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OO 330 - Nuova struttura dell'organismo sociale



L'impulso della tripartizione non è un “mero idealismo”, ma un'incombente esigenza pratica del presente
Conferenza per la riunione della Lega per la tripartizione dell'organismo sociale

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Stoccarda, 31 maggio 1919


Il presidente, dott. Unger, apre la riunione con le seguenti parole:
Egregi convenuti! Apro la riunione di stasera su incarico del comitato operaio della Lega per la tripartizione dell'organismo sociale. Permettetemi di dire qualche parola riguardo all'appello che avete trovato ai vostri posti. Quelli di voi, egregi signori qui convenuti, che erano presenti anche ieri alla nostra manifestazione, sanno che è stato detto che in questo momento è importante mettere vigorosamente in atto l'impulso alla tripartizione sociale. Dopo aver realizzato per prima cosa l'emancipazione della vita economica dallo Stato unitario, deve esserci chiaro che, come ha spiegato il dottor Steiner, questa emancipazione della vita economica può avere un senso per il risanamento dell'organismo sociale solo se, contemporaneamente, si libera dallo Stato unitario l'organismo spirituale, il settore spirituale dell'organismo sociale. Per questo sono necessari i forti impulsi che devono vivere in ogni singola anima umana quali impulsi della libertà. Questi impulsi sono necessari per l'iniziativa più specifica che la vita spirituale venga posta sulle sue proprie gambe. A tal pro è necessario un impulso, rivoluzionario per la vita spirituale, alla socializzazione della vita spirituale, affinché in realtà tutti i gruppi possano partecipare e vogliano partecipare alla totale ricostruzione, assolutamente necessaria, della vita spirituale. Allacciandoci a quanto ha detto ieri sera il dottor Steiner su questo punto rispondendo alle domande sull'immediata fondazione di un consiglio culturale, ci siamo permessi di sottoporvi questo volantino. È stato preparato dall'oggi al domani, e voglio riassumere solo con poche parole quello che appunto è stato l'impulso di ieri sera. Nel volantino trovate una dichiarazione di adesione, che ci serve a contare su persone che per iniziativa propria sviluppano la volontà di por mano ad una rifondazione della vita spirituale.

Vi preghiamo di fare uso di questa dichiarazione di adesione e di dare la parte in cui devono essere inseriti il nome, la professione, l'indirizzo e il tipo di collaborazione, alle persone che nel corso di questa serata comunque saranno pronte all'uscita della sala per raccogliere appunto queste dichiarazioni di adesione.

Permettetemi ancora di ricordarvi che sul retro del biglietto di ingresso di oggi c'è una spiegazione delle proposte del dottor Steiner e che saremmo lieti di avere collaborazione e di ricevere nuove adesioni per la tripartizione. Vi preghiamo di utilizzare anche questi biglietti, soprattutto chi non è ancora riuscito a decidersi ad aderire alla Lega per la tripartizione dell'organismo sociale. A serata conclusa mi permetterò di ricordarvi ancora una volta che sia il biglietto, sia la cedola dell'appello possono essere depositate all'uscita. Ora prego il dottor Steiner, l'oratore di stasera, di prendere la parola.

Dottor Steiner:
Egregi convenuti! Quando, al giorno d'oggi, si parla come appunto lo si deve fare con quello stato d'animo che era ed è alla base dell'impulso alla tripartizione dell'organismo sociale, si sa, perché si ha dovuto seguire con calore dell'anima gli eventi del tempo presente, si sa di parlare nella tempesta. Anche se per molti, oggi, questa tempesta non è ancora percettibile, purtuttavia questa tempesta c'è; e in un certo senso ci si può meravigliare molto quando, come è successo, a causa della mancanza di consapevolezza dell'esistenza di questa tempesta, ci si sente rispondere che questa sarebbe un'ideologia, un'utopia. Dagli eventi dell'epoca si trarrà quel che oggi vuole impegnarsi a confutare questo pensiero secondo il quale l'impulso per l'organismo sociale tripartito sarebbe un idealismo non pratico, un'utopia o anche una qualsivoglia ideologia.

Poiché inizialmente questo appello, cosa peraltro comprensibile, è nato in seguito ad un'esperienza personale, mi perdonerete se, dato lo stupore che si può provare quando si viene accusati di ideologia o di utopia, inizierò con una brevissima osservazione introduttiva che forse si potrebbe giudicare personale. Però è proprio vero che al giorno d'oggi tutto quel che è personale ma che non si limita ad incapsularsi in se stesso, ma che riesce a vivere con le persone, data la gravità degli eventi dell'epoca può essere al tempo stesso qualcosa di universalmente umano e anzi, forse può essere proprio sintomatico di quel che è universalmente umano: sia adesso, in quest'epoca così difficile, sia in futuro, quando, senza dubbio, la situazione sarà ancora più grave.

Lo si trova per la prima volta nell'appello Al popolo tedesco e al mondo della cultura, nel quale si è parlato di questa tripartizione sociale così come adesso la intende la Lega per la tripartizione sociale, e poi nel mio libro I punti essenziali della questione sociale nelle necessità del presente e del futuro. - Queste cose non sono state proposte senza motivo da quell'uomo che ha voluto proporle e che le ha proposte solo alla fine del suo sesto decennio di vita. Non sono nate escogitando o elucubrando una qualche pretesa. Sono sorte vivendo appieno la vita e osservandola e forse a tutt'oggi non sarebbero ancora state presentate al pubblico se colui che le ha presentate al pubblico non si fosse convinto, per via degli eventi dell'epoca, del fatto che al giorno d'oggi, in quest'epoca così grave, succedono talmente tante cose non pratiche, da far penetrare nelle teste delle persone così tanta ideologia e utopia, che chi ha qualcosa di pratico da opporre ha semplicemente il sacrosanto dovere di parlare di questa vita pratica. E tuttavia riecheggia: “Utopia, ideologia, idealismo non pratico!”

