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La rivoluzione delle B corporation
di Dario Simoncini

04/2016

Dario Simoncini è docente di Organizzazione Aziendale (Laurea Base) e di Comunicazione Aziendale (Laurea Specialistica) presso il Dipartimento di Economia Aziendale (DEA) dell’Università D’Annunzio di Pescara. E’ docente della Complexity Management Business School del Complexity Institute. E’ fondatore e Vice-Presidente del Complexity Institute per il quale svolge attività di Education & Training nell’area della Comunicazione e della Leadership Generativa in contesti ad elevata complessità. Si occupa, inoltre, di sviluppo delle competenze complesse in ambito manageriale. Autore di numerosi articoli e monografie. Tra le più recenti (co-autrice Marinella De Simone):
«Il Mago e il Matto. Sapere personale e conoscenza relazionale nella rete organizzativa» (McGraw-Hill, 2008),
«Emerging Organization. L’emergenza dell’identità nell’organizzazione» (Maggioli, 2012)
«Sistemi tra regolarità e novità» (Maggioli, 2012);
«Capitano, Burocrate, Maestro o Regista? Un approccio complesso a quattro stili di leadership« (Guaraldi, 2014).

Tutto ciò che di buono arriva dalla terra arriva anche ai figli della terra. Se gli uomini sputano sulla terra, sputano su se stessi. Noi almeno sappiamo questo: la terra non appartiene all’uomo, bensì è l’uomo che appartiene alla terra. Questo noi lo sappiamo. Tutte le cose sono legate fra loro come il sangue che unisce i membri della stessa famiglia. Tutte le cose sono legate fra loro. Tutto ciò che si fa per la terra lo si fa per i suoi figli. Non è l’uomo che ha tessuto le trame della vita: egli ne è soltanto un filo. Tutto ciò che egli fa alla trama lo fa a se stesso. (...) Dov’è finito il bosco? È scomparso. Dov’è finita l’aquila? È scomparsa. È la fine della vita e l’inizio della sopravvivenza

1854 – Dalla Lettera del Capo Indiano Seattle al Presidente Usa Franklin Pierce

La legge sulle Società Benefit rende istituzionale la possibilità di stabilire e registrare presso le Camere di Commercio uno scopo sociale d’impresa che preveda il perseguimento congiunto e integrato di finalità di lucro e di beneficio sociale.


“Influenzare positivamente il mondo”.“Generare cambiamenti tecnologici con impatto positivo”. “Compiere azioni che producano una trasformazione positiva su quante più persone possibile”. Sono alcune delle frasi che ricorrono nei gruppi di Facebook che si occupano di start-up, di innovazione, di sistemi informativi e di big data. I cosiddetti Millenials sentono la responsabilità di un compito impegnativo e dal risultato incerto, ma sono appassionati e motivati: desiderano vivere felici e per questo vogliono cambiare il mondo. Rapidamente.

Il loro approccio ci suggerisce di ampliare i nostri orizzonti, di percorrere nuove strade; non si tratta di reinventare il capitalismo, ma di generare un nuovo modello di capitale sociale che si nutra di una partecipazione attiva per la creazione di un ecosistema giusto e benevolo, che permetta a tutti noi di vivere oltre la dicotomia tra profitto e beneficio per il sociale. Dalla recente indagine Nielsen del 2015 sulla Global Sustainability risulta che ben il 72% degli intervistati sotto i 20 anni – la cosiddetta generazione Z – è disponibile già fin d’ora a pagare di più prodotti di aziende con forte vocazione sociale, che integrino lo scopo del beneficio sociale e della sostenibilità delle loro attività nel proprio modello di business.

Oltre la dicotomia tra profitto ed etica

Di fatto, si stanno confrontano due concezioni-base sullo sviluppo della nostra società occidentale: da un lato, quella della sopravvivenza del più forte e del successo sociale del più ricco, del più spietato, in cui prevale il modello individualista fondato sul dominio dell’interesse personale; dall’altro, quella della vita-piena (e non più la sopravvivenza) di chi si adopera per generare nuove possibilità per tutti e non più solo per se stesso, secondo un modello relazionale di azione generativa.

Da un lato, il fallimento del modello di sviluppo fondato sulla dicotomia fattivalori è di fronte a tutti: guerre, deforestazioni, crisi bancarie e finanziarie, smog, sofferenza, distruzione fisica e intellettuale delle culture territoriali, migrazioni di massa, inquinamento locale e globale, terrorismo, solitudine e abbandono, conflitti generazionali. Dall’altro, le possibilità offerte dall’adozione di nuovi modelli di economia sociale proposta con crescente pressione da coloro che rivolgono fini e preoccupazioni a una elevazione sia materiale che sociale dei contesti in cui operano. Urge esplorare con l’altro, includendolo con le sue diversità e percorrendo insieme nuove strade per garantire a tutti una vita più degna di essere vissuta.

