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Il dominio di uno spirito estinto - Lo sviluppo della speculazione finanziaria nella storia e le condizioni per un libero vivere spirituale

Johannes Mosmann

11/2013


Denaro doniamo e denaro riceviamo. Ognuno di noi lo fa tutti i giorni, senza che nessuno ne sia cosciente. Tuttavia oggi è su queste donazioni che l’economia e il sistema finanziario si reggono. Un’istituzione giuridica non basata sul senso di giustizia dell’uomo moderno, ma originata da uno spirito ormai estinto da secoli ci costringe a farlo. Il tutto celato dietro a concetti che suonano più moderni rispetto all’arcaicità dei nostri traffici. Con la coscienza lasciata nell’ombra, la nostra vita spirituale può nutrirsi delle nostre donazioni forzate e, così facendo, opporsi all’evoluzione dell’umanità, il che equivale all’opposto di un libero vivere spirituale.

Qui di seguito metterò in luce le donazioni forzate presenti nel nostro interagire quotidiano e tratterò l’istituzione giuridica da cui sono generate dal punto di vista storico, per farne oggetto di riflessione. In ultima analisi indagherò i potenziali effetti di una politica di finanziamento forzato sulla vita spirituale da un lato e su chi lo sostiene dall’altro, nonché un esempio attuale di una politica di finanziamento sostenibile. All’occorrenza citerò anche Rudolf Steiner le cui osservazioni storiche e l’idea della Tripartizione Sociale hanno dato spunto a questo lavoro.

La patria potestà

Nella Roma antica il pater familias, in virtù della propria potestas (forza), aveva il potere di esercitare il dominio sulle persone, sulla terra e tutte le cose mobili; in poche parole su tutto ciò che si trovava entro certi confini. Non c’era alcuna differenza fra persone e cose e in entrambi i casi il potere era semplicemente definito manus (mano). Quello che si trovava nella mano del pater familias era chiamato familia, e ad essa appartenevano anche i beni materiali [1]. In base al proprio modo di comprendere la natura delle cose su cui esercitava un dominio, l’uomo romano cominciò a dividere il concetto in tre parti. Nelle Pandette [2] si diceva: “La potestas racchiude significati diversi: per il magistratus è detta imperium, se è rivolta ai figli patria potestas e riferita agli schiavi dominium” [3]

Questa diversificazione del concetto di potere si è sviluppata in modo graduale. In origine non c’era alcuna differenza fra parenti e schiavi. I patriarchi vendevano i propri figli e compravano quelli degli altri, che erano considerati come parenti veri e propri. Chi li teneva uniti era il padre la cui sovranità si estendeva su tutto fin dove era un altro padre a dominare. I confini di un “fondo” erano segnati in questo modo. Entro tali confini il pater familias era giudice delle persone. Se lo voleva, poteva uccidere chi si trovava entro il suo raggio d’azione, perché era di sua proprietà esattamente come lo era una parte del corpo. I guadagni di chi abitava le sue terre diventavano all’istante dominium del pater familias. Anche il figlio diventava libero solo alla morte del padre e solo allora era in diritto di procurarsi cose per sé. [4]

L’idea di un patriarca che domina su un terreno è priva di senso. Anche se il nostro spirito moderno potrebbe scorgerne i tratti tipici, essa non ha niente a che vedere con la realtà. Il pater familias dominava sulle persone e queste vivevano in quella terra. Tralasciando questo rapporto di potere si può dire che il terreno apparteneva a lui, ma di fatto anche questo oggi non ha nulla a che vedere con la realtà. La realtà di oggi è un’altra.

All’interno dell’area di dominio del pater familias lo ius civile, la legge civile, non aveva valore. La legge non regolava i rapporti fra gli individui, ma quelli fra i patriarchi. Proprio le Leggi delle dodici tavole, proiezione di un impulso individualistico, mettono in luce l’esclusivismo del diritto romano: esse regolano questioni relative solo a chi era dotato di un potere di appropriazione, attribuibile solo al patriarca. I pochi passi che trattano di parenti e schiavi confermano inoltre che questi rientrano nell’ambito del diritto delle proprietà e che uno schiavo non poteva essere imputato di nulla.