Dunque, perdonatemi un paio di osservazioni personali a mo' di introduzione. Non mi sono sentito spinto da un qualche stimolo personale a venir fuori con questa cosa, dopo essermi impegnato per decenni nel settore del quale stiamo parlando, di quello spirituale, a fare quello che potevo fare per rimetterlo in piedi dritto, dopo che, secondo me, la cultura della nostra epoca lo aveva ribaltato a testa in giù. Dopo essermi impegnato per decenni a lavorare in quella che io chiamo la scienza dello spirito, davvero non sono stato spinto ad ampliare gli altri due settori da uno stimolo personale, bensì dalla necessità nella quale l'epoca attuale costringe le persone. È questa la grande, minacciosa preoccupazione culturale cui mi trovavo di fronte decenni fa: il fatto che la vita spirituale, mentre da un lato, nell'ambito delle scienze naturali, doveva festeggiare, proprio grazie alle modalità che le sono proprie, i massimi trionfi, dall'altro lato non è capace di comprendere la reale vita umana, questa vita che va oltre quel che viene prodotto soltanto dalla natura. Il fatto che, quindi, questa vita spirituale dovesse anche restare incapace (questo si presentava al mio sguardo spirituale come una minacciosa preoccupazione culturale) che dovesse restare incapace di comprendere il grande problema sociale che si impone proprio adesso all'umanità. Infatti il problema sociale, in ultima analisi, è un problema spirituale. Nessuno che non possa comprenderlo con lo spirito può comprenderlo nella sua verità. Inizialmente sentivo la mia patria qui, nella comprensione dello spirituale, la patria nella quale neanch'io venivo ascoltato nel modo in cui avrei voluto essere ascoltato, in modo che quelle che non erano che mere parole sfociassero nell'azione, nella trasformazione di quella vita spirituale che ormai non era più capace di penetrare veramente nella vita umana. Tuttavia sarei rimasto volentieri in quel settore se gli eventi degli ultimi anni non avessero provocato quelle cose che hanno mostrato con tanta evidenza che l'umanità sta correndo dietro alle utopie e alle ideologie e non riesce a concepire le cose più immediatamente pratiche se non sulla base di grigie teorie o di dottrine di partito.

Nel mezzo del trambusto della guerra, quando credevo che fosse arrivato il momento in cui era lecito pensare che l'umanità avrebbe cominciato a capire che continuare la guerra avrebbe mandato in rovina l'Europa orientale e centrale, per la prima volta ho tracciato quello che adesso è venuto fuori come abbozzo di un progetto dell'organismo sociale tripartito. Perché, durante questi eventi bellici, ho visto sorgere una spaventosa utopia, un'utopia che purtroppo, a causa della particolare situazione dell'epoca, poteva agire in modo molto reale, perché aveva due caratteristiche. In tutto ciò che ne costituiva il contenuto era un'utopia pura, e per le circostanze concomitanti era qualcosa che veniva posta nel mondo dall'interesse di certi gruppi di persone e che era adatta ad ingannare le persone che si ritenevano persone pratiche, e che invece correvano dietro a tutte le utopie possibili, ad ingannare queste persone nascondendo loro che questa utopia era nata da meri interessi umani e, in questo caso, perfino da interessi economici. Si poteva vedere quest'utopia sorgere all'orizzonte della cultura del presente. Si poteva vedere come quest'utopia, nel mondo occidentale, non solo agiva sugli uomini in modo da sottoporli a cambiamenti di umore, ma (dato che coincideva con interessi veramente reali, ma che non vi venivano espressi nel loro contenuto), come quest'utopia poteva anche mettere in piedi eserciti e spingere navi nei mari. E nei Paesi occidentali i seguaci di quest'utopia diventavano sempre più numerosi.

Alla fine, quest'utopia ha assunto la forma dei cosiddetti 'quattordici punti' di Woodrow Wilson. In Germania quella volta non aveva scopo, in Svizzera, dove durante la guerra era necessario dire la verità in questa direzione, ho sempre ripetutamente messo in risalto da un lato il carattere utopistico e dall'altro lato il carattere economico derivato da condizioni economiche puramente occidentali di questo cosiddetto programma di Woodrow Wilson. Quest'utopia ha agito con una forza tale che nell'autunno del 1918 non solo da parte dell'Entente i seguaci di questa utopia erano moltissimi, ma che alla capitolazione militare tedesca l'uomo al quale il popolo tedesco nei giorni pregni di destino guardava come ad un'ultima speranza ha aggiunto la capitolazione dello spirito, la capitolazione all'utopia di Wilson. Quando quest'utopia mondiale non aveva ancora preso la forma dei “quattordici punti”, ma era concepita solo in modo iniziale, ho cercato di mettere per iscritto quella che si sarebbe dovuta contrapporre a questa utopia mondiale come realtà europea. Non è stato possibile trovare comprensione in nessuno di coloro che avrebbero dovuto ascoltare, nessuna comprensione per ciò che, proprio per il suo carattere pratico, avrebbe dovuto contrastare un'utopia mondiale.

A quel tempo per esempio si trovava molto pratico gridare al mondo: “Fra gli uomini devono regnare il potere e il diritto”. Questi sono uomini di stato che arrivano solo alle grigie definizioni di 'potere' e di 'diritto', ma che non riescono ad arrivare a concepire veramente qualcosa di concreto, qualcosa di reale. Non verremo mai fuori dai disordini e dal caos prima di diventare capaci di trattare in modo pratico qualcosa di veramente pratico.

Ho detto che non volevo e non potevo in un certo senso portare questa cosa in pubblico prima del corso del mio sesto decennio di vita. Infatti questa cosa si rifà a quanto ho vissuto io stesso da figlio di proletari fra i proletari, quando mi divenne chiaro che cosa proveniva dalle anime e dalla risonanza delle esperienze economiche e dagli eventi economici del proletariato di oggi, cioè del proletariato di allora, negli anni Sessanta e Settanta del XIX secolo. Ho conosciuto quella che oggi si chiama lotta di classe per il fatto che il destino mi ha dato moltissime occasioni di conoscere in prima persona le classi. Ho conosciuto il proletariato facendone parte. In seguito ho conosciuto tutti i sentimenti della borghesia con la sua cortezza di vedute per le reali esigenze veramente pratiche dell'epoca, con il suo tenace attaccamento alle sue condizioni particolari, col suo disinteresse a tutto quel che va al di là di queste condizioni particolari. Nel contatto diretto con la vita ho conosciuto anche quella classe di persone che oggi fa l'alta politica, e così, davanti all'occhio della mia anima, si è affacciato quel che vive nell'epoca: la lotta fra le singole classi. Ho incontrato i bisogni, le esperienze e i destini di tutte quelle classi delle quali oggi bisogna parlare, perché è iniziata la grande resa dei conti per quanto riguarda le differenze di classe. Le circostanze mi hanno tenuto lontana solo una cosa. E mi è rimasta del tutto lontana. Le circostanze mi hanno tenuto lontana qualsiasi collaborazione con un qualche singolo partito. In tutta la mia vita non ho mai fatto parte di un partito. Ho avuto a che fare con numerosissimi uomini di partito, ho conosciuto innumerevoli programmi di partito e opinioni di partito. Ma non ho mai fatto parte di alcun partito. In Austria, dove ho trascorso la giovinezza, non ho potuto né votare né essere votato, per il semplice motivo che a quei tempi le persone che non avevano raggiunto un certo reddito nell'anno in corso non potevano né votare né essere elette. In seguito non sono mai stato in un posto dove mi sia stata data la possibilità di avvicinarmi alle urne, per il semplice motivo che, attraversando due altri Paesi, in questi Paesi non ho mai avuto il diritto di cittadinanza.

Condizioni di partito, programmi di partito non contribuiscono a quello che oggi si presenta al mondo come impulso per l'organismo sociale tripartito. Vi contribuisce soltanto quel che si è fatto proprio in una vita che si è impiegata appunto per farlo proprio, osservando le necessità, le esigenze, le altre condizioni di tutte le persone che stanno vicine nelle diverse classi. Se poi al giorno d'oggi, su queste basi, si traccia una via di vita pratica, di questa via di vita pratica si sente dire che è un'utopia, un'ideologia. Per me è un sintomo culturale, il fatto che oggi ogni genere di utopisti che sono inseriti in partiti o che occupano altri posti nella compagine umana possano considerare utopistico proprio ciò che contrasta tutto quel che è utopistico. Posso dire che a partire dai bisogni del droghiere, dai bisogni del bracciante per arrivare fino ai bisogni di coloro che in quanto grandi capitalisti, in quanto (c'è anche gente del genere) diplomatici hanno preso parte alle sorti mondiali negli ultimi decenni, tutto è fluito in quel che nell'appello in un primo momento, ovviamente, si è dovuto riassumere in un paio di frasi. È fluito anche quel che oggi può fluire nella vita pratica dalle esperienze del maestro di scuola elementare fino alle esperienze di chi lavora negli istituti superiori. Soltanto in questo modo mi era sembrato e mi sembra tuttora possibile raggiungere un punto di partenza per quello che oggi ci viene posto come il grande compito sociale del presente.

Questo compito sociale del presente, dove si manifesta? In ciò che segna il droghiere nel suo piccolo libriccino con la matita quasi nuova come entrate e uscite fino su a quello che deve fluire come impulso spirituale per dare una direzione e uno scopo all'umanità. In tutto questo si trovano oggi i grandi, vasti compiti, senza tener conto dei quali non si può fare nulla, dalla cosa più piccola a quella più grande, di quello che ci tocca come compito sociale.

Poco fa ho parlato di, ecco, chiamatelo sconvolgimento, chiamatelo riforma dell'ente spirituale. È questo che io consideravo essere la mia vera e propria patria, e dicevo: “Qui ho sotto gli occhi questa grande preoccupazione culturale: il fatto che questa vita spirituale, come si è insinuata in modo reazionario e conservatore nella nostra epoca, è adatta a fondare grandi conoscenze naturali, ma che deve restare del tutto sterile per una reale comprensione del sociale, per una vera generazione del volere sociale. Oggi bisogna, si potrebbe dire, prendere in mano questa faccenda”.

Andiamo a vedere quello che è stato prodotto con l'incapacità di estendere la forza spirituale al volere sociale. Quando negli ultimi tre-quattro secoli in cui l'umanità ha cominciato, partendo da precedenti stati patriarcali istintivi, a riflettere sull'economia politica, hanno cominciato a venir fuori ogni genere di concezioni su come si dovesse configurare l'economia politica, concezioni delle quali oggi non devo parlarvi, che sono anche superate. Però alla fine queste da una parte sono andate a finire in quella dottrina di economia politica che ha preso forma dallo spirito e dal sentimento dalla scienza universitaria, e che però non è altro che il precipitato delle concezioni borghesi sull'economia politica; e dall'altra parte si sono cristallizzate in quel che è venuto ad espressione nel modo più chiaro, più forte, più completo nel marxismo, nella concezione sociale di Karl Marx, ma che non è altro che il riflesso di quegli impulsi che spingono il proletariato a voler sapere che si coltiva l'economia politica.