Per chi altri agiamo?

Già all’inizio degli anni ’50 Adriano Olivetti parlava di “ecosistema”; l’azienda e l’ambiente devono essere economicamente solidali in una sintesi che dia vita a un nuovo modo di intendere il mondo e le relazioni che lo compongono. Olivetti era consapevole dell’interdipendenza tra le persone, tra le persone e il loro ambiente. Ogni persona doveva essere responsabile per sé e per gli altri. Oggi attraverso i principi interpretativi dell’approccio complesso sono molto più chiare, evidenti, le proprietà di funzionamento delle dinamiche relazionali: reti sociali, sistemi che si integrano con altri sistemi, dinamiche non lineari degli eventi, emergenza di fenomeni non prevedibili.

Abbracciare una interpretazione complessa della realtà fondata sulla interconnessione e interazione tra sistemi che evolvono vuol dire essere personalmente responsabili della trasformazione. Vuol dire andare oltre pratiche di adattamento; vuol dire adoperarsi con gli altri per generare nuove possibilità. Come? Partecipando con le proprie azioni al compimento di opere che abbiano un impatto positivo su quante più persone possibile, che migliorino il benessere collettivo. E, allora, la domanda corretta da porsi per comprendere da che parte si sta in relazione alla dicotomia profitto-etica è la seguente: “Per chi agisci mentre svolgi le tue attività? Per chi lo fai?”. Quanto più è ampio lo spettro di persone per le quali si agisce e per le quali ci si impegna a creare un impatto positivo, tanto più la dicotomia tende ad affievolirsi. Ecco quello che dovrebbe chiedersi oggi un imprenditore quando decide di costituire un’impresa:
“Per chi altri?”

Che cos’è il B Impact Assessment [1]
Il B Impact Assessment (Bia) è uno strumento di elaborazione, confronto e validazione delle performance sociali e ambientali dell’azienda con una misurazione su una scala che va da 0 a 200. Il Bia valuta ex post la qualità dell’impatto delle azioni intraprese a beneficio di tutti i portatori di interessi con i quali l’azienda è in rete: a livello di persone, di comunità, di organizzazione e di ambiente. La definizione di un indicatore permette il confronto con i risultati ottenuti dagli altri membri della community che utilizzano il Bia e la comprensione delle migliori pratiche da adottare se si desidera migliorare le proprie performance. Ecco le più importanti aree del Bia:

A. Impatto a livello di persone
Emolumenti, Benefit e Retribuzioni
Partecipazione azionaria dei dipendenti
Ambiente di Lavoro

B. Impatto a livello di comunità
Creazione di posti di lavoro
Diversità
Impegno civico e donazioni
Coinvolgimento a livello locale
Fornitori, distributori e prodotti

C. Impatto a livello organizzativo
Modello di business
Mission e coinvolgimento
Trasparenza
Forma societaria

D. Impatto a livello di ambiente
Territorio, edificio e impianti
Energia, acqua e materiali
Emissioni e rifiuti
Trasporti, distribuzione e fornitori

La convergenza tra profit e non profit

Nel rapporto 2014 sul ruolo del 4° settore nello sviluppo globale redatto per Accenture, Gib Bulloch e Louise James rilevano che nel mondo è in atto una convergenza sempre più accentuata tra i settori pubblico, privato e non profit favorita dalla difficoltà delle spese pubbliche nazionali nel fronteggiare in modo universalistico le esigenze di protezione sociale. Inoltre, sta accrescendo sempre più l’intervento – spesso sostitutivo – delle imprese no profit e delle attività filantropiche e di solidarietà svolte dalle imprese private direttamente o indirettamente attraverso la costituzione di apposite fondazioni. Il non profit tende a ibridarsi con il profit e il profit tende a integrarsi con il non profit; sta emergendo un ecosistema collaborativo di aziende che, nei limiti imposti dalle legislazioni nazionali, mutua i migliori aspetti e le migliori pratiche dei tre settori esprimendo delle iniziative miste profit-non profit, con la finalità di generare un impatto sociale e ambientale che possa essere profittevole, misurabile e scalabile.

Punti essenziali della legge sulle Società Benefit

1. Le Società Benefit perseguono il duplice scopo di lucro e di beneficio comune operando a tal fine “in modo responsabile, sostenibile e trasparente” nei confronti di “persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti ed associazioni ed altri portatori di interesse”.