Nel diritto romano il potere discrezionale di un dominus (di un capofamiglia, ovvero di un pater familias) sul proprio dominium aveva non poche limitazioni, ma nei riguardi degli altri capifamiglia. Ad esempio per legge un capofamiglia doveva autorizzare il passaggio sul proprio fondo o gli era proibito gettare il malocchio sulla verdura dei vicini, ecc. Il rapporto fra lui e le persone che vivevano nelle sue terre non era toccato. E in questo rapporto le persone dipendevano dal capofamiglia. Il patriarca era in un certo senso la mente di un organismo e ne scriveva la storia, mentre i figli e gli schiavi si occupavano del suo sostentamento. Su questo organismo la legge non aveva alcun valore né lo aveva per le persone che lo costituivano. A Roma la legge dello Stato aveva quindi un limite, quello del clan. Tutto quanto rientrava entro quel limite non la riguardava. Questo limite, quando segnava il confine fra lo Stato e i clan, era detto dominium.

Lo Stato nello Stato

Nei popoli germanici i rapporti erano molto diversi da quelli sviluppatisi a Roma. I capi, i sovrani, erano eletti da tutti, nel corso della Dingfest che si svolgeva ogni anno. La Dingfest non era solo un rituale, ma anche un tribunale. Che era presieduto da un sovrano, ma dove il giudizio spettava al popolo presente.[5]

Un dominium inteso come dominio per i popoli germanici non esisteva. E per questo si instaurarono rapporti molto diversi anche riguardo la questione dei terreni. A causa delle continue invasioni venne a crearsi una divisione del lavoro, per effetto della quale alcuni diventavano contadini e altri soldati. I contadini davano sostentamento ai soldati per farli combattere. I “tributi” dei contadini non si fondavano quindi sul concetto di dominio dei soldati, ma erano parte di uno scambio di prestazioni. Nello Schwabenspiegel, un corpo di leggi composto nel 1275, in un periodo in cui erano già in uso i contratti, riecheggia questo modo di intendere i rapporti fra soldati e contadini: “wir soln den herren dar umbe dienen, daz sie uns beschirmen. Beschirment sie uns nit, so sin wir in nit dienestes schuldig nach rechte” (“dobbiamo servire i signori perché ci proteggano. Se non lo faranno, la legge vuole che non siamo obbligati a servirli”).

“Queste condizioni cessarono [...] perché certi diritti dei singoli [...] vennero trasmessi ai prìncipi, e non si trattava affatto di un processo economico, ma di un processo politico. Con il trasferimento dei diritti si trasferì pure il dovere della difesa della proprietà fondiaria, e divenne necessario che il principe mantenesse un esercito. Per questo dovette quindi pretendere dei contributi che si trasformarono gradualmente in quello che oggi ci pesa tanto: il sistema di imposizione fiscale. Questo sistema si sovrappose all’altro; ma, fatto curioso, l’altro sistema rimase! Perse però il suo significato originale, poiché il grande proprietario terriero non doveva più provvedere alla difesa del suo terreno, vi pensava il principe o lo Stato. Ma la rendita fondiaria rimase, e nella vita economica moderna trapassò nell’ordinaria circolazione delle merci. Poiché si era perduto il vero rapporto tra rendita fondiaria e proprietà fondiaria, la prima poté divenire oggetto di profitto. È una pura insensatezza che è diventata una realtà: nel processo di circolazione dei valori vi è qualcosa che ha del tutto perduto il suo significato originale, con cui tuttavia si continua ancora oggi a negoziare come se fosse una merce”. [6]

Pur non adempiendo più agli obblighi imposti dall’accordo, gli ex soldati rivendicavano comunque la “contropartita” dei contadini. Questo poiché il diritto si era trasformato in un diritto dei giuristi e la competenza giudiziaria venne trasferita ai nuovi signori. I giuristi guardarono all’eredità dei romani e pensarono di poterla adattare al loro presente, interpretando i rapporti come se a quelli spettasse un dominium directum (proprietà eminente), mentre ai sudditi, nel migliore dei casi, un dominium utile (proprietà utile). La “comunità” di signori feudali e i lavoratori della terra venne definita familia secondo il modello romano. In questo modo sul finire del Pieno Medioevo [7] nacque qualcosa che fino a quel momento era stato impensabile per i Germani: il dominio delle terre [8] corrispondente al dominio sulle cose e sulle persone.

Il signore feudale rivendicava l’autorità sui proventi del lavoro delle persone. Oltre ai tributi per l’uso del terreno, con il Bannrecht (Bannalità) ne furono introdotti altri per l’uso dei mulini, dei forni e altri mezzi di produzione, oltre a quelli inerenti il diritto di caccia e pesca. Il proprietario del terreno lo era anche delle merci che su quel terreno erano prodotte. Non di rado nel signore feudale si incarnavano anche il capo spirituale e il giudice laico. Inoltre accadeva che molti signori feudali ottenessero l’immunità, in base alla quale chi viveva e lavorava sul terreno in questione non era più responsabile davanti al re, ma al signore feudale, cui era tenuto a corrispondere tutti i tributi.

Le signorie feudali somigliavano in tutto e per tutto a piccole monarchie e nel Medioevo rappresentavano una sorta di Stato nello Stato. A entrambi gli Stati le persone dovevano versare una quantità di tributi tale da compromettere la propria sopravvivenza. Lo Stato nello Stato non doveva temere la resistenza dei propri “abitanti”, poiché quando il potere militare degli ex-soldati venne trasferito ai prìncipi e i tributi destinati ai soldati privati del loro incarico, come ha notato Rudolf Steiner, persero di valore, successe qualcosa di singolare: il potere non solo passò ai prìncipi, ma venne esercitato anche su coloro che lavoravano la terra. Dalla difesa dei contadini si passò alla difesa dei signori feudali dai contadini [9].

Il primo dovere dei prìncipi era di mettere in atto gli ordini dei signori feudali, spesso appartenenti alla sfera spirituale, ai loro sudditi. Per la precisione era il tempo in cui lo Stato territoriale si stava gradualmente costituendo; e fu così che quando venne a costituirsi lo Stato territoriale moderno la Costituzione dello Stato ne incluse una seconda, quella della signoria feudale.

L’origine della speculazione

Nel Pieno Medioevo la signoria feudale non era una semplice correlazione astratta fra un terreno e una persona, ma qualcosa di visibile a tutti e al contempo un potere reale di quella persona sul terreno e chi in esso viveva e lavorava. Quando nel Tardo Medioevo, con lo sviluppo di una produzione basata sulla divisione del lavoro, il centro vitale fu trasferito dalle campagne alle città, molti signori feudali smisero di sfruttare il proprio terreno e andarono a vivere nelle città, senza però rinunciare alla potestà sui loro territori. La proprietà dei terreni divenne astratta. I signori non avevano più bisogno della terra per il proprio sostentamento, mentre coloro che la sfruttavano erano debitori dei proventi del loro lavoro nei confronti del signore.

Lo sviluppo di questa correlazione astratta fra terreno e signore ebbe una tale fortuna che con la divisione del lavoro si sviluppò anche l’economia basata sul denaro. Da quel momento i signori feudali grazie alla locazione potevano trasferire a chi per essi sia la lavorazione delle proprie terre sia la vendita dei prodotti, e limitare la propria attività al consumo: la progressiva diffusione di una più pratica Rentengrundherrschaft [10] segna l’inizio dell’era moderna.

Così iniziò un processo inverso. I commercianti arrivati in città per denaro spesso non sapevano cosa farsene e così acquistavano dai signori i terreni vincolati da bannalità, magistrature ed entrate fiscali come investimenti di capitale. In questo modo l’antica condizione della famiglia romana si tramutò in una circolazione delle merci.

Da qual momento nella circolazione delle merci entra a far parte l’antica Costituzione della famiglia romana, che ancora non conosce il concetto di individuo e pertanto non rappresenta una legge come la intendiamo noi. Chi ottiene, eredita o acquista un terreno, si mette in relazione con gli altri e, come dice Rudolf Steiner “sottopone alla sua dipendenza altre persone che per il proprio sostentamento si impiegano su quel fondo o che vi devono abitare” [11].

La signoria feudale oggi

Con la proprietà fondiaria e degli altri mezzi di produzione, nella sfera giuridica si è inserito qualcosa che non trae affatto origine dal diritto e che, laddove viene applicato, va oltre la legge cui appartiene. Si tratta del potere di assegnare un diritto e di determinare l’attività di altre persone, oltre che di finanziare il proprio agire puramente spirituale – un dominio esteso quindi a tutte i tre le sfere della vita umana. La proprietà fondiaria e dei mezzi di produzione di per sé ha quindi una logica costituzionale; sulla sua base i gruppi industriali nascono come Stati nello Stato. Il potere dei gruppi industriali si fonda sulla difesa della proprietà e sull’idea di uno Stato non quale garante dei diritti delle persone, ma di una condizione antidemocratica, nella quale il datore di lavoro attraverso la proprietà sulla terra e sui mezzi di produzione si avvicina a chi sulla terra o sui mezzi di produzione lavora. Questi, però, per mezzo della garanzia dello Stato lavora non per la comunità, ma per il proprio dominus.

In un modo o nell’altro tutti noi paghiamo pegno a un nostro dominus. L’affitto in quanto tale, ad esempio, non equivale al pagamento di una merce, ma a una tassa di utilizzo tramandata nel tempo. Una parte dei proventi del nostro lavoro viene trasferita, sottoforma di affitto o locazione, a persone che in tal modo percepiscono delle entrate senza fare nulla, sono libere di non lavorare e possono quindi dedicarsi ad altro, ad esempio alla cura della vita spirituale e culturale. Il loro dominio quindi equivale a una Rentengrundherrschaft.

Nell’ambito dei mezzi di produzione accanto alla Rentengrundherrschaft continua a esistere un’altra forma di signoria feudale, dove il denaro non ha ancora reso astratta la relazione fra dominus e servi  e dove invece i sudditi devono consegnare al signore i frutti del loro lavoro. In questa forma non è tanto facile riconoscere i tributi, perché come dice Rudolf Steiner, essi sono “mascherati”. Chi è in diritto di chiamarsi proprietario di terreni o di mezzi di produzione, sul quale o con i quali si lavora, interpreta il proprio rapporto con i lavoratori in un modo tale che le merci che questi producono appartengano a lui, e che lui come controvalore alle merci prodotte corrisponda un compenso una volta che le merci sono vendute. In nome del proprio titolo di proprietario pretende per sé i proventi di altre persone. A dire il vero, però, sono i lavoratori a pagare il suddetto datore di lavoro, consegnandogli la merce che hanno prodotto. Solo che la pagano troppo. E il dominus, in nome del suo potere sulle persone, non è tenuto a fornire nessuna controprestazione. Dai lavoratori non compra le merci, ma la loro forza lavoro, ossia il ricavato della merce da loro prodotta [12].

Un po‘ più complessa da comprendere è, in ultima analisi, un’altra forma di manipolazione delle prestazioni generata dal fantasma della romanità e del Medioevo. Se ad esempio un guardaboschi e un agricoltore sono in rapporto fra loro e l’agricoltore ha bisogno di legna, egli diventa dipendente del guardaboschi, anche se quest’ultimo ha lavorato meno per fare crescere le piante rispetto a quanto ha lavorato il contadino per fare crescere il grano. Il guardaboschi, però, gode del diritto di disporre del bosco. Il prezzo della legna stabilito dal guardaboschi include il diritto di disporre del terreno, mentre il prezzo che chiederà il contadino sarà più basato sulla prestazione. Lo scambio che avviene è fra merce e diritto [13].

La sproporzione fra il guardaboschi e l’agricoltore rappresenta, per così dire, l’archetipo dell’istituzione della proprietà fondiaria secondo il diritto vigente. Nel Corso di economia nazionale Rudolf Steiner esprime il concetto in questo modo: “[...] sotto l’influenza di certe condizioni di diritto e di potere succede di continuo che la persona che gode del diritto di disporre liberamente di una proprietà fondiaria risarcisca se stessa meglio di qualsiasi altra persona da lui avvicinata per scopi lavorativi e che gli fornisca i prodotti del proprio lavoro. Non sto parlando del lavoro, ma del prodotto del lavoro. Perché è di questo prodotto che si tratta. A lui spetta di più – nient’altro che per effetto di una continuazione delle sue conquiste e dei suoi diritti – spetta di più, di quanto non dia. Di cosa parliamo se lui deve ricevere più di quanto dà, di cosa cioè se i rapporti di prezzo vengono alterati? Di cosa si tratta? Ebbene, di niente altro che di una donazione forzata. Qui entra in gioco un rapporto di donazioni, solo che la persona coinvolta nella donazione non la fa volontariamente, ma per costrizione. Inizia una donazione forzata, come nel caso della proprietà fondiaria. Ma ad opera della donazione forzata il prezzo di scambio, che i prodotti ricavati dalla proprietà fondiaria dovrebbero avere, in buona sostanza cresce” [14].

