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OO 330 - Nuova struttura dell'organismo sociale



Che cosa dovrebbe essere socializzato e come?
Conferenza per gli operai della Daimler-Werke Stuttgart-Untertürkheim

IndietroAvanti

Stoccarda, 25 aprile 1919


Il modo in cui oggi mi troverò a trattare questo tema vi risulterà chiaro dall'appello[1] che vi è stato dato e che, appunto, avete in mano. Stasera dovremo parlare di quella che al giorno d'oggi viene chiamata 'socializzazione' e che tuona con tanta potenza e violenza: da un lato come un urlo gridato dalla storia mondiale, dall'altro come un urlo generalmente umano, dovremo quindi trattare questo argomento, una buona volta, partendo da una visuale più ampia e più vasta di quella dalla quale lo si tratta di solito. E precisamente non per via di una qualche preferenza, ma perché l'enorme, fortissima esigenza del nostro tempo può essere capita correttamente solo affrontando l'argomento nel modo più magnanimo e generoso possibile. Se avessi parlato ad una assemblea di operai, diciamo, cinque o sei anni fa, nello stesso modo in cui voglio parlarvi oggi, le condizioni necessarie affinché l'oratore e gli uditori potessero intendersi sarebbero state totalmente diverse da quelle di adesso. È così, ma non lo si capisce ancora bene nelle cerchie più vaste. Vedete, cinque o sei anni fa, un'assemblea come questa mi avrebbe ascoltato, forse, in un modo o nell'altro, in base alle sue concezioni sociali, si sarebbe fatta un giudizio sul fatto che l'una o l'altra cosa detta dall'oratore si discostava in qualche modo dalle proprie concezioni sociali, e in quel caso lo si sarebbe rifiutato, se egli avesse portato qualcosa che concordava poco con il proprio modo di vedere. Al giorno d'oggi deve diventare importante qualcosa di totalmente diverso, perché questi cinque, sei anni sono passati sull'umanità portando con sé eventi molto significativi e decisivi, e oggi è proprio necessario che la fiducia non venga data a qualcuno che vuole dire la sua in merito alla socializzazione solo nel caso in cui egli voglia esattamente la stessa cosa che vogliamo anche noi, ma che la fiducia gli venga concordata qualora egli mostri, riguardo alle esigenze giustificate dall'epoca stessa e che si esprimono nel movimento proletario, che cresce sempre più, se dunque mostri di avere, nei confronti delle esigenze giustificate dall'epoca, sentimento e volontà sinceri, onesti. Oggi ci troviamo di fronte a dati di fatto molto diversi (l'evoluzione di quest'epoca è proceduta molto in fretta) da quelli di fronte ai quali ci trovavamo cinque o sei anni fa. Oggi bisogna tener conto di cose molto diverse da quelle di cinque o sei anni fa. Dunque, cominciamo introducendo quanto segue.

Vedete, pensatori socialisti molto in vista, molto intelligenti, poco prima della rivoluzione del 1918 in Germania, hanno detto più o meno così: “Quando questa guerra sarà finita, il governo tedesco dovrà trattare i partiti socialisti in modo del tutto diverso da come li ha trattati prima. Dovrà ascoltarli. Dovrà farli entrare nel loro Consiglio”. Ora non voglio continuare ancora: come ho detto, le eminenti guide socialiste parlavano così. E questo cosa ci mostra? Ci mostra che poco prima del novembre 1918 questi eminenti capi socialisti pensavano che dopo la guerra si sarebbe avuto a che fare con un qualche governo che sarebbe stato lì come una volta, e che però ora avrebbe tenuto conto anche di questi personaggi socialisti. Come sono cambiate in fretta, le cose! Quanto in fretta è arrivato qualcosa che dunque nemmeno questi capi socialisti si sarebbero sognati! Quel tipo di governo che loro credevano che sarebbe esistito ancora è sprofondato nell'abisso. Questo però fa la grande, enorme differenza, questo vi mette tutti davanti a fatti totalmente diversi. Oggi siete in condizione di non cercare più di essere “anche presi in considerazione”, ma siete in condizione di collaborare al nuovo sviluppo dell'ordinamento sociale che deve subentrare. Ora vi viene incontro un'esigenza concreta, l'esigenza di sapere, di riflettere su ciò che deve succedere se si vuole andare avanti in modo ragionevole riguardo al risanamento dell'organismo sociale. Ormai bisogna cambiare radicalmente linguaggio, rispetto a quella volta. Ora si tratta per prima cosa di volgersi al passato e di ricordare che cosa è stato a trascinarci nella terribile situazione attuale; che cosa va migliorato, che cosa deve cambiare.

Per questo, lasciate che vi dica qualcosa, a mo' di introduzione. Non voglio tormentarvi molto con osservazioni che sembrano essere personali. Però, se uno non è un teorico, se non è uno scienziato astratto, ma invece, come me, ha sviluppato delle vedute sulla necessaria evoluzione sociale durante un'esperienza di vita più che trentennale, allora dentro una persona del genere quel che essa ha da dire in generale va di pari passo con quello che sente personalmente. Come ho detto, non voglio affatto annoiarvi con delle esposizioni personali, ma forse, a mo' di introduzione, posso raccontare questo fatto: nella primavera del 1914, in una piccola assemblea, a Vienna, (una assemblea più grande quella volta mi avrebbe veramente deriso, per motivi dei quali adesso non parlerò) fui costretto, fui personalmente costretto, a riassumere le concezioni che avevano preso forma in me, per esprimermi con un'immagine, in esperienze di vita sanguinose, in merito alla questione sociale e al movimento sociale. Allora dovetti dire, come conclusione di esperienze pluridecennali, di osservazioni pluridecennali sulla vita sociale del cosiddetto mondo civilizzato dei giorni nostri, quanto segue: le tendenze della vita attualmente prevalenti diventeranno sempre più forti, finché alla fine collasseranno su sé stesse. Chi osserva spiritualmente la vita sociale vede dappertutto la forza spaventosa con la quale sorgono i presupposti per la formazione di piaghe sociali. Questa è la grande preoccupazione culturale che si presenta a chi coglie il senso dell'esistenza. Questa è la cosa tanto terrificante e così opprimente, che anche se si potesse nascondere a tutti l'entusiasmo che altrimenti si ha perché per vie spirituali si riesce a capire ciò che accade nella vita, comunque ci si sentirebbe spinti a parlare dei rimedi che si possono usare contro tutto questo, comunque si vorrebbe urlare al mondo delle parole a questo proposito. Quando l'organismo sociale si evolve così tanto come ha fatto finora, si presentano dei guasti alla cultura, guasti che per l'organismo sociale sono gli stessi che nell'organismo naturale dell'uomo sono le formazioni di cancro. Ora, quando qualcuno lo ha detto nella primavera del 1914, le cosiddette persone intelligenti ovviamente lo hanno preso per un sognatore. Infatti, le persone molto intelligenti, quelle alle quali la classe dominante aveva affidato le sorti dell'umanità, queste persone che cosa hanno detto, in realtà, a proposito di ciò a cui il mondo si trovava di fronte? Oggi bisogna accertarsi in modo un po' critico di come fossero fatte le teste di queste persone alla guida del Paese, altrimenti gli uomini continueranno sempre ad obiettare che non è necessario parlarne in modo così serio come vogliamo farlo noi oggi. Che cosa hanno detto, quella volta, questi cosiddetti personaggi-guida? Ascoltiamo per esempio il ministro degli esteri allora corresponsabile della politica estera tedesca. Ad una seduta decisiva del parlamento tedesco, di fronte a svariate centinaia di signori anche politicamente illuminati, egli è riuscito a dire, a proposito di ciò che stava per succedere, quanto segue: egli disse: “La distensione generale in Europa fa passi soddisfacenti. Col governo di Pietroburgo va ogni giorno meglio. Questo governo non ascolta le dicerie delle orde dei giornalisti, e noi continueremo ad occuparci dei nostri rapporti di buon vicinato con Pietroburgo nello stesso modo in cui lo abbiamo fatto finora. Con l'Inghilterra siamo in fase di negoziati, che è vero che non sono ancora stati conclusi, ma che già sono così avanti che possiamo sperare che prossimamente riusciremo presto a giungere ai migliori rapporti possibili che possiamo augurarci”. Questa distensione generale ha fatto dei passi così grandi, questi rapporti con Pietroburgo sono stati avviati così bene, dal governo, queste trattative con l'Inghilterra hanno dato frutti così buoni, che subito dopo è arrivato il momento in cui, per tenersi bassi, sono state uccise in Europa da dieci a dodici milioni di persone e tre volte tante sono rimaste mutilate.