2. Nello svolgimento di un’attività economica si persegue lo scopo del beneficio comune creando effetti positivi e/o riducendo effetti negativi nei confronti dei soggetti di cui al punto 1.

3. Possono essere Società Benefit tutte le società, nuove e/o esistenti, di cui al libro V (titoli V e VI) del Codice Civile inserendo nell’oggetto sociale la specifica delle finalità di beneficio che intendono perseguire. Per essere riconoscibili potranno apporre accanto alla propria denominazione sociale la dicitura “Società Benefit” o l’abbreviazione “SB”.

4.Nello svolgimento della propria attività, la governance della Società Benefit deve essere orientata al costante bilanciamento degli interessi dei soci con gli interessi di tutti coloro sui quali è possibile un impatto delle proprie attività di beneficio sociale.

5.È dovere della Società Benefit individuare il soggetto o i soggetti responsabili a cui affidare funzioni e compiti volti al perseguimento delle attività di beneficio.

6.Vige l’obbligo di redazione di un’apposita Relazione Annuale che illustri le attività di beneficio svolte durante l’esercizio con la valutazione dei relativi impatti nonché i progetti di attività da svolgere nell’anno successivo.

7. La valutazione dell’impatto generato dalle attività di beneficio comune deve avvenire secondo un sistema esterno di “Standard di valutazione”, a tutela degli interessi dei soci e di tutti gli altri portatori di interessi.

8. L’ente esterno di valutazione non deve risultare controllato o collegato in alcun modo alla Società Benefit ed il sistema dello “Standard di valutazione” deve essere credibile e trasparente.

Le B-Corp nel mondo

Nell’ambito delle attività profit negli ultimi anni si è diffuso un nuovo modello d’impresa – l’azienda certificata B-Corp – che, oltre al perseguimento del profitto, punta alla trasformazione della società verso un maggiore benessere collettivo mediante il compimento di azioni a impatto positivo sull’ecosistema. La convergenza tra profit e non profit incide sulla qualità del processo di formazione del profitto che perde la sua esclusiva finalità di auto-riproduzione e assorbe movimenti economici e finanziari utili a sostenere la realizzazione di scopi di beneficio sociale.

La dizione B-Corp è un’“etichetta di qualità Benefit” rilasciata a partire dal 2007 dall’ente internazionale non profit B Lab, che mediante un Impact Assessment misura e certifica l’impatto Benefit di un’azienda. Il B Lab rilascia un certificato con la qualifica di B-Corp a partire da un punteggio superiore a 80, in una scala di impatto Benefit che va da 0 a 200.

Inoltre, già trenta stati americani si sono dotati di una specifica legislazione che ha introdotto la forma giuridica della Benefit Corporation in modo da coniugare la certificazione B-Corp con una tutela istituzionale al nuovo modello d’impresa, garantendo così la durata del duplice scopo di lucro e sociale stabilito dai soci.

Le Società Benefit in Italia

Dal gennaio del 2016 l’Italia è il primo paese in Europa e il primo al mondo – dopo i trenta stati americani – a essersi dotato di una legge che prevede la possibilità per le aziende di operare come Società Benefit. Con i commi 376-384 della Legge di Stabilità sono state emanate le "Disposizioni per la diffusione di società che perseguono il duplice scopo di lucro e di beneficio comune". Il legislatore, con un dettato agile e moderatamente vincolante, attua una vera e propria rivoluzione paradigmatica rispetto agli attuali modelli imprenditoriali e di business. Nella relazione di presentazione del Disegno di Legge si dichiara che le Società con finalità di beneficio comune superando "l’approccio «classico » del fare impresa, introducono un salto di qualità nel modo di intendere l’impresa, tale da poter parlare di vero e proprio cambio di paradigma economico e imprenditoriale".

In un recente dibattito, il primo firmatario del provvedimento, il Sen. Mauro Del Barba, ha parlato di “modifica genetica” delle società commerciali che aderiscono a questo tipo di visione, poiché la nuova normativa introduce un allargamento dell’oggetto sociale consentendo di realizzare sia benefici per gli azionisti attraverso la realizzazione del profitto a copertura dei propri investimenti, sia benefici comuni con azioni a impatto sociale, in un’ottica e-e di tipo complesso. La legge sulle Società Benefit rende istituzionale la possibilità di stabilire e registrare presso le Camere di Commercio uno scopo sociale d’impresa che preveda il perseguimento congiunto e integrato di finalità di lucro e di beneficio sociale.