Quali sono i tratti caratteristici di queste due correnti? Volendoli indicare, ci riferiamo al tempo stesso a quel che nel presente non è pratico, ma è il contrario di tutta la pratica, a quella che è ideologia. La scienza universitaria, alla fine, non ha portato a nient'altro che a considerare tutto il volere sociale in grande stile come qualcosa di impossibile e a considerare piccole misure di riforme sociali come grandi azioni. Del resto quest'economia politica universitaria si è dimostrata impotente a fare altro che registrare quello che già avviene nell'economia politica o, come si può anche dire per esprimersi nel linguaggio stesso di questa scienza, comprenderlo in modo storico e statistico. Con questa comprensione storica e statistica non è venuto fuori nient'altro che una totale paralisi di tutto il volere sociale. Quel che vive nella società è stato capito in senso storico, cioè si è annotato quello che succedeva. Lo si è assunto statisticamente, cioè si sono registrati dei numeri riguardo a ciò che succedeva e così si è ucciso quell'impulso per un qualche volere sociale, in modo che tutto il volere sociale, nella pratica, si è esaurito in piccinerie. Però quello che portava la vita era vuoto di tutto l'impulso al volere, mentre l'epoca già da lungo tempo poneva i grandi compiti sociali. E quello che la vita aveva realmente portato, fluendo nella mancanza di pensiero e nella mancanza di volontà, è sfociato infine nella catastrofe mondiale, che è questa non-volontà sociale portata all'assurdo. Dall'altra parte il proletariato intessuto nella tecnica, nella fabbrica, nel capitalismo che rinsecchisce l'anima si è volto entusiasta al marxismo, perché in esso vedeva la critica più brillante, più grandiosa che esso stesso sentiva nel cuore contro quell'ordinamento sociale contro il quale doveva combattere, perché questo ordinamento sociale non gli dava assolutamente nulla dei suoi beni materiali e spirituali.

Questo marxismo, in quanto critica grandiosa, potente: qual'è il suo punto vitale? Il suo punto vitale è: l'evoluzione procede da sé. A poco a poco nell'epoca moderna le forme economiche si sono configurate in modo tale per cui i mezzi di produzione sono gradualmente passati ai trust o ad altre cooperative. Questa è la strada che ha portato all'espropriazione del proletariato, ma è anche la strada lungo la quale avverrà, assolutamente da sé, l'espropriazione degli espropriatori. Qualsiasi cosa gli uomini facciano per il progresso, l'evoluzione deve procedere da sé. - Con questo è stata espressa la dichiarazione meno pratica di tutte, la dichiarazione che l'evoluzione debba procedere da sé, che l'uomo sia attaccato alla ruota della storia, che debba aspettare finché le forze economiche storiche, con la loro oggettività separata dall'uomo, producano esse stesse quello che poi dovrà diventare il risanamento per le sfere più vaste del proletariato.

Allora è arrivata la catastrofe mondiale. Essa ha mostrato che tutti i discorsi sull'auto-evoluzione erano sorti soltanto dalla paralisi della volontà umana. La volontà del proletariato, che era intessuta nella fabbrica, che era intessuta nel capitalismo che prosciuga l'anima, essendovi intessuta era al tempo stesso anche paralizzata, non pretendeva di configurare il mondo, diceva: anche noi dobbiamo essere salvati, non possiamo farlo da soli! - Così si consolava con la professione di fede: Saremo aiutati dall'evoluzione oggettiva. - Questa è la non-pratica di vita e la più grande professione di fede delle vastissime masse del proletariato. Ma la grande catastrofe mondiale ha mostrato che ora, all'improvviso, quel che si era creduto, l'ammasso dei mezzi di produzione non portò a quel che ci si aspettava dall'evoluzione, ma invece mise il proletario in quanto uomo sulle sue stesse gambe e gli lanciò la richiesta: “Adesso agisci!” E questo 'Adesso agisci! Agisci umanamente a partire dalla tua volontà sociale!' adesso sta appeso come su una lavagna luminosa in lontananza davanti al proletariato.

Se invece di trascorrere la vita dormendo e di essere dei teorici che dicono “sì” o “no” a certe frasi provenienti da una data concezione del mondo, si accoglie quel che le persone dicono, quel che le persone pensano, prendendolo come un efflusso di qualcosa di molto più profondo, allora si arriva a dire che la gente fa vela nel disprezzo della pratica, nella paralisi della volontà pratica. In questa atmosfera sorgono quelle grandi domande che possono trovare risposta soltanto se la pratica della vita si degna di entrare nella non-pratica. In tutte le situazioni della vita c'è un'innaturale, caotica commistione di diritti, di lavoro, e di quel che deve trovarsi alla base dell'appello alla configurazione sociale nella sua vera forma. In ciò che oggi deve essere combattuto c'è veramente molto di più di quanto devono portare a coscienza coloro che lottano. Sì, in tutto ciò che succede nella nostra epoca così difficile si nota l'insinuarsi della mancanza di praticità. L'appello alla socializzazione attraversa le più ampie fila del proletariato, esprimendosi in impulsi ben precisi, esprimendosi nella rivendicazione del giorno di avere dei consigli aziendali.

Se nell'epoca della socializzazione i consigli aziendali devono dispiegare un'attività, come la realtà richiede, come la coscienza dell'epoca, anche se spesso in modo inconsapevole, esige da parte delle più vaste cerchie del proletariato, allora questi consigli aziendali devono crescere sul terreno autonomo della vita economica, che è separata da tutto il resto, da quella che è la vita politica e da quella che è la vita spirituale. Le persone che si auto-definiscono pratiche della vita sanno talmente poco di quel che è stato detto (e cioè del fatto che il sistema dei consigli aziendali deve sorgere per libera scelta delle persone che si occupano della vita economica per poter dare, in futuro, delle costituzioni della vita economica), sanno talmente poco di quel che sorge dalle profondità inconsce dell'anima e cerca azioni, che è stata progettata una legge sui consigli aziendali, che in ogni suo singolo punto soddisfa il contrario di quello che i consigli aziendali devono diventare, una legge basata in ogni suo singolo punto sulla convinzione che non si debba andare incontro ad un nuovo futuro, ma che si possa conservare quanto, interiormente, è già morto. Non c'è nessun sintomo più chiaro della non-pratica e dell'utopia della nostra epoca, della comparsa di questo disegno di legge. Forse che non è giunta l'ora in cui anche quelli che, per il resto, hanno trovato la propria patria spirituale altrove abbiano il dovere di parlare, vedendo tutta l'utopia che invade quest'epoca, vedendo cioè quanto infinitamente lontana è quest'epoca, con tutta la sua routine, da tutta la reale vita pratica?

