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Il reddito di base incondizionato
Riflessioni sulle presentazioni di Götz Werner e Benediktus Hardorp

Heidjer Reetz

1/2010

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Il reddito di base incondizionato quale prestazione economica e quale diritto

Il reddito di base incondizionato si intende come prestazione economica che la società dovrebbe offrire a favore del singolo e/o, a seconda dell’opinione dei sostenitori di questa idea, che la società sta già fornendo al giorno d’oggi, ma non incondizionatamente, bensì vincolata a condizioni indegne della dignità umana come possono essere ad esempio i requisiti e le inutili lungaggini burocratiche. La novità è il modo in cui si rivendica questa prestazione: i sistemi attuali di solidarietà ed i meccanismi di redistribuzione dovrebbero essere sostituiti e ottimizzati possibilmente da un unico sistema. Contemporaneamente tutte le modalità fiscali dovrebbero essere convogliate in un sistema di imposte sulla spesa. In questo modo la distribuzione e le imposte su beni e prestazioni economiche dovrebbero diventare più trasparenti e a misura d’uomo.

Il reddito di base incondizionato dovrebbe essere considerato altresì un diritto come lo sono i diritti di base ed i diritti dell’uomo. Quindi, quale diritto incondizionato potrebbe essere impugnato, ossia, se il reddito di base incondizionato venisse deliberato democraticamente, quindi reso legge dal parlamento della Repubblica Federale Tedesca, ogni singola persona sarebbe tenuta a denunciare l’autorità pubblica competente se quest’ultima non dovesse pagarle il reddito di base incondizionato, p.e. l’ufficio delle imposte o l’ufficio di collocamento. Non sarebbe erogabile, se lo Stato, attraverso i cui conti fiscali e socio-burocratici il reddito di base dovrebbe passare, non potesse più provvedere al pagamento, perché, per qualsivoglia motivo, non sarebbe più in grado di onorare i suoi impegni. Dal punto di vista giuridico si creerebbe la circostanza, secondo la quale un creditore, le cui rivendicazioni non verrebbero esaudite, avrebbe davanti a sé, sia i debitore che la stessa istituzione, la quale è tenuta a concedergli il diritto, ma anche ad adempiere alle rivendicazioni di quest’ultimo.

Si pone quindi la domanda: le persone economicamente deboli e politicamente senza diritti possono veramente essere aiutate da dette rivendicazioni e fino a che punto queste rivendicazioni sono realistiche? Saranno discussi i seguenti quesiti : al punto 1, le condizioni sociali. Al punto 2, ci sarà un confronto tra i diritti fondamentali e la loro evoluzione storica dal punto di vista presentato in questa sede. Al punto 3. tratterò delle leggi degli eventi del ciclo economico. Attraverso la legalità, l’economia è vista come unità intera che risulta essere di più della somma delle sue parti. Spero di fornire alcune basi utili per la formulazione di un giudizio individuale.

1. Le condizioni per un reddito di base incondizionato

Anche il reddito di base incondizionato è sottoposto a delle condizioni sociali. Deve essere incondizionato solamente in riferimento alla singola persona. Il pagamento del reddito a favore del singolo non dovrebbe essere legato ad alcuna condizione. Riferito alla società non si può parlare di situazione incondizionata. Nei punti da a) a d) si accennerà alle condizioni sociali che dal mio punto di vista sono essenziali.

a) La prima condizione fondamentale sociale è quella di un’economia reale: Il reddito di base incondizionato deve essere prodotto come qualsiasi altro reddito. Il denaro vale qualcosa solamente se beni e servizi reali sono disponibili come controvalore. Il reddito di base funziona solamente, se con l’impiego di macchine ed energie, all’interno dell’economia si producono beni e servizi in modo tale che un numero relativamente esiguo di persone sia in grado di disporre per se stesse e per tutti gli altri uomini della società, di alimenti, vestiti, abitazioni, infrastrutture, beni formativi e del tempo libero etc.. Questa condizione è presente solo negli stati industrializzati ricchi. Però non è ovvia. Se dovessero scarseggiare le fonti energetiche oppure altre materie prime oppure se esse dovessero subire un notevole rincaro, questa condizione potrebbe immediatamente diventare incerta oppure perfino scomparire. Sullo sfondo di una riduzione considerevole delle provviste energetiche e delle materie prime, il lavoro manuale potrebbe riacquistare molto presto un'importanza diversa. L’abbondanza di beni è presente solamente nei paesi industrializzati ricchi dotati di una moneta forte. In essi non ci si basa solamente sulle proprie prestazioni, bensì anche sulla divisione internazionale del lavoro: imprese attive a livello internazionale producono beni di consumo in paesi a basso reddito. Poi importano detti beni in un paese con redditi alti. Facendo così, incassano alti profitti e, di seguito il potere d’acquisto del denaro in quel paese aumenta, poiché esso usufruisce di prodotti a più buon prezzo. Una delle molteplici controindicazioni nella suddivisione internazionale del lavoro. I prezzi di molti prodotti in Germania sono oggigiorno così bassi come ad esempio per gli articoli di intrattenimento, prodotti tessili, alimentari, giocattoli etc., perché provengono dai cosiddetti paesi con un basso costo del lavoro (una “non parola”). Se le imprese si approfittano della disuguaglianza dei salari nelle varie nazioni, ciò, senz’ombra di dubbio, è discutibile, dato che a) non ha niente a che fare con le prestazioni imprenditoriali e inoltre b) la dignità dell’uomo potrebbe risultarne compromessa. Götz Werner presuppone automaticamente, in tutte le sue riflessioni riguardo il reddito di base, il mercato del lavoro. Per lui, come imprenditore, è chiaro che il lavoro è una merce che deve acquistare e il cui prezzo è trattabile. Attraverso il reddito di base incondizionato egli vuole rafforzare la posizione di trattativa da parte del lavoratore dipendente. Il fatto che il suo presupposto possa essere sbagliato, tuttavia egli non lo considera da nessuna parte.