Ora forse posso chiedervi: come venivano istruiti quel signore e quelli della sua classe, su ciò che succedeva nel mondo? Con quanta forza la loro intelligenza era in condizione di capire quel che era necessario per l'immediato futuro? Non erano forse veramente ciechi? E non si è aggiunta anche quella spaventosa, orrenda superbia, che dava del sognatore a chiunque indicasse che qui c'era un cancro in formazione che sarebbe venuto fuori in un modo spaventoso nell'immediato futuro? Queste domande oggi bisogna farsele. Bisogna farsele perché ancora oggi numerosi personaggi, nonostante i fatti che parlano con voce tonante, sono tanto ciechi come quelli, in merito a quel che oggi è solo all'inizio del suo sviluppo: alla conformazione del movimento sociale, che a partire dall'autunno del 1918 ha assunto, nella sua nuova forma, questo movimento sociale che dura già da più di mezzo secolo. Ecco che cosa si vorrebbe fare già adesso: si vorrebbe fare in modo che ci fossero uomini (oggi devono esserci, uomini del genere, nella grande massa della popolazione proletaria) che nelle loro teste abbiano una coscienza di quel che deve realmente accadere. Chi negli ultimi decenni ha imparato non solo, come molti fanno al giorno d'oggi, a parlare sul socialismo, a pensare sul proletariato, ma è stato portato dal proprio destino a pensare e a sentire con il proletariato, al giorno d'oggi deve pensare sulla questione sociale in un modo molto più serio, molto più ampio di come pensano molti. Deve osservare che cosa è diventato, oggi, questo movimento, come si è sviluppato negli ultimi cinque, sei, sette decenni, da quando l'urlo di Karl Marx ha attraversato il mondo; deve rendersi conto che per il movimento sociale, per i programmi sociali, oggi è necessario uscire dallo stadio della critica e porsi invece sul terreno creativo, su quel terreno sul quale si può sapere che cosa deve succedere per una ricostruzione dell'ordinamento sociale umano, la cui necessità oggi, in realtà, deve essere sentita da chiunque viva anche semplicemente con l'anima sveglia.

Sono tre gli ambiti della vita nei quali il proletariato è riuscito a sentire quel che in realtà gli fa bene, quel che ritiene che debba cambiare in tutto il suo modo di porsi nei confronti del mondo, nei confronti della società umana, ecc. Ma le condizioni degli ultimi secoli, soprattutto del diciannovesimo secolo, e ancor di più dell'inizio del ventesimo secolo, hanno fatto sì che, mentre più o meno inconsciamente, istintivamente, col cuore l'operaio sentiva molto bene che le vie verso il suo ideale di futuro sono tre, tuttavia in un certo senso l'attenzione è stata volta ad un solo e unico obiettivo. Il moderno ordinamento sociale borghese, in un certo senso, ha spostato tutto nel settore della vita economica. All'operaio moderno non era consentito, non era possibile, a partire dalle sue condizioni lavorative, farsi un'opinione del tutto libera e pienamente consapevole di quel che è realmente necessario. Egli poteva, dato che la tecnica moderna lo ha intessuto nel capitalismo moderno, nel mero ordinamento economico, in realtà, dato che la borghesia ha spostato tutto sull'elemento economico, poteva soltanto credere che il tramonto del vecchio, il crollo del vecchio, e la ricostruzione da imparare e da eseguire si dovesse costruire in ambito economico, nell'ambito in cui egli vedeva che agivano: il capitale, la forza lavoro umana e la merce. E oggi, che rimbomba l'urlo tanto giustificato per la socializzazione, in realtà, anche tenendo conto degli altri settori della vita, si ha in mente soltanto l'ordinamento economico. Come ipnotizzato, direi, lo sguardo è volto soltanto alla vita economica, soltanto a quel che viene inteso con le parole: 'capitale', 'forza lavoro' e 'merce', 'condizioni di vita' e 'rendimento materiale'. Però, nelle profondità del cuore del proletario, anche se non lo sa in modo così preciso nella parte superiore del cervello, qui c'è quello che gli dice che la questione sociale è tripartita, che questa questione sociale più moderna, della quale egli vuole rispondere, per la quale egli vuole lottare, è una questione spirituale, una questione giuridica o statale, e una questione economica. Perciò oggi consentitemi di trattare questa questione sociale, questo movimento sociale, come una questione spirituale, come una questione giuridica e come una questione economica. Vi basta solo guardare alla vita economica per poter percepire, se guardate a questa vita economica con gli occhi svegli, che si tratta di qualcos'altro ancora, di qualcosa di completamente diverso dalla mera vita economica. Se oggi, a ragione, vogliamo la socializzazione, dobbiamo tuttavia ancora chiederci: “Ecco, cos'è che dev'essere socializzato e come lo si deve socializzare?” Infatti è da questi due punti di vista:

  • Che cosa si deve socializzare?
  • Come si deve socializzare?

che dobbiamo, prima di tutto, osservare la vita economica, il modo in cui essa si è evoluta nel tempo più recente, e il modo in cui in realtà è ai giorni nostri, non facciamoci illusioni in merito, almeno da queste parti è più o meno crollata. Oggi dobbiamo aver chiara una cosa, e cioè che non possiamo affatto imparare ancora qualcosa da tutto ciò che le persone hanno considerato pratico e adeguato agli uomini nel senso del capitalismo, nel senso dell'economia privata. Chi oggi si lascia andare a credere che si possa andare avanti con le istituzioni che vengono pensate solo così come si è pensato fino adesso si vota veramente alle peggiori illusioni. Però si deve imparare, da queste istituzioni. Vedete, la cosa più caratteristica che risulta da lungo tempo nella vita sociale, ma soprattutto fino ad oggi, con così tanta forza, ecco, è che da una parte stanno le classi finora dominanti, abituate nel loro pensare a quel che fa loro comodo da lungo tempo; quelle classi dominanti che, coi loro portavoce e anche da sé hanno sempre continuato ad elogiare con forza, sì, ad adulare con entusiasmo tutto ciò che la cultura moderna, la civiltà più nuova, ha prodotto di tanto maestoso, di tanto grande. Lo si è sempre sentito dire: “È favolosa, rispetto a prima, la velocità alla quale oggi si viaggia per miglia; è veloce come il lampo il pensiero che attraverso il telegrafo o il telefono se ne va per il mondo. La cultura artistica, scientifica, straniera si diffonde in maniera insperata”. Potrei continuare ancora a lungo questo canto di lodi, che io non voglio cantare, e che innumerevoli persone che hanno potuto prender parte a questa cultura hanno sempre cantato. Però oggi bisogna chiedersi, ecco, è l'epoca stessa che lo chiede: “Dal punto di vista economico, qual è l'unica cosa che ha reso possibile questa nuova cultura?” Essa è stata resa possibile unicamente dal fatto che si è elevata, in quanto cultura superiore, al di sopra della miseria fisica e animica, al di sopra della miseria fisica e animica delle vaste masse che non potevano partecipare alla tanto elogiata cultura. Se queste vaste masse non ci fossero state, se non avessero lavorato, questa cultura non avrebbe potuto esserci. Questo è l'importante; questa è la questione storica di oggi, che non si può far finta di non sentire. Da questo, però, emerge il segno distintivo dell'intera vita economica moderna. Questo segno distintivo consiste nel fatto che oggi facilmente un qualche seguace, un appartenente alla classe dei possidenti può fornire una 'prova' popolare; negli ultimi tempi questa prova viene sempre fornita abbondantemente, per un periodo se ne è taciuto, perché, dato che si è così stupidi, così folli, alla fine non si è più potuto presentarsi con una cosa così stupida davanti agli operai, agli uomini che veramente pensano in modo sociale. Però oggi lo si sente di nuovo dire più spesso, oggi, che così tante follie attraversano l'aria, la cosiddetta aria spirituale. È facile, per quelli che vogliono ancora rappresentare l'ordinamento sociale attuale, che sta crollando, dire: “Certo che se si distribuisse realmente tutto quello che c'è in termini di rendita del capitale e di proprietà di mezzi di produzione, con questa distribuzione non si aumenterebbe poi di molto quello che possiede il singolo proletario.” E’ un'obiezione folle, stupida, perché è un'obiezione che non significa nulla, non c'entra niente questa obiezione, perché si tratta di qualcosa di molto più fondamentale, di più grande e più possente. Ecco, di che cosa si tratta: del fatto che appunto tutta questa cultura economica, così come si è sviluppata sotto l'influsso delle classi dominanti, è diventata tale che un'eccedenza, un plusvalore, può donare solo a pochi, appunto, i frutti di questa cultura. Tutta la nostra cultura economica è tale che, appunto, solo pochi possono godere dei suoi frutti. E non si dà nemmeno più plusvalore di quello di cui solo poche persone possono godere. Se si dividesse quel poco fra tutti coloro che hanno anch'essi un diritto a condurre una vita degna dell'essere umano, questo comunque non basterebbe affatto neanche in minima misura. Da cosa dipende?

