«...in che modo singole persone, associazioni o imprese vengono suddivise secondo le tre diverse sfere organizzative? »
«Chi decide chi debba appartenere di volta in volta ad uno dei tre organismi?»
«Come si possono organizzare il piccolo artigiano e la piccola impresa artigiana?»
«Si è prevista la possibilità dell'obbligo lavorativo?»
Durante la seconda serata di studio della Lega per la Tripartizione tenutasi a Stoccarda il 30 maggio 1919, Rudolf Steiner rispose a molte domande come queste per contribuire alla diffusione e alla comprensione della concezione della tripartizione sociale e sostenere gli sforzi fatti da Emil Molt (foto accanto), nella cui fabbrica Waldorf-Astoria vennero istituiti i primi consigli di fabbrica in senso tripartito.
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Le varie forme d'impresa che si ispirano ai principi della tripartizione sociale generalmente indirizzano solo alcuni dei temi complessi che essa pone in ambito aziendale. Tra questi, per citare solo i principali, la proprietà dell'impresa e dei mezzi di produzione, la gestione del rapporto salariale e la neutralizzazione del capitale a sostegno della sfera culturale. Elysia Commons tuttavia, per la completezza della visione cui si ispira la sua articolata struttura, sembra rappresentare una interessante eccezione a questa regola (nella foto accanto, Sebastian Parsons, fondatore di Elysia Commons).
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«Ci accingiamo a compiere i primi passi nel ventunesimo secolo, avendo di fronte enormi problemi sociali e ambientali. [...] nessun vero progresso può essere fatto nell'affrontare questi problemi se non guardiamo al campo dell'istruzione come ad un veicolo essenziale per il rinnovamento sociale». Queste frasi di Gary Lamb potrebbero rappresentare l'efficace sintesi di ciò che egli ha estesamente sviluppato nei suoi libri "The Social Mission of Waldorf Education" e "Wellsprings of the Spirit". In essi l'Autore sottolinea lo stretto legame che intercorre tra le esigenze sociali e ciò che è necessario per indirizzarle, ovvero individualità umane pienamente sviluppate e ben determinate a realizzare ciò che i nostri tempi richiedono socialmente.
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Hans-Georg Schweppenhäuser nel settimo ed ultimo capitolo del suo "La proprietà dei mezzi di produzione" [Das Eigentum an den Produktionsmitteln - Berlino 1963], richiamandosi alla concezione della proprietà che si ha ad esempio in Africa, evidenzia quanto sia aberrante «una proprietà come la si intende in Europa, ovvero l'idea che qualcosa possa essere usato, sfruttato, distrutto o venduto. Più precisamente i mezzi di produzione comuni come la terra e le sue ricchezze non possono chiamarsi proprietà.»
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