Le differenze negli importi salariali all’interno di uno spazio economico condizionato da un grado di sviluppo differenziato sussistente negli spazi economici con traffici commerciali reciproci, vengono vissute come ingiustizia quanto più tempo a lungo risultano persistenti, e si appianano solo successivamente. Dal sussistere di questa detta ingiustizia dipende, in questo momento, il valore del denaro e quindi anche la possibilità di un ottenimento incondizionato del reddito di base all‘interno del nostro spazio economico. Si pone dunque la domanda: le economie nazionali sono ancora moderne e come deve essere fatta una suddivisione internazionale del lavoro per essere giusta e dignitosa per l’uomo?

b) La seconda condizione fondamentale sociale è quella dello stato di diritto. Un meccanismo di ridistribuzione sanzionato e controllato dallo Stato a favore del benessere, raggiunto all’interno dell’economia, dev’essere imposto democraticamente e messo in pratica dal punto di vista tecnico-amministrativo. Tuttavia, come e per tramite di chi lo Stato oggigiorno è attivo, risulta essere, in questo contesto, il problema: l’esistenza delle caste e lo sperpero diffuso corrompono oggigiorno il diritto. Le persone impegnate nel potere legislativo ed esecutivo sono senz’altro state elette quali rappresentanti del potere dello Stato, ma contemporaneamente sono membri di partiti in uno Stato composto da partiti. Insieme oppure in dipendenza dagli organi della stampa, questi partiti esercitano un potere sull’opinione pubblica. “Opinioni pubbliche sono pigrizie private” diceva Nietzsche. L‘opinione pubblica è come uno schermo con punti di vista che cambiano velocemente e che sono facilmente influenzabili. Secondo la Costituzione, i partiti dovrebbero solo partecipare alla formazione della volontà democratica. Invece sono divenuti, assieme alla stampa, delle istituzioni che prevalgono sullo Stato, senza il consenso dei quali non funziona più niente. Il popolo degli elettori assorbe da decenni, in ogni campagna elettorale, degli slogan e dei programmi immaturi ed incompleti. Con queste premesse, la burocrazia fiscale e sociale è divenuta un meccanismo inerte ed ampiamente autoreferenziale, attraverso il quale migliaia di persone hanno trovato un posto di lavoro dietro ad una scrivania. Questa situazione è vista in modo simile anche da coloro che rivendicano un reddito di base incondizionato, per cui parlano di una strada più lunga per formare una nuova consapevolezza atta a ridurre la burocrazia, il sistema fiscale e l’intero sistema sociale. c) La terza condizione dipende dalle altre due, ma comunque sta per conto suo: il reddito di base incondizionato presuppone un sistema finanziario funzionante. Questo sistema ha innanzitutto due aspetti: quello già menzionato sopra, ossia quello dell’economia reale. Il suo valore nasce dalla quantità e dalla qualità dei beni realmente prodotti. E poi c’è l’aspetto dello stato di diritto: deve essere un mezzo di pagamento riconosciuto. Oggigiorno il sistema finanziario è corrotto da interazioni complesse tra Stato ed economia. E’ ciò che dimostra l’attuale crisi economica, che si accompagna ad un debito pubblico eccessivo e a drastiche riduzioni dello stato sociale. Attualmente si parla della Grecia come banco di prova, sul quale si verifica ciò che sta avvenendo, se uno Stato impossibilitato a pagare, non riesce più a mantenere i servizi dello stato sociale. Soprattutto sullo sfondo del sistema finanziario si pone la domanda: lo Stato in quanto tale deve preoccuparsi esclusivamente del diritto e del rispetto di quest’ultimo? Il compito di assumersi un meccanismo di tipo tecnico-finanziario/monetario atto alla distribuzione di beni e servizi, non risulta essere un compito estraneo alle sue competenze? Una distribuzione giusta non deve risultare da sé da un giusto rapporto dei diritti degli uomini che collaborano economicamente? Se ciò manca, le condizioni legali dell’economia non sono quelle giuste e il ripristino di esse è compito dello Stato. “Lo Stato eleva il paese attraverso il diritto, attraverso molte tasse però, lo affonda” (liberamente tradotto da Salomone 29,4). In seguito cercherò di dimostrare, che la costrizione della ridistribuzione che oggigiorno assilla lo Stato, è una conseguenza del fatto che esso non si è preoccupato per tempo di un diritto moderno all’interno dell’economia! Adoperarsi per la giustizia sotto condizioni di diritto sbagliate, equivale a un lavoro da Sisifo, che dovette portare una pietra pesante sulla vetta di un monte, ma non riuscì a tenerla in cima, così che la pietra ogni volta rotolò a valle e Sisifo dovette ricominciare da capo.