Il moderno lavoratore della terra, rispetto a quanto è tenuto a corrispondere, dà una prima parte per abitare pagando l’affitto, una seconda per lavorare donando i frutti del proprio lavoro al proprietario dei mezzi di produzione, e una terza per consumare contribuendo al pagamento del valore, che in base ai diritti di proprietà è calcolato nel prezzo delle merci. Ovunque è implicato il terreno, e per esso egli regala il proprio lavoro invece di usarlo come merce di scambio.

Il lungo braccio dei patriarchi

Alla fine del XIX secolo alcuni ricercatori cosiddetti “delle Pandette” si occuparono di redigere un codice per i tedeschi. In questo codice presero il dominium e lo rinominarono “proprietà”. Ricordiamo la definizione di dominium contenuta nella Pandette, cui i ricercatori si rifecero per redigere il codice: “Il potere racchiude significati diversi: per il magistratus è detta imperium, se è rivolta ai figli patria potestas e riferita agli schiavi dominium” Questo è il codice che disciplina i nostri rapporti giuridici, ovvero il  Codice Civile tedesco (BGB).

“Proprietà“ non è solo la parola che traduce dominium, ma sta anche per dominium romano. Bisogna però anche dire che con il diritto romano abbiamo pure ereditato le limitazioni del potere del pater familias. Ma malgrado il potere dei patriarchi abbia subìto delle limitazioni nel corso dello sviluppo dell’impero romano, esso non venne ancora messo in discussione. La legge fece i conti piuttosto con il patriarcato. Alla base della legge romana rimase sempre il potere del pater familias quale realtà spirituale. Perciò proprio ciò che nel diritto romano aveva un valore sociale è rimasto sottoforma di spirito antico nel nostro tempo, dove il nostro diritto l’ha fatto proprio.

I romani per la prima volta separarono il concetto di diritto da quelli di razza e popolo e gli diedero un significato di per sé. Si trattò senza dubbio di un passo avanti. Pertanto a Roma in linea di massima “ogni persona“ godeva degli stessi diritti. La parola persona in questo senso non ha il significato di individuo. Il concetto di individualità è comparso nell’era moderna. Il diritto romano faceva i conti con la tribù come noi con il nostro senso della giustizia facciamo i conti con l’individualità.

La proprietà è quella cosa che confina con la legge e che in essa ha il proprio limite. Questo è quanto si evince dall’articolo 903 del nostro Codice Civile (BGB), che dice: “Il proprietario di una cosa, nella misura in cui non sia in conflitto con la legge o i diritti altrui, può trattare la cosa a proprio piacimento ed escludere gli altri da qualsiasi influenza”. In questo modo la legge, superando se stessa, rimanda a una sfera in cui chi fa le leggi non ha nulla da perdere, poiché è la libertà a dover dominare. Mentre però la proprietà viene messa sullo stesso piano del dominium dell’epoca romana e medioevale, non è alla sfera dell’individualità che rimanda la legge con le sue limitazioni. La legge qui non tocca l’individuo, ma un gruppo di persone ordinato secondo il modello romano di dominio familiare. Queste sono le fondamenta della nostra legge “liberale”.

Con la proprietà fondiaria ci si affrancò dalla struttura gerarchica della famiglia quale entità sanguigna fino a farla diventare nostro presupposto giuridico. Di fatto la nostra Costituzione ne include un’altra. Questa Costituzione è in contrasto con quella vera e propria e la manda all’aria. Mette in relazione le persone come lo erano schiavi e patriarchi.

Le condizioni del libero vivere spirituale

Chi opera nel campo spirituale per soddisfare i propri bisogni fisici necessita del lavoro extra delle persone che fanno un lavoro fisico. Egli deve potersi esimere dal lavoro fisico necessario per ottenere quanto serve per la sua sopravvivenza. Questo lavoro deve essere svolto da qualcun’altro.

Al giorno d’oggi una persona può sottrarsi dal lavoro fisico grazie a quanto gli spetta in virtù di qualche diritto di proprietà. Ad esempio un tale eredita un terreno e questo definisce il rapporto nel quale la prestazione di questa persona viene messa in relazione con quella di un’altra.

Quindi l’assegnazione dei ruoli e dei compiti non è decisa autonomamente dalle persone secondo un principio razionale; invece le persone sono inserite nelle relazioni ad opera di qualcosa che esula dalla loro consapevolezza. Si tratta di un processo automatico. E se la nostra convivenza vira al bene dipende esclusivamente dal fatto che, quando c’è una qualche convenienza, questo processo automatico è sostituito da qualcuno che opera nella consapevolezza ed è guidato da una visione libera.

