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Modellare la globalizzazione

Aurelio Riccioli

02/2011

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Nell'ambito degli studi di scienza sociale, il volume Shaping Globalization - Civil Society, Cultural Power and Threefolding (non ancora tradotto in italiano, edito da CADI e GlobeNet3 nel 2000), occupa senz'altro un posto di rilievo per la trattazione del tutto peculiare di quei grandi temi, quali globalizzazione e sviluppo sostenibile, che un sempre maggior numero di individui sente come cruciali per l'evoluzione dell'umanità contemporanea. Ben lontano dall'essere un lavoro accademico, il libro deve la peculiarità della sua trattazione all'esperienza decennale nel campo dell'attivismo sociale dell'autore, il filippino Nicanor Perlas, nato a Manila nel 1950. Come misura delle dimensioni del suo impegno sociale, basti qui accennare che Perlas è stato il fondatore del primo movimento ecologico filippino, e il suo contributo risultò determinante per mettere al bando dall'agricoltura del suo paese l'uso di pesticidi particolarmente nocivi, promuovendo in alternativa le colture biodinamiche. Perlas è stato anche il principale negoziatore di una rete di oltre 5.000 associazioni che bloccarono con successo l'agenda dell'APEC (Asia Pacific Economic Cooperation) introducendo per la prima volta presso le delegazioni il concetto di "sviluppo sostenibile". È stato co-fondatore di CADI "Center for Alternative Development Initiatives", centro studi sulla globalizzazione, sulla Tripartizione e i loro impatti su società civile, potere culturale e sviluppo sostenibile. È stato anche co-fondatore di Global Network for Social Threefolding, nota anche come Globenet3 o GN3, rete che affilia molti centri in Europa, Asia, Africa e USA per promuovere trasformazioni sociali attraverso lo sviluppo sostenibile. è stato cofondatore di Philippine Agenda PA21, che, come vedremo, ha fatto delle Filippine il primo Paese a dotarsi di un embrione di organizzazione tripartita. È stato uno dei delegati ufficiali della società civile delle Filippine all'Earth Summit di Rio. Come consulente ha collaborato attivamente con diverse Agenzie dell'ONU, con il Senato filippino, con molte reti di organizzazioni non governative, con i CEO delle più importanti multinazionali e con istituti come World Bank e FMI. Nel 2003 è stato insignito del premio Nobel alternativo "Right Livelihood Award" per «l'eccezionale sforzo compiuto per educare la società civile sugli effetti della globalizzazione controllata dalle grandi imprese, e per come possono essere realizzate alternative ad essa». Nel 2010 si è presentato come candidato indipendente alle elezioni presidenziali delle Filippine.
Questo attivismo decennale ai massimi livelli ha consentito all'autore di rielaborare e attualizzare l'impianto teorico della Tripartizione, formulato originariamente da Rudolf Steiner negli anni Venti del secolo scorso, attraverso l'analisi di processi e dinamiche che ovviamente non potevano essere presenti nella esposizione originaria. Gran parte di queste analisi è dedicata ai fenomeni legati alla nascita e alla comprensione della speciale natura della cosiddetta società civile, in quanto elemento portante delle più innovative trasformazioni sociali del nostro tempo. Ma che cosa si intende esattamente con questa espressione? Nel libro il termine viene utilizzato per indicare le istituzioni culturali, i media, le confessioni religiose, le fondazioni, il mondo della scuola e dell'insegnamento, ma anche gli intellettuali, gli artisti, i filosofi; in generale uomini e istituzioni che si occupano della difesa e del concepimento di valori e che non sono coinvolti nell'ambito economico o statale.