Che il compito della distribuzione dei beni non sia compito dello Stato, diviene chiaro, osservando la difficile gestione tra recuperare le tasse e spendere le tasse e tra promuovere l’economia e frenare l’economia. I soldi dello Stato mantengono il loro valore, solo finché lo Stato non sia eccessivamente indebitato e si possa integrare l’indebitamento attraverso l’introduzione di tasse nella società. Che le tasse debbano essere recuperate attraverso gli stipendi oppure attraverso i prezzi, costituisce una mera redistribuzione contro la quale ovviamente sempre ci si oppone. Se il gettito fiscale nasce da un ulteriore indebitamento, ciò rende possibili le spese dello Stato che amplificano i consumi. Questo processo attiva solo fino ad un certo punto l’economia. Questo effetto, raggiunto con un eccessivo indebitamento dello Stato, scatena l’inflazione (attualmente la piccola Grecia è causa di una svalutazione dell’Euro). Detta svalutazione è stata sfruttata senza pietà da avidi hedge funds che hanno puntato sulla svalutazione dell’Euro e ci hanno scommesso). L’inflazione ha delle ripercussioni negative sull’economia solamente quando la sopravvenuta mancanza di stabilità dei prezzi costituisce anche un impedimento ad investire. L’indebitamento dello Stato, la contrazione degli investimenti e la disoccupazione si accelerano a vicenda. Si crea una crisi pari a quella degli anni venti dello scorso secolo. Se lo Stato risparmia per diminuire l’indebitamento e per ripristinare la stabilità dei prezzi, la domanda, precedentemente ampliata artificialmente, adesso si contrae. Anche in questo caso si può avverare un feedback negativo sotto forma di forti flessioni congiunturali e disordini sociali. Gli economisti definiscono, in parte, degli scenari molto diversi riguardo la commistione tra Stato ed economia. Pochi mettono in dubbio la commistione di per sé, e ancora meno spesso ci si chiede del perché l’economia si trovi in uno stato tale da rendere assolutamente inevitabile un intervento da parte dello Stato.

d) Interventi da parte dello Stato nell‘economia provocano in primo luogo delle conseguenze economiche e in secondo luogo delle reazioni socio-psicologiche. Un esempio per chiarire questa tesi. La tassazione sotto forma di una tassa alta come l’IVA ha rafforzato, soprattutto nelle prestazioni artigiane, la tendenza al lavoro nero. L’artigiano è in grado di aumentare l’IVA caricando la sua prestazione ed è costretto a vendere al suo cliente questa prestazione rincarata. E’ diventato, considerata l’odierna forma di tassazione delle entrate, praticamente un esattore dello Stato. Si chiede, come mai deve esser proprio colui che produce, che deve fungere al contempo da esattore e da contribuente. Questa esperienza è sperimentata soprattutto nelle professioni artigiane, poiché in quel contesto si vivono gli scambi di prestazioni e servizi in rapporti diretti interpersonali. Nelle grandi imprese e nelle aziende commerciali che producono o commercializzano beni di massa, si scaricano le tasse in modo più o meno anonimo sui prezzi. Per questo chi fornisce delle prestazioni ne è meno consapevole. C’è da dubitare sul fatto, se e come un meccanismo di ridistribuzione così grande, possa funzionare. Io ho cercato di esemplificarlo in forma tabellare. Ma non sono riuscito ad illustrarlo senza suscitare opinioni contrapposte. (La tabella può essere richiesta rivolgendosi direttamente a me: heidjer.reetz@cade.de ) Götz Werner indica a dimostrazione della sua proposta le spese esistenti nel bilancio pubblico riservate alla burocrazia e alle prestazioni sociali. Tuttavia, se non si considera il deprezzamento del denaro, come può accadere a causa delle tasse, non si può dimostrare più di tanto. Ciò dimostra l’attuale discussione sulla “Misurazione delle prestazioni sociali“

Le possibili reazioni di tipo socio-psicologiche, scatenate da un reddito di base incondizionato, non si possono descrivere in questa sede in modo esauriente. Saranno, in ogni caso, pluridimensionali. Chi difende il reddito di base avanza come argomento a livello socio-psicologico il fatto che del prossimo si dovrebbe presumere solamente ciò che si pensa anche di sé stessi. Un argomento di cui va tenuto conto. Quindi, chi è convinto che con un reddito di base potrà riposare sugli allori, dovrebbe partire dal presupposto che introducendolo, si dovrebbe giungere al crollo dell’economia. Chi si trova d’accordo con questo punto di vista dovrebbe essere in ogni caso contrario a un reddito di base. Indipendentemente dal singolo e dalla sua condizione personale, rimane comunque la domanda: in un’economia funzionante normalmente, non sarebbe inconcepibile che milioni di persone potrebbero finire nell’oblio della disoccupazione? Götz Werner e molti altri definiscono la disoccupazione di massa quale conseguenza irreversibile del progresso della produttività. Anche qui c’è da domandarsi, se non sia colpa della conformazione della nostra economia che faccia vedere questo come un progresso.