Una scelta di grande impatto

Scegliere di assumere la veste giuridica di Società Benefit è cosa diversa dall’essere azienda certificata B-Corp; si tratta di due percorsi diversi, uno soft e uno hard, che tendono e tenderanno sempre più a convergere. La certificazione rilasciata da B Lab non ha risvolti istituzionali, è temporanea (rinnovabile ogni due anni) e può essere facilmente abbandonata; diversamente, l’adesione dell’azienda certificata al regime di Società Benefit implica l’assunzione di un impegno istituzionale con responsabilità degli amministratori: “L’inosservanza degli obblighi (...) può costituire inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge e dallo statuto”.

La scelta della Società Benefit richiede l’adesione convinta e durevole dei soci che si impegnano a perseguire formalmente il duplice scopo di lucro e di beneficio comune e, quindi, a generare un adeguato ritorno economico per se stessi e un adeguato beneficio per l’ambiente interno ed esterno all’azienda.

Il beneficio sociale come scopo ordinario d’impresa

La finalità sociale diviene scopo ordinario d’impresa rendendo attiva una dinamica circolare tra l’ecosistema aziendale (interno) e l’ecosistema ambientale (esterno). Le azioni a impatto di beneficio comune diventano anch’esse strategiche e implicano l’assunzione di nuovi modelli e metodi sia di business che di governance. L’assenza di vantaggi di natura fiscale rende manifesto l’intento del legislatore di non creare un regime di favore. È certamente da approfondire ulteriormente se la definizione stessa del duplice scopo di lucro e di beneficio comune possa rendere – come dovrebbe essere – i costi sostenuti per lo svolgimento delle azioni benefit integralmente iscrivibili tra i componenti negativi di reddito. Non si tratterebbe più di detrarre taluni costi in percentuale nella determinazione ultima del reddito imponibile o di accedere a una percentuale di detrazione d’imposta, quanto di considerare come investimenti e costi ordinari di gestione tutte le voci di spesa sostenute per dare piena attuazione all’oggetto sociale. La ricerca delle migliori coordinazioni economiche, finanziarie e patrimoniali è affidata alle buone pratiche di management; si richiedono adeguati processi decisionali per il continuo bilanciamento delle attività d’impresa in modo da perseguire sia un’adeguata remunerazione dei soci sia un soddisfacente impatto di beneficio sociale.

I nodi da sciogliere

* Verranno indicati dei limiti fiscali alle politiche di Csr per le aziende che non scelgono di assumere la veste di Società Benefit?

* Sarà possibile essere una azienda certificata B-Corp ma non assumere la veste giuridica di Società Benefit?

* Quali saranno le specifiche voci “italiane” per la misurazione e la valutazione dell’impatto di beneficio sociale?

* Come verrà favorita in Italia la nascita di enti terzi per la valutazione esterna dell’impatto di beneficio sociale?

* Quale sarà la procedura dettata per le aziende che decidono di assumere fin dalla loro prima costituzione la veste giuridica di Società Benefit?

* Come si procederà per favorire lo studio delle migliori pratiche di governance per le neo-nate Società Benefit?

Ben oltre la Csr

Nel suo ultimo libro “Connect”, l’executive chairman di L1 Energy, John Browne, afferma che è necessario andare oltre la Corporate Social Responsibility (Csr). Browne rileva come sia ormai necessario lavorare per creare sinergie e alleanze tra il mondo degli affari e la società e che per fare in modo che questa sinergia si realizzi e sia effettiva è necessario avere una specifica attitudine. La reputazione di una impresa non è qualcosa che può essere costruita a tavolino o artificiosamente indotta. Non è più il prodotto o il servizio che garantiscono la credibilità delle politiche di sostenibilità, ma la effettiva messa in “opera” di obiettivi di trasformazione positiva della società mediante attività di co-generazione e di co-evoluzione azienda-società. Scegliere di darsi uno scopo di beneficio sociale implica l’assunzione da parte di soci e amministratori di una responsabilità giuridica addizionale in relazione all’impatto che le proprie azioni hanno sull’ambiente interno ed esterno all’azienda. Ed è per questo che anche il legislatore italiano nella parte finale del provvedimento detta alcune importanti linee guida sia per quel che riguarda le caratteristiche dell’ente esterno di certificazione che per quanto attiene le aree di potenziale impatto da sottoporre a misurazione e valutazione. I Kpi non potranno più riguardare esclusivamente le tradizionali performance quantitative, ma anche le performance qualitative.

Note:

[1] Per approfondimenti cfr. R. Honeyman, Il Manuale delle B Corp. Usare il Business come Forza Positiva, Ed. Italiana bookabook.


Per approfondimenti sul tema: