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OO 330 - Nuova struttura dell'organismo sociale



I punti essenziali della questione sociale nelle necessità vitali del presente e del futuro
conferenza pubblica

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Stoccarda, 28 aprile 1919


Anche oggi dovrò riallacciarmi all'appello al quale probabilmente molti di voi, egregi convenuti, avrete già dato un'occhiata, l'appello «Al popolo tedesco e al mondo della cultura»[1], il quale, sostanzialmente, cerca una via di uscita dai gravi disordini nei quali siamo venuti a trovarci, un modo di uscire da questo caos della storia mondiale per mezzo di una particolare concezione della vita sociale e del movimento sociale. Poi quel che avrò da dire si riallaccerà al mio libro da poco pubblicato I punti essenziali della questione sociale rispetto alle necessità della vita nel presente e nel futuro. Però, di fronte a tutto quel che va detto in quest'epoca tanto grave, anche questo libro contiene, proprio per la tipologia dei punti di vista che sono stati assunti, solo le prime, le primissime linee guida. E anche oggi devo pregarvi di tener presente che nella breve durata di una conferenza non potrò che fare i primissimi accenni riguardo al punto di vista sociale del quale appunto si tratta. Forse nel dibattito che seguirà si potrà aggiungere qualcosa di specifico. Tra l'altro è prevista un'ulteriore conferenza, nella quale potremo approfondire qualcosa di quel che oggi non potrò che accennare.

Quel che oggi spinge a parlare come intendo parlare qui sono proprio i fatti sociali che parlano veramente forte, che si palesano con grande evidenza in una grande parte del mondo civile. E chi vuole apprezzarli nella loro forma reale, questi fatti, può prescindere dal fatto che occupandocene in questo movimento noi siamo soltanto agli inizi. Ma sarà bene, proprio in questi inizi, tener presente tutta la gravità della questione. Qui, soprattutto coloro che hanno seguito quello che oggi chiamiamo 'il movimento sociale', che in questa sua forma ha più di mezzo secolo, si saranno accorti che, adesso che ci troviamo di fronte ai fatti accaduti a seguito della terribile catastrofe bellica, i pensieri, le opinioni di partito, i modi di vedere covati a lungo, molto a lungo, assumono le sembianze, verrebbe quasi da dire, di mummie di giudizio che circolano in mezzo a noi e che si dimostrano essere dei cadaveri, di fronte a ciò che oggi ci richiedono i fatti sociali. Se vogliamo farci un'opinione feconda, allora è proprio necessario accennare almeno brevemente ai motivi per cui le opinioni di partito a lungo covate si dimostrano inadeguate in tutte le loro sfumature di fronte ai fatti oggettivi.

Non molto tempo fa, a Berna, fui presente ad un'assemblea che si era fatta carico di prendere posizione riguardo alla fondazione della cosiddetta Società delle Nazioni. Al giorno d'oggi, è necessario, perché altrimenti non facciamo neanche un solo passo avanti, parlare di tutte le cose in modo aperto e sincero, si può ben affermare che quel che dissero a Berna, a questa riunione della Società delle Nazioni, i signori e le signore, parlando sicuramente di qualcosa di importante, di qualcosa di pensato in bel modo, a chi oggi vuole considerare tutta la gravità del movimento sociale mondiale pare piuttosto simile a quel che gli uomini di Stato degli Stati europei dissero ai popoli, ai rappresentanti dei popoli, nella primavera del 1914. Oggi non voglio entrare nel dettaglio, ma vorrei accennare di nuovo anche qui a quel che il ministro degli esteri, responsabile del governo tedesco, osò dire ad una riunione decisiva della primavera 1914, e che è tanto caratteristico: che la distensione politica generale (vi prego di notare che per 'distensione generale' si intendeva la via per tutelare per anni la pace mondiale) aveva fatto notevoli progressi. Ora, aveva fatto progressi tali, che ne seguì quella catastrofe che, per tenersi bassi con le cifre, ha ucciso da dieci a dodici milioni di persone del mondo civile e ne ha mutilate tre volte tante. Bisogna ricordare questa cosa e anche altre, adesso che quelli che parlano in modo tanto intelligente (questo è innegabile) dei processi mondiali, in un certo senso sono ciechi rispetto a quel che si cela nei fatti oggettivi veramente come un seme per il futuro. E con questo siamo arrivati subito al punto principale del quale dobbiamo parlare oggi.

Considerando quel che è successo negli ultimi decenni, e comprendendo col sentimento e con l'intelletto quello che è sorto come movimento sociale proletario, ci si dirà: qui, nel corso di più di mezzo secolo, si sono presentate parecchie tracce di quelle che la grande massa del proletariato sente essere le proprie rivendicazioni più profonde. Si è già potuto constatare, seguendo gli eventi, che, direi, da un decennio all'altro, le esigenze del proletariato si sono espresse in modi sempre diversi. Se si ha intendimento per i movimenti dell'umanità nella storia mondiale, a questo proposito ci si sarebbe dovuti dire: in realtà l'importante non è affatto, in sostanza, tutto ciò che vien detto consapevolmente, ciò che viene formulato in teorie, ciò che viene proposto come programma. L'importante sarebbero (usando anche qui quella parola tanto usata ai giorni nostri) impulsi più o meno istintivi, inconsci, che vivevano in una grande parte dell'umanità. Questi impulsi inconsci si manifestavano per esempio in parecchi preludi degli eventi attuali. Voglio citare solo alcune tappe. Nel programma sociale di Eisenach del 1869 per la prima volta vediamo emergere da profondità assolutamente oscure, cupe, dell'anima del proletariato la rivendicazione di una, come la si chiamava, «più equa retribuzione del lavoro artigianale in seno alla comunità sociale». Ma poi, in un tempo relativamente breve, già nel 1875 nel cosiddetto programma di Gotha, queste rivendicazioni assunsero una forma molto diversa, direi già una forma realmente comunista. Qui non si tratta più, almeno non in quello che si diceva consapevolmente, di retribuire il lavoro in modo più equo, ma si trattava già di portare i beni ad un livellamento, ad una certa giusta spartizione basata sulle necessità delle persone. Poi però abbiamo di nuovo visto che nel movimento proletario continuava a vivere quello che io vorrei chiamare il tono fondamentale di un programma politico. In modo più o meno chiaro nelle rivendicazioni proletarie viveva, fino all'inizio degli anni Novanta, l'anelito ad un livellamento delle differenze sociali e soprattutto ad un superamento del principio del salario. Infatti, vedete come questa colorazione politica del programma, direi, si tira stranamente indietro, e come l'argomento diventa quello di un programma economico, della socializzazione dei mezzi di produzione, della maniera di lavorare collettivamente consorziale. E si potrebbe continuare così. Voglio solo tratteggiare il principio. Però chi si occupa veramente di questo divenire del movimento sociale moderno, ora deve anche guardare dall'altra parte. Deve dirsi: Cosa non è successo per disgrazia dell'umanità, di fronte a quello che stava arrivando! Che cosa sarebbe dovuto succedere? Quel che dico adesso non deve essere una critica degli sviluppi storici, perché ovviamente so benissimo come chiunque altro come siano gli sviluppi storici e quanto sia sciocco spedire una critica morale o qualsiasi altra condanna al passato. Altra cosa invece è proprio osservare gli sbagli per imparare per il presente. Quello che sarebbe dovuto succedere non si può esprimere altrimenti che così: negli strati superiori dell'ordinamento sociale umano avevamo delle personalità leader, dei dirigenti - questi strati dirigenti, dominanti, con quello che hanno introdotto nell'epoca moderna in termini di esperienza sociale, di scienza sociale, sulla base dei loro privilegi di classe, si sono dimostrati inclini a capire più a fondo del proletariato stesso quello che vuole il proletariato? Ovviamente ora parlo per ipotesi, però è un'ipotesi che forse getta un po' di luce sulla situazione. Vedete, come tutto sarebbe andato diversamente, come sarebbe oggi, se nei ceti dominanti ci fossero state persone che avessero accolto le rivendicazioni del proletariato, che si fossero compenetrate di esperienze sociali, di sapere sociale, con tali esperienze sociali, con tale sapere sociale, esse sarebbero potute diventare pratiche – e se da lì fosse stata avviata, forse già da decenni, una trasformazione della vita sociale! Una sana coscienza di sé non può risparmiarselo: deve riconoscere quanto si è mancato in questo senso. Lo si è mancato per il fatto che in un certo senso lo si è dovuto mancare, perché la vita spirituale dell'umanità moderna era tale per cui semplicemente non si dava da fare per arrivare ad una tale comprensione. E qui ci troviamo davanti al primo punto chiave della questione sociale nelle necessità per la vita nel presente e nel futuro.