2. Un confronto con i diritti fondamentali

I diritti fondamentali furono imposti in Germania in un momento storico (a metà del diciannovesimo secolo) in cui lo Stato non era ancora uno stato sociale. Non c’era ancora una grande dipendenza di gran parte della popolazione dai meccanismi della ridistribuzione statale. Lo Stato era destinato a diventare uno Stato democratico, poiché non poteva continuare a reprimere un numero sempre crescente di cittadini che volevano essere considerati responsabili e maturi. I diritti dell’uomo nacquero dalla consapevolezza di essere liberi dallo Stato. Vennero dalla vita spirituale e sono stati integrati nella vita del diritto. Certe capacità individuali erano, in questo modo, diventate comuni e reali allo stesso tempo, permettendo così il nascere di una nuova forma di società. Il diritto di opinione e di espressione erano uno dei diritti che si stavano formando nei parlamenti (lat. parlare) e da cui nacque lo stato democratico.

Il diritto alla proprietà e alla libera professione portò alla costituzione liberale dell‘economia. E’ interessante notare che i diritti che ne risultarono, erano sempre legati a degli obblighi ad esempio di non calunniare nessuno, di dire la verità in qualità di testimone ecc.. Lo stesso vale anche per la libertà di riunirsi, di professare la propria fede, il diritto di voto ecc. I diritti sono sempre anche dei doveri ovvero, come si dice comunemente, il dovere di rispettare la libertà dell’altro e di non danneggiare nessuno. Questo unione di diritti e doveri portò la società ad assumere la forma della democrazia costituzionale. Pochi decenni fa era diffusa e molto più viva la consapevolezza secondo la quale i diritti erano anche collegati con dei doveri. La privazione dei diritti sul posto di lavoro e l’idolatria del consumismo hanno corrotto la consapevolezza spirituale per la quale si sperimentano diritti e doveri come una unità. Il diritto è concepito ormai solo esclusivamente come rivendicazione economica imposta giuridicamente oppure ancora da imporre.

Excursus storico

Il fatto che a rivendicazioni economiche venga attribuito lo status di diritto, senza doveri in merito, sussiste da quando esiste il cosiddetto stato sociale. In Germania l’inizio dell’era dello stato sociale viene associata al periodo di Bismarck, a partire dal 1883. Bismarck aveva riconosciuto l’esplosivo impatto politico del confronto sociale tra borghesia e proletariato ed era deciso a contrastarlo. Non da ultimo, per sottrarre terreno al movimento socialista. Per volere cioè dimostrare alla nazione che il nuovo stato nazionale aveva molto più da offrire che non la rappresentanza politica degli operai. La cosiddetta legge antisocialista, con la quale si sopprimeva il movimento socialista, rese necessario un “compromesso”. La politica iniziata nel 1883 venne definita la politica con “bastone e carota”: la concessione di prestazioni sociali con la contemporanea repressione di libertà fondamentali e di riforme per gli operai. L’intenzione di Bismarck a lungo termine era di garantire l’autorità del governo in carica nei confronti del proletariato che si stava rafforzando, quindi contro le rivendicazioni di parti svantaggiate della popolazione.

L‘errore sociale di base, che crea una miseria come quella in cui viveva il proletariato ai tempi di Bismarck deriva, in tutto il mondo, sistematicamente da una libertà fraintesa della proprietà, applicata ai mezzi di produzione, alla terra e agli immobili. Questo “diritto alla libertà” è sbagliato perché ignora il dovere di riconoscere il collaboratore come partecipante o detto meglio, perché si rende proprietario di qualcosa che non si basa sulla prestazione economica individuale del proprietario. In questo modo si calpesta la dignità degli uomini che lavorano senza proprietà e nelle industrie. Anche la dignità della base naturale della produzione è compromessa. Ai non abbienti viene negato il rapporto con i prodotti e le prestazioni/servizi che essi forniscono ed elaborano. I loro prodotti appartengono prima di tutto, dal punto di vista della proprietà, quindi già prima della loro produzione, al proprietario della fabbrica o del terreno, che può venderli da solo e “senza ombra di dubbio” per il bene della comunità, sul mercato. Coloro che lavorano sono esclusi, sia dal loro posto di lavoro, sia dai loro prodotti. Loro sono “solo” i servitori dei proprietari, una delle parole tabù per la borghesia. La borghesia non ha osservato il principio, anche se lo predica, secondo il quale la proprietà si basa sul profitto. Ha mantenuto la vecchia forma della proprietà di stampo romano impossessandosi inopportunamente di beni naturali (terreni e materie prime) e di aziende con la suddivisone del lavoro (know how umano). Ciò fu osannato come progresso e libertà, mentre in verità era regresso e libero arbitrio. Con l’esclusione di coloro che contribuiscono alla produzione dai profitti del loro lavoro, la proprietà provoca uno sviluppo errato della suddivisione del lavoro: il principio del mercato e della merce si impossessa del lavoro. La suddivisione industriale del lavoro non può più essere vissuta e gestita in modo immediato per tutti. Tutto va regolamentato attraverso il mercato e ciò che il mercato non riesce a regolamentare, lo si accolla allo stato sociale. Il fatto che si possa comprare il lavoro è tuttora il problema principale. Da lì è partito lo sviluppo sbagliato. La lotta attuale per un salario minimo dimostra come il lavoro debba formare il proprio prezzo sul mercato del lavoro internazionale come se fosse una merce. L’offerta più conveniente e il potere dei proprietari dei mezzi di produzione determinano il livello sociale. Il lavoro non è una merce. Le persone che lavorano la producono. La conseguenza di questa verità sarebbe che tutti coloro che lavorano, consapevoli delle loro prestazioni e della collaborazione atta a suddividere il lavoro, potessero formare loro i loro stipendi e i prezzi. A causa di ciò il mercato si limiterebbe ad essere un vero mercato delle merci, che compie solamente ciò che è prescritto nel circolo dei valori. Lo slogan “Noi siamo il popolo”, che nel 1988 era sulla bocca di tutti coloro che si sentivano coinvolti nella cosiddetta svolta nella Germania dell’Est, si sarebbe dovuto invece scandire la frase “Noi siamo l’economia”, oppure “Noi facciamo il mercato”.

