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Una visione d'insieme



6. Le associazioni economiche

6.2 Lavoro e reddito di cittadinanza (I parte)
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L'estate kepleriana è prodiga di piogge, specialmente sugli Altopiani, ed è infatti un'alba piovosa quella che saluta il risveglio dei coltivatori questa mattina. Impossibilitati a recarsi al lavoro nei campi, i coltivatori, dopo aver fatto colazione, rimangono nella baracca che serve loro da mensa in attesa che il tempo migliori. Ne approfittano per conoscere meglio i nuovi arrivati, una decina di boscaioli resisi disponibili dal drastico ridimensionamento della loro corporazione.pioggia

«Allora, alla fine come l'ha presa il vostro ex-capo, Blake?» chiede Enrico
«Mah, direi che può esser contento. Alla fine pare che prenderà le redini del nuovo gruppo che si occuperà di produrre il combustibile per tutta la comunità» risponde Lorenzo, il più anziano dei nuovi arrivati.
«Una gran bella trovata quella di Venturi, produrre combustibile a partire dal carburante ancora rimasto nei serbatoi della Deepskydiver. Sembrava impossibile infatti che potesse mai bruciare in condizioni ordinarie. Di colpo decine e decine di boscaioli possono occuparsi di tutt'altro che procurare la legna per la stagione invernale per tutta la comunità... - osserva Enrico - ..ma Venturi come mai non è diventato lui stesso responsabile del nuovo gruppo?»
«Venturi è un ingegnere geniale, ma non ha esperienza di gestione della produzione e dei lavoratori; lui stesso ha ceduto la poltrona a Blake, che non si è fatto di certo pregare. Si può dire quel che si vuole di lui, ma Blake è indubbiamente un grande organizzatore» risponde Kasimir, uno dei boscaioli.
«E così, nel giro di non molto tempo siete passati dal tagliare al piantare!» ribatte il vecchio Bauer mentre si carica la pipa.
«Sì, all'associazione ci sono state presentate diverse alternative, io personalmente avevo voglia di conoscere meglio gli Altopiani e imparare a coltivare la terra, per cui eccomi qui!» conclude Lorenzo.
«Gli altri vostri ex-colleghi sono già andati tutti a lavorare in altri settori?» chiede Martin.
«No, alcuni hanno deciso di non iniziare a lavorare subito, ma di prendersi un periodo "sabbatico" e di fermarsi alla base per un po'. Ci è stata prospettata questa possibilità e alcuni di noi l'hanno sfruttata» risponde Lorenzo.
«Ma sono comunque pagati?» chiede timidamente Martin.
«Ovviamente Martin, qui su Kepler non è che se non lavori non mangi!» sbotta Bauer.
«Ok, ok, chiedevo soltanto... Quindi abbiamo anche qui una specie di sussidio di disoccupazione?» chiede ancora Martin.
«Non esattamente - risponde Enrico - il caso della scomparsa quasi della corporazione dei boscaioli e la corrispondente crescita di una nuova realtà economica è soltanto un esempio di come in una economia associativa viene gestito il normale ciclo di vita delle aziende. Queste ultime sono sempre espressione dei bisogni umani, che ovviamente cambiano nel corso del tempo nei modi più vari. Indubbiamente anche sulla Terra accade questo, solo che la gestione delle transizioni è a dir poco infantile. Le aziende producono e si espandono fin dove è loro possibile, e può capitare, se non sono in grado di far fronte ai cambiamenti del mercato, che falliscano e che i loro lavoratori finiscano in strada fino a quando non verranno riassorbiti in qualche altro settore produttivo. In una economia associativa, se le associazioni funzionano veramente, questa fase traumatica non dovrebbe mai potersi verificare, perché le trasformazioni in atto sono note al loro interno con grande anticipo e possono venir gestite con adeguati travasi di lavoratori negli altri settori in cui c'è richiesta. Alla fine la ricollocazione dei lavoratori viene raggiunta in modo indolore, senza traumi sociali, attraverso una visione più cosciente della produzione, della circolazione e del consumo delle merci».
«Adesso, sentendoti parlare, Enrico, mi sono venute in mente aziende storiche come la Kodak o anche più recenti come Blockbuster, che si sono trovate a fare amaramente i conti con i cambiamenti epocali indotti dalla fotografia digitale per Kodak e da internet per Blockbuster - interviene Lorenzo, che aggiunge - certo le aziende, al pari degli esseri viventi, nascono e muoiono, ma in effetti è un non-senso lasciare questi processi a se stessi e non gestire per tempo il passaggio di lavoratori da una impresa all'altra. Alla fine avvengono comunque, come dici tu, attraverso licenziamenti, famiglie in rovina, tanta sofferenza sociale insomma...».