So benissimo che con quanto avrò da dire nel primo terzo delle mie esposizioni, per qualcuno dirò qualcosa di scomodo, forse persino di incomprensibile, ecco, di noioso. Però, chi non capisce la serietà proprio del primo settore della questione sociale, della questione sociale spirituale, non riuscirà a contribuire in alcun modo a venire fuori dal caos, dalla confusione attuale. Dobbiamo assolutamente convenire sul fatto che la vita spirituale, che è stata promossa dagli strati superiori della società umana, che questa vita spirituale, così com'era configurata, non era all'altezza dei fatti oggettivi. Tuttora il patrimonio di questa vita spirituale non si mostra all'altezza dei fatti. Osserviamo cos'è successo realmente.

È stato spesso sottolineato, e a ragione, che il movimento proletario più moderno è sorto nella storia dell'evoluzione dell'umanità grazie alla tecnologia più moderna e grazie all'ordinamento economico capitalista. Contro questa sottolineatura dei reali fatti oggettivi ovviamente non c'è nulla da controbattere. Solo che tanto veri, tanto giusti sono questi fatti oggettivi, altrettanto vero, altrettanto giusto è un altro fatto oggettivo che si negherebbe volentieri con fermezza; e che soprattutto, per quello che deve succedere oggi, è veramente più importante di tutto il resto: forse tre o quattrocento anni fa, contemporaneamente al sorgere della nuova tecnica e del capitalismo che rattrappisce l'anima, ebbe inizio il processo di quella che si potrebbe chiamare la concezione del mondo moderna, ad orientamento maggiormente scientifico. Circa vent'anni fa ho assistito al più violento contrasto fra proletari e non proletari, fra operai e borghesi, quando alla sede berlinese del sindacato, che credevo di conoscere bene, dissi: il movimento operaio moderno ha lo spiccatissimo carattere (suona paradossale, ma è proprio così) di un movimento di pensiero. Per quanto sembri strano, è così. Esso procede dai pensieri. Procede da pensieri che, coinvolgendo cerchie sempre più vaste, si sono impressi nelle anime della popolazione proletaria nelle ore della sera, che questa popolazione proletaria strappava alla stanchezza della giornata, ore nelle quali veramente è stata spesso curata una concezione del mondo più reale riguardo alla vita, una concezione più reale rispetto alla vita, agli eventi sociali, di quella degli economisti nazionali delle università e degli istituti, che sostanzialmente offrivano quello che la classe borghese aveva da dire sulla vita economica e sul resto della vita dell'epoca moderna. Ciò che si faceva strada nei pensieri e precisamente nelle abitudini di pensiero del proletariato moderno in sostanza è più importante, più ricco di significato di tutto il resto, per i movimenti che oggi attraversano il mondo civile. Infatti che cosa vediamo? Ora, ho già detto che insieme al sopraggiungere della nuova tecnica, insieme al sopraggiungere dell'ordinamento economico capitalistico, dalle vecchie concezioni del mondo che avevano un carattere più generalmente umano o anche un carattere religioso, venne fuori anche la concezione del mondo più moderna, più ad orientamento scientifico. Questa concezione del mondo ad orientamento scientifico come andava incontro al proletariato? Ce ne si può fare un'idea solo se non ci si limita a pensare dall'alto al basso, come fanno molti attualmente, sul proletariato, no, solo se il destino ci porta a pensare col proletariato!

Vedete, quel che si è imparato a pensare, a sentire, nell'epoca della tecnica, nell'epoca del capitalismo, sicuramente ha spinto molte persone che fanno parte delle classi dirigenti, dominanti, dell'umanità, a diventare liberi pensatori, ad essere religiosamente liberi. In tal senso l'umanità moderna ha vissuto appunto purtroppo, in una spaventosa illusione, che oggi deve essere capita. Sì, si poteva essere un ricercatore naturale come Carl Vogt, si poteva essere un divulgatore scientifico come Büchner, si può essere molto onestamente e sinceramente umili con la testa nei confronti dei pensieri della natura, ma l'uomo intero può trovarsi all'interno di un ordinamento sociale che gli rende impossibile di parteggiare per le nuove abitudini di pensiero con qualcosa di più che con la testa. Per il proletario le cose erano diverse. Vorrei raccontare un episodio che, per il suo genere, si può non solo centuplicare, ma moltiplicare per migliaia di volte. È una di quelle scene che sono state gravide di conseguenze e che tuttavia le classi dominanti finora hanno mancato di riconoscere in tutta la loro portata storica. Vedete, mi ricordo molto bene, perché ero lì vicino, quando una volta vent'anni fa Rosa Luxemburg nel quartiere di Spandau a Berlino parlò ad una assemblea proletaria nel suo modo particolare, misurato, ponderato. Parlò agli operai della scienza, e fu uno di quei discorsi i cui frutti adesso si vedono in tutto il mondo. Ora voglio tratteggiare solo con poche parole il succo di questo discorso. Basandosi interamente sulla coscienza dell'orientamento scientifico moderno, Rosa Luxemburg parlò agli operai che la domenica pomeriggio si erano riuniti con le loro mogli, sì, coi loro figli, per sentir dire qualcosa sulla questione: Come perviene l'uomo, da operaio, ad un'esistenza degna dell'essere umano? - Allora ella disse: Nei tempi antichi per molto, moltissimo tempo, l'umanità ha vissuto in illusioni. Adesso finalmente l'umanità è giunta a riconoscere, per mezzo della sua scienza, che tutti gli uomini hanno la stessa origine animale. Che all'inizio l'uomo (queste sono quasi le sue testuali parole) si arrampicava in modo indecentissimo sugli alberi. Poi aggiunse: forse che qualcuno può ancora credere che con una origine del genere, che è uguale per tutti gli uomini, ci sia una qualche giustificazione per quella che si presenta oggi come differenza sociale?

Vedete, allora venne detto qualcosa che il proletario moderno concepì in un modo completamente diverso da come lo intendeva chi faceva parte di quelli che fino ad allora erano stati gli strati dominanti della società. Chi apparteneva ai ceti dominanti della società, con la sua testa forse era convinto di queste parole, ma in quanto uomo intero era inserito in un ordinamento sociale che era un rimasuglio di concezioni del mondo di tempi precedenti, in ogni genere (anche se non lo ammetteva) in ogni genere di sentimenti religiosi, artistici ecc. Non era destinato a porre l'intera sua persona alla luce di una concezione del mondo di questo tipo. Il proletario invece era costretto a vedere l'intera sua persona alla luce di una concezione del mondo del genere. Perché? L'essenziale non è l'arrivo della macchina, non è l'arrivo del capitalismo. L'essenziale è che il proletario era stato strappato alle condizioni di vita precedenti, nelle quali il mestiere stesso o altro del genere gli dava qualcosa per rispondere alla domanda: Che valore hai, tu, in quanto uomo fra gli uomini? Ora egli era alla macchina; e questo non creava un nesso fra lui e gli altri uomini. Ora egli era inserito nel mero ordinamento economico del capitalismo. Ora era costretto a rispondersi da una parte completamente diversa alla domanda: Che cosa sei, realmente, in quanto uomo? Perciò egli si volse a questa concezione del mondo moderna che per gli altri appunto era una convinzione di testa, ma per lui era qualcosa che colmava tutta la sua persona, come alla sua nuova religione. Ora, da dove proveniva quello che dunque il proletario aveva acquisito e che finì per colmare l'intera concezione sociale che si diffondeva nella classe operaia? Proveniva comunque, anche se questo non è sempre stato capito, dall'evoluzione delle classi dominanti, precisamente da quella borghese della società umana. Quanto il proletario aveva accolto in saggezza, in scienza, in concezione materialistica dell'uomo, non era cresciuto nell'intelletto del proletario, ma era patrimonio ereditario di quanto il pensare borghese aveva sviluppato nell'epoca moderna. Il proletario, mentre doveva vivere in modo totalmente diverso, non fece che portare il pensare materialistico alle sue ultime conseguenze, alla sua elaborazione più estrema. E cosa successe nella sua anima? Oh, egli era convinto del fatto che questa ultima eredità da parte della borghesia gli avrebbe sicuramente dato qualcosa che avrebbe sostenuto la sua anima. In un certo senso era inconscia, l'ultima grande fiducia che il proletariato accordò alla borghesia, e che consisteva appunto nel fatto di accogliere dalla borghesia la modernissima concezione del mondo materialistica. Quest'ultima grande fiducia è stata – perlomeno questo è il sentimento inconscio del proletario – è stata tradita. Ed è questo, che, nonostante tutte le deformazioni, nel suo nocciolo più profondo sta alla base degli attuali eventi sociali. Osservando queste cose, dobbiamo proprio tenere bene presente proprio l'inconscio, proprio quella che era la conseguenza, nell'anima del proletario, di quanto detto. Il borghese – mettetevi la mano sul cuore e cercate di riconoscere con una vera introspezione se siete borghesi, o se erano borghesi i vostri antenati – il borghese, per antiche tradizioni, ha sentimenti totalmente diversi. Il proletario moderno, per il suo modo di vivere, dopo essere stato chiamato alla squallida macchina, allo squallido capitalismo, ha respinto queste vecchie tradizioni. Questa concezione del mondo più moderna avrebbe dovuto colmargli l'anima, ma non ci riuscì. E per quanto il proletario si professasse entusiasta nei confronti di quel che diceva questa concezione del mondo, si sentiva l'anima deserta, si sentiva assetato di una vita spirituale diversa. Perché questa vita spirituale, il frutto della nuova spiritualità, non ha una forza dirompente per rispondere alle grandi domande dell'anima umana. Questa vita spirituale non dice nulla del nesso dell'uomo con quello che comunque ogni uomo, nel cuore, sente essere la propria umanità superiore. Ebbe un effetto desolante. Ne conseguì che nell'anima del proletario sorse l'ardente desiderio di qualcosa di indeterminato. Ed è questo che poi andò a celarsi dietro tutte le rivendicazioni possibili, che viene alla luce in tutte le elaborazioni possibili. Non capiremo questo mascheramento, queste elaborazioni, senza deciderci a considerare le cose in tutta la loro profondità, dal punto di vista di una vera questione della concezione del mondo. Questa vita spirituale più moderna non aveva alcuna forza d'urto per le questioni relative alla concezione del mondo, non aveva alcuna forza d'urto per l'elemento generalmente umano. Quando i ceti dominanti dell'umanità moderna andavano in cerca di una tale forza d'urto, cercando nella vita spirituale qualcosa che doveva essere un supporto per l'anima, si volgevano alle antiche rappresentazioni religiose, alle antiche concezioni artistiche, estetiche, etiche e altro ancora. Ma quello che hanno dato al proletario, tutto quello che il proletario riusciva a capire, non era un supporto per l'anima, tuttora non è un supporto per l'anima. Dobbiamo chiederci: da dove viene tutto questo? Non dobbiamo chiederlo ai teorici, veramente non dobbiamo costruire vaghe teorie. Dobbiamo immergerci in una vita pratica reale, se vogliamo vederci chiaro.

Naturalmente oggi posso solo tratteggiare fatti oggettivi che portano lontano, però sono pienamente dimostrabili. Quando è sorta la nuova epoca con la sua tecnica, col suo capitalismo, rimase indietro qualcosa dello sviluppo precedente, qualcosa che per l'esperto assomiglia solo molto lontanamente a quello che oggi chiamiamo 'Stato', per il fatto che parecchie persone adorano veramente questo Stato quasi come un idolo. I ceti dominanti dell'inizio dell'epoca moderna, quando sorsero la tecnica e il capitalismo, usavano la cornice dello Stato per portarci dentro, in questa cornice, tutto ciò che risultava loro comodo. E vediamo che in realtà, dal punto di vista di quella volta, quando c'era da lottare contro la Chiesa, contro alcuni altri poteri, era giustificato, o almeno era comprensibile, che all'alba della nuova vita spirituale, in generale della vita storica, la vita spirituale venisse sempre più inclusa nella sfera dello Stato. La scuola, altri rami della vita spirituale, furono sempre più inclusi nella sfera dello Stato. Era proprio in questo, che si vedeva il grande progresso dell'epoca moderna. Per questo motivo oggi è tanto difficile lottare contro il pregiudizio generale e parlarne, in questo settore, che proprio in questo settore ci si debba tirare indietro, non per tornare ad un medioevo oscuro, ma per liberare la vita spirituale da tutti i lacci dello Stato. Questo è quello che al giorno d'oggi bisogna capire, che è necessario capire se si vorrà contribuire, anche solo con un minimo di forza, affinché si venga fuori dalla situazione terribile, orrenda, nella quale l'umanità è andata ad infilarsi. Fu visto come un progresso, il fatto di dare gradualmente in custodia allo Stato tutto ciò che faceva parte della vita spirituale. La libertà in ambito spirituale è stata lasciata solo a pochi settori artistici, a qualcosa che si considera non importante per la vita. Sì, chi conosce la situazione di questo settore sa che cosa significhi l'insuperbirsi di quest'epoca moderna, quando esprime il giudizio, tanto spesso ripetuto, che nel medioevo la filosofia (e con questo si intendeva tutta la scienza, tutta la vita spirituale umana) reggeva lo strascico alla teologia. Ora, certo, al giorno d'oggi la maggior parte di coloro che si occupano dello spirito e che sono veramente all'altezza del tempo certamente non reggono lo strascico alla teologia, ma avviene qualcos'altro. Vorrei caratterizzarlo raccontandovi qualcosa che si può moltiplicare per cento volte, no, per mille volte. Uno scienziato naturale importante molto famoso, e famoso a ragione, di epoca moderna, una volta, in qualità di segretario generale dell'Accademia delle Scienze di Berlino, parlando dei suoi colleghi, dell'intero corpo dell'Accademia delle Scienze di Berlino, disse che questi studiosi erano orgogliosi di essere le guardie del corpo scientifiche degli Hohenzoller. Ora, ecco, questo testimonia da che cosa la vita spirituale è finita per dipendere dopo essersi salvata dagli artigli della teologia. Non regge più lo strascico alla teologia. Ma che cosa è propensa a fare per lo Stato, oh, gli ultimi quatto anni e mezzo lo hanno dimostrato. Leggete che cosa hanno scritto gli scrittori di storia tedeschi. Ed è vero, purtroppo molto vero, che non solo l'amministrazione, l'attribuzione degli incarichi in ambito scientifico, dipende per esempio dallo Stato, no, chi conosce veramente le cose sa che questa scienza, che è diventata dipendente dallo Stato, è diventata dipendente dallo Stato anche per il suo contenuto, per la sua stabilità, e soprattutto perché l'hanno fatta persone che avevano ammazzato dentro di sé la sorgente della vita spirituale originaria, rendendosi più o meno solo ed esclusivamente mediatori che affermano solo ciò che in realtà lo Stato afferma in loro. Sarà difficile riconoscere con franchezza, libertà e coraggio tutto ciò che contiene quanto appunto detto, però bisogna riconoscerlo. Infatti bisogna capire che la vita spirituale è possibile nella sua vera essenza solo se essa sostiene gli uomini, solo se essa prima di tutto sostiene le anime, che la vita spirituale è possibile solo se viene posta su se stessa, sulla propria libertà, se a cominciare dal maestro della scuola primaria ognuno sa: tu non sei sottoposto ad alcun ordine da parte dello Stato, ma soltanto all'amministrazione di coloro che sono cresciuti nella vita spirituale e sono a servizio di questa vita spirituale. Con questa vita spirituale, che è assolutamente libera dallo Stato, con questa vita spirituale potrà essere creato qualcosa che comunque è un terreno sano per lo sviluppo spirituale. Infatti che cosa abbiamo sperimentato nell'evoluzione spirituale dell'epoca più recente? Oh, come è sostanzialmente estraneo alla vita reale, tutto quello che viene curato all'interno delle pareti del laboratorio scientifico.

E quindi che cosa ci manca, soprattutto, nell'ambito della vita economica? Esperti ragionevoli di questa vita economica oggi ammettono che ci manca la cosa più importante proprio per questa vita economica, che per esempio ci manca una vera scienza industriale. La vita economica non poteva restare indietro, doveva stare al passo con gli sviluppi più recenti. Era impossibile, che per esempio in Germania si continuasse ad estrarre solo 799.000 tonnellate di ferro grezzo per l'industria metallurgica tedesca, come si era fatto nei primi sessant'anni del diciannovesimo secolo. No, già alla fine degli anni Ottanta era necessario non estrarre 799.000 tonnellate di ferro grezzo, bensì 4.500.000 tonnellate. Che cosa c'è di notevole in questo aumento del ferro grezzo? Che queste 799.000 tonnellate di ferro grezzo all'inizio degli anni Sessanta del XIX secolo venivano estratte da poco più di 20.000 operai e stranamente anche le 4.500.000 degli anni Ottanta sono state estratte da poco più di 20.000 operai. Cosa significa questo? Significa che la tecnica è stata perfezionata ad un punto tale, la vita economica spingeva così tanto al progresso, che alla fine degli anni Ottanta lo stesso numero di operai riusciva a produrre 4.500.000 tonnellate di ferro grezzo, mentre quelli dell'inizio degli anni Sessanta ne avevano estratte solo 799.000 tonnellate. Ma poi a questo punto ci si chiede: a questo perfezionamento della tecnica è seguito nel modo giusto il perfezionamento degli altri settori sociali? No. E gli esperti ragionevoli oggi senz'altro ammettono che ci manca una scienza, che per esempio sia incline, secondo le esigenze d'oggi, a sostenere la produzione nel senso dell'aumento dei consumi, in modo che ovunque le imprese vengano allestite nel posto giusto, che le imprese vengano giustamente accompagnate da altre imprese di sostegno che si trovino nelle vicinanze. In questo senso oggi solo osservando il caos derivato dalla mancanza di una scienza industriale capisce i veri motivi, i veri motivi pratici dell'attuale movimento sociale. Infatti una vita spirituale sana, una vita spirituale sana che non sia comodamente dipendente, che non si faccia sostenere dallo Stato e dal suo personale ausiliario, ma che ogni giorno debba dimostrare sempre di nuovo le proprie capacità, la propria forza per l'ordinamento sociale, una vita spirituale del genere è un terreno solido per tutta la spiritualità. E proprio come, vedendo crescere un cattivo frumento, pensate che sotto ci sia un terreno che non va bene, così oggi dovreste dirvi: il fatto che non abbiamo una scienza industriale, che non abbiamo ciò di cui abbiamo bisogno come del pane per il risanamento della nostra vita economica, dipende dal fatto che il terreno sul quale dovrebbero prosperare le scienze pratiche è malsano, che la vita spirituale non forma persone che riescano a guidare correttamente l'amministrazione capitalistica, persone che ora veramente possano destare fiducia nella grande massa di quelli che devono lavorare. Vedete, sono questi i nessi. O si vedono i nessi così, e allora si trova una via di uscita dal caos (però è necessario capire questi nessi più profondi), oppure se non si vedono questi nessi allora ci si addentra, qualsiasi cosa si voglia intraprendere nel senso dell'antico pensare sull'economia, ci si addentra ancora di più nel caos, ancora di più nello sfruttamento selvaggio, nel degrado. Infatti da questo sfruttamento selvaggio, da questo degrado, ne veniamo fuori solo se cominciamo a partire dalla socializzazione della vita spirituale stessa. Ma nella vita spirituale socializzazione vuol dire emancipazione di questa vita spirituale dalla vita statale, vuol dire far poggiare questa vita spirituale su se stessa a partire dalle classi più basse delle scuole elementari fino su all'università, e lasciare completamente libero il modo dell'umanità di rapportarsi a questa vita spirituale.

Credetemi, conosco tutte le obiezioni che si possono fare contro quello che ho detto. So che sia da parte borghese che da parte proletaria mi si dirà: “Ecco, se la scuola tornerà ad essere libera, rifiorirà l'analfabetismo” e altro del genere. Ecco, innanzitutto vorrei raccontarvi qualcosa contro tutte le obiezioni che potrebbero essere mosse da parte socialista contro quello che ho appena detto. Da parte socialista viene dato un grande valore alla cosiddetta scuola unitaria. Si dice che in futuro non dovrà più esistere una scuola classista, che i figli di tutti devono essere istruiti in una scuola unitaria almeno fino ai quattordici o quindici anni. Ora, bene, ma credete che sorgerà una scuola diversa dalla scuola unitaria, se questa scuola verrà fondata su basi reali dell'organismo spirituale indipendente, dell'organismo spirituale indipendente dallo Stato? Ho scritto un piccolo libriccino: L'educazione del bambino dal punto di vista scientifico-spirituale[2]. Potete prendere qualsiasi posizione nei confronti di questo punto di vista. Capisco bene tutte le obiezioni a questo punto di vista; però se rinunciate a queste obiezioni, se rinunciate a quanto c'è da dire dal punto di vista meramente filosofico su una concezione del genere, vedrete che qui, parlando dell'educazione del bambino, si prende in considerazione esclusivamente quello che nell'uomo si sviluppa fino all'età adulta. Qui, quando si parla di costruire una scuola sulle reali fondamenta della vita spirituale, non ci si occupa di configurare qualcosa di diverso da una scuola unitaria. Sarà una necessità della vita spirituale emancipata dallo Stato, che questa vita spirituale debba dimostrare ogni giorno ex novo, nei suoi rappresentanti, la propria efficacia, dovrà dimostrare che, poggiando solo su se stessa, riuscirà a mettere a disposizione della vita sociale la sua vera essenza e forza. Una vita spirituale di questo tipo non vivrà nelle altezze astratte, non farà prediche. Una vita spirituale del genere non curerà una scientificità estranea al mondo, chiusa fra quattro mura, ma formerà persone che, portando dentro di sé i pensieri di questa spiritualità, diventeranno guide giuste della vita economica, della nostra vita economica così complicata, che pone così tante richieste. Lo Stato non ha reso pratica la vita spirituale, l'ha resa non pratica, l'ha resa astratta. Da decenni continuo a ripetere a coloro cui mi è consentito di parlare: «Voi conoscete dottrine, conoscete teorie, che per esempio si acuiscono in etica, in morale, così che alle persone si predica: “Ama il tuo prossimo come te stesso”, oppure si predica la fraternità, la compassione universale e così via. Queste prediche mi sembrano come se si dicesse alla stufa che è in una stanza: “Tu, stufa, tu hai questo aspetto; la tua essenza ti intima di scaldare la stanza, è tuo dovere di stufa, il tuo imperativo categorico, perciò scalda la stanza!” Alla stufa la predica serve tanto poco quanto all'essere umano. Perciò non si tratta affatto di predicare alla stufa, ma di metterci dentro la legna o il carbone e di accenderla». Allo stesso modo nel nostro ordinamento sociale attuale non vanno più bene quelle attività spirituali che si trattengono nelle altezze astratte, vanno bene solo quelle che veramente trovano accesso a quanto vive dentro l'uomo. Credete che se, per esempio, a partire dalla metà del secolo XIX (ma ovviamente questa è solo un'ipotesi), ci fosse stata una vita veramente spirituale, ci sarebbe stata tanta poca comprensione per il programma di Eisenach, di Gotha, di Erfurt? Ma no, mai più! Sul terreno di una vita spirituale sana si sarebbe sviluppata una sana scienza industriale, una sana scienza sociale. Soprattutto nella scienza sociale abbiamo sempre imbrigliato il cavallo per la coda. Non si è verificato che quelli che erano chiamati a parlare dell'ordinamento sociale, dell'ordinamento economico, in qualche modo trovassero qualcosa che doveva succedere, che avrebbe potuto corrispondere alle rivendicazioni del proletariato, no, invece di succedere così, è successo che quei signori hanno registrato quello che c'era già. Questo è quello che ci ha portati così in basso in questo settore. E il proletario, il proletario non poteva far altro che sperimentare sul proprio corpo ciò che questi fatti che ho descritto hanno provocato, con l'ordinamento economico al quale era stato attaccato. Dal suo punto di vista alla macchina, dal suo essere attaccato al capitalismo che rinsecchisce l'anima, egli guardava alla vita spirituale delle classi superiori, dei ceti dominanti. Ora, sì, certo, queste classi dominanti, superiori, non potevano far altro che configurare la vita in modo sempre più democratico, chiamarono le vaste masse del proletariato alla democrazia. Gradualmente venne loro in mente anche di consegnare al proletariato ogni tipo di cosa, cosa che loro curavano come vita spirituale; furono fondate scuole elementari, case d'arte nelle quali veniva mostrato al popolo quello che le altre classi producevano nell'arte e così via. Quel che qui prese forma (nessuno ovviamente dovrebbe fare un rimprovero, perché le persone credevano di fare la cosa giusta, che avrebbe portato al progresso della democrazia), ma in realtà non fu messa in scena nient'altro che una grande menzogna della vita. Solo che non la si capiva, questa menzogna di vita. Quando si esortavano le grandi masse del proletariato a guardare i quadri dei borghesi, a partecipare ai corsi di scuola dei borghesi e quando si dava ad intendere loro qualcosa, essi ne capivano qualcosa, ma questo qualcosa non era vero. Perché nell'ambito della vita spirituale non si può sperimentare nient'altro che quello che è stato prodotto all'interno della stessa comunità. Essendosi spalancato un baratro fra le esperienze sociali del proletariato e quelle della borghesia, anche la presunta comprensione della produzione spirituale borghese da parte del proletariato non era altro che una menzogna di vita. Così il proletariato non poté far altro che sentirsi inserito nella mera vita economica. Tutto era organizzato in modo che solo pochi potessero godere dei frutti di questa vita spirituale. Ma il proletariato che cosa percepiva, dunque?

Nel settore della vita economica percepiva il capitale, l'efficacia della sua stessa forza lavoro e la circolazione delle merci, la produzione delle merci e il consumo delle merci. Questo in realtà è tutto quel che percepiva. Ma guardando allo Stato, che nei suoi ambiti veniva usato dai ceti dominanti, superiori, dell'epoca più moderna nel modo che ho descritto, allora il proletariato sentiva qualcosa che può sentire chiunque abbia un'organizzazione sana dell'anima. Si può riflettere molto su che cosa in realtà significhi l'importante concetto del diritto all'interno dell'umanità, meglio detto all'interno di quel che è umano. Alla fine ci si dirà: la coscienza del diritto è qualcosa di tanto originario rispetto alla natura umana quanto lo è l'occhio sano rispetto alla percezione del blu o del rosso. All'occhio sano si può sempre parlare del blu o del rosso, ma non se ne può suscitare una qualche rappresentazione astratta. Così ad ogni uomo sano si può parlare dei singoli diritti. È una cosa che sentiva anche la grande massa del proletariato nei tempi in cui, grazie al principio democratico, arrivò all'introspezione mentre era alla macchina e si trovava inserito nel capitalismo. Poi, però, questo proletariato diede un'occhiata allo Stato. Che cosa credeva di trovare nello Stato, e a ragione, dal suo punto di vista? Veramente non la realizzazione del diritto, ma la lotta di classe con i suoi privilegi di classe e gli svantaggi di classe. Qui abbiamo di nuovo un esempio del fatto che il pensare borghese si è dimostrato fiacco. Da una parte, era costretto a lasciar dominare la democrazia, dall'altro lato non arrivò a trarre le conseguenze di tale democrazia e veramente non arrivò a separare dallo Stato quel che invece ne va separato e di tirare dentro la sfera dello Stato quello che va tirato dentro la sfera dello Stato.