È nella sfera della società civile che sono nati gli impulsi che nel corso degli ultimi decenni hanno contribuito in modo rilevante alla caduta del Muro di Berlino, alla caduta dei regimi totalitari nell'Europa dell'Est e in Sud America. Ma è attraverso gli eventi della cosiddetta "battaglia di Seattle" del 1999 che nella società civile (o almeno in una parte di essa) si è andata sviluppando la consapevolezza di non esser solamente una rete organizzata e integrata di associazioni, quanto l'espressione di un arto fondamentale dell'organismo sociale. Inizia a diventare evidente come l'organismo sociale sia una realtà tripartita (il termine "tripartito" viene utilizzato in modo ambivalente, peraltro evidente dal contesto, sia per indicare una "suddivisione od organizzazione in tre parti", sia per riferirsi ad una specifica forma sociale di cui si dira più avanti) o tripolare, in cui ai domini tradizionali di Stato ed economia deve aggiungersi un terzo dominio che diremo "culturale", mentre alla società civile spetta il compito di veicolarne le istanze e armonizzarle con quelle degli altri due domini. Per coloro che nutrissero dei dubbi sulla necessità di introdurre questo ulteriore dominio sociale, basti pensare al fenomeno delle organizzazioni non-governative e delle ONLUS: comparse da pochi decenni, in esse si esprimono istanze ideali che non sono ascrivibili né al dominio economico né a quello politico, quando non apertamente in lotta con essi. Fenomeno numericamente di dimensioni mai conosciute in precedenza (basti solo pensare ad Amnesty International, 2 milioni di iscritti in 140 Paesi), le centina di migliaia di ONG e ONLUS sparse per il mondo dimostrano chiaramente la pulsione dell'uomo contemporaneo ad associarsi nei modi più vari sulla spinta di nuove necessità interiori.
Si tratta di un nuovo emergente mondo ideale per il quale certi studi sociologici hanno voluto identificare addirittura il profilo del tipo umano che ne è portatore, denominandolo "cultural creative". Il termine è stato coniato dal sociologo Paul Ray e dalla psicologa Sherry Anderson, che nel libro The Cultural Creatives: how 50 million people are changing the world (Harmony Books, 2000), sostengono come nel mondo occidentale gli esponenti di tale categoria siano ormai nell'ordine di decine di milioni di individui. Possono essere ricondotte ai cultural creative diverse dinamiche sociali che hanno portato ad esempio al cosiddetto "business ecologicamente responsabile". Esso promuove da una parte gli investimenti per lo sviluppo sostenibile (o investimenti etici) in cui vengono abbandonate logiche speculative di utili a breve e brevissimo termine, a favore di progetti di lunga durata che tengono conto di considerazioni etiche, sociali ed ambientali. Dall'altra esso ha introdotto significativi cambiamenti nel mondo economico attraverso le tecnologie ambientali (Environmentally Sound Technology). Queste tecnologie intervengono sull'intero ciclo di vita delle merci, a partire da una produzione attenta alle esigenze ambientali (minor consumo di risorse, energia, minore inquinamento) fino al loro smaltimento e riutilizzo in modo sostenibile, coinvolgendo al tempo stesso aspetti organizzativi e procedure manageriali. Al di là di etichette e definizioni, è indubbio che si stia diffondendo sempre più un tipo umano il quale, ancorché privo di chiari riferimenti dottrinali, rifiuta recisamente i modelli consumistici convenzionali, mentre anela ad una globalizzazione basata su valori di equità sociale ed ecologicamente responsabili.
La nascita della società civile nel senso indicato, a giudizio di Perlas, costituisce la più grande innovazione sociale del XX secolo, foriera di trasformazioni che costituiscono una definitiva cesura tra le esauste concezioni sociali attuali e le future forme sociali integranti il dominio culturale in modo istituzionalizzato. La necessità di questa organizzazione tripolare diviene sempre più evidente qualora si riconosca come l'attuale crisi sociale non sia, per dirla con l'Autore, un problema di government ma di governance. Ovvero non dipende tanto dalla qualificazione delle singole persone che si trovano al governo o in posti chiave (anche se una persona onesta, seria e capace fa sempre la differenza...) o dalla tale o talaltra formazione politica, quanto da un difetto strutturale indotto da una sorta di "esondazione istituzionale" di Stato ed economia che, non riconoscendo le proprie reali attribuzioni e competenze, monopolizzano l'intera compagine sociale, causando le tensioni e i dissesti che sono sotto gli occhi di tutti. Con una immagine si potrebbe dire che, come un aereo con propulsione ad elica, per quanto avanzato nella sua concezione e ben costruito, non riuscirà mai a raggiungere le prestazioni di un aereo a reazione, allo stesso modo le attuali forma sociali bipolari non potranno mai affrontare efficacemente le sfide dello sviluppo sostenibile e della globalizzazione.