«Sì, è proprio così, ma, per rispondere ancora a Martin - prosegue Enrico - non dobbiamo considerare il reddito che alcuni dei boscaioli percepiscono durante il periodo di riposo come un sussidio di disoccupazione, e considerarli appunto come dei "disoccupati". Piuttosto dovremmo familiarizzarci con l'idea che l'economia associativa, in assenza del perseguimento esclusivo della massimizzazione del profitto, e grazie all'armonizzazione di produzione e consumi, richiede al lavoratore un impegno di lavoro molto minore di quello ordinario, per cui pause come quelle di cui ha parlato Lorenzo diventeranno qualcosa di comune. Indipendentemente dal fatto che si passi da una corporazione all'altra, si avrà la possibilità di prendersi un giusto riposo».
«Se vogliamo tuttavia essere un po' più precisi - interviene Kasimir - l'indennità di disoccupazione è un provvedimento temporaneo che vale per un certo tempo e fino a quando il lavoratore non trova una nuova occupazione. Invece il sussidio di disoccupazione è un ammortizzatore sociale che viene dato anche a chi non ha mai lavorato, quindi a tempo indeterminato, e per chi ha perso il lavoro si sommerebbe all'indennità di disoccupazione. Da quello che hai detto, Enrico, non mi è del tutto chiara l'evoluzione di questi provvedimenti in una economia associativa».
«Hai ragione Kasimir - precisa Enrico - diciamo meglio che tanto più una economia associativa progredisce e si affina, tanto meno deve far ricorso a provvedimenti straordinari come le indennità di disoccupazione, perché, come ho spiegato, la collaborazione tra associazioni consente una maggiore "osmosi dei lavoratori", che possono passare con grande facilità da un'azienda all'altra. La cosa risulta facilitata anche dalla minore velocità con cui girano le economie associative rispetto ai ritmi parossistici di quelle neoliberiste, per cui è difficile che si creino vere e proprie crisi sociali con migliaia di disoccupati. è chiaro anche che nel caso di trasferimento di un lavoratore presso un'altra corporazione, il periodo di formazione risulterebbe gestito dalla nuova associazione, e ovviamente sempre regolarmente retribuito».
«Quindi il periodo "sabbatico" dei nostri ex-colleghi è uno dei primi frutti di questa collaborazione tra le associazioni?» chiede Lorenzo.
«Certamente! - risponde Enrico. - Le associazioni hanno verificato che c'era ampia copertura finanziaria per il loro riposo e hanno dato il via libera. Tanto più una economia diventa associativa tanto più può ridurre la quantità di lavoro complessivamente richiesta rispetto agli standard attuali, e offrire quindi periodi anche relativamente lunghi di riposo ai lavoratori. Ovviamente, a regime, ritmi di lavoro e riposi dipenderanno da vari fattori, ad esempio dall'efficienza delle associazioni, dal tenore di vita che si vuole raggiungere ecc.».
«In effetti qui sugli Altopiani, grazie ai nuovi rinforzi, ormai si lavora solo per mezza giornata circa, e poi nei mesi invernali avremo anche dei bei periodi di riposo...» osserva Bauer.
«Ma in base a quali criteri ad un lavoratore può essere concesso un periodo di riposo della durata anche di mesi?» chiede Martin.
«Beh, alla fine si tratterebbe di una specie di aspettativa che già oggi sulla Terra è usufruibile secondo certi criteri - risponde Bauer guardando all'improvviso verso la finestra battuta con particolare violenza dalla pioggia. - Con tutta probabilità, dovresti presentare una domanda all'associazione di appartenenza o all'impresa, ci sarebbe una graduatoria, immagino, bisognerebbe verificare la copertura finanziaria, qualcosa del genere...».
«Con la differenza, rispetto all'aspettativa ordinaria, che saresti retribuito regolarmente» aggiunge Enrico.

ombrelloAll'improvviso la porta della baracca cigola sui suoi cardini e si apre, compare sulla soglia Fabian coperto da una cerata gocciolante e intento a chiudere un artigianale ombrello, operazione che gli riesce solo all'interno della baracca a causa del forte vento che è andato ad aggiungersi alla pioggia battente. Gli amici lo accolgono con piacere, offrendogli una tazza di tè caldo mentre si siede in mezzo a loro.

«Grazie amici, ci voleva proprio! La temperatura si è abbassata non poco. Sono andato a controllare il livello del fiume. Speriamo non si alzi ancora... Come va qui?» chiede Fabian mentre tuoni e fulmini fanno sapere che il temporale si trova proprio sopra di loro.
«Oh, molto bene, eravamo impegnati in una piacevole conversazione con i nuovi arrivati. Il professor Enrico sta provvedendo a spargere perle di saggezza di economia associativa sui presenti!» risponde Bauer.
«Sciocchezze! Piuttosto, capiti a fagiolo Fabian. Mi sa che adesso entriamo nel vivo della discussione» si schermisce Enrico, facendo un riassunto insieme agli altri di quanto detto fino a quel momento. Dopo il breve riepilogo è Kasimir a prendere la parola:
«Io vorrei tornare per un attimo sul tema indennità e sussidio di disoccupazione. Enrico ci ha spiegato bene come il primo non dovrebbe praticamente esistere in una economia associativa avanzata, mentre non mi è chiaro se ci sarebbe posto per il secondo oppure no. Certo, in una economia associativa si lavorerebbe di meno, ci sarebbero periodi più o meno lunghi di riposo retribuito, ma tutto questo avverrebbe comunque in un contesto lavorativo, in quanto uno è lavoratore. Ma potrebbe essere che una persona possa accedere ad un sussidio anche se non ha mai lavorato? In fin dei conti, se questo periodo di aspettativa si allungasse indefinitamente non si avrebbe proprio una forma di sussidio di disoccupazione? Non so se mi sono spiegato...».
«Mi stai dicendo cioè se esiste la possibilità di erogare qualcosa come un reddito di base per tutti, indipendentemente dal fatto che si lavori o meno?» chiede Fabian.
«Precisamente! Ho degli amici che vivono nel nord Europa, dove le politiche sociali sono molto avanzate ed efficienti. Uno di questi, in particolare, lavora solo per certi periodi, fin che lo desidera, potremmo anche dire, e poi usufruisce di un reddito di base che gli garantisce una vita decorosa, senza lussi ovviamente, ma del tutto dignitosa. Grazie alla certezza di non ritrovarsi mai in ristrettezze, può dedicarsi senza preoccupazioni a coltivare ciò che gli interessa: studiare, viaggiare... Insomma, usufruisce di condizioni economiche che gli consentono di evolvere e crescere come essere umano».
«Bisognerebbe distinguere anche tra reddito di base e reddito di cittadinanza» puntualizza Enrico.
«Ok, Kasimir, mi è chiaro - risponde Fabian. - Diciamo subito che il tema è molto delicato e complesso, e non pretendo assolutamente di poter dare in merito delle risposte definitive, che peraltro non risentono della sottile differenza tra reddito di base e reddito di cittadinanza, tanto per rispondere anche ad Enrico. Ma questa è anche un'ottima occasione per parlarne. è un po' di tempo che in effetti ci vado pensando pure io, e vorrei sentire le vostre opinioni al riguardo. La cosa è complicata, anche perché condivido pienamente molte delle istanze che accompagnano l'idea del reddito di base, e sono d'accordo con chi lo sostiene che le obiezioni tipiche verso di esso potrebbero non essere del tutto fondate».
«Beh, ma con un reddito di base incondizionato è ovvio che non lavorerebbe più nessuno!» afferma risoluto Martin.
«Ecco, questa è una di quelle tipiche obiezioni!» ribatte Enrico sorridendo, mentre Martin arrossisce d'un tratto, guardando confuso i suoi amici.
«Però, scusate, non ci avete raccontato che il denaro non è altro che un assegno in conto merci?» chiede Lorenzo.
«Certamente!» risponde Enrico.
«E allora queste merci chi le dovrebbe produrre?» chiede Lorenzo.
«Quelli che non fanno nulla no di certo! Gli altri, sempre i soliti, quelli che lavorano sempre!» ribatte Martin.
ssssss «Già... E con quali criteri alcuni lavorerebbero e altri no?» chiede Lorenzo.