Nella nostra epoca abbiamo mischiato impulsi provenienti da tempi antichissimi, dai tempi in cui masse popolari si sono avventate su masse popolari fondando signorie e stabilendo dei diritti sul terreno in base alla conquista del territorio, diritti la cui ulteriore prosecuzione è poi andata a creare tutto il resto della legge. Nei nostri concetti giuridici e nei nostri impulsi giuridici abbiamo antichissime rappresentazioni, statuti e leggi ancora connessi alla conquista del territorio. In molti ambiti purtroppo non si tratta ancora «Del diritto che è nato con te». Quest'epoca ci ha lasciato molto; ci ha lasciato tutto quello che nell'economia politica è legato al terreno. Poi è seguita l'epoca industriale, portando a quel che oggi viene combattuto con tanta forza dalle cerchie più vaste: al capitalismo.

Che cosa significa 'capitalismo'? 'Capitalismo' non significa altro che 'proprietà personale dei mezzi di produzione'. E così abbiamo l'una di fronte all'altra (come possiamo osservare se cerchiamo di sviluppare una visione d'insieme dell'economia politica di tutta la Terra civile), abbiamo da una parte la situazione che deriva dallo sfruttamento del terreno nel senso dell'economia politica umana, e [dall'altra parte quella] che dipende dal possesso dei mezzi di produzione e dal loro sfruttamento nel senso di questa [stessa] economia politica. Qui pochissime persone capiscono che perfino nella cifra più irrisoria, perfino nei cinque centesimi che io estraggo dal mio portafoglio per comprarmi qualcosa di insignificante, la lotta politico-economica fra la situazione del terreno e la situazione dei mezzi di produzione gioca il suo ruolo. Tutta la nostra economia politica è una continua ricerca di un equilibrio fra la situazione del terreno e la situazione dei mezzi di produzione. Siamo costretti a stare lì dentro in quanto uomini dell'epoca moderna con tutto il nostro destino in tutti i settori della vita. Quel che ne è derivato quando si è passati dalle vecchie strutture sociali aristocratiche alle strutture sociali borghesi, lo si può caratterizzare dicendo che queste strutture sociali borghesi hanno dato vita all'attuale mercato, nel quale dominano in modo anarchico e la domanda e l'offerta. Sul mercato appare il capitale, che oggi passa da una mano all'altra, da una società all'altra. È secondo il principio della domanda e dell'offerta, che si muove la forza lavoro umana nel rapporto di salariato, e che circolano veri e propri beni e prestazioni umane.

L'ordinamento sociale borghese ha gettato sul mercato tre cose: il capitale, il salario e il lavoro, e sotto l'influsso di questo ordinamento sociale borghese il capitale si è trasformato in un sostituto di qualcosa che precedentemente, nel vecchio ordinamento aristocratico, apparentemente era una cosa completamente diversa. Nell'antico ordinamento aristocratico, che poggiava sulla conquista del territorio, tutto quello che veniva scambiato in termini di prestazioni fra gli uomini era spinto nella sfera del diritto. Si dovevano dare delle tasse al proprietario della tenuta; il lavoratore poteva trattenere una certa parte. Tutto questo era spinto nella sfera del diritto. Si aveva il diritto di consumare per sé una certa quantità, si aveva il dovere, perché l'altro ne aveva diritto, di consumare una certa parte di quanto si era prodotto col proprio servizio. Nel vecchio ordinamento aristocratico, il diritto, cioè il privilegio, il diritto di classe, regolava quelli che erano i bisogni umani. Molto di questo riecheggia nella nostra epoca, spingendosi fino alla monetina da dieci centesimi, che estraggo dal mio portafoglio per comprarmi qualcosa. E in quest'eco risuona ancora qualcos'altro, cioè quel che è subentrato al posto di questo vecchio ordinamento giuridico. Ci risuona quel che ha fatto del capitale, del lavoro umano e della produttività delle merci, regolate secondo la domanda e l'offerta, che in tal modo si regolano da sé secondo la redditività, secondo la concorrenza sfrenata, secondo l'egoismo umano più cieco, sotto il cui influsso ciascuno vuole acquisire tutto quello che può spremere dall'ordinamento sociale. E così al posto dell'antico diritto è subentrato quel che è avvenuto grazie al potere economico e alla pressione economica. Al posto dei privilegiati e degli svantaggiati dal diritto dell'antica condizione patriarcale di padroni e servi è subentrata la condizione economica della borghesia, basata sulla lotta della concorrenza, sulla redditività, sul rapporto di costrizione economica fra capitale e salario, rapporto all'interno del quale è stato schiacciato con forza lo scambio di merci, all'interno del quale è stata schiacciata con la forza tutta la formazione dei prezzi, che dipende dalla lotta egoistica fra capitale e salario. E oggi (ed è una cosa pratica capirlo) vuole prendere forma più o meno coscientemente, ma in molte cerchie oggi già coscientemente, vuole prendere forma un nuovo ordinamento sociale che non si basi più su rapporti di coercizione, non più su rapporti economici coercitivi, ma che si basi sulla produttività e sul contraccambio nel loro legittimo scambio, che si fondi, in questo senso, su un vero modo di pensare sociale non egoistico all'interno della società umana. E al giorno d'oggi una persona pratica è solo quella che non lavora contro ciò che deve sicuramente arrivare, ma che percepisce che ovunque, dalle profondità dell'anima umana, risuona il grido: “Al posto dei vecchi privilegi, al posto del vecchio sistema di capitale e salario, deve subentrare il sistema della produttività”.

Quante persone al giorno d'oggi capiscono già tutte le conseguenze di questo grande impulso di vita che non ha preso vita dall'arbitrarietà dell'essere umano, ma che sgorga dall'evoluzione storica stessa, questo impulso di vita il cui preludio è stato così sanguinoso nella catastrofica guerra mondiale? Capita sempre di sentir dire dai pensatori socialisti che vogliono lottare contro il capitalismo con tutte le fibre del loro essere (questo è un sintomo chiaro della nostra epoca) che l'operaio deve ottenere il suo giusto salario, che in questo consisterà la lotta contro il capitalismo. Chi vede le cose con chiarezza sa che finché ci sarà il capitale, ci sarà il salario. Perché nel mondo reale ci sono sempre due polarità: un polo nord e un polo sud, un magnetismo nord e un magnetismo sud; il positivo ha il negativo, il capitale ha il salario al suo seguito, e chi capisce l'azienda nell'economia politica del presente sa come si deve rispondere alla domanda: da dove vengono fuori i soldi per pagare il salario?