La fine del secolo scorso non vede infatti solamente la nascita della società civile come qui si è descritta. Il collasso del blocco comunista, formato dall'URSS e dai suoi satelliti dell'Europa orientale, spiana la strada ai Paesi capitalisti per una estensione planetaria del modello economico-finanziario neoliberista, mentre i processi della globalizzazione, già da tempo in atto, subiscono una ulteriore accelerazione. È in questi anni che prende sinistramente forma un nuovo ordine mondiale che ha per strumenti una serie di istituzioni sovranazionali tendenti ad imporre, soprattutto ai Paesi in via di sviluppo, i dogmi del neoliberismo in accordo con una visione neodarwinistica della vita. Ipercompetitivita, sfruttamento senza limiti delle risorse naturali, sradicamento di culture incentrate ancora su valori spirituali a favore di più "moderne" visioni veicolanti il più crasso materialismo ed edonismo, sono solo alcuni dei lati oscuri dello "sviluppo" che istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, per citare solo le principali, promuovono presso Paesi e culture non ancora contaminati dall'ossessione economico-finanziaria occidentale.
Perlas riconosce che alcune istanze, come liberalizzazione, particolari regimi fiscali o riduzione delle barriere doganali, possono anche risultare efficaci in determinate situazioni, ma è la loro indiscriminata e sistematica applicazione che riesce oltremodo dannosa per i Paesi che sono oggetto dei programmi di aggiustamento strutturale (SAP) elaborati principalmente da Banca Mondiale e FMI. Emblematico poi è il caso della World Trade Organization, la più potente organizzazione legislativa mondiale, che in nome del free trade regola di fatto il commercio internazionale attraverso una rete di accordi fra gli Stati membri. Per i Paesi in via di sviluppo, tuttavia, la partecipazione comporta spesso la ratifica di trattati commerciali in palese contrasto con gli interessi nazionali, incuranti degli impatti ambientali e dei più basilari diritti umani. Difficile per questi Paesi resistere alle pressioni della WTO, la cui cabina di regia è appannaggio di Canada, USA, Giappone ed Unione Europea. Dietro tale regia non è poi difficile riconoscere l'azione di potenti multinazionali che agiscono di concerto per perseguire i propri interessi. Perlas tratteggia la struttura di questo nuovo ordine mondiale riconoscendo in essa l'espressione di una potente élite denominata elite globalization o anche corporate globalization. Cosi deformata, la globalizzazione diventa uno strumento di mera prevaricazione, sfruttamento economico ed appiattimento culturale, facendo sfumare la grande opportunita per il genere umano di creare una vera cultura fatta di rispetto, comprensione, fraternita e cooperazione.
Ma chi può opporsi validamente all'offensiva planetaria della élite della globalizzazione? Per rispondere in modo persuasivo a questa domanda, è necessario innanzitutto familiarizzare con dei concetti in apparenza astratti e dottrinali, quindi penetrare l'intima e peculiare essenza della società civile. Innanzitutto, per sgomberare il terreno è necessario riconoscere che dal potere statale e dall'economia, stante il reciproco asservimento delle loro sfere, nulla è da attendersi se non una tacita complicità. Si è detto in precedenza che l'emergere della società civile ha messo in evidenza come il mondo contemporaneo sia in realtà un organismo tripolare in cui si manifestano tre distinti poteri istituzionali: lo Stato, il mercato e la società civile. Ciascuno di questi poteri istituzionali è a sua volta espressione di un dominio o sottosistema, o anche sfera della vita sociale, vale a dire: il dominio politico, il dominio economico e il dominio culturale. Dei tre, il primo è certamente il più antico, il secondo nasce, nella forma particolare in cui oggi lo conosciamo, nel corso del XIX secolo. Il dominio culturale è l'ultimo a comparire: nasce infatti, consapevolmente o no, in conseguenza dell'emergere della società civile nel corso degli ultimi decenni. Lo Stato esercita un potere che è espressione della vita politica, e nella politica trova il suo dominio di appartenenza; il mercato risiede nel dominio economico, in esso opera e da questa attività trae il proprio potere; infine, attraverso la società civile, si esprimono le Weltanschauung, frutto dello Spirito umano, il concepimento e la difesa dei valori che derivano dalla vita culturale. Viviamo in una società sana, se le interazioni tra questi poli sono improntate a rispetto e riconoscimento reciproci, interagendo mutuamente con coscienza degli impatti che si possono produrre in ciascun dominio per l'azione dominante di uno qualsiasi sugli altri. Viviamo in una società malsana quando un dominio prevarica gli altri, esercitando indebitamente un'azione in un ambito che non gli compete.