La borghesia, rendendo merce determinante per l‘economia la terra, il lavoro e i mezzi di produzione, scatenando sui cosiddetti fattori di mercato le proprie manie di potere, è diventata essa stessa il problema sociale, al pari della classe dei nobili che aveva dominato in precedenza. Sopprime e toglie la responsabilità agli altri membri della società.

Una ulteriore umana conseguenza della falsa proprietà di terreni, immobili e dei mezzi di produzione, è che venne soffocata una nuova e nascente capacità che avrebbe dovuto svilupparsi con la suddivisione del lavoro: la capacità di valutare in reciproca solidarietà. Il lavoro da dirigente è sopravvalutato in modo esagerato in relazione a quello che esso produce. Ciò si rispecchia oggigiorno nello squilibrio tra lo stipendio di un manager e il salario di un operaio. Quest’ultimo non dimostra un rapporto di prestazione, bensì dei rapporti di potere tra proprietà e coloro che lavorano senza nulla possedere. Il manager è un dirigente che rende l’azienda redditizia per il proprietario, un’azienda di profitto e che minimizza le “false” ambizioni all’indipendenza e alla partecipazione dei collaboratori. Tecnica, capitalismo e suddivisione del lavoro hanno infatti bisogno di una forma completamente nuova di solidarietà! Detta solidarietà sarebbe nuova a livello sociale, come lo è stato l’industrialismo quando è nato per quanto riguarda la produzione delle merci. Detto obiettivo sociale tuttora non realizzato, verrà definito meglio nei dettagli al punto 3. Qui va solamente detto che nell’industria non basta parlare di responsabilità del singolo, di spirito di gruppo, di solidarietà, di ricchezza di idee sul posto di lavoro, ecc., oppure perfino supporre di interessi comuni di shareholder, operai e clienti, se non si favorisce l’evoluzione della proprietà. Se una singola azienda cresce tanto quanto aumentano la produttività e la sua superiore competitività a spese di altre aziende, allora la solidarietà tanto decantata risulta piuttosto limitata. Sta al servizio della proprietà e finisce là dove si trova la porta d’ingresso dell’azienda. Götz Werner riporta nel suo libro alcuni esempi interessanti su come la sua impresa sia impegnata a promuovere la consapevolezza dei collaboratori nei confronti dei processi economici. Non viene, però, mai posta la domanda sulla proprietà.

Il fatto che ciò che si chiama solidarietà, non è necessariamente solidarietà, si rivela anche nel momento in cui se ne fa cenno riferendosi al proprio spazio economico nazionale in rapporto ad altri spazi economici nazionali. I politici lo fanno spesso, se decantano la capacità competitiva e la forza del proprio paese. La vera solidarietà può, in una economia mondiale globalizzata, essere soltanto riferita ad una legge interna del ciclo economico in quanto unità. L’invocazione di valori, quali libertà, solidarietà, uguaglianza ecc., finisce per diventare un assurdo se il punto di partenza non è proprio questa unità. La considerazione dell’unità non si discute nella consapevolezza pubblica. Molto si discute invece, sulla Germania e sull’economia tedesca. Se nella pubblica opinione sono illustrate questioni economiche, come se si trattasse prevalentemente di interessi speciali, del singolo, di una regione, dei Länder e dei paesi, di una comunità economica di stati ecc., la legge interiore dell’economia mondiale quale nuova unità, della quale si tratta in fin dei conti, viene oscurata, perfino negata.

Come reazione al capitalismo antisociale dell’Europa del diciannovesimo secolo, nacquero varie forme di movimenti socialisti e/o comunisti che misero in discussione la proprietà borghese. Nei paesi del Terzo Mondo si ripete fino ai giorni nostri ciò che avvenne nell‘Inghilterra del 18° e nella Germania nel 19° secolo: la questione sociale quale questione del pane: la popolazione rurale viene sradicata e lavora nelle piantagioni dei latifondisti per salari da fame, nelle città invece nasce il proletariato industriale.

Come risultato di questo breve excursus storico, va puntualizzato in questa sede, che la lotta mondiale dei mercati non è una legge di natura. Si basa sul diritto alla proprietà tramandato e sull’ideologia del mercato e della concorrenza. L’errata libertà della proprietà fa sì che dalle condizioni sociali dei nostri tempi sorgano atteggiamenti egoistici e la consapevolezza materialista e viceversa. Comportamento e consapevolezza nel frattempo si sono talmente irrigiditi, che la proprietà non appare più come qualcosa che possa evolversi ulteriormente, ma piuttosto come ciò che blocca la nuova struttura sociale.