Questa domanda va posta in un modo diverso da come oggi la pongono moltissime persone. Vorrei farvi solo alcuni esempi, potrei non solo centuplicare questi esempi, ma moltiplicarli per migliaia di volte; alcuni esempi forse sotto forma di domande. Vorrei chiedere: all'interno della cultura economica tedesca degli ultimi decenni, per esempio, tutte le macchine avevano veramente bisogno esattamente di così tanto carbone, quanto è stato assolutamente necessario per queste macchine? Chiedetelo una buona volta realmente, e la risposta che riceverete è che il nostro ordinamento economico era in un caos tale, che molte macchine hanno richiesto molto più carbone negli ultimi decenni, di quanto sarebbe stato necessario in base al progresso tecnico. Ma questo che cosa significa? Non significa altro che per la produzione, per l'estrazione di questo carbone è stato impiegato molto più lavoro umano di quanto se ne sarebbe dovuto impiegare e si sarebbe potuto impiegare, se ci fosse veramente stato un pensare socio-economico. Questa forza lavoro umana fu impiegata per niente, fu sprecata. Vi chiedo: la gente lo sa, che negli anni prima della guerra nell'economia tedesca abbiamo adoperato il doppio del carbone di quello che avremmo dovuto adoperare? Abbiamo sprecato così tanto carbone, che oggi dobbiamo dire che ci sarebbe bastato estrarre la metà di quel carbone se le persone che dovevano provvedere alla tecnica, all'economia, avessero fatto del loro meglio. Faccio questo esempio affinché voi vediate che c'è un polo contrario alla cultura del lusso dei pochi da una parte. Questa cultura del lusso appunto non ha portato a produrre a partire da se stessa delle teste capaci che fossero realmente all'altezza della nuova vita economica. In tal modo è andata sprecata infinita forza lavoro. Così, la produttività è stata seppellita. Queste sono le cause misteriose, cause assolutamente oggettive che ci hanno trascinati nella situazione in cui ci troviamo oggi. Perciò bisogna anche risolvere la questione sociale e la questione della socializzazione in modo tecnico oggettivo. La cultura che c'è stata finora non ha prodotto teste che fossero adatte a creare in qualche modo una scienza industriale. Non c'era nessuna scienza industriale, tutto poggia sul caos, sul caso. Molto è stato lasciato all'astuzia, agli imbrogli, alla concorrenza personale più assurda. Però questo doveva essere. Perché, se ci si fosse interessati alle cose oggettive attraverso la scienza industriale, da molto tempo non sarebbe più venuto fuori quel che solo una cultura del lusso, grazie al plusvalore della popolazione che lavora, che produce, ha dato per pochi singoli.

Al giorno d'oggi bisogna concepire la questione sociale in modo completamente diverso da come molti la concepiscono.

Vedete, oggi uno può arrivare e dirci: “Allora, tu ritieni che in futuro non ci dovranno più essere persone che vivono di rendita poltrendo?” Sì, penso proprio così. Allora lui dirà, se lotta come sostenitore dell'ordinamento economico attuale: “Ma pensa solo che se metti insieme tutto il patrimonio e poi lo spartisci, è una pochezza, è una piccolezza, rispetto a quel che ora hanno tutti i milioni di lavoratori messi insieme”. Gli dirò: lo so benissimo, che le rendite sono poche, ma guarda un po', una domanda: è piccolissima l'ulcera, che qualcuno ha da qualche parte nel corpo. Quest'ulcera, rispetto all'intero corpo, è molto piccola. Ma è importante la grandezza dell'ulcera oppure il fatto che, se c'è un'ulcera, tutto il corpo è ammalato? Non si tratta di calcolare la grandezza delle rendite, e nemmeno, necessariamente, di giudicare moralmente chi vive di rendita – non potete farci niente, sanno fare solo questo: vivere di rendita, per eredità o altro, - bensì si tratta del fatto che, proprio come nell'organismo naturale dell'uomo, quando si sviluppa un'ulcerazione, si manifesta una morbosità, una malattia in tutta la sua totalità, così l'elemento malsano dell'organismo sociale si presenta quando in esso, di fatto, è possibile oziare o vivere di rendita. Coloro che vivono di rendita sono semplicemente la dimostrazione del fatto che l'organismo sociale è malato; sono la dimostrazione del fatto che tutti i nullafacenti, come tutti coloro che non possono lavorare, per il loro mantenimento sfruttano il lavoro degli altri.

I pensieri devono semplicemente essere portati a navigare in altre acque. Ci si deve poter convincere del fatto che la nostra vita economica è diventata malsana. E ora bisogna chiedersi: da cosa deriva il fatto che, dunque, all'interno del circolo economico, il capitale, il lavoro umano, la merce, si configurano in un modo così malsano – soprattutto per la domanda delle vaste masse umane, se da operai si possa condurre una vita degna di un essere umano? Lo si deve chiedere. Poi, però, non si può più restare all'interno della mera vita economica, si viene necessariamente portati, se si vede questa domanda in tutta la sua profondità, a concepire la questione sociale in modo tripartito: come questione spirituale, come questione statale o giuridica, e come questione economica. Perciò dovete concedermi, almeno per un breve quarto d'ora, di parlare per prima cosa della questione sociale come questione spirituale. Infatti, chi si è interessato un po' proprio di questo aspetto sa perché non abbiamo una scienza industriale, perché non abbiamo quel che ora veramente da lungo tempo abbia prodotto dalle teste umane una direzione sana, una socializzazione sana della nostra vita economica. Se un campo è malato, non dà nemmeno frutto. Se la vita spirituale di un'umanità in una determinata epoca non è sana, allora non vi cresce quel frutto che dovrebbe crescere come orientamento economico, come una possibilità di dominare l'ordinamento economico in modo tale che ne possa veramente sorgere un risanamento per le vaste masse. Sulla base della vita spirituale malsana dell'ultimo periodo è sorto tutto il caos oggi presente nella nostra vita economica. Perciò prima di tutto dobbiamo osservare: che cosa succede, qui dentro, negli edifici davanti ai quali l'operaio al massimo può passare quando la domenica, non andando in fabbrica o comunque non recandosi al lavoro, se ne va per strada? Che cosa succede in quegli istituti dove vive la cosiddetta vita spirituale superiore, dalla quale a sua volta procedono gli ordini, si diramano le disposizioni per la scuola inferiore, per la normale scuola elementare? Ve lo chiedo, mano sul cuore, che cosa ne sapete, in realtà, di come vengono fabbricate nelle università, nei ginnasi, nelle scuole secondarie, quelle facoltà personali che sono veramente trainanti nella vita spirituale, nella vita giuridica, nella vita economica? Non ne sapete niente! Qualcosa sapete di quello che viene insegnato a scuola ai vostri figli, ma anche qui non sapete quali intenzioni, quali obiettivi discendono dagli istituti superiori nelle scuole usuali per queste lezioni scolastiche. Lungo quali vie le persone che crescono sul terreno della vita spirituale conducono gli uomini, di questo la vasta massa del proletariato in sostanza non ne ha idea. E anche questo fa parte di quello che crea l'abisso, di quello che crea la frattura profonda: da una parte il proletariato, dall'altra parte gli altri. Infatti, che cosa è successo nel corso dell'ultimo periodo, per il miglioramento? Dato che non si poteva fare altro che fare qualche inchino alla democrazia, si è dato al popolo qualche pezzo, in tutte le forme possibili, della cosiddetta moderna formazione: sono state costruite delle università popolari, sono stati tenuti dei corsi popolari, è stata mostrata al popolo l'arte, così benevolmente: anche il popolo deve averne un po'. Che cosa si è raggiunto, in questo modo, che cosa è stato fatto, con tutto questo? Niente, nient'altro che una spaventosa menzogna culturale. Tutto ciò non ha fatto altro che aggravare la spaccatura. Infatti, quand'è che il proletario potrebbe guardare, con un sentimento retto e onesto da tutto il cuore, da tutta l'anima, quel che all'interno della classe borghese viene dipinto, quello che all'interno della classe borghese viene prodotto come scienza, in termini di scienza, come potrebbe vederlo? Se egli avesse in comune con coloro che producono queste cose una vita sociale, se non ci fossero differenze di classe! Perché è impossibile avere una vita spirituale in comune con coloro dei quali socialmente non si fa parte. Questa è la prima cosa che spiritualmente ha creato il profondo abisso. Questo è quello che indica spiritualmente quel che deve succedere.

Stimatissimi convenuti! Veramente, come ho già detto, non deve essere portato molto di personale da parte mia, però quello che vi sto dicendo ve lo sta dicendo uno che ha passato sessant'anni di vita in modo da tenersi il più lontano possibile, e più tardi sempre di più, nel suo impegno spirituale, da coloro che nell'impegno spirituale vengono sostenuti dallo Stato o dalla vita economica moderna. Ci si poteva costruire una vita spirituale veramente poggiante su se stessa, un sano giudizio, solo rendendosi indipendenti da tutto ciò che è correlato, in senso spirituale, allo Stato moderno, alla vita economica moderna. Perché vedete, voi fate parte del proletariato, potete ritenervi proletari, potete definirvi con orgoglio proletari di fronte al funzionario, che appartiene ad un altro ordinamento sociale. Così è nell'ambito del mondo materiale. Sapete che cosa deve passare nella vita, il proletario, rispetto al funzionario. Ma in ambito spirituale in sostanza non esiste un vero proletario; qui ci sono solo quelli che vi dichiarano apertamente: Se mai mi fossi piegato al giogo di uno Stato, di un gruppo di capitalisti, oggi non potrei stare di fronte a voi e dirvi quello che vi sto dicendo sulle idee sociali moderne, perché tutto questo non mi sarebbe entrato in testa. - Questo possono dirlo appunto solo quelli che si sono tenuti alla larga dallo Stato e dall'ordinamento economico capitalista, e che hanno costruito la propria vita spirituale a partire da se stessi. Ma gli altri non sono proletari, sono coolie. Ecco cos'è, è che oggi il concetto di "coolie spirituale", di quello che nello spirito dipende dallo Stato moderno e dall'ordinamento economico moderno, che questo coolie ha in mano le redini dello spirituale e con ciò, in sostanza, ha in mano anche le redini dell'economia e dello Stato. Questo è quello che, nel corso degli ultimi secoli, è sorto dall'ordinamento economico borghese capitalistico e che ha portato lo Stato a farsi servo dell'ordinamento economico borghese, e che a sua volta ha fatto sì che la vita spirituale si assoggettasse allo Stato. Gli illuminati, quelli che si ritengono illuminati, le persone tanto intelligenti, sono orgogliose di poter dire: nel Medioevo, ecco, le cose erano tali per cui la filosofia (così si chiamava a quei tempi tutta la scienza) reggeva lo strascico alla teologia. Ovviamente non vogliamo tornare indietro a quei tempi, di sicuro non voglio tornare al Medioevo, ma che cosa è successo nel corso dell'evoluzione moderna? Oggi alla teologia lo scienziato, che è diventato molto orgoglioso, non regge più lo strascico, ma cosa fa, nei confronti dello Stato? Ecco, facciamo un esempio grossolano: vedete, c'è un importante fisiologo moderno, è già morto, era anche il luminare dell'Accademia delle Scienze di Berlino. Ho molta stima di lui come scienziato naturale. Come una volta disse Shakespeare: «Siete tutti persone rispettabili», così vorrei dirvi: intelligenti siete tutti, tutti, tutti. - Ma quest'uomo ha rivelato ciò che caratterizza proprio questa vita spirituale moderna. Precisamente ha detto (non si dovrebbe crederlo, però è vero) che gli scienziati dell'Accademia delle Scienze di Berlino si sentivano le guardie del corpo scientifiche degli Hohenzollern. - Ecco, vedete, di nuovo un esempio che si potrebbe centuplicare o moltiplicare per migliaia di volte.

Ora vi chiedo: c'è forse di che meravigliarsi, se il proletario moderno, guardando a questa vita spirituale, percepiva questa vita spirituale come una vita spirituale di lusso? C'è di che meravigliarsi, se egli si dice: questa vita spirituale non ha le radici in uno spirito speciale, veramente non sostiene l'anima dell'uomo, e non rivela nemmeno di fluire da un ordinamento cosmico divino o morale. No, è la conseguenza della vita economica. Come le persone raccolgono il loro capitale, così vivono spiritualmente. Questo rende possibile la loro vita spirituale. Perciò anche nel proletariato moderno non è potuta sorgere una visione veramente libera su una vita spirituale che sostenga veramente l'anima. Ma, grazie ad un'esperienza di svariati decenni, io so che nel proletariato moderno vive la profonda nostalgia di una vera vita spirituale, non di una vita spirituale tale da fermarsi al confine borghese, ma di una vita spirituale che possa instillarsi nelle anime degli uomini. Perciò nell'appello del quale devo parlare oggi sta scritto che questa vita spirituale in futuro dovrà poggiare su se stessa, e non contenere solo gli ultimi resti della vita spirituale, dell'arte e altro del genere, che sono rimasti. A Berlino si è voluto includere anche questi con forza nell'onnipotenza dello Stato. L'intera vita spirituale, dalla scuola inferiore fino alla scuola più alta, deve poggiare su se stessa, perché lo spirito prospera solo se ogni giorno deve dimostrare ex novo la sua realtà e la sua forza. Lo spirito non prospera mai, se dipende dallo Stato, se è il coolie dello Stato, della vita economica. Quel che è successo in quest'ambito ha paralizzato le teste delle persone. Ah, se oggi guardiamo alle classi dominanti, se noi, che vogliamo capire l'appello per la socializzazione, volgiamo lo sguardo a coloro che oggi dirigono le fabbriche, a quelli che dirigono le officine, a coloro che dirigono le scuole, le università, che dirigono le nazioni, - ah, affligge l'anima, - non vi accorgete, non vi entra in testa la grave serietà della situazione. E perché no? Ecco, a che cosa si sono abituate, gradualmente, le persone nei confronti della vita economica, della vita giuridica o statale, e nei confronti della vita spirituale? In un certo senso lo Stato prende in consegna l'essere umano nella sua scuola non appena la persona ha superato i primi anni dell'educazione (che lo Stato non ha ancora preso in consegna, perché per lui i primi anni dell'educazione dell'uomo trascorrono in modo troppo sporco). Poi lo educa in modo che a quest'uomo basti solo portare a compimento (prima della grande catastrofe bellica era così in tutto il mondo civile) quel che gli viene comandato, quel che gli si ordina, quel che lo Stato, in realtà, vuole dai suoi teologi, dai suoi medici (perché così proprio durante la guerra si è dimostrato), e proprio anche dai giuristi, dai filologi. Se una buona volta c'è uno intelligente, fra loro, nelle commissioni d'esame, allora lo si sente anche dire qualcosa di intelligente. Una volta mi trovai seduto insieme ai signori di una commissione d'esame, e mentre dicevamo come in realtà siamo messi male coi nostri ginnasi, egli disse: Sì, fa proprio male, quando si deve esaminare le persone e poi si vede quali asini si devono mollare alla gioventù.

Ve lo racconto come un dato di fatto storico-culturale, come un sintomo per indicare quel che vive fra gli uomini che hanno guidato il mondo, ai quali in un certo modo era stata affidata la guida dell'umanità e perché gli uomini infine hanno portato il mondo a questa terribile catastrofe. Da miriadi di particolari, sono costituite le cause che hanno portato l'umanità a questa catastrofe. E fra queste cause al primo posto c'è questo fenomeno sociale della vita spirituale, e dato che oggi si pensa alla socializzazione, prima di tutto bisogna considerare la socializzazione della vita spirituale. L'importante è curare nel giusto modo i talenti e le facoltà umane, nello stesso modo in cui nel campo si cura quel che nel campo deve crescere. Fino ad oggi questo non è successo. Lo Stato si è preso in consegna l'uomo, lo ha ammaestrato per il proprio uso, e così tutta l'attività, tutto il poggiare su se stessi è stato estirpato dagli uomini. Infine, nei confronti della vita economica, nei confronti della vita spirituale, a partire dalla vita giuridica dello Stato si aveva un unico ideale: amministrare. Lo Stato lo aveva preso in consegna, lo ha istruito a proprio vantaggio. Ora inizia per lui, quando l'uomo è stato ben addestrato, la vita economica statale. Qui si provvedeva a lui: allora egli era bravo, anche se non voleva più lavorare, fino alla sua morte si provvedeva a lui sotto forma di una pensione, cioè per mezzo del lavoro di quelli che una pensione non l'avevano. E dopo la sua morte, delle faccende dopo la morte si occupava la Chiesa. Essa gli dava la pensione per dopo la morte. Così alla persona si provvedeva economicamente fino alla morte, se faceva parte delle classi dominanti, e nella tomba riceveva la pensione per dopo la morte. Per lui era tutto a posto, non aveva più bisogno di pensare da sé o di intervenire nell'ordinamento sociale in modo che potesse venirne fuori qualcosa che prosperasse; non serviva che partecipasse attivamente. Perciò le cose sono diventate tali per cui, a poco a poco, non si era più in condizione di riflettere su quel che doveva succedere, di riflettere su quella che, come una specie di nuova evoluzione, sarebbe dovuta subentrare nel mondo. Quelli che erano esclusi da tutto questo, ai quali lo Stato non avrebbe concesso la benché minima assicurazione fino alla morte se essi non l'avessero estorta, e ai quali le classi dominanti non hanno nemmeno passato alcuna vita spirituale, perché questa vita spirituale, che dava loro una patente per l'anima dopo la morte, i proletari non la volevano accogliere, questi pretendono una riconfigurazione. Perciò come prima esigenza abbiamo proprio quella di una emancipazione della vita spirituale, di una riconfigurazione della vita spirituale. Questa è la prima questione importante.

La seconda questione la troviamo volgendo lo sguardo al settore giuridico, a quel settore che deve appartenere allo Stato vero e proprio. Solo che, al giorno d'oggi, comprensibilmente ci incontriamo correttamente su questo piano soltanto se proprio a partire da questo settore guardiamo al settore economico. Che cosa c'è infatti, in realtà, nel settore economico? Nel settore economico c'è la produzione di merci, la circolazione di merci, il consumo di merci. Le merci hanno determinati valori, che vengono espressi dal prezzo. Ma a causa dell'evoluzione economica dell'epoca moderna in combinazione con l'evoluzione statale, la borghesia ha spostato nella vita economica qualcosa che oggi il proletario, con tutte le ragioni del mondo, esige che non stia più dentro la vita economica. E questa è la forza lavoro umana. Per le anime che avevano un modo proletario di sentire, l'importante parola pronunciata da Karl Marx: 'plusvalore' è stata come uno schiocco. Ma anche un'altra parola ha colpito l'anima dei proletari, e cioè che non è giusto che la forza lavoro dell'uomo, nell'ordinamento economico, moderno sia diventata merce. Qui il proletario sente: Finché la mia forza lavoro deve essere comprata e venduta sul mercato del lavoro, come, secondo domanda e offerta, la merce viene comprata e venduta sul mercato delle merci, fino ad allora, alla domanda: “Sto conducendo una vita degna dell'essere umano?” non posso rispondermi di sì. - Che cosa conosce, della vita spirituale, il proletario moderno? Nonostante tutti gli spettacoli popolari, nonostante tutte le guide nelle gallerie ecc. ecc., egli conosce solo quello che chiama plusvalore. Il plusvalore, cioè quello che lui deve fornire per una vita spirituale che non può diventare la sua; questo sa della vita spirituale. Perciò è chiaro che la parola plusvalore colpì tanto l'animo proletario. A questa parola 'plusvalore' andarono incontro i sentimenti del proletario moderno, quando Karl Marx la pronunciò. E poiché la forza lavoro umana non può più essere merce, per questo l'altra parola di Karl Marx, la parola della 'forza lavoro come merce' colpì come un fulmine, come una verità profonda i cuori e gli animi dei proletari.

Chi penetra veramente con lo sguardo nella vita umana sa che a quel che ho appunto detto, cioè al fatto che nel circolo economico moderno si trova, illegittimamente, la forza lavoro umana del proletario come una merce, che alla base di questo si trova a sua volta una gigantesca menzogna di vita. Perché la forza lavoro umana è qualcosa che non sarà mai paragonabile ad alcun prezzo alla merce, al prodotto. Lo si può perfino dimostrare molto bene. So che le conferenze che ora tengo in questo modo, me lo si dice e me lo si ripete in continuazione, proprio da parte delle classi dirigenti, direttamente o indirettamente, che siano difficili da capire. Ora, recentemente una persona mi ha detto: “È proprio difficile capirLa, per chi non La vuole capire”. E quando recentemente, a Dornach, per una assemblea operaia, ho tenuto più o meno la stessa conferenza che sto facendo oggi per voi, anche lì qualcuno, del tipo di quelle persone che trovano così difficili queste parole, ha detto di non averle capite veramente bene. Allora un proletario gli ha risposto: “Ecco, bisogna essere proprio asini, per non capirlo”. Quindi non mi fa paura questa difficoltà di comprensione, perché sono stato per anni insegnante alla scuola di formazione per operai fondata da Wilhelm Liebknecht e so che il proletario capisce qualcosa di quel che il borghese trova totalmente incomprensibile. Non ho paura che voi non mi capiate, quando vi dico che tutte le tendenze, tutti gli obiettivi della vita economica sono volti al consumo delle merci. L'importante è che la merce venga consumata in modo sano. Quel che non può essere consumato viene prodotto in modo malsano. In qualche modo le merci devono poter essere consumate. Ma se attraverso l'ordinamento economico capitalistico si fa della forza lavoro umana una merce, chi la rende una merce finisce solo per consumarla. Ma la forza lavoro umana non può soltanto essere consumata, perciò abbiamo bisogno di un ordinamento economico, abbiamo bisogno, prima di tutto, di una socializzazione tale da non determinare solo il tempo di lavoro, ma da determinare prima di tutto anche il tempo di astinenza dal lavoro, perché questa deve esserci, se ci deve essere una vita sociale comune. Questo è quel che ci mostra che può avvenire un risanamento soltanto se le classi sociali dominanti, le classi che prima erano a ragione le classi sociali dominanti, avranno tanto interesse al tempo di riposo dell'operaio, quanto gli attuali capitalisti hanno interesse al suo tempo di lavoro. Perciò vi dico: “La forza lavoro umana non è mai paragonabile ad una qualsiasi merce in base al prezzo”. Pertanto l'acquisto della forza lavoro umana sul mercato del lavoro – capite che cosa significa – è una grande menzogna sociale che va eliminata. Come riusciamo a spogliare la forza lavoro umana del carattere di merce? Questa è una questione sociale importante. La prima questione era quella spirituale. La seconda è un'importante questione sociale: l'operaio moderno come può spogliare la sua forza lavoro del carattere di merce? Infatti, che cosa sente il proletario moderno di fronte all'attuale uso economico della sua forza lavoro? Non avendo sempre il tempo di chiarirsi le idee su quello che sente, su quello che gli passa nel cuore, forse non riesce ad esprimersi in concetti chiari su queste cose, però si dice: Nell'antichità c'erano gli schiavi, i capitalisti vendevano e compravano uomini, così come si compra e si vende una mucca, vendevano e compravano l'intero uomo. In seguito ci fu la servitù della gleba; allora non si vendeva tutto l'uomo, ma solo una parte dell'uomo, però sempre abbastanza. Adesso, nonostante tutte le garanzie di libertà e umanità, nonostante il cosiddetto contratto di lavoro, il proletario sa benissimo che ancora adesso viene sempre comprata e venduta la sua forza lavoro. Lo sa. Su questo il cosiddetto contratto di lavoro non lo illude affatto. Però nel profondo dell'anima, nella sua interiorità, egli sente: “Un cavallo, un paio di stivali posso venderli sul mercato e poi posso tornarmene indietro. Ma la mia forza lavoro non la posso portare in fabbrica, venderla e tornarmene a casa; devo andarci anch'io, come uomo, insieme alla mia forza lavoro. Perciò vendo ancora tutta la mia persona, se mi trovo in un rapporto di salariato, se devo vendere la mia forza lavoro”. È così che il proletario moderno sente il nesso del carattere di merce della propria forza lavoro con l'antica schiavitù. Perciò ecco che egli sente quello che purtroppo le classi dirigenti hanno omesso di capire al momento giusto: che oggi è giunto il momento storico in cui la forza lavoro non deve più essere una merce. La vita economica deve contenere soltanto il circolo della produzione delle merci, del consumo delle merci, della circolazione delle merci.

Solo persone che sono capaci di pensare soltanto nel vecchio modo, come per esempio Walther Rathenau nel suo ultimo libretto, dal titolo Dopo il diluvio (Nach der Flut), presentano una certa paura di fronte a questa conoscenza. Walther Rathenau dice: “Se si separa la forza lavoro dal circolo economico, il valore del denaro subirà un crollo tremendo”. Certo che la sua osservazione è del tutto unilaterale. Per coloro che la pensano come lui, questo crollo del valore del denaro sarà certamente molto importante. Non tratteniamoci oltre su questo argomento. Le cose stanno così: è possibile osservare correttamente la vita economica solo se si nota che essa da una parte confina con le condizioni naturali della vita economica stessa. Qui c'è il suolo, che dà il carbone, che dà il grano. Nel suolo per esempio ci sono forze naturali che appartengono appunto al terreno, che fanno crescere il grano. Dall'alto scende la pioggia, che è necessaria. Queste sono condizioni naturali. Non si possono ottenere con un qualche mezzo tecnico, ma la vita economica ha anche qui un confine. Come sarebbe assurdo, se qualcuno, a partire da congiunture economiche, volesse fare una legge, che dicesse: “Se vogliamo avere dei prezzi ragionevoli, delle condizioni economiche ragionevoli, nel 1920 ci serve un'annata in cui ci siano un certo numero di giorni di pioggia e un dato numero di giornate di sole, le forze del sottosuolo devono fare questo e quello”. - Fate bene a ridere. Sarebbe del tutto assurdo, se uno volesse fare delle leggi su quel che decide la natura stessa, se volesse stabilire, in base ad esigenze economiche, come dovrebbe comportarsi la natura con le sue forze. Così come qui, nella vita economica, arriviamo ad un confine, come il suolo di un certo territorio può fornire solo una certa quantità di materie prime, così dall'altra parte la vita economica deve confinare con quello che si trova al di fuori di tale vita economica, con la vita giuridica statale. E nella vita giuridica statale può essere fissato e regolato solo quello per cui tutti gli uomini sono uguali, quello che può veramente essere posto sul terreno della democrazia.