Per motivi di tempo oggi voglio solamente accennare a qualcosa, che però è importante, al secondo punto chiave del movimento sociale dell'epoca moderna. Voglio accennare (come ho detto, chi è stato portato dal suo destino a pensare con il proletariato lo ha sempre visto, sempre) voglio accennare a come l'animo dei proletari sia stato colpito dalle parole di Karl Marx, cioè al fatto che il proletariato moderno deve soffrire perché la sua forza lavoro viene venduta sul mercato del lavoro come una merce, che nella vita economica non circolano solo merci, ma circola anche la forza lavoro dell'uomo. Il salario non è altro che la vendita della forza lavoro umana come una merce. Certo, il proletario non era così istruito nel patrimonio della scienza borghese che aveva accolto, da poter avere una chiarezza razionale su quello che succedeva. E i leader proletari avevano ereditato proprio per bene la scienza borghese, davvero non ci riuscivano. Ma in cuor suo il proletario, di fronte alle parole appunto dette da Karl Marx, sentiva quanto segue. Si volgeva indietro ai tempi antichi e si diceva: “Una volta c'erano gli schiavi, e il capitalista poteva comprare l'uomo intero come una mucca o come un oggetto. Poi giunse l'epoca della servitù della gleba, e si poté vendere già meno, dell'uomo, ma pur sempre abbastanza. Poi è arrivata l'epoca moderna, l'epoca in cui si è dato da bere all'essere umano che egli sia un essere libero”. Ma il proletario non poteva rallegrarsi della sua libertà, perché adesso doveva ancora vendere qualcosa di se stesso, cioè la sua forza lavoro. Non si può vendere la forza lavoro come qualcosa che si ha prodotto. Una ruota, un cavallo, si possono portare al mercato e poi si può andare via, con la forza lavoro bisogna andarci insieme. Questo è un residuo della schiavitù nella vita reale, per quanto ancora si parli della cosiddetta libertà e per quanto ne venga scientificamente insegnato. Questo è quello che si fissò nei sentimenti del proletario e che avrebbe dovuto essere sentito anche da una vita spirituale reale nelle cerchie dominanti, che erano alla guida. Però, diffondendo a ragione la democrazia, che coltivò questo sentimento nei confronti della forza lavoro umana, si era abbastanza di corte vedute per non andare incontro a questo sentimento in alcun modo. Adesso, infine, i fatti oggettivi parlano in un modo tale, che è assolutamente necessario sollevare questa domanda, come seconda questione essenziale del movimento sociale: come si spoglia la forza lavoro umana dal suo carattere di merce? Non lo si può fare altrimenti che così: come da una parte, per i motivi già detti, bisogna separare la vita spirituale dallo Stato politico, o giuridico, vero e proprio, così dall'altra parte bisogna separare da questo Stato politico o giuridico la vita economica; bisogna cioè porre l'uno accanto all'altro tre organismi sociali indipendenti, che proprio essendo indipendenti possono diventare una giusta unità. Allora potranno proprio aiutarsi l'un altro in modo organico, mentre l'unità che esiste attualmente fra vita economica, vita statale o giuridica e vita spirituale ci ha gettati appunto nel caos. Ora, la vita economica, pensate, da un lato confina con le condizioni naturali. Sarebbe assurdo, costituire una certa corporazione per decidere già oggi, in base alle necessità del 1920, quali saranno le condizioni naturali necessarie, per esempio per quanti giorni all'anno dovrà piovere e per quanti giorni dovrà fare bel tempo. Ovvio che sarebbe un'assurdità. In questo settore, dove la vita economica confina con le condizioni naturali, questa assurdità la si capisce, ma all'altro confine, dove la vita economica confina con lo Stato libero da essa, con lo Stato che non può fare economia, qui ancora non lo si capisce. Lo stesso Walther Rathenau, nel suo ultimo scritto Dopo il diluvio, sottolinea che la separazione della forza lavoro umana dal circolo economico porterebbe ad un gravissimo crollo del valore del denaro. Appunto non riesce affatto ad adattarsi a quel che sarà reso possibile proprio dalla liberazione della vita economica dalla vita dello Stato – tirare fuori la forza lavoro dalla vita economica e non lasciare alla vita economica nient'altro che quello che, per quanto riguarda l'uomo, è oggettivamente indipendente dall'uomo. Nello Stato, l'operaio dovrà trovarsi in un ambito in cui ogni uomo è uguale agli altri. Questo sarà il futuro dello Stato liberato dalla vita spirituale e dalla vita economica, e all'interno di questo Stato si svilupperà tutto ciò che (lo si può definire in modo molto preciso) vive nell'umanità in un modo tale per cui, rispetto ad esso, tutti gli uomini siano assolutamente uguali. Gli uomini non sono uguali per quanto riguarda le loro facoltà e i loro talenti individuali. Tutte queste capacità e questi talenti individuali devono essere coltivati nella vita spirituale libera, nella vita spirituale indipendente dallo Stato. Qui la democrazia non può far nulla. Il contenuto della democrazia è tutto ciò in cui tutti gli uomini sono uguali e di cui non fa parte nessuna esperienza di vita. Invece l'esperienza di vita è l'elemento della vita economica. Lo Stato non ha il diritto di fare economia, deve invece determinare e regolare tutto ciò in cui ogni uomo è perfettamente uguale all'altro, ciò in cui può vivere la vera democrazia. Di questo fa parte, oltre al diritto sulla proprietà, che trovate spiegato ulteriormente nel mio libro, soprattutto il diritto del lavoro. Il tempo, la misura e la modalità del lavoro in futuro dovranno essere regolate dallo Stato indipendente dalla vita economica, in modo che l'operaio, che sarà compresente durante questa regolamentazione, entrando in fabbrica, entrando in officina, ci entrerà già con una limitazione della quantità del lavoro stabilita per legge, soprattutto ci entrerà con una limitazione del tempo di lavoro stabilita dalla legge sul lavoro prima ancora di aver firmato un contratto con un datore di lavoro. Così come da un lato la vita economica confina con le condizioni naturali, che con la tecnica si possono al massimo aggirare un po', ma dalle quali essa è in gran parte dipendente, così in futuro la vita economica, dall'altro lato, dovrà confinare con il diritto del lavoro saldamente regolamentato. Non si potrà determinare il salario a seconda del valore d'uso dei beni, come sostanzialmente succede ancora oggi nel nostro ordinamento economico. Tutto il benessere, tutta l'agiatezza, tutta la produzione, potranno prender forma all'interno della vita economica soltanto come una conseguenza di quello che lo Stato avrà determinato come diritto del lavoro, così come, dall'altra parte, la vita economica si potrà sviluppare solo in dipendenza dalle basi naturali. Il resto lo dovete andare a leggere nel mio libro I punti essenziali della questione sociale nelle necessità per la vita del presente e del futuro. Qui giungiamo appunto al secondo punto essenziale della questione sociale, alla regolamentazione del diritto del lavoro per mezzo della separazione della vita economica dalla vita statale.

Il terzo dei punti chiave della questione sociale è la questione economica stessa. Realmente incastrata fra i due confini appunto descritti, all'interno di tali confini essa viene regolamentata in modo associativo, da forze puramente economiche, dalle forze delle categorie professionali, cioè dalle forze della produzione e del consumo attraverso le cooperative ecc. in totale autonomia rispetto alla vita giuridica e a quella spirituale. Oggi non c'è più tempo, lo faremo nella prossima conferenza, per entrare nel dettaglio sul modo in cui poi la vita economica, emancipata, possa portare quel che sicuramente, in quanto benessere, dipenderà dal diritto del lavoro, anche dal diritto di proprietà, ma che ne sarà dipendente in modo sano e soprattutto ne sarà dipendente in modo moralmente necessario, come dall'altro lato dipende dalla natura. Nel dettaglio sarà sicuramente necessario che gli altri due settori dell'organismo sociale, quello spirituale e quello giuridico-statale, diano le proprie forze alla vita economica. Ma le daranno proprio dal momento in cui si costituiranno correttamente nel proprio ambito. Recentemente, quando ho parlato di questo argomento in una città svizzera, nel dibattito un uomo molto intelligente ha osservato (certo, riconosco tutte le obiezioni intelligenti, so benissimo quanto c'è da obiettare a quello che propongo qui; però dico quello che viene fuori dalla realtà ed è per questo che c'è così tanto da obiettare, come di regola c'è tanto da obiettare contro la realtà; proprio per questo quello che viene proposto è pratico, perché innanzitutto c'è così tanto da obiettare e poi perché bisogna andare incontro alle obiezioni in modo pratico, non coi giudizi) allora egli ha detto: “Certo, ora tu vuoi limitare lo Stato col suo diritto e la sua giustizia, però la giustizia deve dominare sia nello spirituale che nella vita economica!” Gli ho risposto con un'immagine: pensiamo ad una famiglia di campagna: il marito, la moglie, i bambini, i servi, le bambine e tre mucche. Le mucche danno il latte. Tutta la famiglia ha bisogno di latte. Forse che questo rende necessario o anche solo possibile che l'intera famiglia dia il latte? No, se le tre mucche danno correttamente il latte, tutta la famiglia avrà il latte e non è affatto necessario che anche gli altri diano latte. Così è con i tre settori dell'organismo sociale. Ognuno dei settori apporta agli altri settori ciò che può essere loro portato appunto proprio per il fatto che esso, nella sua emancipazione, è posto sulla sua stessa base sana, specifica”. È questo che bisogna considerare per prima cosa di fronte a queste proposte sociali realmente pratiche, prese dalla realtà. Da più di un secolo riecheggia attraverso l'umanità un triplice motto: libertà, uguaglianza, fratellanza. Chi può rimanere inaccessibile al forte impulso di questi tre ideali? Tuttavia, persone molto intelligenti del XIX secolo, e a ragione, dico espressamente 'a ragione', hanno dimostrato che questi tre grandi ideali umani si contraddicono e hanno detto: “Dovendo sviluppare la libertà dell'individualità, quando le individualità devono realmente ottenere giustizia l'una accanto all'altra, come può qui dominare l'uguaglianza? O ancora: come dovrebbe, accanto all'uguaglianza, accanto alla diffusione del puro diritto, farsi valere anche la fratellanza?”

Ora, vedete, qui c'è una contraddizione capitale, fondamentale. Perché? Perché questi tre grandi ideali dell'umanità, la libertà, l'uguaglianza e la fratellanza, sono stati concepiti in un periodo in cui gli uomini vivevano ancora come ipnotizzati dall'idea dello Stato unitario, quello Stato unitario che in realtà ci ha trascinati nella catastrofe attuale. Ma qualcosa di giusto, qualcosa di elevato, qualcosa di imponente, veniva comunque sentito in questi tre impulsi, e questo qualcosa lo si può realizzare solo sapendo che ciascuno di questi tre ideali è adatto per il suo proprio settore, messo al proprio posto nell'organismo sociale tripartito. In futuro l'organismo spirituale libero deve svilupparsi a partire dagli impulsi della libertà, l'organismo statale, politico, dagli impulsi dell'uguaglianza, l'organismo economico dal principio della fratellanza in grande stile attraverso le esperienze fra uomo e uomo, le organizzazioni, le associazioni, le cooperative ecc. Questo ha spinto chi vi sta parlando adesso, quando ci trovavamo nel bel mezzo di quella terribile catastrofe che qui in Germania ci ha trascinati nella situazione attuale, a rivolgersi ad alcuni posti, affinché allora, nel suono dei cannoni che tuonavano invano (allora lo si poteva già vedere) per la Germania, andasse ad inserirsi una voce spirituale di fronte a quel che altrimenti compiva il mondo, in modo che l'Europa centrale e orientale sentissero che in futuro avrebbero dovuto lavorare non con i cannoni, ma con lo spirito. Bisognava cercare la via che avrebbe impedito quello che è successo adesso. I miei amici, si sono dati molto da fare, nei posti in questione, che allora erano ancora competenti e che oggi sono sprofondati nell'abisso, per avvicinare ciò che è stato tratto dalle condizioni necessarie dell'evoluzione umana del presente e del prossimo futuro. E a quei tempi ad alcuni ho detto: quello che si dice in questo abbozzo (a quei tempi era formulato principalmente per la politica estera) è quello che è stato tratto, in un lavoro pieno di dedizione durato decenni, osservando le condizioni dell'Europa centrale e orientale e del mondo civile, e che vuole realizzarsi nei prossimi dieci, quindici, vent'anni. E ho detto: Adesso avete la scelta fra diventare ragionevoli e dire all'umanità che volete realizzarlo, oppure trovarvi di fronte a cataclismi e rivoluzioni. Perché ciò che non si vuole compiere con la ragionevolezza non fa che scatenare rivoluzioni. Questo oggi ve lo può dire uno che prima di questa catastrofe bellica ha parlato come di un'ulcerazione sociale, di un cancro sociale. A quei tempi è stato preso per un fantasticone, e son stati ritenuti persone pratiche quelli che, poco prima che cominciasse la battaglia, parlavano di una distensione generale. Speriamo che in quelli che capiscono già qualcosa della necessità di una trasformazione del modo di pensare (non solo di una trasformazione delle istituzioni, ma di una trasformazione del pensare, del modo di pensare nelle teste delle persone) speriamo che in essi si accenda l'impulso al movimento sociale che si annuncia con fatti dalla voce così tonante. Speriamo che questo impulso si accenda nelle persone prima che sia troppo tardi. Perché ciò che parla attraverso i fatti lo si deve aver raggiunto con i pensieri. Oggi non ci serve un parlare facile di una cosa o dell'altra che dovrebbero essere cambiate. Ci servono pensieri nuovi dentro le teste delle persone. Molte persone hanno detto: “Non c'è mai stata una catastrofe come questa guerra fin dall'inizio della storia dell'uomo”. Ma soltanto pochi hanno aggiunto anche: “Perciò adesso sono anche necessari pensieri dei quali si abbia l'impressione che non ci siano mai stati prima”, però ci servono, questi pensieri, se vogliamo venire fuori da quella terribile catastrofe che c'è ancora, se vogliamo venire fuori dai disordini e dal caos. Facciamo un'introspezione! Cerchiamo di aggiungere alla comprensione una coraggiosa volontà sociale, e allora non sarà ancora troppo tardi, anche se oggi la situazione è già difficile. Cerchiamo di impedire che arrivi il momento in cui poi, nel lutto di una spaventosa tragedia umana, dovremmo dirci: Troppo tardi!

Conclusione dopo il dibattito

Oggi non voglio trattenervi ancora molto a lungo. Per prima cosa è mio dovere di ringraziarvi di cuore per la fiducia che mi avete accordato. Potete credermi, oggettivamente non è per via di una qualche nostalgia personale, che ci si consulta, in questi tempi difficili. Anzi, se ritengo che la vostra fiducia sia straordinariamente importante, è solo perché devo prendere posizione nei confronti della gravità di quest'epoca. E se non credessi che adesso veramente non dobbiamo più aspettare, ma dobbiamo passare rapidamente ai fatti, forse io stesso vi consiglierei: Riflettete su questo o quello. Però adesso si tratta veramente di trovare, nei disordini del presente, un modo rapido di agire. Adesso è da otto giorni che sono a Stoccarda e devo confessarvi che, dopo aver parlato più a lungo, in Svizzera, delle stesse idee delle quali ho parlato a voi oggi, le impressioni di quest'ultima settimana qui, in tal senso, sono state per me un'esperienza che ha sicuramente superato le mie aspettative e le mie speranze, e precisamente per un motivo molto particolare. Vedete, il fatto è che oggi le persone della grande massa vogliono ciò che è ragionevole. Dal mio discorso vi sarete accorti che da anni si è cercato, nelle minoranze, in coloro ai quali per certi versi era stata affidata la guida degli uomini, di cercare la cosa giusta. Si è fatta la predica ai sordi. Oggi moltissimo dipende dalla massa, moltissimo dipende dalla possibilità di coltivare la ragionevolezza nei gruppi più vasti. Qui per me è stata una grande esperienza aver potuto parlare di queste idee, come vi ho detto, alle grandi masse della popolazione senza che nessuno abbia mosso obiezioni. Lo ritengo estremamente importante, perché mi attesta il fatto che se si cerca una strada la si trova, e se non la si è ancora trovata, secondo me, vuol dire che non la si è cercata nel modo adeguato. Me lo hanno dimostrato gli ultimi giorni, per questo sono stati un'esperienza importante per me. Sui singoli punti del dibattito ci sarebbe comunque molto da dire, ma è troppo tardi, sarebbe troppo. Avrei solo qualcosa in contrario alle ultime parole che sono state dette, che in realtà hanno provato una grande benevolenza nei miei confronti. Vorrei soltanto consigliarvi di leggere a pagina 140 del mio scritto I punti essenziali della questione sociale nelle necessità vitali del presente e del futuro: «La descrizione dei singoli settori in cui si articola la vita avrà chiarito che nel modo di pensare che vi sta alla base non si tratta, come alcuni possono pensare (e come di fatto è stato creduto, quando qua o là ho spiegato le stesse cose a voce) di un rinnovamento dei tre ceti, cioè del ceto contadino, della casta militare e della classe degli insegnanti. Si cerca di fare proprio il contrario di questa divisione in classi.» Il signore che è intervenuto ha detto che l'idea della tripartizione si trova anche in Platone. No, quello che vi ho detto io oggi è il contrario della divisione in classi. Non sono gli uomini, ad essere suddivisi in modo nuovo nello Stato, non si costruisce sui vecchi ceti, non si realizza il pensiero platonico, ma si tripartisce quello che è indipendente dall'uomo, l'organismo sociale, e l'uomo perviene alla sua piena dignità umana unitaria per il fatto che non viene suddiviso in classi. Rendendo tripartito l'organismo sociale si superano le differenze di classe. Fra noi e Platone c'è una frattura. Dobbiamo trasformare il nostro modo di pensare anche riguardo a Platone. Lo devo far notare anche riguardo a quelle parole benevolenti. È molto importante che non vogliamo rivestire quello che arriva adesso con qualche antica idea platonica. Poi oggi, per me in un modo molto bello, è riemerso ripetutamente il nome di Karl Christian Planck. Qui in sala ci saranno anche oggi, credo, persone che anni fa erano di là, al museo civico, dove, proprio nel contesto del mio discorso di allora, ho dato rilievo alle idee sul diritto e sullo Stato di K. C. Planck. Certo, anche K. C. Planck è uno di quelli che preferisco citare per dimostrare gli errori della vita spirituale dei nostri tempi. K. C. Planck si è veramente visto costretto a dire che non vorrebbe mai che le sue ossa fossero seppellite nell'ingrata madre patria. Si è dato talmente poco ascolto, a ciò che aveva da dire per la sua epoca! Però io so che se Planck rivivesse oggi, sarebbe al passo con i tempi. Se si chiedesse: “Come si presenterebbe il mio stato di diritto professionale trasformato nella realtà?” giungerebbe da sé alla tripartizione. Questo è quello che credo sia l'elemento vitale in Planck, e credo sarà una buona scuola di preparazione per quello che oggi, molti decenni dopo Planck, deve essere detto in modo diverso – sarebbe una buona scuola di preparazione, se veramente molte persone saranno come ha detto Gladstone, perché gli americani del nord saprebbero fare la cosa giusta per sé anche con una cattiva costituzione.

Si tratterebbe di ciò che gli uomini veramente fanno, a partire da una costituzione. Ora, invece di addentrarmi nei singoli punti del dibattito, vorrei accennare alle differenze di fondo che ci sono fra quello che intendo io e quello in cui molte persone vedono il risanamento. Vedete, l'importante non è di stabilire un qualche programma astratto, in cui moltissime persone vedano il risanamento, ma di mettere le persone, nella vita sociale, in un contesto tale per cui esse riescano a trovare la cosa giusta traendola dalla comunità sociale. Il mio appello e il mio libro sono rivolti alle persone. Negli anni passati ho ripetuto: non penso di essere più intelligente degli altri, che hanno anch'essi esperienze, però mi sembra che le mie proposte abbiano la caratteristica di avvicinarsi alla realtà, alla vita pratica. In qualsiasi momento le cose di cui si tratta possono essere realizzate qui e là, qualunque sia il punto di partenza. Si tratta solo di averne il coraggio. Ho detto spesso che forse delle mie singole proposte non rimarrà una pietra sopra l'altra, ma, grazie alla vita in comune delle persone si troverà la cosa giusta, se si dà loro la possibilità di trovarla, questa cosa giusta. E gli uomini troveranno questa cosa giusta se saranno inseriti nella tripartizione nell'organismo sociale. Il mio appello va alle persone stesse. Se le persone vogliono organizzarsi nel modo qui indicato, stabiliranno dei rapporti tali per cui riusciranno veramente ad organizzare la loro vita sociale in modo da soddisfare le condizioni necessarie per un organismo sociale sano. Si tratta della pratica, di una riunione pratica delle persone secondo l'organismo tripartito. Allora anche nella vita spirituale, nella vita giuridica, nella vita economica si troverà la cosa giusta, se le persone sono inserite in questo modo nei tre settori. Si tratta delle persone, e in sostanza per capire questo appello non serve altro che una vera fiducia negli uomini. Spesso mi è stato detto che l'appello è difficile da capire. Devo ammettere di essermi meravigliato che ci siano persone che lo hanno detto, e che negli ultimi quattro, cinque anni hanno capito tanto, che io non ho capito. Che cosa non è stato capito o creduto di capire, quando proveniva dal gran quartiere generale o anche da altre parti! Quello lo capivano tutti e le massime venivano perfino incorniciate in cornici d'oro. Però adesso è importante che le persone capiscano qualcosa a partire da se stesse, una buona volta, a partire dalla libera risoluzione interiore. L'uomo deve poggiare su se stesso, questa è la prima cosa necessaria. Ed è proprio questo il tono di fondo di questo appello e di tutto ciò cui esso mira. Da queste mie ultime parole avrete già capito il tono di fondo vero e proprio, e spero che si capirà sempre meglio ciò a cui si mira.


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3. Seconda conferenza5. Quarta conferenza
Indice

Note:

[1] Rudolf Steiner, «Appello al popolo tedesco e al mondo civile» pubblicato in "I punti essenziali della questione sociale" OO23 (1919), pag 120. N.d.C.

[2] L’articolo «L’educazione del bambino dal punto di vista della scienza dello spirito» è pubblicato in Problemi spirituali (Carabba 1931 e 2010), in RA 1957/162 e 194, e in Educazione del bambino e preparazione degli educatori (Editrice Antroposofica).

Trad. 02/2017