«Diciamo che non è proprio scontato che accada questo, che nessuno lavori più intendo. Molto dipenderebbe dal contesto in cui il reddito di base venisse realizzato. Ad esempio, nel caso dell'amico di Kasimir il reddito di base non gli ha certamente tolto la voglia di lavorare - spiega Fabian. - In altre condizioni, e sappiamo bene come sulla Terra in certi Paesi oggi gli uomini siano molto sfruttati, potrebbe capitare che qualcuno, estenuato da ritmi disumani di lavoro, voglia riappropriarsi della propria dignità umana e che per lui i periodi di riposo possano risultare anche molto lunghi».
«Ho sentito anch'io come nei Paesi in cui ci sono queste forme di protezione sociale in effetti non c'è stato un aumento dell'assistenzialismo, anzi si è osservato un certo aumento delle iniziative: la gente, sentendosi protetta da un paracadute, è più disposta a tentare di fare ciò che realmente desidera!» aggiunge Kasimir.
«Sì, ne ho avuta notizia anch'io - riprende Fabian. - Diciamo anche che tanto maggiormente la scuola e l'educazione si liberano dalle dipendenze statali, tanto più gli uomini si affacciano sulla scena sociale con dei veri talenti, dei veri impulsi creativi per i quali non potranno che desiderare di metterli a frutto. Uno che ha un talento, o che sente di averlo, veramente soffre per il fatto di non poterlo impiegare e difficilmente cadrà nell'assistenzialismo... D'altra parte, se in una civiltà come quella terrestre, in cui se non lavori non mangi, ci sono comunque oggi delle persone che non lavorano e non hanno intenzione di lavorare, ebbene semplicemente queste persone ci saranno sempre, c'è poco da fare...».
«Un paradiso in terra non potrà mai esserci, e un sistema società che "salvi" tutti gli uomini è pura utopia...» aggiunge pensoso Bauer.
«Sono d'accordo con te, caro Bauer, ma, amici miei, non fraintendetemi per favore, non sto criminalizzando nessuno, quello che ho detto deriva da osservazioni oggettive. Ricordo di aver incontrato diversi anni fa, a casa di amici, un tale che si occupava di reinserire soggetti con vari tipi di problemi nel mondo del lavoro attraverso una cooperativa con finalità sociali. Quando iniziò a lavorare per la cooperativa era certo che le condizioni ambientali e sociali rappresentassero la vera causa della marginalizzazione di certi soggetti particolarmente deboli e svantaggiati. Era convinto che con gli strumenti che aveva a disposizione sarebbe riuscito a recuperare, se non proprio tutti, almeno una buona parte delle persone a lui affidate, per lo meno si aspettava dei risultati concreti per tutti. Ebbene, dopo un certo tempo dovette ricredersi. Aveva indubbiamente ottenuto dei risultati con molte persone, ma si rese conto che per diverse altre, dopo aver proposto numerosi impieghi assolutamente semplici e adeguati alle loro capacità fisiche e psichiche, non c'era proprio verso. O non si presentavano al lavoro o se ne andavano prima o succedeva qualcosa per cui dopo un po' era necessario allontanare la persona per ritentare poi con qualcosa di ancora più semplice, fino alla resa finale: non si poteva chiedere a queste persone nemmeno qualcosa di assolutamente elementare. Il tizio in questione rimase non poco spiazzato e dovette ricredersi sulle ideologie di cui era pervaso. In certi casi era evidente che c'era un "qualcosa", che lui non sapeva identificare, che impediva a una data persona di uscire dalla condizione in cui si trovava. In realtà, dietro queste situazioni ci sono profonde connessioni di destino che non possono esser imputate unicamente alla società, quest'ultima ne è molto spesso solo il tragico palcoscenico. Tuttavia si tratta di casi limite, ma come ha detto giustamente Bauer è una seduzione pericolosa pensare di poter realizzare una società perfetta. Questa è pura utopia, ne dobbiamo tenere conto se vogliamo restare sul terreno della realtà. In ogni caso, non è questo l'essenziale, e prima di proseguire vorrei tentare di fare un po' di chiarezza sul tema».
Dopo essersi riempito nuovamente la tazza di tè, Fabian prosegue: «Dobbiamo avere ben presenti alcuni punti fermi, ovvero:

  1. nella sua concezione originaria l'economia associativa non prevede redditi da disoccupazione o di base o di cittadinanza che dir si voglia;
  2. è necessario separare il concetto di lavoro da quello di reddito;
  3. in una economia associativa compiutamente realizzata non capiterà mai che un individuo, che non si trovi volutamente nella condizione di non-collaborazione sociale di cui ho detto poco fa, debba minimamente preoccuparsi del proprio sostentamento;
  4. in una economia associativa compiutamente realizzata, un lavoratore non dovrebbe essere occupato più di 3-4 ore al giorno, e dovrebbe poter accedere a periodi di riposo più o meno lunghi.