Oggi la spiritualità entra nel mondo in modo diverso rispetto a 3000 anni fa. Non esiste più uno spirito del clan, ma uno spirito dell’individualità. Allo stesso tempo le sfide cui l’umanità è sottoposta oggi sono di gran lunga maggiori. Pertanto oggi dobbiamo affrontare una questione che per i romani non era affatto rilevante: come può l’umanità trovare le idee di cui ha bisogno per affrontare le sfide? E poiché oggi ogni idea è frutto dell’elaborazione di un individuo, la domanda riconduce a un’altra identica: rispetto alla vastissima scelta possibile di tutti i soggetti in causa, come si fa a decidere chi esonerare dal lavoro fisico e rendere beneficiario di una donazione?

Le persone che non hanno fiducia nel prossimo credono che la perversione dello spirito che fa irruzione nelle camerette dei bambini attraverso i media, derivi dal fatto che i bisogni delle persone siano decisi dalla produzione culturale e non da una qualche autorità. E questo è sbagliato. La produzione di qualsivoglia show televisivo tedesco, nel quale ad esempio si eseguano operazioni di chirurgia plastica sul viso di una qualche ragazzina insicura (“The Swan – Endlich schön” Pro Sieben), è finanziato come qualsiasi altro programma del genere attraverso donazioni forzate, un po’ come avviene con il “valore aggiunto”, che sulla base del diritto di proprietà deve essere incluso nel prezzo della merce. Se ci fosse chiesto prima se intendiamo pagare per questo programma, nessuno spenderebbe denaro per simili perversioni.

L’uomo in diritto di ricevere una donazione oggi non è uguale al beneficiario di un rapporto di costrizione, anche se di altra natura. Pertanto dobbiamo fare emergere in modo consapevole e secondo la nostra volontà lo spirito che dovrà esercitare la propria influenza. C’è solo un modo per farlo: poiché lo spirito oggi è frutto del libero agire dell’individuo, può essere trovato solo attraverso il libero riconoscimento dell’individuo che lo offre. È a questo processo igienico che la vita spirituale deve sottoporsi: alle persone che vogliono rendere possibile la vita spirituale grazie al lavoro delle proprie mani deve essere chiesto chi sono i destinatari del loro lavoro e quale sia lo spirito che vogliono nutrire. Le donazioni propriamente dette devono prendere il posto delle donazioni forzate.

Chi è chiamato ad operare in ambito spirituale non deve temere la consapevolezza delle persone. Se uno spirito è sano, la cosa si ripercuote sul lavoro e troverà anche la comprensione dei lavoratori. Solo uno spirito improduttivo malvoluto è costretto a forzare la propria esistenza e a manipolare le condizioni di prestazione.

Secondo una statistica economica la nostra vita spirituale moderna si presenta in questo modo: nel 2007 il prezzo del grano nel cosiddetto terzo mondo ha subito un incremento del 180%, mentre quello dei televisori prodotti con la plastica negli stessi paesi è sceso in Germania di circa il 14 %. Questo significa che le persone che devono produrre stupidaggini, mai una volta fonte di un divertimento sano, saranno pagate così male da non riuscire a sfamarsi, affinché noi possiamo permetterci di comprare quelle stupidaggini. Se in questo caso nel meccanismo dell’economia non entrasse in gioco il nostro diritto di proprietà arcaico, potrebbe succedere l’opposto: visto che alle persone del cosiddetto terzo mondo a causa dell’aumento del prezzo del grano spetterebbe più denaro per il loro lavoro, i “prodotti culturali” destinati all’occidente sarebbero più costosi. Allora le persone del primo mondo potrebbero permettersi la tecnologia per le loro sregolatezze culturali solo limitando la propria ingordigia e ingrassando un po’ più lentamente. Questo però costringerebbe a porsi di nuovo con un atteggiamento selettivo nei confronti della cultura e della vita spirituale.