I soldi per pagare il salario vengono dal capitale e il capitale deve esserci finché il salario deve essere pagato con il capitale. L'anticapitalismo ha senso solo se al tempo stesso si sa che insieme al capitale deve sparire lo stesso sistema salariale, sa che nell'ordinamento economico non capitalistico deve subentrare la libera socializzazione fra il lavoratore manuale e il lavoratore spirituale. Una libera socializzazione nella quale il lavoratore manuale sia il libero compagno del lavoratore spirituale che non sarà più capitalista, una socializzazione in cui venga estirpato il concetto di salario, il rapporto salariale, e, insieme al rapporto salariale, la situazione del capitale. Perciò si può parlare del capitalismo solo come lo si è fatto dal punto di vista delle esigenze sociali del presente discusse nel mio libro I punti essenziali della questione sociale nelle necessità della vita del presente e del futuro. Bisogna partire dalla grande verità che siamo inseriti nella lotta fra i diritti del terreno e i diritti dei mezzi di produzione. E si deve mostrare che per il nostro futuro ordinamento economico il terreno non è altro che un mezzo di produzione, che il mezzo di produzione può assumere il valore di lavoro soltanto finché è approntato, che da quel momento in poi non è di proprietà di nessuno, che da quel momento in poi nessuno ha su di esso alcun diritto ereditario, che da quel momento in poi passa nel circuito della società, come ho descritto nel mio libro. Allora si giunge anche direttamente al fatto che il terreno fin dall'inizio è in questa situazione, che tutta l'ipotecatizzazione[1] del terreno è un nonsenso, che il terreno e i mezzi di produzione già pronti non sono merci, ma che devono passare da un uomo all'altro per vie diverse che non attraverso lo scambio con merci. Questo risulta direttamente dalla vita pratica del presente.

Il fatto che risulti dalla vita pratica del presente riesce evidente anche per il seguente motivo. Al giorno d'oggi chi vuole concepire questa vita solo secondo schemi, secondo concetti di partito o secondo pensieri astratti non riesce a capire la vita in modo pratico. Adesso è giunto il tempo in cui l'uomo si risveglia all'autocoscienza in un senso del tutto diverso da come avveniva nell'epoca precedente. Al giorno d'oggi solo l'avversione all'osservazione dell'anima può rendere ciechi sul fatto che a partire dalla metà del XV secolo riguardo all'evoluzione dell'anima umana siamo entrati in un'epoca totalmente nuova, nella quale l'anima umana diventa sempre più consapevole. Quella classe di persone il cui cervello non usurato grida: “Lasciami arrivare, in quanto anima, alla mia piena consapevolezza umana!” è, anche se oggi si affaccia con alcuni sintomi non simpatici, è l'anima del proletario. E il primo grido per questa consapevolezza di sé in un'esistenza degna dell'essere umano è questo: “Il capitale non deve più esercitare su di me una coercizione economica illecita per mezzo del rapporto salariale”. Il proletario di oggi vede nel salario ciò contro cui deve volgersi se vuole elevarsi a quella consapevolezza umana che l'epoca nella quale stiamo entrando attualmente semplicemente esige. A quest'epoca è imposto di inserire la produttività in quanto tale nel processo economico. Questa produttività si può inserire in questo processo solo se con tutte le altre misure si torna a liberare da questo processo economico quel che le vecchie condizioni aristocratiche e borghesi vi hanno legato, se si eliminano dal circolo economico il diritto statale, le condizioni politiche, se se ne elimina la vita spirituale, che in realtà già da parecchio tempo veniva schiavizzata da una parte dallo Stato e dall'altra parte dall'economia. Perciò, l'aspirazione ad un ordinamento sociale in cui la produttività susciti il suo lecito contraccambio (in cui l'uomo deve lavorare per l'uomo, non solo l'uomo per se stesso) è collegata alla partizione dell'organismo sociale in quelle tre parti che chi aveva interessi totalmente diversi dagli interessi universali dell'umanità, chi aveva e poteva avere soltanto interessi di stato, interessi di classe, ha fuso insieme.

Dai singoli interessi risulta poi la globalità degli interessi nelle vicende del mondo. A chi (come ho notato all'inizio di questa serata, quando ho dato una colorazione un po' personale) ha impiegato la sua vita per conoscere le necessità della vita di tutti gli uomini senza essere influenzato dalle opinioni di partito, si è anche acutizzata la vista riguardo ai rapporti internazionali che sono derivati dalla mescolanza fra vita economica, vita giuridica o politica e vita spirituale. Se non si dormiva mentre succedevano gli eventi, in questi eventi si notava qualcosa, come un sintomo molto chiaro dell'impossibilità di fondere i tre settori di vita anche nella vita internazionale.

Ricordo una cosa. Quando a partire dalla vita politica è stato fondato il Reich tedesco, è stata ripetutamente stampata la frase di Bismarck: “Questo Reich è politicamente saturo, questo Reich non ha bisogno di espandersi”. Inizialmente, questo era stato pensato politicamente, era stato pensato a partire dagli impulsi politici che avevano portato alla fondazione del Reich. Poi, mentre in coloro che esercitavano il potere erano rimasti i residui, il resto di questo modo di pensare politico, le faccende economiche andarono fondendosi sempre più con queste faccende politiche e presero il sopravvento a tal punto che, quando una qualche personalità influente (e io ho fatto spesso la prova durante questa guerra mondiale) chiedeva: “Politicamente a che cosa si anela in Germania?” non riceveva alcuna risposta. Ma ben presto furono delle specifiche società economiche a rispondere, cioè le società economiche volevano prendere decisioni politiche. Bisogna solo accorgersi di cose di questo tipo nel senso di una concezione della vita veramente pratica. Poiché le condizioni nazionali, cioè spirituali-culturali, le condizioni economiche e le condizioni giuridiche politiche internazionali si erano aggrovigliate in un'unica matassa, per anni il il cosiddetto problema della ferrovia di Bagdad giocò un ruolo fatale. Ed è stato una delle concause dello scoppio della guerra mondiale. Chi è veramente pratico della vita, il vero osservatore della vita, poteva vedere da anni che le condizioni economiche, politiche, culturali si andavano sempre più intrecciando in un garbuglio, disturbandosi reciprocamente nella questione della ferrovia di Bagdad. Che si vedeva avvicinarsi quel che politicamente ebbe poi inizio coi Giovani Turchi che si stabilirono a Costantinopoli, che sostituirono il vecchio sistema conservatore turco con il sistema politico del liberalismo.