In sistemi sociali avanzati, come quello prefigurato dalla "Tripartizione sociale", non si prevede esplicitamente un istituto come quello del reddito di cittadinanza, ma ciò che esso chiede emergerebbe a mio avviso comunque dal complesso delle condizioni sociali che ho descritto. In altre parole, ciò che chiede il reddito di cittadinanza è corretto, ma esso vive nella sfera del sentire, e deve essere tradotto in realtà con altri provvedimenti sociali che vadano addirittura oltre il reddito di cittadinanza».
«D'accordo - riprende Kasimir - questo era già emerso in qualche modo in precedenza, ma, come ho tentato di spiegare, sempre all'interno di un contesto lavorativo. Se ad esempio io volessi dedicare la mia vita alla meditazione, credi che potrei diventare un bhikkhu itinerante, ovvero fare di questo un "lavoro"?».bhikkhu
«Bhikkhu cosa?» chiede Martin.
«Un bhikkhu è un monaco buddista, ma intendevo esprimere in un modo un po' estremo la possibilità concreta di disporre della propria vita in modo del tutto libero e autonomo all'interno dell'organismo sociale. Nonostante le tue rassicurazioni, Fabian, vedo questo vincolo a lavorare come qualcosa che francamente non riesco a digerire. Lo vedo comunque come una costrizione» risponde Kasimir.
«Proprio un bel lavoro, questo del bhikkhu, mi sa che diventeremmo tutti monaci itineranti!» aggiunge con ironia Martin.
«Ci stavo per arrivare infatti, Kasimir, e approfitto proprio della osservazione di Martin per risponderti. Martin, che lavoro fai tu qui sugli Altopiani?» chiede Fabian.
«Mi occupo della coltivazione di carote e fagioli» risponde Martin, alquanto sorpreso dalla domanda di Fabian.
«è un lavoro molto utile il tuo! Se oggi su Kepler 2b le persone possono mangiare carote e fagioli lo devono in parte anche a te, non è così?» chiede Fabian.
«Sì, è così!» risponde Martin.
«Poniamo ora il caso di un bhikkhu che abbia seguito un percorso interiore molto severo ed abbia conseguito un'autentica evoluzione interiore - prosegue Fabian. - Supponiamo anche che non appena questo monaco itinerante sia giunto in una nuova città, si dia il caso che egli si fermi e inizi a meditare. In tal modo, inizierebbe a "lavorare" anche lui, solo che lo farebbe su dei piani molto più sottili che quello materiale. Potrebbe, ad esempio, con questo suo "lavoro" eliminare l'atmosfera animica negativa che grava sulla città e sui suoi abitanti. Questi ultimi potrebbero trarne un beneficio notevole, e considerare dunque l'arrivo in città del monaco come una benedizione. Se ora mettiamo l'uno accanto all'altro la coltivazione di carote e fagioli con l'eliminazione dell'atmosfera negativa di una comunità, dobbiamo ammettere che l'importanza della seconda non è da meno della prima...».
«Con la differenza che carote e fagioli li tocco, li sento, li peso, e basta metterseli in bocca per valutarne la qualità. La capacità di un monaco, come la misuro?» chiede Martin. «Molto ben detto Martin - risponde Fabian - e qui siamo al punto essenziale. Si tratta infatti di un problema di comprensione. Esiste la possibilità di acquisire una giusta comprensione, per quelli che sono veri asceti, come tu ne hai per i fagioli e le carote. E una libera comprensione si può formare unicamente se in una società esiste una libera scuola, o meglio quando l'intera sfera culturale risulta libera e autonoma».
«Certamente, tutto dipenderebbe molto anche dalla cultura e dalle consuetudini di un dato paese o di una data comunità - aggiunge Bauer. - Ciò che sarebbe possibile in un certo luogo, lo sarebbe meno in un altro, ma sarebbe comunque qualcosa di aderente alla realtà. Nel mondo occidentale, un bhikkhu non è forse qualcosa del tutto estraneo, dato che anche da noi ci sono sempre stati ordini monastici, ma ad esempio un Jacob Böhme ha fatto il ciabattino per tutta la vita...»


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6.1 Un ponte tra produzione e consumo6.3 Lavoro e reddito di cittadinanza (II parte)
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