Il fatto che il divertimento per noi sia diventato sempre più economico dipende esclusivamente dal fatto che lo Stato ha condannato la relazione fra la vita economica e quella spirituale a stare dentro alla fissità scheletrica dello spirito estinto dell’epoca romana. Le persone del primo mondo sotto l’egida del potere militare delle comunità di Stati cosiddette “internazionali“ inglobano le persone del cosiddetto terzo mondo nel proprio dominium, nel quale viene concessa loro proprietà della terra, dei mezzi di produzione, geni, idee, ecc. In questo modo avviene una “nobilitazione“ dei valori economici: il sud muore di fame perché il nord degeneri nell’anima e nello spirito.

Il pervertimento della cultura e la fame hanno la stessa radice: lo scheletro della familia romana. Da questa radice non può nascere nulla che sia in armonia con le leggi per lo sviluppo dell’uomo moderno. Qualsiasi presentimento di crescita proveniente da essa è in verità solo un’escrescenza tumorale che solo ad un osservatore superficiale potrebbe risultare vantaggiosa per le condizioni da cui si è sviluppato il tumore. Dobbiamo estirpare la radice del nostro declino e mettere al suo posto una proprietà che faccia i conti con la fonte dello sviluppo dell’umanità: l’individualità spirituale dell’uomo.

Concretamente questo significa organizzare la nostra proprietà in modo che quella fondiaria e dei mezzi di produzione non autorizzi più a ricevere una donazione. Così facendo, ad esempio, data la proprietà di una azienda, non si deve più servire anche al ricavo delle merci prodotte nell’azienda stessa. Ciò significa anche che la proprietà sulla capacità di un qualche candidato diventa dipendente dalla proprietà in quanto tale e che questo diritto, nell’eventualità in cui tale capacità venga meno, debba essere trasferito senza oneri a un’altro capace. Per il singolo questo significa che il denaro che fino ad ora è tenuto a dare al proprietario di un qualche diritto potrà destinarlo dove lui stesso ritiene esservi un utilizzo produttivo, proprio come all’opposto qualora individui in se stesso una qualche forma di genialità, faccia dipendere le proprie entrate dal trovare persone che le riconoscano come tali.

Non è necessario attendere l’iniziativa di chi fa le leggi, che comunque mai arriva. Infatti esistono modi di modificare i contratti di locazione come pure le proprietà di ciascuno di noi, in modo da ricavarne denaro sulla base di prestazioni e donazioni effettuate liberamente. Chi vuole davvero mettere in pratica il concetto di proprietà come è inteso dalla Tripartizione, deve prima familiarizzare con il metodo di lavoro del Mietshäuser Syndikat (sindacato degli appartamenti in affitto; vedere sotto). A differenza delle iniziative antroposofiche, il suo modello in questo ambito non è subordinato agli scopi tipici delle fondazioni o altri simili e può essere applicato anche ai mezzi di produzione.

Iniziative per un diritto di proprietà al passo con i tempi

Lo scopo del sindacato Mietshäuser Syndikat e della Fondazione trias è rendere possibili gli aspetti positivi della proprietà fondiaria, come il potere decisionale di chi usa il terreno, ed eliminare definitivamente quelli negativi, come l’estorsione da parte di chi non lo utilizza.

Mietshäuser Syndikat

Il sindacato è stato fondato nel 1983 a Freiburg e ad ora comprende 71 progetti abitativi in tutta la Germania. Nessuna delle proprietà immobiliari può essere venduta né comprata. Malgrado ciò gli inquilini ne sono proprietari a tutti gli effetti. Funziona in questo modo: i locatari di una casa vogliono liberare i propri locatori dal peso della proprietà. E per farlo fondano un’associazione abitativa. L’associazione abitativa fonda a sua volta una proprietà abitativa a responsabilità limitata (GmbH). Alla proprietà abitativa a responsabilità limitata partecipano l’associazione abitativa con 12.400 euro e il sindacato con 12.600 euro. Il sindacato partecipa all’associazione che accorpa tutte le associazioni abitative e alla proprietà abitativa a responsabilità limitata partecipano i locatari su due fronti: attraverso l’associazione abitativa e attraverso il sindacato. La proprietà abitativa compra una casa. Il denaro necessario viene in parte dalla banca e in parte da crediti diretti della proprietà abitativa a responsabilità limitata esente da debiti. Grazie all’affitto che va dai 3 ai 4 euro al metro quadro e pertanto di molto inferiore ai canoni d’affitto abituali, il credito viene recuperato. Quando il credito viene ripagato interamente, i locatari pagano l’affitto a loro stessi. L’affitto in un certo qual modo diventa gratuito e un capitale della GmbH. Questo capitale dovrebbe servire idealmente per la manutenzione della casa e il finanziamento di altri progetti. All’interno della GmbH sind il diritto al voto è diviso in modo tale che l’associazione abitativa goda del pieno potere decisionale, con una sola eccezione: se intende vendere o capitalizzare in altro modo il progetto, il sindacato blocca tutto. Gli scambi fra proprietari quindi non avvengono attraverso la vendita, ma attraverso il trasferimento delle persone. I depositi di capitale possono essere revocati in caso di trasferimento, senza interessi. Il sindacato appoggia sempre nuovi progetti; la consulenza di architetti, avvocati e altri professionisti è gratuita; se il progetto fallisce, nulla è dovuto.