3. I motivi del reddito: il legame tra lavoro, reddito, merce e prezzo all’interno del circolo economico

Va solamente illustrata, ora, la legge interna del circolo economico quale unità e il lato, tuttora nascosto, del capitalismo. Come si può inserire secondo verità la prestazione di una persona che lavora all’interno di un sistema basato sulla divisione del lavoro? Questa domanda è in fin dei conti una domanda che riguarda il sistema vero e proprio. E’ identica alla domanda della legalità del circolo economico. Vorrei rispondere a questo quesito seguendo lo spirito di un proverbio di Goethe:

“Se vuoi godere del tutto allora devi scorgere il tutto in ciò che è più piccolo”

Questo vale sia per il rapporto tra il singolo (il più piccolo), che forma reddito e prezzi secondo il suo fabbisogno di servizi e necessità, e l’intero circolo economico quale unità, che esprime ciò che i singoli formano. Per rispondere a questa domanda, dobbiamo “sistemare” e chiarire l’uso di alcuni termini e concetti: essi definiscono i fatti che stanno alla base di detto circolo. Le doppie frecce indicano le interazioni:

Reddito di base

Il concetto del valore (non della produzione di merci) può essere riferito solamente all’uomo, non alle macchine. Le macchine non devono percepire reddito. Il capitale di cui si ha bisogno per la produzione di quest’ultime, per la loro riparazione o rinnovo, si trasforma sempre in reddito per gli uomini che forniscono prestazioni: l’uomo inventa, costruisce e rinnova le macchine e organizza l’impiego del capitale necessario. Chi vuole comprendere la formazione del valore deve in un primo momento solamente guardare all’uomo e alla formazione del reddito e dei prezzi generati da esso. Anche la scarsità di una materia prima come ad esempio il petrolio, che usiamo per azionare i macchinari, non ha nessuna importanza per comprendere la formazione del valore. Solo ciò che causa il circolo dei valori ha un significato. Quindi è solo ed esclusivamente l’uomo che genera reddito e prezzi. Nel caso del petrolio, sono gli uomini che creano reddito, per poter costruire e controllare i macchinari con i quali il petrolio viene portato in superficie, viene elaborato e trasportato e che provvedono alla commercializzazione di questa materia prima. Il petrolio di per sé non costa niente. La Terra lo serba e la Terra lo regala.

Attraverso le fonti del petrolio, attraverso le vie commerciali, attraverso l‘intera organizzazione, connessa con l‘estrazione ed il consumo di questa materia prima, la proprietà esercita il proprio potere. Con il petrolio che ha lo status di una proprietà si fanno affari a termine. La sua offerta risulta artificialmente scarsa. Si specula. Il petrolio è una materia che la Terra mette a disposizione gratis, come tutte le materie prime. I prezzi giusti si formano solamente tramite il reddito dell‘uomo che rende le materie prime merce che può circolare, le promuove, le elabora e le commercializza. La proprietà mira a formare una consapevolezza permanentemente errata: la materie di per sé é preziosa, è costosa, scarseggia e costa.

Nel circolo dell’economia non abbiamo a che fare con materie e prestazioni, bensì con la formazione e il dissolvimento di redditi e prezzi. I valori si formano attraverso il valore che gli da l’uomo, attraverso la sua valutazione. Queste capacità, oggigiorno vengono tuttora messe in pratica molto inconsciamente. Non si sono sviluppate ad un livello umano, poiché la proprietà divenuta anonima in forma di azioni o di titoli, domina gli avvenimenti riguardanti i valori e non fa avvicinare la massa degli uomini che lavorano. Invece, il processo economico nel suo complesso dipende dai mercati finanziari, che causano danni irreparabili e non possono essere praticamente più regolamentati. Come il circolo dei valori debba essere considerato autonomo rispetto al circolo delle merci e come tale debba essere organizzato, è stato illustrato, in modo eccellente, in un’opera del professore Folkert Wilken già nel 1931 “Le metamorfosi dell’economia” a Jena. Egli continuò ad elaborare il metodo basato sulle leggi spirituali dell‘economia, elaborate da Rudolf Steiner.

Grazie alla differenziazione, anche fatta da me, tra circolo dei valori e delle merci, esclusivamente tramite il lavoro dei singoli uomini si forma il reddito, si producono merci e servizi che si giustificano quali valori all‘interno del circolo dei valori. Da ciò risulta che non ci sono costi materiali. Quest’ultimi appaiono solamente quando si pensa di comprare un oggetto. Infatti, si forma e si rende possibile il reddito di coloro, che producono, trasportano e offrono l’oggetto, se quest’ultimo lo si compra e lo si paga. Anche dietro una fabbrica senza un’anima viva, sta una prestazione lavorativa di organizzatori, ingegneri, inventori, tecnici, ecc.. Chi crede che le masse di capitale lavorino come tali, diffonde un’illusione. Questa illusione serve a ottenere una errata proprietà del capitale e delle macchine. Naturalmente la suddivisione del lavoro è molteplice: la quota del reddito di un operaio dell’industria petrolifera araba che incide sul prezzo di un litro di latte, che è stato trasportato da un tir con motore diesel affinché noi lo possiamo comprare, è certamente minima, ma c’è. Tutte le spese materiali si dissolvono in reddito.