Qui avevamo inizialmente dei punti di vista politici. Essi si mischiarono con punti di vista puramente economici nel problema della ferrovia di Sandschak e nel problema dei Dardanelli. Vi si aggiunse la situazione culturali degli Slavi, situazione culturale popolare. Non si fece nulla per prendere questi settori della vita che si ingarbugliavano anche nella vita internazionale dell'epoca moderna ed inserirli in una struttura internazionale nella quale non si disturbassero, ma anzi potessero agire l'uno sull'altro equilibrandosi. Chi, dalla singola nazionalità, volgeva lo sguardo con reale esperienza di vita all'aspetto internazionale, vedeva sopraggiungere il tremendo crepuscolo dei popoli d'Europa provocato proprio da questa fusione dei tre settori della vita in tutte le grandi questioni politiche del mondo della nuova epoca. E nella sua anima viveva l'incubo: “Quand'è che si capirà che dalla sorgente di un vero modo di pensare sociale del popolo bisogna giungere alla ripartizione di ciò che, se non viene ripartito, porta l'umanità a crisi e tragedie?” La nostra diplomazia era una cosa non pratica, era utopia, era ideologia. Che meraviglia, che anch'essa consideri un'utopia, un'ideologia, un semplice idealismo quel che le si deve obiettare! Questo ha portato infine a condizioni di fronte alle quali attualmente ci si continua a ripetere: Alla fine ci si darà da fare, per la gravità dell'epoca, alla fine si vedrà che la peggiore utopia del presente è quella che non vuole capire che si tratta di una grande resa dei conti, e non di una piccola resa dei conti? E che si pecca contro lo spirito di quest'epoca, quando, non capendo ancora le cose da una certa angolazione, si chiama non-pratico, si chiama 'mero idealismo' quel che naturalmente deve rifarsi all'esperienza di vita, alla buona volontà per l'esperienza di vita?

Quando ci si impegnerà per vedere in questo idealismo, infine, la vera pratica di vita? Quando si vorrà vedere che oggi non si tratta di dire: “Questo non lo capisco”, ma di sentire dalle profondità della vita quando qui o là si parla non sulla base di smorte teorie, ma dall'osservazione fedele della vita stessa? Altrimenti, per la disgrazia dell'epoca, vedremo sempre ripetersi in questo ambito sociale quella che è la caratteristica del vero tipo borghesuccio e filisteo. Quando si doveva costruire la prima ferrovia tedesca, si chiese ad un comitato medico, dunque a persone, a commissioni pratiche, se fosse il caso di costruire la ferrovia. Ma queste dissero che non la si sarebbe dovuta costruire, perché se ci avessero viaggiato sopra delle persone, sarebbe stato rischioso per la loro salute, o se si fossero trovate delle persone che volevano viaggiarci sopra sarebbe stato necessario almeno costruire a destra e a sinistra della ferrovia un'alta barricata di assi, in modo che le persone accanto alle quali la ferrovia sarebbe passata non dovessero soffrire di commozione cerebrale per via del rapido movimento. - Anche oggi le persone si spaventano dello sfrecciare del movimento sociale. Vorrebbero costruire alte barricate, perché hanno paura che venga loro una commozione cerebrale. Guai ai deboli che vorrebbero costruire questa barricata, che hanno paura che la realtà possa provocare loro una commozione cerebrale. Perciò l'osservazione dell'epoca suggerisce di continuare sempre a parlare tenendo presente il fatto che oggi si parla nella tempesta. Per quanto questa tempesta possa ancora essere impercettibile per molti, c'è. Che possa diventare percepibile per un numero più grande possibile di persone, un numero sufficientemente grande, prima che sia troppo tardi.

Conclusione dopo il dibattito

Presidente: Egregi convenuti, col vostro scrosciante applauso avete espresso il vostro ringraziamento per quanto ha esposto l'egregio oratore. Ormai metto in discussione le spiegazioni di oggi, la questione della tripartizione dell'organismo sociale e soprattutto anche l'appello che vi abbiamo dato, e vi prego di darmi i foglietti coi nomi delle persone che sono intervenute nel dibattito.

Forse posso notare che gli appelli distribuiti oggi sono stati preparati dalla Lega per la tripartizione dell'organismo sociale. Ne è responsabile la Lega che li ha sottoscritti. Lo stesso è per l'appello di questa sera.

Seguono gli interventi di tre persone.

