breve, a medio e a lungo termine. Va anche detto però, per obiettività, che questa controriforma del 1992 si era trovata fin da subito a confrontarsi con l’avvio di un periodo negativo del ciclo economico. Tuttavia, come la riforma bancaria del 1936 aveva consentito di superare i forti scossoni dati all’economia nazionale dall’ultima guerra, non è fantasia pensare che, se non abolita, quella riforma avrebbe potuto parimenti fronteggiare la lunga perdurante crisi economica dalla quale il Paese non è ancora completamente uscito.

Di tutto questo non si fa menzione nei pubblici dibattiti: i politici non ne parlano, quelli più anziani sono di memoria corta, quelli più giovani sono più giustificati (‘equidem natus non eram’), mentre i banchieri, ma non per loro colpa, forse si vergognano della loro impreparazione e dell’immagine non proprio cristallina che oggi ha di loro la pubblica opinione.

Come concludere questo articolino su un argomento così serioso e dai risvolti anche drammatici (si pensi ai suicidi accaduti!)?. Voglio chiudere allora con qualcosa di più leggero, una nota di colore magari, un momento di ironia che recuperi ottimismo. Al contrario dei politici e dei banchieri, chi sembra aver capito tutto è la gente comune, e non solo i risparmiatori truffati. Pare proprio così: 24 dicembre scorso, la domenica della vigilia, sono entrato in chiesa, era piena di gente, e mi sono sentito emozionato, direi pure coinvolto da quella dolce atmosfera dei canti natalizi, persone di ogni età cantavano devote ‘Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo...’. Ma a un certo punto vengo colto da sorpresa: nel ritornello la gente cantando implorava: ‘Ahi quanto ci costò l’averci Amato!...’.