L’illusione di masse di capitale che lavorano e la credenza nelle spese materiali si creano anche perché le prestazioni umane hanno effetti diversificati e perché le persone che producono non sono mai state in grado di valutarli all‘interno di un processo di reciprocità, ripulito dal capitale errato. La prestazione di un ingegnere che inventa un macchinario, che sostituisce il lavoro di migliaia di persone, ha un tutt’altro effetto sulla formazione dei prezzi che non il lavoro che esegue e che “solamente” si inserisce nel processo. Nelle aziende che si autogestiscono, non si considererebbe certamente una formazione di capitale, resa possibile da un‘invenzione, come indipendente dalle conseguenze sociali ed ecologiche. I colleghi sanno che il progresso tecnologico potrebbe colpire ognuno di loro e perciò la rendita sul capitale di qualsiasi progresso tecnologico dovrebbe essere impiegata primariamente per le conseguenze sociali che potrebbero derivarne. Nessuno dovrebbe più temere di essere rimpiazzato dalle macchine. In questo modo il suo reddito non sparirebbe, bensì sarebbe spostato altrove. La rendita del capitale di un’invenzione sarebbe calcolata prima di tutto, in generale, prima di comunicarla all’umanità. Solo se dovesse sembrare sensato sostituire posti di lavoro e far nascere in tutti gli altri ambiti dell’economia e della società nuovi posti di lavoro, un’invenzione verrebbe messa in pratica come miglioramento, come innovazione. Altrimenti non sarebbe neanche tale!

Abbiamo fatto chiarezza su concetti e rettificato fatti economici: all’interno del circolo dei valori ogni reddito viene precedentemente creato dal produttore in una reciprocità di suddivisione del lavoro. Dai consumatori viene invece realizzato nel momento del pagamenti dei prezzi. Un prezzo non è nient’altro che la somma dei redditi che hanno contribuito alla formazione del valore. Da consumatori paghiamo i redditi dei nostri partner economici nella produzione, se compriamo da loro la merce e i servizi da loro prodotti. Da produttori formiamo i prezzi per i nostri consumatori, se inseriamo i nostri redditi nei prezzi. Il progresso nella consapevolezza della reciprocità all’interno della formazione di redditi e prezzi è rappresentato nel progresso dell’umanità nella consapevolezza della solidarietà. Il circolo dell’economia quale elemento unitario si compie in ogni individuo, che produce reddito e prezzi.

A questo punto si giunge al giudizio sconvolgente secondo il quale il reddito di base incondizionato misconoscerebbe completamente il singolo, poiché lo esclude dalla consapevolezza della reciprocità, basata sulla circolazione dei valori, per renderlo invece dipendente da un meccanismo generale di redistribuzione. La consapevolezza della reciprocità si può solamente realizzare in un processo reale di suddivisione del lavoro, nelle comunità aziendali che si “auto amministrano” del tutto. Le aziende sono luoghi sociali dove si creano redditi e prezzi. E’ stato illustrato il modo in cui la consapevolezza dell’importanza sociale della formazione dei redditi e dei prezzi in un’azienda venga impedita dalla proprietà. Poiché la proprietà agisce in modo tale impedire che i lavoratori siano anche i proprietari dei loro prodotti e della loro azienda, essi non hanno nemmeno alcun incentivo per percepire la loro prestazione con la formazione dei prezzi e dei redditi quale compito facente parte dell’intera economia. E‘ questo fatto è della massima importanza oggigiorno.

Come si può arrivare a un rapporto giusto del reddito del singolo con i redditi di tutti gli altri? Che si collochi quindi non troppo in alto, ma neanche troppo in basso? Tocchiamo il problema della giustizia nell’economia, che sussiste da quando esiste l’economia. Tra quei pensatori che per primi hanno riflettuto sul problema dell’economia e della giustizia in modo sistematico, c’è Aristotele (384 – 322 a.C.)

E’ famosa la sua frase: “Lavoro quotidiano deve scambiare lavoro quotidiano”. In questa frase si rivela il processo di valutazione reciproco nella formazione dei prezzi e dei redditi quale nucleo dell’economia quale circolo dei valori. Una volta bastava il rapporto immediato fra le persone e la percezione istintiva dei valori su mercati relativamente di piccole dimensioni e quindi controllabili, come intuitiva facoltà di percezione del giusto scambio. Oggigiorno i rapporti sono diventati più complessi, poiché il lavoro del singolo raggiunge tramite le macchine una produttività molto maggiore. Il prezzo di una merce, già in anticipo, è formato sul mercato tramite il reddito che risulta dalla formazione di essa, nel suo valore. Questa predeterminazione di reddito e prezzi attraverso un impiego di capitale contrassegnano la suddivisione industriale del lavoro ed è il nocciolo organizzatore positivo del capitalismo. L’economia artigiana del Medioevo si basava anch’essa sulla suddivisione del lavoro. Ma ignorava sia la frammentazione sia la divisione del lavoro causata dalle macchine. Se una macchina svolge una singola fase di lavoro, ad esempio la produzione di suole per scarpe con plastiche derivate dal petrolio, un processo lavorativo manuale, ovvero il taglio delle suole dalla pelle animale, viene suddiviso in un’infinità di passi intermedi che a loro volta vengono affidati ai vari settori ed alle varie industrie. Finché il contadino, il conciatore e il calzolaio si suddividono il lavoro tra di loro, non si parla ancora di divisione del lavoro in senso moderno della parola. Se i lavoratori però aumentano la loro produzione con l’ausilio di macchinari industriali, allora si crea il fenomeno dal quale si deve prendere spunto oggigiorno se si vuole capire il significato attuale della giusta distribuzione all’interno del processo economico.