Fondazione trias

La fondazione trias usufruisce del diritto di superficie grazie al quale la legge prevede la possibilità di separare la proprietà di una casa da quella del terreno dove è costruita. La fondazione detiene la proprietà del terreno e conferisce la proprietà della casa su corresponsione di un cosiddetto canone di superficie. La casa quindi non è presa in affitto, ma per 99 anni resta di proprietà del locatario. Per quanto riguarda il “patrimonio“ fondiario che la fondazione mantiene e il reddito derivante dai canoni di superficie, vi è la possibilità di impiegarli esclusivamente per gli scopi della fondazione, ovvero la realizzazione di ambienti destinati a progetti sociali e a basso impatto ambientale. In questo modo il terreno è sottratto al mercato immobiliare e il proprietario della casa ha la garanzia che il terreno su cui poggia il suo progetto non è toccato dalle oscillazioni dovute alla speculazione. Inoltre sa che il suo affitto non va a finanziare stupidaggini di qualche tipo, ma solo progetti simili.


Johannes Mosmann

Note:

[1] Rudolf von Jhering, Geist des römischen Rechts [Lo spirito del diritto romano], Volume 2, Darmstadt 1954, pag. 156

[2] Di Giustiniano I, che nel 533 d.C. pubblicò la raccolta di leggi della Roma antica e la più importante opera giuridica della romanità.

[3] Paolo: Digesto (= Pandette), 50.16.215.

[4] Cfr, Paul Jörs/Wolfgang Kunkel, Römisches Privatrecht [Il diritto privato romano], Heidelberg 1949.

[5] Richard Schröder, Deutsche Rechtsgeschichte [Storia del diritto tedesco], Volume I, Leipzig 1912, pagg. 1-16.

[6] Rudolf Steiner, Wie wirkt man für den Impuls der sozialen Dreigliederung? (GA 338), Dornach 1969, pag. 172. NdT: Traduzione tratta da Rudolf Steiner, Come si opera per la Triarticolazione dell’organismo sociale, trad. Mario Tabet, Editrice Antroposofica, Milano, pp.144-145.

[7] Sono consapevole che questa definizione temporale si discosta da quella largamente diffusa, secondo la quale questo periodo si collocherebbe molto prima.

[8] La Signoria feudale è un fenomeno a sé stante rispetto al Feudalesimo con il quale non va confuso.

[9] Thomas Simon, Grundherrschaft und Vogtei [Signoria e balivato], Frankfurt am Main 1995.

[10] NdT: Letteralmente: signoria feudale redditizia; “caratterizzata dalla distribuzione delle terre signorili ad affittuari a contratto con clausole e scadenze determinate” cfr. Giovanni Tabacco, Medievistica del Novecento: recensioni e note di lettura, Volume 1, Firenze University Press, 2007, p. 522.

[11] Rudolf Steiner, Die Kernpunkte der sozialen Frage (GA 23, tb 606), Dornach 1980, p. 58. NdT: Traduzione tratta da Rudolf Steiner, I punti essenziali della questione sociale, trad. Lina Schwarz, Fratelli Bocca Editori, Milano, p. 20.

[12] Cfr. Rudolf Steiner, Die Kernpunkte der sozialen Frage (GA 23, tb 606) [I punti essenziali della questione sociale], Dornach 1980, pag. 77; dello stesso autore vedere anche, Nationalökonomischer Kurs [Corso di economia nazionale] (GA 340, tb 731), Dornach 1996, pag. 99.

[13] Cfr.: Rudolf Steiner, Nationalökonomischer Kurs [Corso di economia nazionale], Ibidem, pagg. 99-103.

[14] Ibidem, pag. 99.