Dott. Steiner: Egregi convenuti! Dopo tutto quello che hanno detto gli stimati signori intervenuti nel dibattito, naturalmente stasera non ho più molto altro da aggiungere. Non vorrei rettificare, ma solo affinché non sorgano malintesi, vorrei richiamare l'attenzione sul fatto che per 'capitolazione di fronte all'utopia di Wilson' non ho inteso dire nient'altro che quello che ha detto lo stesso signore che è intervenuto, il signor S. Ho solo voluto richiamare l'attenzione sulla cosa significativa, che secondo me consiste nel fatto che in questa proposta occidentale, per quanto riguarda il contenuto, come ho detto, abbiamo a che fare con un'utopia. L'aspetto utopistico, penso, si è già visto abbastanza. Un'utopia è quel che pronuncia belle parole e parole che dovrebbero essere ideali, per la cui realizzazione non c'è alcuna base. In questo senso, tutto ciò che appare in questi 'quattordici punti', e che vuole portare a stati ideali, è utopistico. Proprio come il signore che è intervenuto, penso però che dietro ci sia qualcosa di ben diverso, e nella mia conferenza l'ho detto io stesso: dietro c'è il realissimo interesse occidentale. Così abbiamo a che fare con un'utopia che in modo molto furbo non è un'utopia, ma che nasconde un interesse molto reale. E dicendo che anche in Germania nell'ottobre del 1918 ci si è piegati a questa utopia, intendevo dire che in questi giorni si è creduto (almeno lo si è creduto in certe cerchie) che questi punti non fossero un'utopia, ma qualcosa che dovrebbe essere presa come una non-utopia. Vorrei sapere perché altrimenti in un certo senso ci si sarebbe sottomessi a questa utopia. In ogni caso non si è detto: “Ci appelliamo ai realissimi interessi egoistici che stanno dietro ai quattordici punti e ci sottomettiamo ad essi”, ma si è detto: “Se ci sottomettiamo ai quattordici punti, ci appelliamo alla loro realizzazione”. Quindi penso che in quello che è successo realmente bisogna sentire la vera capitolazione di fronte ad una vera utopia. Che dietro questa utopia ci sia tutt'altro naturalmente lo penso anch'io, la penso come il signore che è intervenuto. Anche quello che ho detto nella conferenza si accorda totalmente, per come la vedo io, con quello che ha detto lui.

Dovendo dire un paio di parole sulle domande poste sui consigli aziendali, vorrei richiamare l'attenzione sulla breve osservazione che ho già fatto nella conferenza, cioè sul fatto che i consigli aziendali devono provenire dal mero corpo economico, così che nelle aziende, semplicemente grazie alle persone che lavorano spiritualmente e manualmente, innanzitutto i consigli aziendali stiano in piedi senza poggiare su altro che sulla fiducia che si è creata semplicemente lavorando insieme. Allora ci saranno i consigli aziendali che godranno della fiducia dei loro collaboratori nelle aziende. Non si può socializzare nelle singole aziende. In questo consiste appunto proprio la non-praticità di questa proposta di legge sui consigli aziendali, che è veramente molto lontana da tutta la socializzazione. L'elemento veramente pratico consisterà nel fatto che da questi consigli aziendali sorgono le organizzazioni intra-aziendali, che devono nascere grazie al fatto che i consigli aziendali, che vengono eletti dalle singole aziende, costituiscono un gruppo di consigli su un sistema economico chiuso e innanzitutto si danno una costituzione in una specie di super-riunione[2], e oltre a ciò stabiliscono le direttive su come poi, a partire dall'amministrazione sociale comune del gruppo dei consigli, a loro volta debbano agire nei consigli i singoli consigli aziendali. Dalle forze stesse della vita economica, della vita economica che poggia su se stessa, deve procedere ciò che oggi deve - ora, nel linguaggio burocratico lo si chiama «marciare» - che deve dunque marciare su basi sociali umane, non in base a massime di governo burocratiche estranee alla vita, anche se questo marciare al presente sembra proprio essere ben diverso dal vecchio marciare militare, e assomiglia piuttosto ad uno sgambettare o forse ad un nascondersi. Quello che l'egregio signore che è intervenuto ha detto a proposito dei diversi settori mi spinge ad aggiungere, oltre a quello che ho detto, che nel corso dell'evoluzione storica dell'epoca moderna siamo arrivati al momento che ci pone il grande compito di radunare insieme gli uomini che lavorano spiritualmente e manualmente, che possono fare il loro lavoro in modo da giungere socialmente al proprio diritto nell'intera comunità sociale in cui sono inseriti. A tal pro è necessario che noi capiamo con grande serietà la grande richiesta dell'epoca, per giungere infine veramente a richiamare l'uomo al reciproco accordo fra uomo e uomo in ambito economico, giuridico e spirituale.

Il fatto che, nella vita pratica reale, questi tre ambiti funzionano meglio se vengono separati si vede laddove oggi l'uomo deve lasciarli collaborare da fonti molto diverse, nella singola famiglia. Ecco, pensate che cosa ne sarebbe dell'attuale singola famiglia, se vi si gettassero dentro caoticamente insieme la vita giuridica, la vita spirituale, e la vita economica. Per il futuro, e anche già per il presente, è necessario riuscire ad applicare alle grandi condizioni sociali ciò che agisce naturalmente nella famiglia. Qui ci si confonde lo sguardo, vediamo gli alberi e non la foresta: qui ci viene rinfacciato, quando parliamo della tripartizione dell'organismo sociale, che vogliamo dividere questo organismo sociale in tre parti, mentre tutto può vivere soltanto in una unità. Proprio per rendere l'unità veramente vivente, l'organismo sociale dev'essere posto sulle sue tre giuste basi. Io non voglio fare a pezzi il ronzino in modo non-pratico; voglio solo che tornino in sé coloro che affermano che sia unitario solo il ronzino che non ha quattro zampe, ma una sola. Così mi sembrano quelli che affermano che chi vuole tripartire l'organismo sociale lo voglia tagliare in tre pezzi. No, io voglio fondare l'unità dell'organismo sociale affinché questo organismo sociale stia sulle sue tre gambe sane, quella giuridica, quella spirituale quella economica. Ma al giorno d'oggi si viene screditati come utopisti se si dice che il ronzino sta su quattro gambe, e oggi vengono ritenuti pratici quelli che sostengono che un vero ronzino, un ronzino unitario, sia solo quello che sta su una gamba sola. Oggi è necessario che mettiamo qualcosa che sta su una gamba sola sul suo numero sano di gambe. Sì, è perfino necessario che qualcosa che a causa degli utopisti sta sulla testa venga messa in piedi sulle gambe.


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Note:

[1] Il termine ipotecatizzazione non esiste in tedesco, neologismo di Rudolf Steiner. N.d.T.

[2] Si è reso così il termine Urversammlung. N.d.T.

Trad. 05/2017