  • Un dato oggettivo in questo processo è il fatto che i prezzi ed i redditi sono preformati e costituiscono degli elementi di equilibrio. L‘economia funziona quanto più merci prodotte vengono anche comprate, e redditi e prezzi stanno quindi in equilibrio.
  • Da un punto di vista soggettivo, con la formazione di prezzi e redditi vanno di pari passo delle questioni valutative che possono rispecchiarsi in valori differenziati. Il mero funzionamento quantitativo del circolo é esagerato sia sul lato della domanda, che sul lato della produzione tramite una valutazione del valore, quindi tramite un momento qualitativo.

I momenti oggettivi e soggettivi insieme danno come risultato ciò che si può definire tensione che forma il valore. Dai tempi di Aristotele molti pensatori si sono battuti per il problema della giustizia. In effetti non c’è soluzione, né ricorrendo a regole etiche né a misure politico-etiche, bensì solamente tramite la consapevolezza del processo di reciprocità degli interessati. Il seguente schema allude all‘interazione di chi partecipa al processo:

Reddito di base

I redditi sono formati prima di tutto quale base del valore dei prezzi. Il loro rapporto è formato innanzitutto attraverso contratti tra uomini di pari diritti, che si riconoscono nelle loro capacità di rendimento e nei tipi di rendimento differenti, e non da ultimo, nelle varie dimensioni del fabbisogno. La loro dimensione, numerica oppure quantitativa, è determinata dai prezzi. Dal cosiddetto paniere si deduce la dimensione del reddito minimo degno dell’uomo. Se lavoro e reddito sono assegnati all’interno della consapevolezza del processo delle reciprocità e in questo modo si formano, allora l’economia diventa un’organizzazione con lo scopo di servire, soddisfare i bisogni dell’uomo. La formazione di capitale e di utili, ma anche delle perdite e l’eliminazione di aziende sottostanno all’interno di detta organizzazione all’adempimento di questo scopo. L’economia liberata dal potere di proprietà penserà con orrore alla formazione di capitale come unico scopo e fine a se stesso che oggigiorno provoca una crisi dopo l’altra.

Nelle comunità aziendali che non sono più determinate dall’esterno tramite la proprietà, sarebbe una realtà più che ovvia, se l‘azienda adempiesse attraverso il reddito di ciascuno dei propri collaboratori, al suo compito e alla sua responsabilità riguardo tutta la società, ossia a quello di formare redditi e prezzi in modo equilibrato. Non ci sarebbero più occupati. Tutti i lavoratori sarebbero considerati e trattati da prestatori di servizi.

Infine diamo uno sguardo a come si rappresenta la legge dell’equilibrio per tutta la società: tramite lo sviluppo tecnologico, il lavoro degli uomini, i quali formano reddito e prezzi, in parte diventa superfluo. Se ciò dovesse accadere, allora si potrebbero formare opportunità di reddito nel settore non economico della società, quindi all‘interno della vita intellettuale, atti a mantenere l’equilibrio. La formazione di nuovi posizioni di reddito in sostituzione di corrispondenti posti eliminati nell’economia, è possibile poiché la formazione di capitale, derivante dall’evoluzione tecnologica e dai posti di lavoro resi superflui, non è soggetta a vincoli di proprietà fin dal suo nascere. Questa formazione di capitale sicuramente sarebbe a disposizione degli enti della vita spirituale. La piena occupazione sarebbe raggiunta grazie all’organismo sociale che vive in equilibrio poiché si svilupperebbe un‘interazione tra vita economica e vita intellettuale. La vita spirituale potrebbe ampliare il suo fabbisogno nella misura in cui l’economia aumenta la propria produttività. Chi difende il reddito di base lo sente questo. Ma non si avvede che l’imposizione di rivendicazioni riferite al singolo individuo, anche se più che giuste e belle, per le masse avrebbero sempre qualcosa di problematico. Si tratta dell’eliminazione degli ostacoli reali che si sono accumulati con e per via del potere di proprietà e attorno alla consapevolezza del processo della reciprocità fondata sul circolo dei valori dell’economia. Se si superano gli ostacoli, innanzitutto nella coscienza grazie a dei pionieri della pratica, e in seguito passo per passo grazie a leggi democratiche, allora si mostra la conformazione dell’economia, cosicché la rivendicazione di un reddito di base per tutti, diventa superflua.

Ciò non significa ovviamente che la società umana non debba assicurare incondizionatamente un’esistenza dignitosa a tutti i suoi membri che, o non sono in grado, oppure non vogliono badare a se stessi. Tuttavia la società non dovrebbe farne né un programma né una rivendicazione. Ciò dovrebbe essere anzi una cosa ovvia. La nostra società attuale, che tuttora non ha messo quasi piede sul terreno di una formazione umana dei redditi e dei prezzi, potrà difficilmente essere cambiata da dette rivendicazioni.

Heidjer Reetz, Amburgo 27/04/2010




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