Per rendere immaginativamente la differenza tra le due modalità, si consideri come l'organismo fisico umano sia costituito da tre apparati indipendenti seppur intimamente connessi tra di loro. Si tratta dell'apparato neuro-sensoriale che supporta la vita di rappresentazione e la coscienza di veglia, di quello ritmico connesso con la respirazione e la circolazione del sangue e infine l'apparato metabolico e degli arti, che sovrintende ai processi del ricambio. Nessuno avrebbe dubbi nel giudicare malato un organismo umano in cui uno di questi apparati inerisse eccessivamente ad uno qualsiasi degli altri restando paralizzato nella propria attivita, oppure, all'opposto, ne risultasse escluso e reso atrofico. Al contrario, una sana interazione tra di essi si rifletterebbe in un corrispondente benessere dell'organismo di cui fanno parte senza pregiudicare per questo la loro indipendenza.
È quanto accade presentemente, poiché l'élite della globalizzazione esercita un potere economico tale da soggiogare il potere statale, riducendo la cultura ad essere una mera espressione e giustificazione di bisogni umani fittizi. Questo spiega in parte la natura fortemente contestataria assunta a volte dalle istituzioni della società civile nel tentativo di rompere "l'accerchiamento" degli altri due domini per riaffermare l'autonomia del proprio (ovviamente non si vuole in alcun modo giustificare le violenze e le devastazioni operate da gruppi di facinorosi, che spesso sfruttano i vari incontri internazionali per dare sfogo ai propri selvaggi istinti). Ciascuna istituzione ha il diritto di criticare le altre qualora venga rilevato uno sconfinamento di competenze. Questo equilibrio dinamico è normale e necessario data la fluidità dei confini e poiché ogni azione intrapresa da una delle tre istituzioni ha un potenziale impatto sulle altre. In questo senso, Stato, mercato e società civile rappresentano le tre istituzioni chiave della vita sociale. È importante rilevare che questa espressione è applicabile solo qualora i partecipanti di ciascuna sfera sociale riconoscano l'esistenza e l'indipendenza delle altre e sappiano anche chiaramente a quale dominio appartenga la propria istituzione.
Con le caratterizzazioni che abbiamo appena fatto, possiamo ora finalmente avvicinarci al concetto di Tripartizione. In generale, Tripartizione significa l'interazione autonoma dei tre domini della società attraverso i suoi tre poteri istituzionali, per promuovere un reale sviluppo sostenibile oppure tramite le tre istituzioni chiave per raggiungere uno sviluppo sostenibile completo. Il parallelismo che emerge dall'enunciato precedente potrebbe sembrare arbitrario o una mera questione di lana caprina, in realtà vedremo come esso ci condurra più a fondo nella comprensione delle dinamiche in cui la Tripartizione è coinvolta. L'approccio generico di molti programmi di sviluppo, nonostante un conclamato pathos sociale di cui cercano di rivestirsi, risulta ossessivamente improntato ad un'analisi esclusivamente economica e politica. Si tratta quindi di approcci di tipo bipolare o addirittura "monopolare" dal momento che ignorano completamente considerazioni di ordine culturale, sociale, ecologico, umano e spirituale. Ma nel momento in cui entra in campo la società civile, immediatamente queste considerazioni entrano in gioco modificando significativamente la natura, ormai resa "autonoma", dell'interazione dei tre domini. Questi ultimi possono anche non essere consci del tipo di potere che stanno mettendo in campo né a quale istituzione essi appartengono. Ciò che a questo livello risulta è la cosiddetta "Tripartizione de facto". In questo stadio, caratterizzato da un intenso confronto/scontro per far emergere un'idea, un progetto ecc., i tre attori della scena sociale (soprattutto la società civile) attraverso un'interazione autonoma ancorché inconscia, cercano di raggiungere un reale sviluppo sostenibile. Le interazioni dei tre domini che si svolgono a questo livello possono anche esser dette processi tripartiti. Ma solo quando l'interazione oltre che autonoma diviene anche consapevole, si può dire che la Tripartizione de facto è evoluta allo stadio successivo detto Tripartizione conscia o consapevole. A questo stadio gli attori appartenenti alle tre sfere sociali sono consapevoli dell'esistenza delle tre istituzioni chiave della vita sociale e quindi anche dell'esistenza dei tre poteri come dei relativi domini di appartenenza, e lottano per raggiungere uno sviluppo sostenibile completo.