Così giungiamo ad una tripartizione dell'organismo sociale sano. La vita spirituale poggia su se stessa, la vita spirituale deve essere una vita libera. È lì dentro che vanno coltivati nel modo giusto i talenti, le facoltà umane. Un uomo di Stato, che ha detto qualche cavolata durante la terribile catastrofe bellica, ha detto anche: “In futuro treni gratis ai più bravi!”. In quest'epoca così seria non si tratta di dire belle frasi, di parlare in un modo che è vero soltanto secondo le parole. Quando le persone dicono “Treni gratis ai più bravi”, ma per sangue, per pregiudizio, poi devono considerare che il più bravo sia il proprio nipote o un altro parente, con questo bellissimo motto non si è fatto un granché. Nella vita spirituale libera bisogna prendere sul serio la cura dei talenti umani, allora socializzeremo la vita spirituale. Allo Stato appartiene tutto quello per cui tutti gli uomini sono uguali, per cui non vengono considerati i talenti particolari, quello che si considera innato nell'uomo, come nell'occhio sano è innata la facoltà di vedere il blu o il rosso. Per lo Stato va presa in considerazione la coscienza giuridica. Questa coscienza giuridica può anche dormire nell'anima, ma è riposta nel cuore di ciascuno. Il proletario ha cercato di estrinsecare questa coscienza giuridica. Che cos'ha trovato? Come nell'ambito della vita spirituale aveva trovato il lusso, che era come un fumo che sgorgava dalla vita economica, così nell'ambito della vita statale non ha trovato l'estrinsecazione della coscienza giuridica, ma privilegi di status, privilegi di classe e svantaggi di classe. Qui avete le radici dell'elemento di vita antisociale dell'epoca moderna. Allo Stato appartiene tutto ciò in cui tutti gli uomini sono uguali. Essi non sono uguali riguardo alle facoltà spirituali e fisiche e ai talenti. Di questi si deve occupare la vita spirituale. Lo Stato sarà qualcosa di sano soltanto quando, diversamente da quel che accade nell'ordinamento borghese moderno, si potrebbe anche dire, dell'ordinamento borghese che sta appunto per tramontare, che assorbe la vita spirituale e la vita economica, lascerà libera da un lato la vita spirituale e dall'altro la vita economica per la loro stessa socializzazione. Si tratta di questo. Allora sarà possibile che l'operaio, proprio perché uguale a tutti gli uomini, i quali in ambito statale stanno l'uno di fronte all'altro, regoli la misura e la specie e il carattere della propria forza lavoro ancor prima di doversi tuffare nella vita economica. In futuro dovrà essere impossibile che sia la congiuntura economica, la pressione economica a determinare qualcosa sul diritto del lavoro, così come è semplicemente impossibile che il circolo economico o altro del genere determini le condizioni naturali, le forze della natura, la pioggia e il sole. Indipendentemente dalla vita economica, in ambito statale, con la democrazia che rende ogni persona uguale a tutte le altre, nello Stato totalmente separato dalla vita economica, si deve stabilire quello che è il diritto del lavoro e quello che invece si oppone a questo diritto del lavoro, che è l'avere a disposizione una cosa che oggi chiama proprietà, ma che deve cessare di esistere ovunque e che in futuro deve essere assoggettata a qualcosa di sano. Se non sarà più la vita economica a determinare la forza lavoro, ma al contrario sarà la vita economica a doversi orientare in base a quanto l'operaio avrà deciso da sé nella democrazia statale riguardo al proprio lavoro, allora sarà stata soddisfatta un'esigenza importante.

Ora ecco, si potrà obiettare: “Allora la vita economica andrà a dipendere dalla legge e dal diritto della forza lavoro!” Molto bene, ma questa sarà una dipendenza sana, sarà una dipendenza tanto naturale quanto la dipendenza dalla natura. L'operaio, prima di andare in fabbrica, saprà quanto e per quanto tempo dovrà lavorare; non avrà più assolutamente nulla da regolare con un qualche dirigente riguardo alla quantità e alla modalità del suo lavoro. Dovrà solo parlare di quanto deve esserci come distribuzione di quel che è stato prodotto insieme al dirigente lavorativo. Questo sarà un possibile contratto di lavoro. Ci saranno dei contratti solo sulla distribuzione di ciò che si è riusciti a fare, non sulla forza lavoro. Questo non è un ritorno al vecchio salario a cottimo; sarebbe così solo se questo processo di socializzazione non venisse pensato in tutto l'insieme.

Posso ancora parlare brevemente di qualcosa che si contrappone al diritto del lavoro che renderà libero l'operaio. Il normale socialismo parla molto del fatto che la proprietà privata debba passare alla collettività. Ma la grande domanda di questa socializzazione sarà proprio come. Nel nostro attuale ordinamento economico c'è solo un settore nel quale abbiamo un po' di pensare sano in merito alla proprietà. È in quel settore che interiormente, a poco a poco, è diventato la proprietà meno importante per la fraseologia borghese moderna, per la falsità borghese moderna, e cioè la proprietà spirituale. In merito a questa proprietà spirituale, vedete, le persone pensano davvero ancora in modo un po' sano. Dicono infatti: Per quanto uno possa essere intelligente, nasce già con le sue facoltà, ma questo non ha un'implicazione sociale, anzi, egli ha il dovere di offrirlo alla società umana, con queste facoltà egli non sarebbe nulla, se non fosse inserito nella società umana. L'uomo deve alla società umana, all'ordinamento sociale umano, quello che può fare con le sue facoltà. In realtà non gli appartengono. Perché gestisce la sua cosiddetta proprietà spirituale? Semplicemente perché la produce; per il fatto che la produce, mostra di averne maggiore capacità degli altri. Finché si hanno queste capacità più degli altri, fino a quella volta si gestirà nel miglior modo possibile questa proprietà spirituale a servizio del tutto. Adesso si è almeno arrivati al punto in cui questa proprietà spirituale non è ereditabile per sempre; trent'anni dopo la morte, questa proprietà spirituale appartiene all'intera umanità. Trent'anni dopo la mia morte, chiunque potrà stampare quello che ho prodotto; lo potrà usare come gli pare, e questo è giusto. Sarei perfino d'accordo che ci fossero ancora più diritti in questo ambito. Non c'è alcuna altra giustificazione, per la gestione della proprietà spirituale, oltre a quella che, dato che si è in grado di produrla, se ne hanno anche le migliori capacità di gestirla. Chiedete oggi al capitalista se gli va bene di fare per la sua grande proprietà materiale la stessa cosa che ritiene giusta per la proprietà spirituale! Chiedeteglielo! E tuttavia è questa, la cosa sana. Alla base di un ordinamento sano deve essere posto il fatto che chiunque provenga dall'organizzazione spirituale, che sarà una gestione sana delle facoltà umane, – lo trovate spiegato più in dettaglio nel mio libro “I punti essenziali della questione sociale” – possa giungere al capitale. Però si deve riuscire a fare in modo che si trovino i mezzi e i modi per questa grande, vasta socializzazione del capitale, cioè della rendita del capitale e dei mezzi di produzione, che chiunque ne abbia le capacità possa pervenire al capitale e ai mezzi di produzione, che però possa avere la gestione e la direzione del capitale solo finché può o vuole esercitare tali capacità. Poi, se egli stesso non vuole più esercitarle, esse passano in determinati modi alla collettività. Esse cominciano a circolare nella collettività. Questa sarà una via sana alla socializzazione del capitale, se facciamo fluire nell'organismo sociale quello che oggi si ammassa come capitale nel diritto all'eredità, nel sorgere di rendite, nel diritto di essere nullafacenti, in altri diritti superflui. È di questo, che si tratta. Non c'è nessun bisogno di dire che la proprietà privata deve diventare proprietà collettiva. Il concetto di proprietà non avrà proprio alcun senso. Avrà tanto poco senso, quanto ne avrebbe che nel mio corpo si accumulassero in singoli punti delle quantità di sangue. Il sangue deve circolare. Quello che è il capitale deve passare da chi è capace a chi è capace. E l'operaio sarà contento di una socializzazione del genere? Certo che lo sarà, perché la sua condizione di vita lo costringe ad essere ragionevole. Egli si dirà: “Se il dirigente è quello con le capacità giuste, io potrò fidarmi di lui, la mia forza lavoro, sotto il dirigente giusto, potrà essere impiegata meglio che non sotto il capitalista, che non ne ha la capacità, ma che l'ha sostituite con un malsano accumulo di capitali”. Adesso posso solo accennare a queste cose. Questa sarà la futura dottrina della socializzazione della circolazione del capitale e dei mezzi di produzione, la concreta, vera trasformazione di quello che, in modo astratto, anche Karl Marx ha presentato come il grande obiettivo umano: a ciascuno secondo le sue capacità e i suoi bisogni.

Ora abbiamo attraversato un duro periodo di sofferenza umana, un duro periodo di prove per l'umanità. Oggi non abbiamo più bisogno di dire, come fanno alcuni, che deve esserci una nuova generazione che sia in grado di socializzare secondo il principio: A ciascuno secondo le sue capacità e i suoi bisogni! - no, possiamo avere la giusta fede. Se solo lo vogliamo, queste idee sociali sane della tripartizione in vita spirituale, vita giuridica e vita economica potranno farsi largo. Infatti questa vita economica diventa sana solo se viene separata dalle altre due. Allora nell'ambito della vita economica, come ho spiegato nel mio libro, si costituiranno associazioni, cooperative, che però, in modo sano, non partiranno dalla produzione e dal profitto, ma partiranno dal consumo e non produrranno in modo da gettare al vento la forza lavoro, ma in modo che la forza lavoro venga chiamata a risanare il consumo, a soddisfare i bisogni.

Consentitemi ancora di raccontarvi l'avvio che abbiamo dato nella società della quale io capisco bene che venga molto calunniata, che a voi non piace. Permettetemi di raccontarvi come, in un determinato settore, abbiamo cercato di socializzare economicamente la vita spirituale. Quando fui costretto, una ventina d'anni fa, a dirigere questa società con i miei amici, per me si trattava del fatto che mi sono detto: se tu fai uscire nel mondo i libri che sono stati prodotti da me nell'ambito di questa società nello stesso modo capitalistico che è attualmente in uso nel commercio librario, pecchi contro un pensare sociale sano. Infatti com'è che vengono fabbricati i libri, oggi? Molte persone oggi si ritengono capaci di fabbricare buoni libri. Ora, se si dovesse leggere tutto quello che viene stampato ai giorni nostri, si avrebbe troppo da fare. Però, vedete, è per questo che c'è semplicemente questa consuetudine nel commercio librario: qualcuno ritiene di essere un genio e scrive un libro. Il libro viene stampato in mille copie. Per la grande parte di questi libri, 950 copie vengono rimandate al macero, perché ne vengono vendute solo 50. Ma dal punto di vista economico che cosa significa, questo? Vedete, un certo numero di persone che devono fabbricare la carta, un certo numero di compositori tipografici, un certo numero di rilegatori e altri che se ne occupano vengono impiegati nel lavoro; questo lavoro è improduttivo, questo lavoro viene gettato via. Questo è un danno grave. Oh, restereste stupiti, se un giorno cercaste di sapere quanto del lavoro che voi, egregi signori qui presenti, dovete svolgere va gettato via. Questo è il grande danno sociale. Quindi, come ho cercato di fare? Mi sono detto: col commercio librario non posso far nulla. Abbiamo fondato noi stessi una piccola casa editrice. Ma poi la prima cosa che ho provveduto a fare è stata che ci fossero i bisogni perché il libro venisse stampato. Cioè, ho dovuto prendermi la briga di creare per prima cosa i consumatori; naturalmente non facendomi portare un pilone col cartello: “Fai ottimi minestroni con Maggi!” bensì creando per prima cosa il bisogno – ovviamente si può avere qualcosa da dire, contro questi bisogni – e soltanto dopo ho iniziato a stampare, dopo aver saputo che neanche una sola singola copia sarebbe rimasta in giacenza, che neanche un dito sarebbe stato alzato invano. Anche con la produzione del pane si è cercato di fare così, in questo caso date le circostanze non è stato possibile farlo nello stesso modo, ma dove lo si è potuto fare, lì si è mostrato proprio in senso economico quel che è fruttuoso, quando non si procede dalla cieca produzione che punta solo al diventare ricchi, bensì dal bisogno, dal consumo. Poi, quando succede così, allora lungo la via della vita economica consorziale può essere attuata una vera socializzazione.

Così oggi ho dovuto parlarvi della socializzazione da un'angolazione più ampia. Infatti solo in questo modo si possono fare cose veramente pratiche. Altrimenti si lavorerà sempre male nella socializzazione, se non si mette la domanda: “Che cosa deve fare lo Stato?” davanti a tutto il resto. Per prima cosa lo Stato deve lasciare libera la vita spirituale da una parte, e la vita economica dall'altra; lo Stato deve rimanere nell'ambito della vita giuridica. Questa non è una cosa non pratica, anzi è una socializzazione che si deve fare giorno per giorno. Che cosa serve? Coraggio, coraggio, nient'altro! Ma perché allora la gente vuole considerarla una cosa non pratica? Ho conosciuto parecchie persone che negli ultimi quattro anni e mezzo hanno detto e ripetuto in continuazione che questa catastrofe bellica è stata così terribile che gli uomini non hanno mai avuto così tanta paura in tutta la storia, che questa è l'esperienza peggiore nell'evoluzione storica umana. Ora, però, non ho ancora mai trovato persone che dicano anche: “Se i vecchi pensieri, le vecchie abitudini di pensiero, costringono gli uomini ad arrivare ad una miseria del genere, allora adesso gli uomini devono sforzarsi di abbandonare questi vecchi pensieri e di pervenire a pensieri nuovi, a nuove abitudini di pensiero. La prima cosa che ci serve è una socializzazione delle teste. Nelle teste che portiamo sulle spalle deve esserci qualcosa di diverso da quello che c'è stato finora. È questo che ci serve. Perciò bisogna concepire la questione in modo più ampio.

E per concludere vorrei dire ancora una cosa: quando ha cominciato ad albeggiare l'epoca moderna, le persone che avevano più a cuore il progresso dell'umanità civile erano compenetrate da tre ideali: libertà, uguaglianza, fratellanza. Questi tre grandi ideali, ecco, e c'è un motivo. Da un lato, ogni uomo sano e interiormente coraggioso sente che questi sono i tre grandi impulsi che la nuova umanità ora deve perseguire. Però nel diciannovesimo secolo delle persone molto intelligenti hanno continuato a dimostrare che in realtà c'era proprio una contraddizione fra questi tre ideali: libertà, uguaglianza, fratellanza. Sì, c'è una contraddizione, hanno ragione. Però sono comunque gli ideali più elevati, anche se si contraddicono l'un l'altro. Essi sono stati stabiliti appunto in un'epoca in cui lo sguardo dell'umanità, come ipnotizzato, si fissava ancora sullo Stato unitario, che è stato venerato addirittura fino ad oggi come un idolo. Specialmente quelli che hanno fatto dello Stato il proprio protettore e se stessi i protettori dello Stato, i cosiddetti imprenditori, sono riusciti a parlare al lavoratore dipendente nello stesso modo in cui Faust parlò di Dio a Margherita sedicenne: “Lo Stato, mio caro operaio, è l'Onnisciente, l'Onnipotente, forse che non comprende e sorregge te, me, se stesso?” - E nel suo subconscio può pensare: “Però soprattutto me!” - Lo sguardo era fissato, come sotto ipnosi, su questo idolo che era lo Stato unitario. Qui, in questo Stato unitario, soprattutto qui, questi tre grandi ideali si contraddicono. Ma coloro che non si sono lasciati ipnotizzare da questo Stato unitario nell'ambito della vita spirituale, quelli che della libertà pensavano la stessa cosa che ho pensato anch'io nel mio libro Filosofia della libertà, che ho scritto all'inizio degli anni Novanta, e che proprio adesso, in questo periodo di grandi questioni sociali, della grande trasformazione del pensare, si è dovuto ristampare, costoro lo sapevano: se si vedevano delle contraddizioni fra i tre ideali sociali più elevati era solo perché si credeva di doverli realizzare nello Stato unitario. Se si riconosce nel modo giusto che l'organismo sociale sano deve essere tripartito, si vedrà che nel settore della vita spirituale deve dominare la libertà, perché ci si deve occupare liberamente delle capacità, dei talenti, delle doti dell'essere umano. In ambito statale deve dominare l'assoluta uguaglianza, l'uguaglianza democratica, perché nello Stato vive ciò in cui tutti gli uomini sono uguali. Nella vita economica, che deve essere separata dalla vita dello Stato e dalla vita spirituale, ma che deve ricevere forza dalla vita dello Stato e dalla vita spirituale, deve dominare la fratellanza, la fratellanza in grande stile. Essa risulterà dalle associazioni dei produttori e da quelle dei consumatori, il sano consumo insieme alla sana produzione. Qui, nell'organismo tripartito, potranno dominare l'uguaglianza, la libertà, la fratellanza. E attraverso la socializzazione più moderna si potrà realizzare ciò a cui gli uomini che pensano in modo sano e sentono in modo sano da lungo tempo agognano. Si dovrà solo avere il coraggio di guardare ad alcuni vecchi programmi di partito come a delle mummie, di fronte ai nuovi eventi. Bisognerà avere il coraggio di ammettere che sono necessari pensieri nuovi per cose nuove, per le nuove fasi evolutive dell'umanità. E io ho avuto esperienze in tutte le classi nelle osservazioni che ho fatto nella mia vita, che veramente comprendono decenni, e che sono sorte da un destino che mi ha insegnato a sentire e a pensare non sul, ma con il proletariato, e ho fatto mio il sentimento che il proletariato sia l'elemento sano, che perfino quello che adesso è subentrato come una conseguenza della fusione illecita della vita economica con la vita statale viene sentito nel modo giusto dal proletario. Chi mi ha ascoltato oggi saprà che ho preso sul serio le giustificate richieste del proletariato moderno, che sono esigenze storiche. Però so anche che in ultima analisi su tutto quello che è lo sciopero il proletario moderno pensa in sostanza come l'uomo ragionevole. So che l'operaio moderno non sciopera perché gli piaccia scioperare, sciopera solo perché l'ordinamento economico è arrivato al punto che le richieste politiche si sono mischiate con le esigenze economiche. La vita economica potrà essere portata sui binari giusti solo quando sarà stata attuata questa separazione fra la vita politica e la vita economica. Anche su questo, soprattutto se avessimo la possibilità di parlarne in modo più preciso, ci intenderemmo. Ci intenderemmo su ogni sciopero: lo si potrebbe evitare; l'operaio ragionevole sciopererà solo se costretto. Anche questa è una cosa che fa parte della socializzazione sana, il fatto cioè che ci asteniamo dal fare quello che in realtà non vogliamo fare, che è irragionevole fare. È stato lo stesso ordinamento economico, a far sì che spesso si faccia quel che non si vuole, quello che si considera irragionevole fare. Mi capirete, e capirete anche se proprio da questo punto di vista dico che per quanto brutte siano le esperienze che anch'io ho fatto nelle vecchie classi, gli uomini tuttavia devono trovare la via per giungere alla tripartizione, e io conto moltissimo proprio sul sano intendimento del proletariato moderno. Ho visto che, dietro a quella che il proletariato moderno chiama la sua coscienza di classe, si cela una consapevolezza umana inconscia; che il proletario che ha coscienza di classe in realtà chiede: “Come pervengo ad un ordinamento del mondo che mi risponda 'sì' alla domanda: la vita umana è veramente degna di essere vissuta, per me?” A tutt'oggi il proletario può ancora rispondersi soltanto di no a questa domanda, con questo ordinamento economico, con questo ordinamento giuridico, con questa vita spirituale; domani vuole rispondersi di sì. E fra questo no è questo sì c'è la vera socializzazione, c'è ciò con cui il proletariato veramente consapevole di sé libererà e salverà questo proletariato, liberando e salvando così tutto l'umano nell'uomo, che si merita di essere liberato e salvato.

Conclusione dopo il dibattito

Ora, stimatissimi convenuti, in sostanza nel dibattito, in merito a quel che ho detto, non è emerso nulla di così importante che io debba concludere trattenendovi ancora a lungo. Innanzitutto, però, vorrei rispondere alla domanda diretta che mi è stata posta alla fine, e cioè perché io abbia avuto un atteggiamento tanto sedizioso nella mia conferenza. Ora, come ben capirete, non ho nessuna voglia di intavolare una discussione con l'egregio signore che mi ha posto la domanda, nel senso che, dato che di me si dice che io sia un filosofo, sarebbe giusto che io dicessi soltanto cose incomprensibili, non sediziose, dunque luoghi comuni. Non mi interessa. Ma sono rimasto piuttosto sorpreso, davvero molto sorpreso del fatto che, a quel che ho detto, sia stata appioppata la parola 'sedizioso'. Perché veramente non mi sono affatto reso conto di aver detto nemmeno una sola singola parola che si distaccasse da quanto nasce dalle mie convinzioni sulla realtà, dal mio modo di vedere la situazione attuale. Che cos'è sedizioso? Se, diciamo, un ultraconservatore sente dire delle parole molto moderate da parte di un uomo di sinistra e le trova sediziose, forse che questo significa che queste parole siano necessariamente sediziose? Perché, per l'ultraconservatore, l'altro parla in modo sedizioso? Non può farci assolutamente nulla. Le parole diventano sediziose solo per il modo di vedere dell'ultraconservatore. Perciò, vedete, quel che risulta demagogico a uno non deve affatto risultare demagogico a un altro. Spesso se uno ritiene che qualcosa sia davvero sgradevole, lo definisce 'demagogico'.

Ora vi ha parlato anche il vostro direttore tecnico. Nevvero, se tutti quelli che si trovano nelle stesse condizioni di vita nelle quali si trova il vostro egregio direttore tecnico parlassero appunto come il vostro egregio direttore tecnico, allora, stimatissimi convenuti, otterremmo subito quel che vogliamo ottenere. Se moltissimi uomini la pensassero in questo modo, allora pochi avrebbero bisogno di sostenere che parole come le mie, che vogliono dire la verità, che non vogliono creare alcun abisso, rendano l'abisso ancora più profondo. Ma dall'altra parte, dalla parte destra dell'abisso, ci sono anche uomini totalmente diversi dal vostro egregio direttore tecnico, che vi ha parlato, e che parlano in modo molto diverso da lui. Fra lui e noi non ci sarà un grande abisso. Forse l'abisso comincerà solo dove anche lui sta più dall'altra parte. Io credo che si potrebbe già capire quello che ho detto sul destino di alcuni operai dello spirito.

Vedete, si possono sperimentare diverse cose, inserendosi nell'evoluzione umana più moderna. Tanti anni fa, più di ventisette o ventotto anni fa, ho partecipato ad una assemblea alla quale ha parlato Paul Singer. Alcune persone di estrazione proletaria hanno lasciato trasparire di non stimare il lavoro spirituale tanto quanto il lavoro fisico. Avreste dovuto sentire come Paul Singer, insieme alla stragrande maggioranza, ha difeso il lavoro spirituale! Non mi è mai capitato di vedere che i proletari disconoscessero il lavoro spirituale. Io non ho assolutamente parlato di un qualche abisso fra il lavoro fisico e quello spirituale, ho parlato dell'abisso fra proletariato, lavoro umano e capitalismo. Su questa cosa dobbiamo capirci bene. E sia chiaro che questi discorsi, come quelli che abbiamo sentito fare dal vostro egregio direttore, per la nostra grande gioia (almeno per la mia e certamente anche per la vostra grande gioia) questi discorsi non li sentiamo ancora fare facilmente dall'altra parte. Non troveremo tanto facilmente persone cui stringere la mano.

E, per concludere, ancora una cosa: Certo, io dico cose che in certe circostanze devono per forza essere trattate in fretta. Capisco molto bene, essendo io stesso uno scienziato, le parole dell'egregio signore che è intervenuto dicendo: “L'evoluzione deve procedere lentamente; bisogna avere la pazienza di aspettare. Già trent'anni fa i matematici hanno scoperto delle cose che vengono riconosciute soltanto adesso”. - Sì, stimatissimi convenuti, e adesso mi rivolgo proprio anche al vostro direttore tecnico, che stimo molto: però oggi ci sono delle cose, nella vita sociale, per le quali non possiamo aspettare, ma per le quali dobbiamo aprire un po' la testa e riuscire a capire subito. Perciò, piuttosto che della lentezza, mi sono rallegrato molto di più per questo: ho tenuto delle conferenze sui problemi sociali nelle più disparate città della Svizzera. Ho realizzato che se uno si distacca così dal solito programma, inizialmente incontra sfiducia. È successo a Basilea, che in un primo momento degli amici si sono dati da fare per indurre il consiglio direttivo del partito socialista a farmi tenere una conferenza nel loro gruppo. Il consiglio (non serve prendersela male, lo capisco, anche oggi ho parlato della sfiducia che è giustificata), forse perché non voleva disdire, ha fatto leva su una questione di principio dicendo che non si sapeva se valesse la pena di far pervenire ai membri del partito degli influssi estranei. Perciò la mia conferenza è stata rifiutata. Adesso sembra essere questo, il modo di vedere di certi leader. Qui se ne è tratta la conclusione che io non dovessi parlare. Poi è venuto da me un socialdemocratico a dirmi che voleva fare in modo che io andassi ad una conferenza all'unione dei ferrovieri. Anche questo è stato rifiutato. Poi ho tenuto una conferenza a Zurigo. Poi abbiamo fatto dei volantini a Basilea, li abbiamo semplicemente distribuiti per strada e abbiamo preso la sala più grande di Basilea per una conferenza sociale, e ho potuto tenere questa conferenza per più di 2.500 persone. Vedete, questo è successo pochissimo tempo fa. Ora, appena prima di partire, dopo che avevo tenuto questa conferenza per il proletariato di Basilea, ho ricevuto un invito dall'unione dei ferrovieri, che quella volta aveva rifiutato. Adesso avrei dovuto tenere una conferenza così per i suoi membri. Così sono le cose a distanza di quattordici giorni: prima l'unione rifiuta, poi viene a sapere che cosa si sarebbe sentita dire e adesso vuole anch'essa avere quella conferenza. Questa è stata una rapida evoluzione, un'evoluzione in quattordici giorni. Credo che oggi sia più importante questo pensare veloce, che corre in quattordici giorni, che non un pensare che vi dice che si debba procedere lentamente. Oggi voglio rallegrarmi molto di più per quelli che per prima cosa vogliono far valere la propria libera volontà, che però vogliono imparare e vogliono imparare in fretta. Infatti, stimatissimi convenuti, dovremo affrontare un periodo terribile, se andiamo avanti pian pianino. Abbiamo bisogno di un sano impulso per pensieri che vadano avanti tanto velocemente quanto gli eventi. Questo è quel che oggi vogliamo inscriverci nell'anima. Lo so, che lo stimato signore che è intervenuto non intendeva voler procedere lentamente per comodità, però altri se la prendono comoda. Ma chi oggi fa sul serio sa quanto veloce dovrà essere il cambiamento del modo di pensare, se non vogliamo restare indietro e andare incontro alla miseria e all'annientamento.


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Note:

[1] Rudolf Steiner, «Appello al popolo tedesco e al mondo civile» pubblicato in "I punti essenziali della questione sociale" OO23 (1919), pag 120. N.d.C.

Trad. 01/2017