Per rendere la differenza tra sviluppo sostenibile reale e completo, si può dire che inizialmente il concetto di sviluppo sostenibile è ancora intriso di reminiscenze provenienti dalle concezioni neoliberistiche per cui impatto ambientale, riciclo, energie rinnovabili ecc. sono poco più di una vernice stesa su approcci produttivi che non cambiano nella loro sostanza fatta di iperproduzione, di sfruttamento intensivo di risorse naturali ecc., con il solo scopo di renderli socialmente più accettabili. Ma è pur sempre un inizio: man mano che la coscienza delle interazioni tra le tre sfere sociali aumenta, cresce di conseguenza il concetto di sostenibilità che, abbandonando l'esclusiva connotazione economico-ambientale, acquisisce ulteriori dimensioni comprendenti aspetti sociali, umani, culturali, politici e spirituali. Esiste ancora un terzo stadio della Tripartizione, detto avanzato, in cui tutti i conseguimenti sociali dello stadio precedente vengono ulteriormente consolidati e perfezionati, fino a raggiungere una maturità tale da consentire ai processi della Tripartizione di realizzarsi nella loro pienezza. A questo livello i tre domini svolgono integralmente, all'interno della compagine sociale, l'intima missione ad essi assegnata. L'economia abbandona ogni tentazione neoliberistica, per implementare finalmente un mercato di tipo associativo votato al soddisfacimento dei bisogni umani e alla mutua cooperazione. In questo modello, l'economia non è un organismo acefalo alla deriva nella speculazione finanziaria, ma il frutto dell'incontro di associazioni di produttori e consumatori, per calibrare la produzione delle merci sugli effettivi bisogni della comunità umana. Questo associazionismo tuttavia non deve essere assimilato in alcun modo ai modelli produttivi di stampo comunista e socialista, caratterizzati da piani di sviluppo stabiliti centralmente e monoliticamente.
Nella Tripartizione le capacita individuali, riconosciute e valorizzate in altissimo grado, vengono finalmente impiegate in una sana competitività avente per obiettivo non la massimizzazione di un profitto ma una produzione ad un prezzo equo unitamente ad un sempre minor impatto ambientale. Il cosiddetto mercato del lavoro scompare definitivamente, il lavoratore non viene più pagato per la prestazione che fornisce (che oggi è costretto a fornire). Ciascun individuo si dedica al lavoro secondo le proprie possibilità e attitudini individuali. L'ideale che il dominio economico realizza a questo livello è quello della fraternità. I suoi tratti caratteristici sono l'economia associativa, la donazione e il reddito di cittadinanza. Il dominio della politica invece si occupa unicamente dei rapporti di diritto tra uomo e uomo, non interviene più nella gestione dell'economia né si immischia in ambiti culturali che non gli competono. Ha il ruolo istituzionale di recepire gli impulsi derivanti dalla sfera spirituale per tradurli in norme di diritto che, tipicamente, l'economia dovra riconoscere e implementare.Ad esempio, lo Stato attraverso opportune norme del diritto garantisce le modalita di accesso all'istruzione (delegando alla sfera economica il compito di far sì che essa sia gratuita o accessibile gratuitamente) ma non si occupa della gestione di scuole statali né ancor meno stabilisce il contenuto e le modalità dell'insegnamento. L'ideale che il dominio politico realizza a questo livello è l'uguaglianza. I suoi tratti caratteristici sono il ritrarsi da molti ambiti in cui attualmente è profondamente radicato. Infine il dominio della società civile ha il compito di catalizzare lo sviluppo sociale, culturale, ecologico, umano e spirituale, pervadendo l'intero organismo sociale con una produzione ideale derivante da una vita culturale completamente liberata ed autonoma. A questo stadio, l'istituzionalizzazione degli impulsi derivanti dal dominio culturale informano l'intera società, che acquisisce finalmente una autentica dimensione "civile". Gli altri domini riconoscono pienamente il ruolo svolto dalla società civile. Lo supportano anche economicamente attraverso il surplus che, proveniente dalle attività produttive, non isterilisce nella speculazione finanziaria, ma vivifica l'organismo sociale attraverso le donazioni destinategli. L'ideale che il dominio della società civile incarna è quello della libertà. Ciò che qui si è brevemente descritto è la cosiddetta Tripartizione dell'organismo sociale (detta anche solamente Tripartizione) che, partendo da una forma iniziale (Tripartizione de facto), si evolve attraversando uno stadio intermedio (Tripartizione conscia o consapevole) per giungere infine alla maturità (Tripartizione completa). In risposta alla domanda su chi o che cosa potra bloccare l'élite della globalizzazione, è possibile ora concludere e dire che solamente una società civile nascente da una vita culturale libera ed autonoma può dare nuovo corso all'evoluzione umana attraverso l'introduzione della Tripartizione per conseguire uno sviluppo sostenibile.
Ma, ammesso che sia il compito storico della società civile a condurre l'umanità attuale verso modelli sostenibili di sviluppo, per quale motivo la Tripartizione dovrebbe essere addirittura un ingrediente necessario? Non si potrebbe raggiungere questo obiettivo anche senza di essa? Potra sembrare sorprendente, ma moltissime iniziative promosse ad esempio dalla WorldBank, e altri istituti simili, prevedono l'interazione di gruppi di lavoro ai quali partecipano anche rappresentanti della società civile. Si tratta delle cosiddette partnership intersettoriali, denominate multi-stakeholder partnership quando raggruppano diversi attori provenienti dal medesimo o da differenti domini sociali, oppure tri-sector partnership quando specificatamente coinvolgono mercato, organizzazioni no-profit e delegati governativi. Si ritrovano citate anche in moltissimi documenti ufficiali delle Nazioni Unite, indicate spesso come strumenti indispensabili per raggiungere risultati concreti in numerosi programmi di sviluppo. La loro presenza è andata man mano aumentando nel corso degli anni, specialmente dopo la battaglia di Seattle, poiché con il passar del tempo è diventata anacronistica qualsiasi agenda internazionale per lo sviluppo sostenibile cosi come la globalizzazione priva della partecipazione della società civile. Si potrà essere indotti a pensare che qualche sfumatura dottrinale non potrà creare risultati sostanzialmente diversi, considerando che i concetti di partnership intersettoriale e di processo tripartito non sembrano molto distanti tra di loro. Tuttavia non è cosi, ed è essenziale operare delle distinzioni su quanto ci si presenta sfumato e apparentemente indistinto. Una multi-stakeholder partnership in cui non risulti rappresentato anche uno solo dei tre domini della vita sociale, infatti, non può che produrre risultati parziali e inadeguati, poiché l'organismo sociale si è dimostrato essere una realtà tripolare. Allo stesso modo un processo tri-settoriale agli attori del quale manchi la consapevolezza delle tre chiavi della vita sociale - ovvero a quale dominio sociale ciascun attore appartenga e che tipo di istituzione esso rappresenti - risulterà inevitabilmente inefficace e la sua azione di portata limitata o addirittura dannosa.
Ad esempio, supponiamo che una organizzazione appartenente alla società civile e operante nel campo dell'ecologia o dei diritti umani si lasci tentare dal pensiero di doversi radicare all'interno del dominio politico, per poter avere finalmente modo di realizzare i propri obiettivi. Tale organizzazione può avere anche coscienza del potere culturale che è in grado di esercitare, ma il mancato riconoscimento del proprio autentico dominio di appartenenza non può che essere fonte, sulla lunga distanza, di una intrinseca debolezza. Si può citare, fra i tanti, il caso del fenomeno dei "Verdi" in Europa: nati come movimento pacifista e ambientalista, hanno raccolto un considerevole consenso negli anni '80 e '90 del secolo scorso, ma, costituitisi come partito, hanno sperimentato duramente le difficoltà causate dall'erroneo inerire al dominio politico. Emblematico in tal senso è quanto accaduto in Germania nel 2001, quando molti deputati dei Grünen, con notevole imbarazzo, si videro costretti a votare l'intervento militare tedesco in Afghanistan per non far cadere la coalizione di governo di cui facevano parte. Potrà sembrare paradossale, ma solo quando la società civile si mantiene sul proprio terreno, riconoscendo la propria peculiare natura culturale, solo allora essa è in grado di esercitare il massimo del proprio potere. Saldamente radicata nel proprio dominio, in completa autonomia e libertà, può permettersi quindi di condannare dove vi è da condannare e da approvare dove vi è da approvare. Si può esaminare la cosa da diverse prospettive, ma dovrebbe essere ormai sufficientemente chiaro che, eliminando o ignorando uno qualsiasi degli elementi sui quali la Tripartizione si basa, per come qui è stata descritta, ciò che si ottiene non sarà mai in grado di modificare lo stato di cose attuali. E il mancato riconoscimento della necessita della Tripartizione espone la società civile a molti pericoli esterni ed interni e a derive problematiche. Una pericolosa vulnerabilità è costituita da ciò che Perlas definisce come "residuo di statalismo irrisolto" (RUST in inglese) ovvero la tendenza della società civile ad entrare nel campo di attrazione gravitazionale della politica, il che precipita nuovamente l'organismo sociale in una realtà bidimensionale. Un altro pericolo è costituito dal perseguire, da parte della società civile, di un modello tipo "duri e puri", ovvero di intransigente e perenne contestazione, che non accetta di sedere attorno ai tavoli delle trattative con i rappresentanti degli altri domini. Se pure questo tipo di approccio può risultare utile in determinati contesti, le proteste possono al più indicare nuove prospettive ma non creare nuovi assetti sociali. Fra i pericoli che sovrastano la società civile, tuttavia, quello della cooptazione è il più insidioso e subdolo di tutti. Paradossalmente, le lobby occulte operanti attraverso l'élite della globalizzazione riconoscono l'emergere della società civile come una necessità del nostro tempo e sanno dei suoi punti di forza come del suo tallone d'Achille addirittura meglio degli stessi attivisti che vi fanno parte. Motivo per cui preferiscono agire in modo obliquo, sfruttando questa mancanza di consapevolezza per cooptare la società civile con diverse strategie anziché combatterla in campo aperto. Ad esempio coinvolgendo la società civile in importanti negoziati intersettoriali, ma evitando accuratamente che questi possano configurarsi come autentici processi tripartiti. Oppure creando all'interno di grandi istituzioni, come World Bank, dei programmi di sviluppo che appaiono effettivamente tripartiti ma di fatto assolutamente marginali e ininfluenti, oppure apparentemente tripartiti per il fatto di parlare il linguaggio che la società civile vuol sentire, ma senza alcuna "sostanza", quasi fossero una sorta di "attività di copertura" nel campo sociale. L'obiettivo che si vuol perseguire è comunque sempre lontano da un autentico sviluppo sostenibile, mentre la distruttività dei processi ordinari rimane inalterata. Un'altra strategia prevede di spingere le organizzazioni della società civile al di fuori del dominio culturale in cui sono insediate, per farle ricadere in quello economico o politico, rendendole manovrabili e devitalizzandole definitivamente (molte organizzazioni non governative in realtà sono finanziate dallo Stato o dal business, o addirittura si configurano come aziende a tutti gli effetti). In generale, qualsiasi elemento di debolezza della società civile rappresenta un potenziale punto di ingresso per la cooptazione. Nonostante siano molti i pericoli che si frappongono tra la società civile e il suo compito di plasmare la globalizzazione in modo da renderla ciò che effettivamente è, ovvero un'opportunità per la Tripartizione, milioni di individui nel mondo contribuiscono attivamente all'espansione e al consolidamento della società civile nel dominio culturale. Nel caso di Philippine Agenda 21, si è andati ancora oltre, superando lo stadio tripartito de facto per dar vita ad una delle prime forme istituzionalizzate di Tripartizione conscia. La nascita di Philippine Agenda 21 può esser fatta risalire al 1992, quando il neopresidente filippino Ramos invitò diversi leader della società civile ad un dialogo sullo sviluppo sostenibile che portò successivamente alla creazione di un Consiglio Filippino per lo Sviluppo Sostenibile (PCSD). Dopo alcuni anni di intensi dibattiti sul modello di sviluppo sostenibile da perseguire, nel 1996 venne finalmente creata Philippine Agenda 21 (PA21) come organo istituzionale con il compito di sorvegliare l'operato dell'esecutivo per impedire violazioni al patto di sostenibilita contratto con la società civile. Successivamente, il governo filippino annunciò all'APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation, comprendente 18 Paesi tra cui Giappone, USA e Cina) che le ratifiche degli accordi commerciali da essa richiesti dovevano essere necessariamente avallati anche da Philippine Agenda 21, riservandosi il diritto di richiedere delle modifiche in caso di incompatibilità con il modello di sviluppo sostenibile filippino. Sul fronte interno PA21 si è sforzata di tradurre il mandato istituzionale in un'agenda concreta - il Sustainable Integrated Area Development (SIAD) - per l'implementazione di processi tripartiti a livello locale (fino al livello di villaggio) attraverso gestione ambientale, microcredito e agricoltura sostenibile. A distanza di diversi anni, il ruolo di questa istituzione è stato alquanto ridimensionato dai governi successivi, venendo relegato a mero organo consultivo. Ma di questo primo tentativo rimane preziosissimo un bagaglio straordinario di esperienze sulla Tripartizione. Ad esempio, si potrebbe domandare se non esista il rischio che il confronto dialettico oggi presente nelle sedi parlamentari non si trasferisca banalmente presso le istituzioni del dominio culturale, vanificando in tal modo una sostanziale trasformazione sociale. Si può rispondere che inevitabilmente ci sarà un notevole confronto anche presso queste istituzioni, ma è il modo di ricomporle che segue una via diversa e precipua della sfera culturale: come si è sperimentato durante la nascita di Philippine Agenda 21, nella battaglia per i valori vincono su tutto la moralità e i valori più alti.
Ancora, si potrebbe obiettare che sia nella esposizione originaria della Tripartizione di Rudolf Steiner sia in quella di Nicanor Perlas manchino delle indicazioni di dettaglio su come implementarla concretamente. In realtà Perlas, evidentemente sulla scorta delle esperienze accumulate, conferma quanto gia rintracciabile in Steiner, ovvero che nessuno è in grado di concepire e definire una volta per tutte la Tripartizione quasi fosse semplicemente una ricetta da seguire. La qualità di ciò che, emergente dalla interazione tripartita, Perlas chiama sostanza, non dipende dall'aderenza a presunti principi teorici del processo, quanto da una profonda consapevolezza che ciascun attore coinvolto ha delle caratteristiche specifiche del dominio che rappresenta.
La Tripartizione può essere solo il risultato di una graduale e progressiva interazione vivente dei tre domini sociali, non può essere teorizzata nel dettaglio, deve essere innanzitutto fatta. Ciò che si farà strada in questo modo si adatterà flessibilmente agli aspetti contingenti derivanti da retaggi culturali, presupposti sociali ed economici ecc. dei popoli e dei Paesi presso i quali la Tripartizione andrà gradualmente realizzandosi. Non si può definire la Tripartizione una utopia o qualcosa di irrealizzabile, poiché la Tripartizione de facto in sostanza è già intorno a noi. Non si tratta di creare qualcosa che non esiste, ma massimamente di orientare nella direzione giusta forze ed impulsi che sono del tutto già operanti.